Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 2 agosto 2025


Quinto comandamento: abolito

 

 

Arrossiscano gli empi e siano condotti agli inferi; ammutoliscano le labbra ingannatrici. Il Signore ricercherà la verità e retribuirà abbondantemente quanti praticano la superbia (Sal 30, 18-19.24).

Dobbiamo correggere quanto affermato in calce all’ultimo articolo circa l’assordante silenzio della Santa Sede nel dibattito circa la legge con cui si intende legalizzare l’aiuto al suicidio. In realtà si sono registrati diversi interventi, non però di monito né tanto meno di condanna, bensì a favore. Il primo è stato quello dell’eminentissimo Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che nel Giugno scorso, a margine della commemorazione di don Oreste Benzi, nel rispondere a un giornalista ha “diplomaticamente” liquidato la questione augurandosi che «qualunque decisione venga presa sia a salvaguardia della dignità umana». Alla legge di Dio neanche un vago rimando, ma pure la ragione ne esce malconcia: legalizzare in qualunque modo l’omicidio del consenziente è di per sé contrario alla dignità umana.

Oltre a questo luminoso responso, subito sdoganato dalla stampa come un via libera della Santa Sede al cosiddetto suicidio assistito, bisogna registrare le disinvolte spiegazioni del nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, di nomina prevostiana, secondo cui la vita umana va difesa, sì, ma non si può fare a meno di varare una legge che regoli gli interventi volti a porre fine all’esistenza dei malati. Il problema, in realtà, è già definito dagli articoli 579 e 580 del codice penale, benché l’insindacabile Corte Costituzionale abbia di fatto abolito il secondo ponendo le condizioni alle quali non andrebbe applicato. Il fatto è che le norme che tutelano la vita dell’uomo hanno valore assoluto e non possono quindi essere sottoposte a condizioni; monsignor Pegoraro, tuttavia, sembra ritenere che le delibere di un tribunale statale valgano più della legge divina.

Necessarie precisazioni

Non dimentichiamo però che il Segretario di Stato vaticano non è soggetto di Magistero, ma svolge un compito di natura politico-diplomatica; dovrebbe perciò astenersi dall’entrare nel merito con dichiarazioni non solo inopportune, ma tanto ambigue da poter essere tranquillamente interpretate nel senso voluto dagli uditori. Nemmeno la Pontificia Accademia per la Vita è soggetto di Magistero, bensì è un organo di studio e consultazione; nessuno tuttavia – a cominciare dai giornalisti – opera questo genere di distinzioni, ma cataloga ogni dichiarazione (fosse pure una semplice intervista) come posizione ufficiale della Santa Sede, considerata oltretutto un’opinione fra le tante e non più il giudizio inappellabile di Gesù Cristo. Neanche la direzione della Conferenza Episcopale Italiana è soggetto di Magistero; eppure il suo quotidiano promuove da mesi una sfacciata propaganda a favore.

Nella “civiltà” delle parole e dell’immagine basta molto meno per convincere la gente che la Chiesa stia approvando il disegno di legge sull’aiuto al suicidio; in realtà, però, Parolin e Pegoraro non sono la Chiesa Cattolica… e neppure la cei. Le conferenze dei vescovi sono organismi di diritto meramente ecclesiastico istituiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta per coordinare e rappresentare gli episcopati dei vari Stati; a parte l’instabilità di tante entità politiche, che si ripercuote inevitabilmente su tali organismi (come nel caso della Jugoslavia), essi non hanno nulla a che fare con l’organizzazione della Chiesa antica (dove le diocesi erano raggruppate intorno alle metropolie), ma si sono di fatto rivelati strumenti di pressione e controllo dei singoli vescovi, la cui autorità apostolica, sancita dal diritto divino, è seriamente compromessa e menomata.

Segreteria di Stato, pontificie accademie, conferenze episcopali… tutto ciò non è affatto intrinseco all’essenza della Chiesa così come voluta dal Fondatore; la Chiesa non si definisce a partire da tali strutture, bensì dalla fede, dai Sacramenti e dalla comunione gerarchica. Chi rigetta la dottrina della Chiesa anche in un solo punto (in questo caso, il quinto comandamento) si pone al di fuori di essa e decade per ciò stesso da qualsiasi carica; poiché, tuttavia, i sudditi non hanno facoltà di giudicare i superiori in foro esterno, questi ultimi mantengono la giurisdizione fino a che non siano deposti da un’autorità superiore. Perciò, pur considerando in coscienza apostati i superiori che han rinnegato la fede, continueremo a obbedire ai loro ordini legittimi, ma per il resto, d’ora in poi, faremo come se non esistessero, così da salvaguardare al contempo la fede e l’appartenenza alla Chiesa visibile.

Falsi profeti

Quando Gesù, nel Vangelo (Mt 7, 15ss), parla dei falsi profeti che vengono a noi in vesti di pecore ma dentro son lupi rapaci allude a tutti coloro che apparentemente insegnano nel Suo nome ma, in realtà, non fanno altro che propalare le proprie opinioni. Come riconoscerli? Dai loro frutti, dice il Signore. Un primo indizio è certamente che, se una presa di posizione non corrisponde alla verità che la Chiesa ha sempre insegnato in modo costante, essa non può venire da Dio e va pertanto rigettata in quanto falsa. Un altro indizio: se uno prova a contraddire questi personaggi, che hanno l’apparenza degli agnelli ma dentro sono dei lupi, essi diventano delle belve; la loro mitezza si rivela così pura simulazione. Il criterio decisivo è però costituito dai frutti più consistenti, che sono le azioni: è facilissimo parlare dicendo cose molto belle e incantando gli uditori, ma contraddicendo poi ciò che si è detto con il proprio comportamento.

Oggi, purtroppo, si vive di ciò che si vede e si dice nei mezzi comunicazione: tante parole – anche seducenti – a cui però non corrisponde ciò che esprimono. Sono decenni che si sentono discorsi che non solo non portano il frutto che ci si aspetterebbe, ma sono anzi clamorosamente smentiti dalla realtà dei fatti. Ciò fa sì che le parole perdano progressivamente il loro significato e diventino vuote, oppure assumano un significato diverso da quello proprio, se non contraddittorio. In tal modo si arriva a giustificare anche comportamenti illeciti con argomentazioni apparentemente buone; ci sono tuttavia atti che sono intrinsecamente cattivi (intrinsece malum) in quanto lo è il loro oggetto, a prescindere dal fine e dalle circostanze, e di conseguenza non sono mai leciti, in nessun caso: uno di questi è il togliere la vita a un innocente o aiutarlo a farlo.

Nessun Parlamento o corte costituzionale ha competenza sulla vita e sulla morte, poiché la vita umana è un bene di cui non si può disporre autonomamente come si vuole, nemmeno se è la vita di un malato terminale o affetto da malattia incurabile; ogni vita umana va rispettata fino al termine naturale. Chi parla di aiuto a morire copre con parole seducenti una realtà orribile: l’omicidio di persone sofferenti, che rimane un omicidio anche se la vittima è consenziente ed è quindi proibito sia dalla legge morale che dal codice penale. Non è ragionevole riconoscere questo e postulare poi un preteso diritto all’autodeterminazione dell’individuo riguardo al termine della vita: nessun uomo ha facoltà di decidere circa la fine della sua esistenza; nessuno può determinare quando concluderla, in quanto essa appartiene a Dio, che l’ha data ed è quindi l’unico che possa stabilire in quale momento ognuno lascerà questo mondo.

Sguardo di verità

«Il delitto della loro bocca è la parola delle loro labbra; siano perciò catturati con la loro superbia» (Sal 58, 13). Il pensiero moderno, che con il suo antropocentrismo e con l’esclusione del Creatore si è fissato sui diritti degli individui, ha perso di vista la realtà essenziale: diritto, in senso soggettivo, è la facoltà di accedere a un bene; l’uccidersi o essere uccisi non è un bene, perciò non può essere oggetto di un diritto. Parlare dunque di diritto all’autodeterminazione nel porre termine alla propria vita è un non-senso: in quanto locuzione contraddittoria, non ha giustificazione razionale. Se però si persiste per decenni a inventarsi diritti inesistenti, alla fine si giunge a postulare un presunto diritto di ammazzarsi o farsi ammazzare: ciò è completamente aberrante, poiché offende in modo gravissimo il Creatore e calpesta la dignità umana in modo inaccettabile.

Chi si fa uccidere, oltretutto, va sicuramente all’Inferno, poiché la sua volontà di togliersi la vita perdura fino all’ultimo. In altri casi si può sperare nella salvezza di un suicida, se, per esempio, non aveva il pieno uso della ragione oppure, prima di morire, ha avuto il tempo di pentirsi e chiedere perdono a Dio. In questo caso, invece, chi si fa iniettare una sostanza letale è lucido e permane in questa volontà cattiva fino all’ultimo istante; ciò si presume perché, se si pentisse, potrebbe ancora arrestare il proprio atto o quello di chi lo sta “aiutando”. Quest’ultima opzione, per il momento, da noi non è ancora legale ma potrebbe diventarlo. In altri Paesi, purtroppo, l’omicidio del (presunto) consenziente lo è da diversi anni; succede così che persone sofferenti (anche solo dal punto di vita psichico) o meno abbienti vengano istigate a togliersi di mezzo. Ciò supera di molto gli orrori del regime nazista e di quelli comunisti, ma passa per una conquista.

Con le parole suadenti dei falsi profeti anche tanti cattolici si son lasciati convincere che sopprimere gli ammalati sia un atto di compassione: ciò che è orribile si riveste di un’apparenza di pietà. Come già avvenuto con l’aborto, il varco aperto con l’ipocrita intento di limitare, legalizzandolo, un crimine finora vietato diventerà rapidamente una voragine. Che il Signore aiuti noi a mantenere la lucidità mentale, così da non esser trascinati fuori strada fino ad approvare azioni gravemente contrarie alla volontà di Dio e alla dignità della persona umana; che maledica invece quanti, a cominciare dagli ecclesiastici, promuovono la legalizzazione dell’omicidio, specie gli opinionisti che la propagandano e i parlamentari che voteranno a favore. Nel nome del Signore Gesù Cristo, li consegniamo tutti a Satana per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Giudizio (cf. 1 Cor 5, 5).

Morte a chi vuole morte

Per molti di loro, purtroppo, nemmeno l’esser colpiti nel fisico servirà a farli rinsavire e convertire: come già il loro capo-scuola, Carlo Maria Martini, a una morte santa preferiranno la siringa mortale e si danneranno. L’oscuramento della ragione e il tradimento della verità son giunti a un livello così demoniaco che i colpevoli si puniscono da sé. Di fronte a un così ostinato rifiuto di dargli ascolto, Dio smette di correggere i peccatori e li abbandona agli effetti della loro perversità; ciò vale sia per i cattivi maestri, sia per la società nel suo insieme, che li segue in spregio della legge divina. Tutti costoro si infliggeranno da sé la sentenza capitale, eseguendo così il giudizio, fin d’ora manifesto, che si meritano. Lo Stato è morto, come pure la gerarchia apostata e collaborazionista. La Chiesa, invece, non potrà mai morire, ma vivrà sempre in tutti quei vescovi, sacerdoti e laici fedeli che, con la loro corrispondenza alla grazia, rimarranno uniti al Corpo Mistico.

«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9, 60). Che la Chiesa istituzionale si adoperi per la legalizzazione dell’omicidio è un fatto di gravità apocalittica che ci causa inesprimibile sgomento e dolore, ma non dobbiamo lasciarci andare allo sconforto: tutti quegli spiritualmente morti di cui parliamo si seppelliranno a vicenda, mentre i veri cattolici, con l’aiuto della grazia, continueranno a vivere sereni testimoniando senza timore l’amore di Dio e la Sua chiamata alla vita eterna, con le condizioni per ottenerla. I cadaveri ambulanti che si vestono di porpora e di viola, ma puzzano in modo insopportabile come carogne in avanzato stato di decomposizione, non meritano la nostra sofferenza. In alto i cuori, dunque! cuori colmi di gratitudine per l’immeritata sorte di esser stati preservati dal generale naufragio di coloro che han rinnegato la fede.


2 commenti:

  1. Grazie a Dio in eterno!
    Ave Maria!

    RispondiElimina
  2. Paolo Crocetti. Italia.2 agosto 2025 alle ore 08:24

    Grazie, per il conforto e la speranza che ravvivano in me, misero peccatore, debole e fragile, queste parole che sono luce sulla verità che oggi viviamo. Esse sono nutrimento per il combattimento spirituale che noi cristiani siamo chiamati a condurre nella Speranza della visione beatifia di Dio che dissiperà ogni menzogna.

    RispondiElimina