Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 9 agosto 2025


Il Cristo nascosto

 

 

Ma Gesù taceva (Matteo 26,63).

Fratelli e Sorelle in Cristo,

ci sono momenti in cui il silenzio di Dio sembra risuonare più forte del rumore del mondo. Momenti in cui la sofferenza persiste, in cui le risposte non arrivano e in cui i fedeli - persino il Pastore – deve vegliare nel buio.

Questo è uno di quei momenti.

E oggi non vengo a proporre soluzioni. Vengo a vegliare con voi.

Cristo è ancora in mezzo a noi – non sempre in trionfo, non sempre in modo chiaro – ma spesso in modo nascosto. Nascosto nelle ferite dei malati, nascosto nella confusione della Chiesa attuale, nascosto nella persecuzione di coloro che cercano la Messa tradizionale, nascosto nelle lacrime silenziose di una madre che prega nella notte. Ed è lì, proprio lì, che i fedeli dovrebbero potersi aspettare che il loro Pastore rimanesse.

Perché è in quella quiete, tra le ombre e il silenzio, che viene forgiato il vero coraggio pastorale. La presenza del Pastore non si misura con parole o gesti eclatanti, ma con la fermezza di restare quando tutto sembra tranquillo o addirittura abbandonato. Nella solitudine della guardia, dove le prove incalzano e la speranza si affievolisce, il Pastore è chiamato ad essere un segno vivente dell’amore incrollabile di Dio: una sentinella silenziosa che porta i pesi del gregge condividendo le sue sofferenze e intercedendo davanti al Trono di grazia. In questo caso, la fede non è una rassegnazione passiva, ma una resistenza attiva e orante che abbraccia il mistero dei tempi e della provvidenza di Dio. Restare è testimoniare l’opera nascosta della grazia anche quando è velata alla vista umana.

Un vescovo è chiamato ad essere una sentinella. Non deve abbandonare le porte quando nella città cresce l’agitazione. Non deve ritirarsi dall’altare quando le lacrime riempiono il santuario. Deve vegliare.

«Venne dai suoi discepoli, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola?”» (Matteo 26, 40).

Quando Nostro Signore entrò nel Getsemani, non chiese come prima cosa ai Suoi discepoli di agire, ma di vegliare. Di rimanere svegli con Lui nel Suo dolore. Non chiese soluzioni. Chiese la presenza.

È il ruolo del Pastore in una Chiesa sofferente: non risolvere per prima cosa, ma restare.

È qui che sono chiamati i vescovi. Pronti a vegliare mentre gli altri fuggono.

Pronti a custodire il tabernacolo. Pronti a tenere la lampada della fede quando altri la lasciano spegnere.

Papa san Pio X una volta scrisse: «L’ufficio divinamente affidatoci di pascere il gregge del Signore ha soprattutto questo dovere assegnatogli da Cristo, vale a dire di custodire con la massima vigilanza il deposito della fede consegnato ai santi, respingendo le profane novità di parole e le opposizioni di conoscenze falsamente definite tali” (Pascendi Dominici Gregis, 1907).

E quella fedeltà è messa alla prova non solo nella dottrina, ma anche nella compassione, nella pazienza che ha patito a lungo di accompagnare il popolo di Dio nelle sue ore più buie.

Eppure oggi vediamo molti Pastori, molti vescovi, che non sono realmente presenti con il loro gregge. Ma oggi, che il vostro Pastore sia stato presente con voi o meno, voglio dirvi che non siete soli.

In Isaia 53, 2-3 leggiamo: «In Lui non c’è bellezza né avvenenza: e noi Lo abbiamo visto e nulla alla vista c’era che ci facesse desiderare di Lui. Disprezzato, il più abietto tra gli uomini, uomo dei dolori e conoscitore delle infermità…».

Cristo non è estraneo al nascondimento. È nato in un luogo fuori mano. È fuggito in esilio. È stato frainteso dai religiosi, tradito dagli intimi, giudicato in silenzio. E quando è risorto dai morti, non è apparso a tutti, ma solo ai pochi che avevano vegliato.

Oggi c’è la tentazione – anche nella Chiesa – di equiparare Cristo all’approvazione o alla vittoria o allo status quo. Ma i santi sapevano il contrario.

San Giovanni della Croce ha scritto: «La sopportazione delle tenebre è la preparazione alla grande luce».

Santa Gemma Galgani diceva: «Se vuoi veramente amare Gesù, impara prima a soffrire, perché la sofferenza ti insegna ad amare».

E papa Pio XII ha dichiarato: «La Chiesa, seguendo il suo Divino Fondatore, avanza sempre sotto il segno della contraddizione».

Non dobbiamo temere il nascondimento di Cristo. Non dobbiamo affrettarci a risolvere ciò che Dio ci chiede di portare. Il Signore non è assente. È velato, come lo è nel tabernacolo.

Forse tu, caro ascoltatore, sei tra coloro che vegliano per una persona cara in ospedale, per un figlio che ha perso la strada o per una Chiesa che riconosci a malapena. Voglio parlarvi ora:

«Il Signore è buono con quelli che sperano in Lui, con l’anima che Lo cerca. È bene attendere in silenzio la salvezza di Dio» (Lamentazioni 3, 25-26).

Non disprezzate l’attesa. Nel silenzio, Cristo è vicino. Egli non dimentica colui che veglia. Vede le lacrime che nessun altro vede. Si ricorda di coloro che non se ne vanno.

E io, come Pastore, sono qui a vegliare con voi. Non vengo con spiegazioni facili e con una salvezza rapida, ma con la fede in Colui che è nascosto eppure del tutto presente. Ed è qui – soprattutto qui – che dobbiamo guardare verso l’altare, verso quel miracolo velato e silenzioso che ci sostiene. Nel Santissimo Sacramento, infatti, non incontriamo un Dio lontano, ma il Cristo crocifisso e risorto, che rimane con noi nel silenzio, nella sofferenza e nel mistero sacramentale. Ciò che sembra nascosto è, in verità, il luogo della massima vicinanza.

E oggi – voglio che lo ricordiate – ci sono tabernacoli in tutto il mondo – a volte chiusi a chiave, spesso silenziosi – che contengono lo stesso Cristo che ha percorso le strade della Galilea, che ha pianto nel Giardino, che è stato appeso alla Croce.

Cristo – Corpo, Sangue, Anima e Divinità – rimane con noi, aspettando in silenzio, esposto all’indifferenza, adorato da pochi.

«E mentre erano a cena, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo» (Matteo 26, 26).

Ecco il mistero di Cristo nella sofferenza:

– nascosto;

– incompreso;

– offerto.

San Pietro Giuliano Eymard scrisse: «L’Eucaristia è la prova suprema dell’amore di Gesù. Dopo di essa, non c’è altro che il Paradiso stesso».

Cristo è nascosto nell’Eucaristia. E Cristo è nascosto nella sofferenza. La domanda è: «Ci inginocchieremo?».

Oggi dico a coloro che sono affranti, tranquilli, fedeli: Egli vi aspetta.

A voi che state portando la croce, non visti dagli altri.

A voi che vi sentite lasciati indietro, inascoltati, incompresi.

A voi il cui corpo o la cui anima sono affaticati dall’afflizione.

A voi che vi sentite confusi dai messaggi contrastanti che sentite dalla Chiesa.

Cristo è più vicino di quanto pensiate.

«Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a guarire i contriti di cuore, a proclamare la libertà agli schiavi e la liberazione dei prigionieri; a proclamare l’anno di grazia del Signore e il giorno di vendetta del nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti» (Isaia 61, 1-2).

Le vostre ferite non sono inutili. Il vostro silenzio non passa inosservato. Le preghiere che sussurrate nel buio sono raccolte come incenso davanti al trono di Dio.

La Chiesa può essere ferita, ma Cristo è ancora in essa. Voi starete soffrendo, ma Cristo soffre in voi. E questo Pastore vede – e rimane.

Il silenzio della Chiesa non è abbandono. È il silenzio del Getsemani. La sofferenza della Chiesa non è una sconfitta. Sono le doglie del parto della risurrezione.

Non siete soli. Anche se la notte sembra infinita e nessuna voce sembra rispondere, siete accompagnati dalle preghiere silenziose della Chiesa, dall’intercessione dei Santi, dall’amore di coloro che soffrono con voi senza essere visti. Le ferite che portate non passano inosservate in Paradiso. Ogni sospiro, ogni lacrima, ogni silenzioso atto di sopportazione viene catturato in qualcosa di più grande: nel cuore stesso di Cristo, che soffre con voi e per voi. E in questa comunione di sofferenza, la speranza comincia a sorgere – non sempre rapidamente, ma sicuramente, come l’alba che sorge sulle colline.

«Ora il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di essere un’anima sola gli uni verso gli altri, secondo Gesù Cristo, affinché con una sola mente e con una sola bocca glorifichiate Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Romani 15, 5-6).

Rimaniamo insieme:

nella veglia notturna;

nel silenzio dell’Eucaristia;

nella quiete dove Cristo è nascosto…

… e dove, finalmente, Egli sarà rivelato.

Che Dio Onnipotente vi benedica, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.

Mons. Joseph E. Strickland

 


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