Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 27 luglio 2024


L’unica resistenza davvero efficace

 

 

Viam veritatis elegi (Ho scelto la via della verità; Sal 118, 30).

La smania di scegliersi dei capi da sé e di dividersi in fazioni contrapposte non è affatto nuova: già san Paolo dovette redarguire severamente i cristiani di Corinto per questa ragione (cf. 1 Cor 3, 3ss). Si direbbe che chi, in modo del tutto insperato, è stato traghettato per pura grazia dal dominio della corruzione e del peccato al regno della vita e della santità, inebriato della sua nuova dignità e nobile condizione, si sentisse di colpo elevato al di sopra di tutto e di tutti, al punto di credersi autorizzato a valutare gli artefici stessi della sua immeritata redenzione. Si tratta indubbiamente di una comune tentazione di superbia che alligna facilmente nei neofiti, che siano convertiti di fresco dagli errori del mondo o recenti scopritori della Tradizione.

L’Apostolo, onde mostrare la vacuità di tale pretesa, ricorda anzitutto l’identità e il compito degli annunziatori del Vangelo: sono semplici servitori di Cristo e amministratori dei misteri di Dio (1 Cor 4, 1). Tale dato di fatto comporta per i fedeli, implicitamente, il divieto di porli al di sopra del Signore; per i ministri, esplicitamente, l’obbligo di render conto a Lui anziché agli uomini (cf. ibid., vv. 2ss). Perciò san Paolo si rimette completamente al giudizio di Gesù, il quale, nella Sua venuta gloriosa, svelerà le intenzioni dei cuori e renderà a ciascuno la giusta ricompensa. Da ciò i cristiani devono imparare a non gonfiarsi d’orgoglio l’uno contro l’altro a favore di Tizio o di Caio; questa condotta denota infatti una scarsa consapevolezza sia dell’inesorabile giudizio divino, sia del debito contratto nel ricevere l’accesso alla salvezza eterna.

Pretese fuori luogo

Chi ha ricevuto tutto gratuitamente, come può vantarsi di quel che possiede? La pretesa di stabilire una classifica dei dispensatori dei beni celesti appare assolutamente ridicola, dando l’impressione che quanti son stati ripescati dal certo naufragio si sentano già satolli, facoltosi e addirittura sovrani. Qui il discorso, sia pure dopo una punta di benevola ironia scaturita dalla carità ferita dell’apostolo, tocca un culmine di soprannaturale sapienza: l’ambizioso fariseo di un tempo, fanatico e violento, descrive se stesso e i suoi collaboratori prendendo spunto dai cortei trionfali dei generali romani vittoriosi, nei quali i capi dei popoli sconfitti, dopo l’esibizione del bottino, venivano trascinati in catene per ultimi per essere esposti al pubblico ludibrio prima di esser giustiziati.

«Siamo diventati spettacolo al mondo e agli angeli e agli uomini. Noi [siamo considerati] pazzi a motivo di Cristo, voi saggi in Cristo; noi deboli, voi forti; voi gloriosi, noi degni di disprezzo» (1 Cor 4, 9-10). Non è mera retorica: la lista delle durezze, traversie e vessazioni legate alla missione ne è la prova concreta; tutto, però, è per gli inviati di Dio mezzo di santificazione e dimostrazione della veridicità del messaggio. In uno slancio di sublime umiltà, Paolo non esita a definirsi immondizia di questo mondo e lordura di tutti (1 Cor 4, 13); poi, temendo di metter troppo in imbarazzo i suoi lettori, esprime la sollecitudine paterna di chi, solo, li ha generati in Cristo, a differenza di quanti li han soltanto accompagnati verso di lui. L’esortazione conclusiva deriva con logica cogenza da tale fatto: «Siate miei imitatori» (1 Cor 4, 16).

Applicazione all’attualità

Prima di ripassare a Corinto per regolare le varie questioni di persona, l’Apostolo vi ha inviato uno dei suoi figli spirituali più amati e degni di fiducia, il giovane Timoteo, con l’incarico di rammentare alla locale comunità cristiana le sue vie in Cristo, ossia la sua dottrina morale, comprovata dal suo comportamento abituale. Quanti, convinti che non sarebbe più tornato, si son gonfiati d’orgoglio e presunzione saranno esaminati non sulle parole, bensì sulle capacità, dato che il Regno di Dio non consiste nelle chiacchiere, ma nelle virtù (cf. 1 Cor 4, 17ss); si anticipa così, mediante l’esercizio dell’autorità, il giudizio finale, in modo che l’esito di quest’ultimo sia positivo. È per questo che la gerarchia ecclesiastica emette sentenze e irroga censure: per la salvezza delle anime. Che poi chi la detiene ne sia indegno non cambia nulla, purché la eserciti legittimamente.

Chi ancora non ha capito questo dovrebbe fare una pausa di riflessione e sospendere, almeno per un po’, l’incessante botta-e-risposta dei mezzi di comunicazione sociale, gran parte dei cui utenti parla senza aver sufficienti competenze e, come appare evidente, senza pensare abbastanza a ciò che scrive né capire, a volte, ciò che legge. La Rete, anche per i cattolici che si considerano fedeli, è diventata una giungla in cui si fendono colpi all’impazzata contro chiunque appaia contrario a un’opinione o a una preferenza. È superfluo ricordare, alla luce di quanto appena esposto sulla scorta della Sacra Scrittura, che ciò non ha niente a che vedere con la vita cristiana, il cui scopo non è far trionfare le convinzioni personali, ma unire gli uomini nella carità. Una difesa della fede che non miri a ciò si riduce a una velleità tipica della gnosi, cioè all’esatto opposto.

Un caso particolare

Un valente giornalista cattolico, che si è fatto apprezzare non solo per le sue qualità, ma anche per il sofferto e coraggioso percorso che lo ha condotto dal modernismo alla riscoperta della Tradizione, ha di recente mostrato la sterilità di certi dibattiti sulla legittimità del pontificato corrente, sulla base di considerazioni di ordine sia oggettivo (la mancanza di autorità in materia) sia soggettivo (il fatto che il giudizio particolare non verte su questo genere di questioni, bensì sulla condotta di ognuno). L’anima che si presenta al Signore ha ben altre preoccupazioni, che devono tenerla impegnata fin da questa vita: come ho amato Dio e il prossimo, incarnando in tal modo la mia fede e giustificando la mia speranza? Ciò non significa affatto lavarsi le mani riguardo all’emergenza ecclesiale, bensì aver chiaro che cosa è nostro compito e che cosa non lo è.

Peccato che il nostro giornalista persista poi, cadendo così in patente contraddizione, nel sostenere un prelato a riposo che è incorso nella scomunica per scisma proprio per aver preteso, in maniera pubblica e reiterata, di stabilire che il Papa non è papa e avergli quindi rifiutato l’obbedienza. Le analisi di uno che si separa dalla Chiesa potranno pure contenere osservazioni condivisibili, ma non possono certo nutrire la fede, giacché, in realtà, la portano fuori strada. Come si può ritenere una voce chiara quella di chi propone proprio una di quelle fumose ricostruzioni retroscenistiche che sono stigmatizzate subito dopo? Anche su queste pagine ci è sembrato, in un primo tempo, che si trattasse della voce di un vero Pastore, ma gli sviluppi successivi ci hanno obbligato a ricrederci, appunto perché non difendiamo opinioni soggettive, ma cerchiamo la verità.

Che poi uno non avverta nel cuore che un superiore gli è padre non lo esime affatto dall’obbedienza canonica: un fenomeno psicologico non annulla le esigenze oggettive basate sull’ordinamento della Chiesa quale, nel nucleo, è stato stabilito dal Fondatore. C’è un forte rischio di finire, in nome della difesa della Tradizione, nello spiritualismo protestantico, che rivendica un’appartenenza meramente “spirituale” alla comunità dei credenti, a prescindere dalla comunione gerarchica con coloro che, bene o male, dirigono la società visibile. Se l’odierno capo, oggettivamente, non ci conferma nella fede, possiamo al massimo, purché sia fatto con retto giudizio e scienza sufficiente, trarre una conclusione nel foro interno della coscienza, pur senza pretendere di farla valere in foro esterno con un giudizio che, ponendo l’inferiore al di sopra del superiore, capovolga la costituzione divina della Chiesa.

Conclusioni pratiche

Non è difficile da capire… a meno che non si sia accecati dalle passioni umane, le quali devono piuttosto essere incessantemente combattute dal cristiano, in qualsiasi epoca e con qualunque papa. Una volta accertato che i vertici della Chiesa hanno in gran parte (non tutti e singoli) tradito Cristo, ignoriamo tranquillamente le loro esternazioni anziché continuare a leggerle e divulgarle, con un probabile danno per la salute fisica e spirituale nostra e altrui. La Scrittura ha già emesso la sentenza a loro riguardo, se non si ravvedono: Maledicti qui declinant a mandatis tuis (Maledetti coloro che deviano dai tuoi comandamenti; Sal 118, 21). Lasciamo alla Provvidenza il compito di disfarsene a tempo e luogo; curiamo piuttosto la nostra anima con le fonti di sapienza e di dottrina di cui abbonda la tradizione cattolica: Padri della Chiesa, Santi, mistici e teologi provati; non basterebbe una vita. Una resistenza efficace si attua stando dentro la Chiesa, non chiamandosene fuori.


sabato 20 luglio 2024


Scomuniche e loschi affari

 

 

Nihil enim est opertum, quod non revelabitur, et occultum, quod non scietur (Niente è coperto che non sarà svelato e nascosto che non sarà conosciuto; Mt 10, 26).

Il processo del millennio, che per la prima volta nella storia ha visto un alto prelato vaticano interrogato da una corte di giustizia civile, sta passando completamente inosservato. In relazione con la squallida vicenda di corruzione legata alla compravendita miliardaria del palazzo di Sloane Avenue, si sta celebrando a Londra il processo intentato contro la Santa Sede dal finanziere Raffaele Mincione, condannato dal tribunale della Città del Vaticano, come l’ex-cardinale Giovanni Angelo Becciu, a favore del broker Gianluigi Torzi. Quest’ultimo, secondo la deposizione di monsignor Edgar Peña Parra, lo avrebbe intrappolato in modo tale da costringere la Segreteria di Stato a versargli due “contributi” di appena cinque e dieci milioni di euro per convincerlo a chiudere l’affare.

Vien da domandarsi in qual modo e a qual titolo un’operazione finanziaria di tale portata (per giunta piuttosto spregiudicata) rientri nelle attribuzioni e nei compiti di quell’istituzione, per non parlare dei rischi connessi alla fiducia concessa ad addetti del settore non proprio onesti e trasparenti. Similes cum similibus congregantur, recita l’adagio latino, fornendoci un’ipotesi di spiegazione. Come che sia, la sbrigativa soluzione adottata dal regnante pontefice, direttamente coinvolto nella storia, sembra essersi ritorta contro di lui: l’immolazione del complice Becciu quale capro espiatorio non è bastata a chiudere la vertenza, che rischia ora di trascinare la Santa Sede in uno scandalo senza precedenti. Un Capo di Stato non può certamente esser convocato a giudizio, ma quel che resta della sua reputazione potrebbe subire un colpo irrimediabile.

Strane coincidenze

“Casualmente”, gli interrogatori di Peña Parra si sono svolti il 4 e il 5 Luglio, giornate roventi per la Gran Bretagna: le elezioni per il rinnovo della Camera dei Comuni, con il trionfo dei laburisti, hanno provocato un terremoto politico. Così la notizia è stata quasi completamente ignorata, se non fosse per qualche voce isolata. Qualora ciò non fosse bastato, ecco che nella mattinata del 5 viene resa nota la scomunica nei confronti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che ottiene risonanza a livello mondiale non solo fra i cattolici, ma in ogni ambiente. Chi si chiedeva perché mai il Vaticano avesse aspettato tanto a compiere tale atto, peraltro inevitabile, ha ricevuto risposta: attendevano il momento più opportuno e fruttuoso per servirsi di esso a proprio vantaggio.

È motivo di acuto dolore che un uomo così retto e intelligente, accecato da uno zelo poco illuminato, abbia fornito a individui così perversi l’occasione di usarlo in modo tanto volgare. Un successore degli Apostoli, soprattutto se a riposo, dovrebbe conoscere i limiti delle proprie incombenze e possibilità d’intervento, lasciando alla Provvidenza la cura di districare matasse che superano le capacità umane. Pretendere di risolvere problemi che non sono alla propria portata non può ottenere altro che danno per sé e per gli altri, in questo caso per l’unità della Chiesa visibile, già tanto lacerata. Chi ragiona correttamente sa bene che assumersi incarichi che non competono alla propria posizione perturba l’ordine stabilito dal divino Fondatore e fa così cadere in palese contraddizione con lo scopo che ci si è prefissi: in nome della difesa della fede, si nega la fede.

La giusta reazione

«In verità, il cuore dell’apostolo sanguina nel vedere le tribolazioni della Chiesa, ma non c’è nulla di comune tra il suo modo di patire e quello dell’uomo che non è animato da spirito soprannaturale. Nel momento in cui sopraggiungono le difficoltà, lo dimostrano il contegno e l’attività febbrile di costui, le sue impazienze e il suo abbattimento, la sua disperazione e, talvolta, il suo annichilimento di fronte a rovine irreparabili. Il vero apostolo, invece, utilizza tutto, trionfi e rovesci, per accrescere la sua speranza e dilatare la sua anima nel fiducioso abbandono alla Provvidenza» (dom Jean-Baptiste Chautard, L’anima di ogni apostolato, parte III, 3.e). Il problema sta tutto qui, nel modo di affrontare le situazioni spinose: modo mondano o modo cristiano. Non basta che l’oggetto di cui ci si occupa sia religioso perché anche l’opera sia santa, se la si realizza con spirito naturalistico.

Chi agisce secondo la modalità mondana predilige dichiarazioni, contestazioni, accuse, ribellioni e altre forme di rifiuto dell’autorità costituita, la quale non cessa dalle sue funzioni in forza delle elucubrazioni con cui qualcuno ne nega la legittimità e neppure a causa dell’indegnità di coloro che la detengono. Questo dovrebbe esser chiaro anche all’uomo della strada, ma quanto più a chi conosce il diritto e ha svolto compiti diplomatici! In ogni caso, questa non è la modalità cristiana di porsi di fronte ai problemi; quest’ultima, fondandosi sull’umile riconoscimento del proprio posto nonché sulla fiducia nella Provvidenza, spinge ad adempiere fedelmente il proprio dovere entro i limiti delle proprie attribuzioni, senza travalicarli indebitamente né scavalcare i ruoli altrui, nella serena certezza di dare, insieme a tanti altri, un contributo al bene dell’intero Corpo.

La modalità cristiana presuppone però il costante sforzo ascetico di rientrare in sé stessi, evitando di disperdere la mente nel rincorrere fatti e misfatti dell’attualità e mantenendola abitualmente raccolta in Dio. Intus, in nostro corde est, ubi redire iubemur, sentenzia san Girolamo con lapidaria efficacia: è dentro, nel nostro cuore, che ci è comandato di tornare. Là possiamo ritrovare il Signore con la sua signoria pacifica e mite, che ci rasserena, conforta, istruisce e fortifica in ogni circostanza, purché sappiamo far tacere l’io e placare le sue passioni, che non sono al servizio del Regno dei Cieli né mai potranno esserlo. Et erit opus iustitiae pax, et cultus iustitiae silentium (Is 32, 17 Vulg.), asserisce il Profeta, ripreso dall’Ufficio della Beata Maria Vergine del Monte Carmelo: la pace sarà opera della giustizia, ma per coltivare la giustizia ci vuole il silenzio… che permette – fra gli altri vantaggi – di non prestarsi agli sporchi giochi degli affaristi vaticani.

Consegna finale

Non c’è alcun motivo di esser fieri di una scomunica né basta un’interpretazione personale a renderla invalida; se così fosse, nessuna sanzione avrebbe più forza nella Chiesa e ognuno sarebbe libero di far quel che gli pare, come già abbiamo osservato su queste pagine. La censura, in questo caso, è più che motivata, a prescindere da colui che l’ha inflitta: come si può pensare di poter pubblicamente misconoscere l’autorità del Sommo Pontefice senza farsi scomunicare per il delitto di scisma? Le convinzioni che uno ha eventualmente maturato nella propria coscienza non hanno, evidentemente, rilevanza giuridica; deve perciò tenersele per sé, confidandole al massimo a qualche intimo amico come un’ipotesi di lavoro. Che vantaggio c’è a farsi escludere dalla Chiesa visibile, col forte rischio di dannarsi e di indurre altri a dannarsi? Sapendo che ciò è peccato mortale, sarà bene smettere di leggere e diffondere gli scritti di uno scomunicato. Inferno o Paradiso: tertium non datur.


sabato 13 luglio 2024


Invecchiare bene per la Chiesa

 

 

In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli (Mt 18, 3).

L’attualità ecclesiale induce a pensare che al giorno d’oggi il diavolo stia riportando le più splendide e inaspettate vittorie là dove meno ce lo si aspetterebbe. Anche nel campo di coloro che si considerano buoni spira un’aria rovente di superbia e di ribellione che nulla ha a che fare con la morale del Santo Vangelo. Il solo sentirsi gli unici eletti, anziché peccatori graziati che, senza la misericordia divina, starebbero già all’Inferno, è sintomo di una perniciosa sindrome spirituale; ancora peggio, tuttavia, è l’incaricarsi da sé di salvare la Chiesa e, in virtù di tale immaginario mandato, ergersi a giudici di tutti e di ciascuno, compresi i superiori di ogni ordine e grado. Così l’odierno pontificato ha ulteriormente incentivato la trasformazione dei tradizionalisti in perfetti rivoluzionari.

Infedeltà in nome della fedeltà

Le più patenti contraddizioni sono ormai appannaggio di ogni corrente all’interno della Chiesa. Un cattolico dovrebbe domandarsi, in realtà, se nel Corpo Mistico sia ammissibile la divisione in opposti schieramenti formatisi sulla base della diversità di opinione e orientamento, la quale finisce così col prevalere sull’obbedienza incondizionata al Signore. Anziché cercare umilmente la volontà di Dio e adempierla con l’amoroso timore di chi sa di dovergli un giorno rendere conto, ci si affida a maestri abusivi che assurgono a guide non investite dall’alto, ma scelte dal basso, con un altro ribaltamento dell’ordine. Presumendo di rimanere fedeli a Cristo, si arriva a calpestare aspetti fondamentali della costituzione divina della Chiesa, sia pure con i più nobili motivi.

I progressisti han così elaborato una nuova “religione” immanentistica fondata su un ristretto numero di “dogmi” indiscutibili: cambiamento climatico, varietà di generi, salvezza del pianeta, pacifismo a oltranza, società multietnica, eterno antifascismo… A ognuno di questi temi corrisponde una forma di moralismo dai precetti tanto assoluti quanto selettivi: i peccati gravi – anzi gravissimi – son quelli legati alla raccolta differenziata dei rifiuti, all’uso di carburanti di origine fossile, alla distinzione di nazionalità e cultura o a quella tra uomo e donna, ecc. Il “paradiso in terra” realizzabile mediante la scrupolosa osservanza dei nuovi “comandamenti” è un mondo in cui si viva tutti allegramente mescolati senza identità né radici e dove non ci siano più limiti a divorzio, aborto, contraccezione, eutanasia e cambiamento di sesso.

A questa corrente “cattolica” si contrappone una reazione estremamente variegata: dal conservatorismo di chi ancora difende l’interpretazione del Vaticano II in continuità con la Tradizione al frammentato microcosmo tradizionalista, unito nel combattere un fantasma del passato ma discordante in relazione al rapporto con l’autorità costituita. Le frange più aggressive e virulente son peraltro quelle formate da recenti convertiti dal modernismo che si son scoperti integerrimi araldi della vera Chiesa; isteria collettiva a parte, colpisce l’intransigenza di chi fino a ieri era perfettamente organico al sistema e – forse in virtù di un’improvvisa illuminazione “celeste” – si è fatto capo di una resistenza il cui solo effetto è quello di lacerare ulteriormente la società visibile.

Senza pace né speranza

Da un capo all’altro del ventaglio pare mancare la genuina fede nella Provvidenza e nella Redenzione, con la correlativa assenza della speranza teologale. I progressisti sognano l’utopia di uno Stato che, con la sua legislazione, riesca ad eliminare ogni violenza, disparità e discriminazione, realizzando così l’incubo di uno statalismo assoluto che dovrebbe donare agli uomini la felicità mortificandone ogni libertà e aspirazione. L’unico scopo della Chiesa, per loro, è confermarne le convinzioni con la predicazione e un attivismo del tutto orizzontale; allergici come sono a qualunque manifestazione di sacralità, aborriscono non soltanto la liturgia tradizionale, ma finanche quel poco di rituale che ancora sopravvive in quella nuova.

I tradizionalisti, dal canto loro, sembrano convinti che il futuro della Chiesa dipenda da loro e che il buon Dio non disponga di altre risorse. Anche qui, sia pure in senso contrario, prevale per lo più un volontarismo di sapore naturalistico; termini come grazia e soprannaturalità, pur permanendo nella teoria, paiono ridotti a puri nomi. L’attività umana finisce col soffocare la fiducia nella Provvidenza, anziché porsi come umile cooperazione voluta da Dio; ancora una volta, l’uomo si ritrova al centro di tutto, secondo la moderna prospettiva umanistica. A livello intellettuale, un arido razionalismo si sovrappone alla lettura degli autori scolastici, con un’inevitabile deformazione del loro pensiero e la riduzione della fede a formule stereotipate che non incidono sull’interiorità.

Da una parte, un pacifismo dogmatico si traduce in assoluta esclusione di chi la pensa diversamente, pur essendoci apparentemente posto per tutti; dall’altra, un dottrinarismo astratto si trasforma in una prigione mentale in cui ci si sente al sicuro e da cui si lanciano strali su chiunque sia fuori. La salvezza della persona è comunque concepita, nei fatti, come una realizzazione terrena; dato che ad essa tanti altri si oppongono o sembrano opporsi, sia questi che quelli sono in lotta incessante col mondo intero e in tal modo, oltre a mancare di speranza, mancan pure di pace. Nel frattempo, l’anima illanguidisce progressivamente per carenza di nutrimento spirituale, che le viene negato per la convinzione di avere già tutto. Miracoli dell’autosufficienza…

Ritornate come bambini

Con l’avanzare degli anni si presenta un’alternativa: invecchiare bene o invecchiare male. Invecchia male chi non riesce a superare i difetti dell’età adulta: la smania di eccellere, di competere, di imporre il proprio volere, di polemizzare, di dominare, di godere, di possedere… In tal modo ci si condanna alla frustrazione e all’amarezza: gli obiettivi mancati e le limitazioni forzate diventano altrettante cause di insofferenza e di recriminazione. Invecchia bene, invece, chi ritorna interiormente all’infanzia con il suo incanto: allo stupore, alla gratuità, alla gratitudine, alla fiducia, all’abbandono… Il n’est jamais trop tard pour avoir une enfance heureuse, recita un adagio degli psicologi francesi; obiettivo peraltro impossibile senza la grazia e la preghiera, dato che presuppone un’intima familiarità con un Padre e una Madre incomparabili.

Chi scrive, da adolescente, ammirava la serenità e il distacco, il disinteresse e la delicatezza, la pace e la pazienza delle persone invecchiate bene, che accendevano in lui il desiderio di imitarle e giungere un giorno ad essere come loro. Ora, superata la parentesi degli ultimi cinquant’anni, volati via in un soffio, si sente riconnettere all’infanzia, con un’indescrivibile sentimento di felicità e un’inesausta voglia di ricominciare. La parola del Maestro, meditata nel silenzio, gli dona la certezza assoluta di esser sulla buona strada e di poter finalmente cooperare al bene della Chiesa con un’azione davvero efficace. L’immolazione nascosta gli svela sempre più il proprio fascino e la propria fecondità; è una questione di pura fede, speranza e carità. Chi è pronto a scuotersi dal cuore la superbia, l’acredine e l’impazienza proprie di chi sta invecchiando male è il benvenuto nell’opera di rinnovazione della Chiesa perseguita secondo la volontà del suo Sposo.

Nunc coepi (Sal 76, 11 Vulg.).


sabato 6 luglio 2024


Una parola sui movimenti

 

 

Surgent enim pseudochristi et pseudoprophetae et dabunt signa magna et prodigia, ita ut in errorem inducantur, si fieri potest, etiam electi (Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e prodigi, così che siano indotti in errore, se possibile, perfino gli eletti; Mt 24, 24).

L’assurda farsa pandemica, se da una parte ha svelato la vera natura e finalità dei regimi “democratici”, dall’altra ha dissipato ogni dubbio residuo circa la reale identità e funzione dei movimenti “cattolici”. Sul versante civile, è ormai chiaro che la dialettica destra-sinistra è soltanto una contrapposizione apparente, messa in atto per illudere i popoli che i loro diritti siano difesi dai partiti e che il voto serva a sostenerli nell’interesse comune. In realtà ogni formazione politica, dentro e fuori l’arco costituzionale, è controllata dalla finanza internazionale, che possiede altresì, con poche eccezioni, tutti i mezzi di comunicazione, compresa la maggior parte di quelli chiesastici. Quel che si stenta a credere è che la piovra globale abbia suscitato e sfruttato per i suoi fini anche quelle realtà ecclesiali che per decenni si sono spacciate per il frutto più fecondo e, al contempo, il traino più efficace del rinnovamento spirituale della Chiesa.

Considerato il preminente ruolo della massoneria nella primavera conciliare, peraltro, non ci si poteva certo aspettare granché di buono da quanti si sono attribuiti da sé il compito di attuarla, ma il loro comportamento in occasione della recente crisi sanitaria ha spinto all’apice le perplessità di coloro che ancora ragionano. In un primo tempo detti movimenti, risucchiati dal confinamento, si sono momentaneamente eclissati con la sospensione di ogni incontro diretto, proprio quando i fedeli si vedevano abbandonati anche dai Pastori, ritrovandosi così, in una situazione di inedita prova, privi di ogni sostegno e punto di riferimento. Nella seconda fase della pandemia, al contrario, i loro dirigenti han rifatto capolino per imporre a tutti i membri la cosiddetta vaccinazione e mettere i riottosi al bando dalle riunioni, come ci risulta da testimonianze dirette. La vocazione “profetica” di tali aggregazioni, dunque, sembra proprio quella di aver spianato la strada al nuovo ordine mondiale tramite l’indottrinamento e il condizionamento degli adepti.

Curiose somiglianze

Non paiano esagerate queste affermazioni. I movimenti, malgrado le diverse accentuazioni (da quelli più giudaizzanti a quelli più protestantizzanti, fino a quelli palesemente sincretistici), hanno in comune alcuni tratti analoghi a quelli delle sètte. I princìpi dottrinali e comportamentali son dettati da capi generalmente privi di una solida formazione teologica e tuttavia dotati di un’autorità pressoché indiscutibile, che non ha praticamente limiti né in foro esterno né in foro interno. Spesso anche le decisioni importanti della vita familiare sono delegate all’arbitrio di guide improvvisate, inebriate del proprio ruolo e convinte di essere canale diretto della manifestazione della volontà divina. Non di rado le loro indicazioni confliggono gravemente con il buon senso e con la sana dottrina, di cui fan difetto anche i loro insegnamenti, presentati però con una pretesa di autorevolezza che rende superfluo il Magistero, accolto unicamente nella misura in cui sembra offrire conferme.

Una costante metodologica, largamente applicata pure in seminari e conventi, è l’incitare gli aderenti a mettere in pubblico difficoltà personali, problemi familiari ed esperienze intime, in una sorta di terapia di gruppo che viola il nativo diritto alla riservatezza, abolisce la sfera privata, mina la stabilità psicologica e provoca dipendenza dalla collettività. Tale prassi rischia di dissolvere l’individualità con l’ineludibile carico di responsabilità che ogni essere umano deve necessariamente portare, fino a obnubilare la coscienza in nome della “comunione” e del progresso del gruppo. Chi è restio ad “aprirsi” viene guardato con sospetto e preoccupazione, fino ad esser messo ai margini e, infine, rigettato, qualora si ostini a non volersi “convertire”. Uno che mantenga l’autonomia di giudizio, in effetti, rappresenta un’intollerabile minaccia per l’autoritarismo dei capi e per il raggiungimento dei fini che il movimento si prefigge (probabilmente diversi da quelli dichiarati).

Effetti avversi

Il controllo mentale di milioni di persone a vario titolo impegnate nella Chiesa (operatori pastorali, sacerdoti, religiosi, vescovi e persino cardinali) è indubbiamente un risultato fantastico per chi vuole influenzarla fino a snaturarla. Il condizionamento interiore basato su motivazioni “spirituali” è in assoluto il più potente, invasivo e difficile da superare; chi ne rimane traumaticamente deluso si getta spesso verso la sponda opposta, con un ribaltamento di condotta che mostra in modo impietoso quanto poco la vocazione cristiana fosse stata realmente interiorizzata. È sicuramente arduo, una volta che si è abboccato all’allettamento di una proposta religiosa che si presenta con l’esclusività del vero cristianesimo, resistere a un indottrinamento sistematico che si ammanta dell’autorità – a seconda dei casi – o dell’interpretazione esistenziale delle Scritture o dei carismi dello Spirito Santo o di presunte esperienze mistiche.

In certi movimenti, i testi del fondatore o della fondatrice costituiscono l’unica fonte di insegnamento, imprescindibilmente utilizzata in qualsiasi contesto e in ogni fase della pretesa “formazione”, quasi rappresentassero una nuova rivelazione capace di assicurare la salvezza definitiva. Tale afflato escatologico preclude ogni possibile ripensamento, che equivarrebbe automaticamente alla perdizione; gli stretti vincoli psicologici instaurati, d’altronde, scoraggiano a priori un possibile allontanamento. Analogamente avviene – per inciso – in certe aggregazioni tradizionaliste scismatiche che a parole anatematizzano i moderni movimenti, ma nei fatti, nell’artificiosa congiuntura pandemica, li hanno per lo più imitati. Al di là delle divergenze ideologiche, una possibile spiegazione di ciò potrebbe connettersi alla costatazione che quasi tutte queste organizzazioni religiose, a prescindere dal rispettivo orientamento, sono diventate imperi finanziari e quindi, con buona probabilità, debbono obbedire ai diktat dell’alta finanza.

Ciò che più lascia interdetti è che tali percorsi (almeno quelli moderni) trascurino sistematicamente l’educazione morale delle coscienze, le quali, dopo anni e anni di convinta adesione, sono ancora ignare dei suoi elementi fondamentali e dipendono in tutto e per tutto dal “discernimento” dei capi. Tale profonda ignoranza, per lo più incolpevole, è coperta da una presunta preparazione in ambiti secondari che, pur non poggiando su solidi pilastri dottrinali, è tuttavia percepita come un fattore di eccellenza – fatto, questo, che soffoca l’umile consapevolezza di dover colmare le proprie lacune e rinchiude così le persone in una situazione spirituale senza via d’uscita. Un indice particolarmente evidente di questa carenza è il comportamento sessuale, spesso piuttosto disinibito, del quale non si avverte la gravità. Quand’anche si abbia una vaga avvertenza della sua peccaminosità, il problema è sbrigativamente liquidato, di solito, con una fiducia temeraria nella misericordia divina o con un comodo appello, di sapore protestantico, alla propria condizione di peccatore.

Provvidenziale scappatoia

Le storture osservate non sono accidentali, ma di portata strutturale. Ciò non impedisce che singoli aderenti in buona fede si santifichino con quel che di valido trovano nella loro esperienza (dato che nulla, nella Chiesa, può essere cattivo in toto), ma questo non è sufficiente per una valutazione positiva delle diverse proposte in sé stesse, le quali, escludendo quasi ogni riferimento a fonti antecedenti, si pongono non in continuità con la tradizione cattolica, bensì in alternativa ad essa. Non si può parlare, infatti, di sviluppo, ma di radicale inizio di nuove forme di religiosità, in singolare armonia con la volontà, invalsa dopo il Vaticano II, di rifare la Chiesa stessa in ogni suo aspetto. Quel che vi si trova di buono – come nei documenti conciliari – è soltanto ciò che già esisteva; le novità son cose dubbie o malsane. In conclusione, anche qui possiamo costatare come la Divina Provvidenza tragga il bene dal male: chi si è trovato ad essere discriminato o addirittura espulso dal suo movimento perché non “vaccinato”, ne ringrazi il Signore e torni alle vere sorgenti della Tradizione: scoprirà un tesoro inesauribile e troverà la vera via della salvezza.

Simile est regnum caelorum thesauro abscondito in agro; quem qui invenit homo… (Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; l’uomo che l’ha trovato…; Mt 13, 44).


sabato 29 giugno 2024


Trovate le differenze

 

 

Non c’è pace per l’ambiente della Tradizione. Intendiamoci: non stiamo parlando di un circolo, più o meno esclusivo, di nostalgici o di esteti legati a forme del passato per gusto snobistico ed elitario. Certo, ci sono anche loro, la cui funzione principale è quella di fornire ai nemici della Messa antica un bersaglio univoco e onnicomprensivo che ne giustifichi l’odio per l’intero movimento; ma, per grazia di Dio, non siamo di quelli. Stiamo piuttosto parlando di una fetta della Chiesa, sempre più emergente e numerosa, che abbraccia trasversalmente cattolici di ogni età, ceto, stato, provenienza e livello culturale, con una buona prevalenza di giovani e di famiglie con tanti figli, serene e radiose. Solo chi è accecato dalla propria ideologia sorpassata e stantia è incapace di vedere questa realtà così bella e promettente per quello che è, anziché secondo i pregiudizi che le sovrappone.

Ora, ciò che minaccia la pace di quest’oasi non è in primo luogo la ricorrente minaccia di abolizione del rito tradizionale (cosa del resto impossibile), ma anzitutto la divisione tra diverse fazioni che si contendono a vario titolo la palma di vera Chiesa. Se le conseguenze di tale pretesa non fossero tragiche, non ci sarebbe altro da fare che riderci sopra, come meritano tutte le forme di smodata superbia: una risata basterebbe a seppellirla. Il fatto è che tante anime – in buona fede, sì, ma non meno sprovvedute di scienza e di consiglio – danno ascolto alle varie sirene dei tradizionalisti puri e duri, lasciandosi così sedurre e fuorviare dalla loro propaganda tipicamente settaria. Secondo quegli integerrimi paladini della sana dottrina, dell’unica Chiesa di Gesù Cristo (che, en passant, è un articolo di fede), si può anche fare a meno… a meno che non la si identifichi con la propria combriccola.

La Chiesa siamo noi…

Paradossalmente, anche gli ultraprogressisti di lingua tedesca del movimento Wir sind Kirche si considerano la vera Chiesa in opposizione al Vaticano. Curioso come gli estremi si tocchino… La superbia ideologica, in ogni caso, può pure cambiare colore, ma alla radice è sempre la stessa. Altra similitudine è la frammentazione in tante correnti quante sono le opinioni dei maestri autocostituitisi: una volta rigettata l’autorità del Magistero, ognuno si fa maestro a se stesso, definisce dogmi in modo infallibile e scaglia anatemi su chi non è d’accordo. La comunione gerarchica è ridotta a concetto astratto e a mera espressione verbale; c’è addirittura chi pensa che, per garantirla, basti nominare il Papa regnante nel Canone, anche se, in realtà, agisce in totale esenzione dalla sua giurisdizione e da quella dei Vescovi a lui soggetti.

A scanso di equivoci, il dibattito circa la situazione scismatica o meno della Fraternità San Pio X è del tutto superfluo: per accertarla, è sufficiente rilevare che i suoi membri non obbediscono ad alcuna autorità legittimamente costituita. Questo semplice dato di fatto tronca ogni controversia e vanifica tutte le sottigliezze pseudoteologiche con cui invano si tenta di negare lo stato di scisma, dato che l’obbedienza canonica è uno degli elementi indispensabili per appartenere alla Chiesa. D’altronde i vertici di detta Fraternità, ventilando nuove ordinazioni episcopali illecite, non fanno affatto mistero della loro convinzione di dover assicurare la continuità di un’istituzione che considerano necessaria alla salvezza, proprio come la Chiesa stessa, che nella loro testa viene evidentemente a coincidere con essa. Extra fraternitatem nulla salus?

Anche qui – esattamente come nei rahneriani più estremi – il pensiero prevale hegelianamente sulla realtà, che ognuno si forgia a suo uso e consumo. Lo stesso dicasi per i sedevacantisti delle diverse correnti e sfumature, i quali, in virtù di un ragionamento (secondo loro) incontrovertibile, rigettano ogni autorità ecclesiastica non solo nei fatti, ma anche per principio, considerandosi di conseguenza l’unica arca di salvezza. Visto però che diverse aggregazioni pretendono di esserlo, quale sarà mai quella giusta? Quale sarà quella davvero vera, fra tutte queste “vere chiese” che si propongono sul mercato della religione? Come orientarsi, onde far la scelta azzeccata per la vita eterna? Non è certo un gioco da nulla, se la posta è così alta. L’unico modo di venir fuori da questo dilemma è decidere di lasciarsi indottrinare da qualcuno, pur di garantirsi l’illusione di toccar la terra ferma.

Non bastava la confusione esistente?

Addolora e amareggia il fatto che, in tutto questo marasma, ci sia chi abbia pensato di aggravarlo ulteriormente. La citazione in Vaticano di monsignor Viganò, a cui è contestato il delitto di scisma, era purtroppo un atto dovuto, stanti le sue dichiarazioni pubbliche circa l’invalidità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Un conto è contestare la legittimità di una procedura sulla base di un dubbio fondato (che deve vertere sui fatti e non sulle intenzioni), un altro è affermare come cosa certa che il Papa in carica non è tale; la contestazione sollecita un chiarimento, mentre un’asserzione lo esclude. Non si vede, allora, come un’esplicita e formale negazione, nei confronti di Bergoglio, della dignità di Romano Pontefice non comporti il rifiuto dell’obbedienza a lui; benché si possa obiettare che tale rifiuto si indirizza all’individuo e non all’ufficio, è innegabile che il personaggio in questione sia, almeno materialmente, colui che di fatto esercita nella Chiesa la suprema potestas.

Non compete a un vescovo, per giunta privo di giurisdizione, giudicare in foro esterno il Capo della Chiesa. In teoria, spetterebbe al Collegio Cardinalizio esaminare sia le circostanze della sua elezione (come pure le modalità della rinuncia del predecessore), sia i suoi eventuali errori in materia di fede e di morale; in pratica, però, non sussiste al suo interno l’unanimità che sarebbe necessaria per trattare tali questioni. Sul piano umano, perciò, non c’è via d’uscita; chi pretende ad ogni costo di risolvere il problema non fa altro che complicarlo. L’unica soluzione possibile è l’implorazione fiduciosa e perseverante che il Signore intervenga in soccorso della componente terrena della Sua sposa, che a Lui solo appartiene; Egli solo è in grado di trarla fuori dal caos, non certo chi si investe da sé della missione di “salvatore” e, in tal modo, lo accresce.

Un’altra occasione mancata

È indubbiamente utile, se non necessario, denunciare errori e deviazioni degli attuali vertici vaticani, non però per spingere il gregge fuori strada, bensì per preservarnelo. L’impressione è invece che tanti sedicenti cattolici non aspettino altro che pretesti per sfogare la loro rabbia e urlare il proprio rifiuto con motivazioni apparentemente sante. Le passioni cattive, tuttavia, rimangono tali anche quando si ammantano di nobili ragioni; chi non le controlla non solo perde la carità e si separa in tal modo da Cristo, ma rischia pure di porsi fuori della Chiesa visibile, che rimane e rimarrà sempre l’unica vera arca di salvezza, per quanto sia malvagio il timoniere e inadeguati i suoi collaboratori. Il diavolo, in questo modo, riesce a trascinare con sé pure coloro che non è riuscito a fuorviare con mezzi ordinari e che gli sono in un primo tempo sfuggiti; non cambia granché stare all’Inferno come modernisti o tradizionalisti… Gli uni e gli altri tradiscono infatti una mentalità protestante.

In conclusione, rincresce che monsignor Viganò, avendo deciso di non presentarsi alla convocazione della Dottrina della Fede, abbia implicitamente avvalorato l’accusa di scisma col rifiuto di obbedire a un ordine che, in ultima istanza, risale al Papa. Un processo avrebbe avuto almeno tre vantaggi. Il primo per lui, dandogli la possibilità di evitare una condanna in contumacia. Il secondo per la Santa Sede, che avrebbe dovuto precisare le accuse contestategli: anzitutto, se effettivamente sussista il delitto di scisma; poi, se la rottura della comunione sia una fattispecie giuridica; infine, se il rigetto del Concilio sia pertinente o no, dovendosi preliminarmente stabilire se i suoi testi appartengono al Magistero ordinario o a quello straordinario: solo nel secondo caso, infatti, si può parlare di eresia e di scisma. Il terzo vantaggio riguarderebbe tutta la Chiesa: il dibattito sulla legittimità del presente pontificato sarebbe finalmente emerso dalla giungla delle dispute tra incompetenti per esser portato ai più alti livelli; ma si vede che l’ora della Provvidenza non è ancora squillata.