Quinto comandamento: abolito
Arrossiscano gli empi e siano
condotti agli inferi; ammutoliscano le labbra ingannatrici. Il Signore
ricercherà la verità e retribuirà abbondantemente quanti praticano la superbia (Sal 30, 18-19.24).
Dobbiamo correggere quanto affermato
in calce all’ultimo articolo circa l’assordante silenzio della Santa
Sede nel dibattito circa la legge con cui si intende legalizzare l’aiuto al
suicidio. In realtà si sono registrati diversi interventi, non però di monito
né tanto meno di condanna, bensì a favore. Il primo è stato quello
dell’eminentissimo Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che nel
Giugno scorso, a margine della commemorazione di don Oreste Benzi, nel
rispondere a un giornalista ha “diplomaticamente” liquidato la questione
augurandosi che «qualunque decisione venga presa sia a salvaguardia della
dignità umana». Alla legge di Dio neanche un vago rimando, ma pure la ragione
ne esce malconcia: legalizzare in qualunque modo l’omicidio del consenziente è di per sé contrario alla dignità umana.
Oltre a questo luminoso responso,
subito sdoganato dalla stampa come un via libera della Santa Sede al cosiddetto
suicidio assistito, bisogna registrare le disinvolte spiegazioni del
nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, di nomina prevostiana,
secondo cui la vita umana va difesa, sì, ma non si può fare a meno di varare
una legge che regoli gli interventi volti a porre fine all’esistenza dei malati.
Il problema, in realtà, è già definito dagli articoli 579 e 580 del codice
penale, benché l’insindacabile Corte Costituzionale abbia di fatto abolito il
secondo ponendo le condizioni alle quali non andrebbe applicato. Il fatto è che
le norme che tutelano la vita dell’uomo hanno valore assoluto e non possono
quindi essere sottoposte a condizioni; monsignor Pegoraro, tuttavia, sembra
ritenere che le delibere di un tribunale statale valgano più della legge
divina.
Necessarie precisazioni
Non dimentichiamo però che il
Segretario di Stato vaticano non è soggetto di Magistero, ma svolge un compito
di natura politico-diplomatica; dovrebbe perciò astenersi dall’entrare nel
merito con dichiarazioni non solo inopportune, ma tanto ambigue da poter essere
tranquillamente interpretate nel senso voluto dagli uditori. Nemmeno la
Pontificia Accademia per la Vita è soggetto di Magistero, bensì è un organo di
studio e consultazione; nessuno tuttavia – a cominciare dai giornalisti – opera
questo genere di distinzioni, ma cataloga ogni dichiarazione (fosse pure una
semplice intervista) come posizione ufficiale della Santa Sede, considerata
oltretutto un’opinione fra le tante e non più il giudizio inappellabile di Gesù
Cristo. Neanche la direzione della Conferenza Episcopale Italiana è soggetto di
Magistero; eppure il suo quotidiano promuove da mesi una sfacciata propaganda a
favore.
Nella “civiltà” delle parole e
dell’immagine basta molto meno per convincere la gente che la Chiesa stia
approvando il disegno di legge sull’aiuto al suicidio; in realtà, però, Parolin
e Pegoraro non sono la Chiesa Cattolica… e neppure la cei. Le conferenze
dei vescovi sono organismi di diritto meramente ecclesiastico istituiti tra gli
anni Cinquanta e Sessanta per coordinare e rappresentare gli episcopati dei
vari Stati; a parte l’instabilità di tante entità politiche, che si ripercuote
inevitabilmente su tali organismi (come nel caso della Jugoslavia), essi non
hanno nulla a che fare con l’organizzazione della Chiesa antica (dove le diocesi
erano raggruppate intorno alle metropolie), ma si sono di fatto rivelati
strumenti di pressione e controllo dei singoli vescovi, la cui autorità
apostolica, sancita dal diritto divino, è seriamente compromessa e menomata.
Segreteria di Stato, pontificie
accademie, conferenze episcopali… tutto ciò non è affatto intrinseco
all’essenza della Chiesa così come voluta dal Fondatore; la Chiesa non si
definisce a partire da tali strutture, bensì dalla fede, dai Sacramenti e dalla
comunione gerarchica. Chi rigetta la dottrina della Chiesa anche in un solo
punto (in questo caso, il quinto comandamento) si pone al di fuori di essa e
decade per ciò stesso da qualsiasi carica; poiché, tuttavia, i sudditi non
hanno facoltà di giudicare i superiori in foro esterno, questi ultimi
mantengono la giurisdizione fino a che non siano deposti da un’autorità
superiore. Perciò, pur considerando in coscienza apostati i superiori che han
rinnegato la fede, continueremo a obbedire ai loro ordini legittimi, ma per il
resto, d’ora in poi, faremo come se non esistessero, così da salvaguardare al
contempo la fede e l’appartenenza alla Chiesa visibile.
Falsi profeti
Quando Gesù, nel Vangelo (Mt 7,
15ss), parla dei falsi profeti che vengono a noi in vesti di pecore ma
dentro son lupi rapaci allude a tutti coloro che apparentemente insegnano
nel Suo nome ma, in realtà, non fanno altro che propalare le proprie opinioni.
Come riconoscerli? Dai loro frutti, dice il Signore. Un primo indizio è
certamente che, se una presa di posizione non corrisponde alla verità che la
Chiesa ha sempre insegnato in modo costante, essa non può venire da Dio e va
pertanto rigettata in quanto falsa. Un altro indizio: se uno prova a
contraddire questi personaggi, che hanno l’apparenza degli agnelli ma dentro
sono dei lupi, essi diventano delle belve; la loro mitezza si rivela così pura
simulazione. Il criterio decisivo è però costituito dai frutti più consistenti,
che sono le azioni: è facilissimo parlare dicendo cose molto belle e incantando
gli uditori, ma contraddicendo poi ciò che si è detto con il proprio
comportamento.
Oggi, purtroppo, si vive di ciò che
si vede e si dice nei mezzi comunicazione: tante parole – anche seducenti – a
cui però non corrisponde ciò che esprimono. Sono decenni che si sentono
discorsi che non solo non portano il frutto che ci si aspetterebbe, ma sono
anzi clamorosamente smentiti dalla realtà dei fatti. Ciò fa sì che le parole
perdano progressivamente il loro significato e diventino vuote, oppure assumano
un significato diverso da quello proprio, se non contraddittorio. In tal modo
si arriva a giustificare anche comportamenti illeciti con argomentazioni
apparentemente buone; ci sono tuttavia atti che sono intrinsecamente cattivi (intrinsece malum) in quanto lo è il loro oggetto, a
prescindere dal fine e dalle circostanze, e di conseguenza non sono mai
leciti, in nessun caso: uno di questi è il togliere la vita a un innocente o
aiutarlo a farlo.
Nessun Parlamento o corte
costituzionale ha competenza sulla vita e sulla morte, poiché la vita umana è
un bene di cui non si può disporre autonomamente come si vuole, nemmeno se è la
vita di un malato terminale o affetto da malattia incurabile; ogni vita umana
va rispettata fino al termine naturale. Chi parla di aiuto a morire copre
con parole seducenti una realtà orribile: l’omicidio di persone sofferenti, che
rimane un omicidio anche se la vittima è consenziente ed è quindi proibito sia
dalla legge morale che dal codice penale. Non è ragionevole riconoscere questo
e postulare poi un preteso diritto all’autodeterminazione dell’individuo riguardo
al termine della vita: nessun uomo ha facoltà di decidere circa la fine della
sua esistenza; nessuno può determinare quando concluderla, in quanto essa
appartiene a Dio, che l’ha data ed è quindi l’unico che possa stabilire in
quale momento ognuno lascerà questo mondo.
Sguardo di verità
«Il delitto della loro bocca è la
parola delle loro labbra; siano perciò catturati con la loro superbia» (Sal 58,
13). Il pensiero moderno, che con il suo antropocentrismo e con l’esclusione
del Creatore si è fissato sui diritti degli individui, ha perso di vista la
realtà essenziale: diritto, in senso soggettivo, è la facoltà di
accedere a un bene; l’uccidersi o essere uccisi non è un bene, perciò non può
essere oggetto di un diritto. Parlare dunque di diritto all’autodeterminazione
nel porre termine alla propria vita è un non-senso: in quanto locuzione
contraddittoria, non ha giustificazione razionale. Se però si persiste per
decenni a inventarsi diritti inesistenti, alla fine si giunge a postulare un
presunto diritto di ammazzarsi o farsi ammazzare: ciò è completamente aberrante,
poiché offende in modo gravissimo il Creatore e calpesta la dignità umana in
modo inaccettabile.
Chi si fa uccidere, oltretutto, va
sicuramente all’Inferno, poiché la sua volontà di togliersi la vita perdura
fino all’ultimo. In altri casi si può sperare nella salvezza di un suicida, se,
per esempio, non aveva il pieno uso della ragione oppure, prima di morire, ha
avuto il tempo di pentirsi e chiedere perdono a Dio. In questo caso, invece,
chi si fa iniettare una sostanza letale è lucido e permane in questa volontà
cattiva fino all’ultimo istante; ciò si presume perché, se si pentisse,
potrebbe ancora arrestare il proprio atto o quello di chi lo sta “aiutando”.
Quest’ultima opzione, per il momento, da noi non è ancora legale ma potrebbe
diventarlo. In altri Paesi, purtroppo, l’omicidio del (presunto) consenziente lo
è da diversi anni; succede così che persone sofferenti (anche solo dal punto di
vita psichico) o meno abbienti vengano istigate a togliersi di mezzo. Ciò
supera di molto gli orrori del regime nazista e di quelli comunisti, ma passa
per una conquista.
Con le parole suadenti dei falsi
profeti anche tanti cattolici si son lasciati convincere che sopprimere gli
ammalati sia un atto di compassione: ciò che è orribile si riveste di un’apparenza
di pietà. Come già avvenuto con l’aborto, il varco aperto con l’ipocrita
intento di limitare, legalizzandolo, un crimine finora vietato diventerà
rapidamente una voragine. Che il Signore aiuti noi a mantenere la lucidità
mentale, così da non esser trascinati fuori strada fino ad approvare azioni
gravemente contrarie alla volontà di Dio e alla dignità della persona umana; che
maledica invece quanti, a cominciare dagli ecclesiastici, promuovono la
legalizzazione dell’omicidio, specie gli opinionisti che la propagandano e i
parlamentari che voteranno a favore. Nel nome del Signore Gesù Cristo, li
consegniamo tutti a Satana per la rovina della carne, affinché lo spirito sia
salvo nel giorno del Giudizio (cf. 1 Cor 5, 5).
Morte a chi vuole morte
Per molti di loro, purtroppo,
nemmeno l’esser colpiti nel fisico servirà a farli rinsavire e convertire: come
già il loro capo-scuola, Carlo Maria Martini, a una morte santa preferiranno la
siringa mortale e si danneranno. L’oscuramento della ragione e il tradimento
della verità son giunti a un livello così demoniaco che i colpevoli si
puniscono da sé. Di fronte a un così ostinato rifiuto di dargli ascolto, Dio
smette di correggere i peccatori e li abbandona agli effetti della loro
perversità; ciò vale sia per i cattivi maestri, sia per la società nel suo
insieme, che li segue in spregio della legge divina. Tutti costoro si
infliggeranno da sé la sentenza capitale, eseguendo così il giudizio, fin d’ora
manifesto, che si meritano. Lo Stato è morto, come pure la gerarchia apostata e
collaborazionista. La Chiesa, invece, non potrà mai morire, ma vivrà sempre in
tutti quei vescovi, sacerdoti e laici fedeli che, con la loro corrispondenza
alla grazia, rimarranno uniti al Corpo Mistico.
«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9, 60). Che la Chiesa istituzionale si adoperi per la legalizzazione dell’omicidio è un fatto di gravità apocalittica che ci causa inesprimibile sgomento e dolore, ma non dobbiamo lasciarci andare allo sconforto: tutti quegli spiritualmente morti di cui parliamo si seppelliranno a vicenda, mentre i veri cattolici, con l’aiuto della grazia, continueranno a vivere sereni testimoniando senza timore l’amore di Dio e la Sua chiamata alla vita eterna, con le condizioni per ottenerla. I cadaveri ambulanti che si vestono di porpora e di viola, ma puzzano in modo insopportabile come carogne in avanzato stato di decomposizione, non meritano la nostra sofferenza. In alto i cuori, dunque! cuori colmi di gratitudine per l’immeritata sorte di esser stati preservati dal generale naufragio di coloro che han rinnegato la fede.
Grazie a Dio in eterno!
RispondiEliminaAve Maria!
Grazie, per il conforto e la speranza che ravvivano in me, misero peccatore, debole e fragile, queste parole che sono luce sulla verità che oggi viviamo. Esse sono nutrimento per il combattimento spirituale che noi cristiani siamo chiamati a condurre nella Speranza della visione beatifia di Dio che dissiperà ogni menzogna.
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