L’unica resistenza davvero efficace
Viam veritatis
elegi (Ho scelto la via della verità; Sal 118, 30).
La smania di scegliersi dei capi da sé e di dividersi in fazioni
contrapposte non è affatto nuova: già san Paolo dovette redarguire severamente
i cristiani di Corinto per questa ragione (cf. 1 Cor 3, 3ss). Si direbbe che
chi, in modo del tutto insperato, è stato traghettato per pura grazia dal
dominio della corruzione e del peccato al regno della vita e della santità,
inebriato della sua nuova dignità e nobile condizione, si sentisse di colpo
elevato al di sopra di tutto e di tutti, al punto di credersi autorizzato a valutare
gli artefici stessi della sua immeritata redenzione. Si tratta indubbiamente di
una comune tentazione di superbia che alligna facilmente nei neofiti, che siano
convertiti di fresco dagli errori del mondo o recenti scopritori della
Tradizione.
L’Apostolo, onde mostrare la vacuità di tale pretesa, ricorda
anzitutto l’identità e il compito degli annunziatori del Vangelo: sono semplici
servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio (1 Cor 4,
1). Tale dato di fatto comporta per i fedeli, implicitamente, il divieto di
porli al di sopra del Signore; per i ministri, esplicitamente, l’obbligo di
render conto a Lui anziché agli uomini (cf. ibid., vv. 2ss). Perciò san
Paolo si rimette completamente al giudizio di Gesù, il quale, nella Sua venuta
gloriosa, svelerà le intenzioni dei cuori e renderà a ciascuno la giusta
ricompensa. Da ciò i cristiani devono imparare a non gonfiarsi d’orgoglio l’uno
contro l’altro a favore di Tizio o di Caio; questa condotta denota infatti una
scarsa consapevolezza sia dell’inesorabile giudizio divino, sia del debito
contratto nel ricevere l’accesso alla salvezza eterna.
Pretese fuori luogo
Chi ha ricevuto tutto gratuitamente, come può vantarsi di quel che
possiede? La pretesa di stabilire una classifica dei dispensatori dei beni
celesti appare assolutamente ridicola, dando l’impressione che quanti son stati
ripescati dal certo naufragio si sentano già satolli, facoltosi e addirittura
sovrani. Qui il discorso, sia pure dopo una punta di benevola ironia scaturita
dalla carità ferita dell’apostolo, tocca un culmine di soprannaturale sapienza:
l’ambizioso fariseo di un tempo, fanatico e violento, descrive se stesso e i
suoi collaboratori prendendo spunto dai cortei trionfali dei generali romani
vittoriosi, nei quali i capi dei popoli sconfitti, dopo l’esibizione del
bottino, venivano trascinati in catene per ultimi per essere esposti al
pubblico ludibrio prima di esser giustiziati.
«Siamo diventati spettacolo al mondo e agli angeli e agli uomini.
Noi [siamo considerati] pazzi a motivo di Cristo, voi saggi in Cristo; noi
deboli, voi forti; voi gloriosi, noi degni di disprezzo» (1 Cor 4, 9-10). Non è
mera retorica: la lista delle durezze, traversie e vessazioni legate alla
missione ne è la prova concreta; tutto, però, è per gli inviati di Dio mezzo di
santificazione e dimostrazione della veridicità del messaggio. In uno slancio
di sublime umiltà, Paolo non esita a definirsi immondizia di questo mondo e
lordura di tutti (1 Cor 4, 13); poi, temendo di metter troppo in imbarazzo
i suoi lettori, esprime la sollecitudine paterna di chi, solo, li ha generati
in Cristo, a differenza di quanti li han soltanto accompagnati verso di lui.
L’esortazione conclusiva deriva con logica cogenza da tale fatto: «Siate miei
imitatori» (1 Cor 4, 16).
Applicazione all’attualità
Prima di ripassare a Corinto per regolare le varie questioni di
persona, l’Apostolo vi ha inviato uno dei suoi figli spirituali più amati e
degni di fiducia, il giovane Timoteo, con l’incarico di rammentare alla locale
comunità cristiana le sue vie in Cristo, ossia la sua dottrina morale,
comprovata dal suo comportamento abituale. Quanti, convinti che non sarebbe più
tornato, si son gonfiati d’orgoglio e presunzione saranno esaminati non sulle
parole, bensì sulle capacità, dato che il Regno di Dio non consiste nelle
chiacchiere, ma nelle virtù (cf. 1 Cor 4, 17ss); si anticipa così, mediante l’esercizio
dell’autorità, il giudizio finale, in modo che l’esito di quest’ultimo sia
positivo. È per questo che la gerarchia ecclesiastica emette sentenze e irroga
censure: per la salvezza delle anime. Che poi chi la detiene ne sia indegno non
cambia nulla, purché la eserciti legittimamente.
Chi ancora non ha capito questo dovrebbe fare una pausa di
riflessione e sospendere, almeno per un po’, l’incessante botta-e-risposta dei
mezzi di comunicazione sociale, gran parte dei cui utenti parla senza aver
sufficienti competenze e, come appare evidente, senza pensare abbastanza a ciò
che scrive né capire, a volte, ciò che legge. La Rete, anche per i cattolici
che si considerano fedeli, è diventata una giungla in cui si fendono colpi all’impazzata
contro chiunque appaia contrario a un’opinione o a una preferenza. È superfluo
ricordare, alla luce di quanto appena esposto sulla scorta della Sacra
Scrittura, che ciò non ha niente a che vedere con la vita cristiana, il cui
scopo non è far trionfare le convinzioni personali, ma unire gli uomini nella
carità. Una difesa della fede che non miri a ciò si riduce a una velleità tipica
della gnosi, cioè all’esatto opposto.
Un caso particolare
Un valente giornalista cattolico, che si è fatto apprezzare non
solo per le sue qualità, ma anche per il sofferto e coraggioso percorso che lo
ha condotto dal modernismo alla riscoperta della Tradizione, ha di recente
mostrato la sterilità di certi dibattiti sulla legittimità del pontificato
corrente, sulla base di considerazioni di ordine sia oggettivo (la mancanza di
autorità in materia) sia soggettivo (il fatto che il giudizio particolare non
verte su questo genere di questioni, bensì sulla condotta di ognuno). L’anima
che si presenta al Signore ha ben altre preoccupazioni, che devono tenerla
impegnata fin da questa vita: come ho amato Dio e il prossimo, incarnando in
tal modo la mia fede e giustificando la mia speranza? Ciò non significa affatto
lavarsi le mani riguardo all’emergenza ecclesiale, bensì aver chiaro che cosa è
nostro compito e che cosa non lo è.
Peccato che il nostro giornalista persista poi, cadendo così in
patente contraddizione, nel sostenere un prelato a riposo che è incorso nella
scomunica per scisma proprio per aver preteso, in maniera pubblica e reiterata,
di stabilire che il Papa non è papa e avergli quindi rifiutato l’obbedienza. Le
analisi di uno che si separa dalla Chiesa potranno pure contenere osservazioni
condivisibili, ma non possono certo nutrire la fede, giacché, in realtà, la
portano fuori strada. Come si può ritenere una voce chiara quella di chi
propone proprio una di quelle fumose ricostruzioni retroscenistiche che
sono stigmatizzate subito dopo? Anche su queste pagine ci è sembrato, in un
primo tempo, che si trattasse della voce di un vero Pastore, ma gli sviluppi
successivi ci hanno obbligato a ricrederci, appunto perché non difendiamo
opinioni soggettive, ma cerchiamo la verità.
Che poi uno non avverta nel cuore che un superiore gli è
padre non lo esime affatto dall’obbedienza canonica: un fenomeno psicologico
non annulla le esigenze oggettive basate sull’ordinamento della Chiesa quale,
nel nucleo, è stato stabilito dal Fondatore. C’è un forte rischio di finire, in
nome della difesa della Tradizione, nello spiritualismo protestantico, che
rivendica un’appartenenza meramente “spirituale” alla comunità dei credenti, a
prescindere dalla comunione gerarchica con coloro che, bene o male, dirigono la
società visibile. Se l’odierno capo, oggettivamente, non ci conferma nella
fede, possiamo al massimo, purché sia fatto con retto giudizio e scienza
sufficiente, trarre una conclusione nel foro interno della coscienza, pur senza
pretendere di farla valere in foro esterno con un giudizio che, ponendo
l’inferiore al di sopra del superiore, capovolga la costituzione divina della
Chiesa.
Conclusioni pratiche
Non è difficile da capire… a meno che non si sia accecati dalle passioni umane, le quali devono piuttosto essere incessantemente combattute dal cristiano, in qualsiasi epoca e con qualunque papa. Una volta accertato che i vertici della Chiesa hanno in gran parte (non tutti e singoli) tradito Cristo, ignoriamo tranquillamente le loro esternazioni anziché continuare a leggerle e divulgarle, con un probabile danno per la salute fisica e spirituale nostra e altrui. La Scrittura ha già emesso la sentenza a loro riguardo, se non si ravvedono: Maledicti qui declinant a mandatis tuis (Maledetti coloro che deviano dai tuoi comandamenti; Sal 118, 21). Lasciamo alla Provvidenza il compito di disfarsene a tempo e luogo; curiamo piuttosto la nostra anima con le fonti di sapienza e di dottrina di cui abbonda la tradizione cattolica: Padri della Chiesa, Santi, mistici e teologi provati; non basterebbe una vita. Una resistenza efficace si attua stando dentro la Chiesa, non chiamandosene fuori.