Il Governo della Repubblica, con i recenti
provvedimenti miranti al contenimento del contagio, ha agito in aperta
violazione sia della Costituzione che del Concordato. La prima recita
testualmente: «Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti
Lateranensi» (Art. 7). Il secondo, nella revisione del 1984, afferma: «La
Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa Cattolica la piena libertà di
svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione
e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di
organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e
del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica» (Art.
2, comma 1). Il canone 1213 del Codice di Diritto Canonico precisa: «Nei luoghi
sacri l’autorità ecclesiastica esercita liberamente i suoi poteri e i suoi uffici».
Ciò posto, qualora una situazione eccezionale richieda realmente una momentanea
sospensione di queste prerogative, è necessario che essa sia sancita con
accordo pubblico tra la Santa Sede e lo Stato italiano, in mancanza del quale
non si può esigere dal clero e dai fedeli, con semplici comunicati, la rinuncia all’esercizio dei propri diritti e doveri
sacri.
La Conferenza Episcopale Italiana,
recependo le disposizioni governative senza alcuna obiezione, ha disposto la
sospensione di ogni celebrazione pubblica e la chiusura di tutti i luoghi di
culto. Così facendo,
ha dato un ordine direttamente contrario alla legge divina. Il I comandamento
impone di rendere a Dio il culto che Gli è dovuto, culto che, per sua stessa
natura, è pubblico. Il Sacrificio della Messa è l’atto più alto ed efficace del culto cattolico, l’unico che
soddisfi pienamente le esigenze del comandamento. La celebrazione della
Messa senza il popolo, sebbene sia impropriamente detta privata, ha in radice un carattere pubblico, tuttavia non lo
manifesta adeguatamente. La sospensione delle Messe nei giorni festivi,
oltretutto, impedisce ai fedeli di adempiere il III comandamento, che sono
tenuti a osservare sotto pena di peccato mortale, a meno che non ne siano
impediti da cause indipendenti dalla loro volontà (come in questo caso, che
rappresenta però una fattispecie paradossale). Nessuno può nemmeno proibire di
offrire pubblicamente il Santo Sacrificio, nella chiesa in cui ha titolo per farlo, a un sacerdote che non ne sia impedito dal diritto.
Le conferenze episcopali hanno solo una
funzione di coordinamento pastorale (cf. CIC, can. 447) e non possono prendere
decisioni vincolanti per i vescovi nel governo delle rispettive diocesi, se non
a determinate condizioni: «La Conferenza episcopale può emanare decreti
generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto
universale, oppure lo stabilisca un mandato speciale della Sede Apostolica, sia
motu proprio, sia su richiesta della
Conferenza stessa. Perché i decreti di cui al § 1 siano emanati validamente,
devono essere espressi nella riunione plenaria almeno mediante i due terzi dei voti dei Presuli che appartengono
alla Conferenza con voto deliberativo e non ottengono forza obbligante
se non vengono legittimamente promulgati, dopo essere stati autorizzati dalla
Sede Apostolica. […] Nei casi in cui né il
diritto universale né uno speciale mandato della Sede Apostolica abbiano
concesso alla Conferenza Episcopale la potestà di cui al § 1, rimane intatta la
competenza di ogni singolo Vescovo diocesano
e la Conferenza Episcopale o il suo presidente non possono agire
validamente in nome di tutti i Vescovi, a meno che tutti e singoli i Vescovi
non abbiano dato il loro consenso» (CIC, can. 455, §§ 1-2.4; il corsivo è
mio).
La comunione sulla lingua, poi, è un
diritto dei fedeli garantito dalla legge universale della Chiesa. I Vescovi,
pur essendo i moderatori della liturgia entro il territorio della propria
diocesi, non hanno facoltà di legiferare in modo contrario alle norme stabilite
dalla Santa Sede. Pertanto l’obbligo di ricevere l’Eucaristia sulla mano è
illegittimo e si configura come un abuso di potere. Il rischio di contagio,
peraltro, è più elevato con la ricezione sulla mano, dato che il sacerdote è tenuto
a lavarsi le mani prima della Messa, mentre le mani dei fedeli sono venute a
contatto con ogni genere di superficie. Se si teme che il contagio sia trasmesso tramite contatto con la lingua del comunicando, è sufficiente che il ministro sacro faccia attenzione a non toccarla. Per evitare proteste da parte degli altri fedeli, chi desidera la Comunione sulla lingua può riceverla per ultimo mettendosi in fondo alla coda. Nessun sacerdote, poi, può negare la
Comunione a chi la richieda con le debite disposizioni e non ne sia
impedito dal diritto; se lo fa solo a motivo della modalità in cui il fedele
vuole riceverla, commette un abuso molto grave, specie se, al tempo stesso, la
concede a persone che non possono assolutamente accedervi perché sono in stato
di peccato mortale notorio.
Poiché non consta affatto che tutti e
singoli i Vescovi abbiano dato il loro consenso alla decisione di chiudere le
chiese e di sospendere il culto (anche ammettendo che abbiano facoltà di deliberare
in tal senso), i sacerdoti e i fedeli non sono tenuti all’obbedienza e conservano
la piena libertà di regolarsi secondo la propria coscienza rispetto alle ultime
disposizioni della C.E.I., protestando con tutti
i mezzi leciti contro tale inaudito abuso di potere. L’obbedienza ai Pastori, per
quanto doverosa, non può essere
contraria alla legge, sia divina che ecclesiastica, né giungere a privare i
fedeli dei loro diritti, andando a detrimento del loro bene spirituale.
Al contrario, i Pastori hanno l’obbligo grave di fare quanto è in loro potere per assicurare ai fedeli la necessaria
assistenza mediante la predicazione, il governo e l’amministrazione dei
Sacramenti, fino – se necessario – al rischio della vita. Sottrarsi a questo
dovere è una grave omissione, che in caso di piena avvertenza e di deliberato
consenso costituisce peccato mortale. Perciò richiamare i Pastori ai loro
doveri di stato è anche un atto di carità nei loro confronti, oltre che un
diritto di ogni fedele. Se poi si considera che l’offerta del Santo Sacrificio
è il mezzo più potente in assoluto per rendere Dio propizio e ottenerne l’aiuto, bisogna seguire l’esempio dei vescovi
polacchi e moltiplicare le Messe, anziché sospenderle. In caso di
pubblica calamità, nella storia cristiana, si è sempre implorata la divina
clemenza.
Grazie per le sue parole e il suo Blog. Sono interessato alla situazione della sospensione del Sacrificio Divino e desidererei aprire una tavola rotonda per poter (con santa astuzia e arguzia) trovare il modo di risolvere la questione: astuti come serpenti e puri come colombe... Un cordiale saluto.
RispondiEliminaE quindi noi battezzati che dobbiamo fare?
RispondiEliminaDato che il culto pubblico è ripreso (seppure in condizioni anormali), suppongo che l'ambito della Sua domanda si restringa al modo di amministrare l'Eucaristia. Chieda di essere comunicato sulla lingua per ultimo o fuori della Messa. Se nella Sua parrocchia sono inamovibili, cerchi altrove un sacerdote che, almeno di tanto in tanto, La comunichi senza calpestare la Sua coscienza.
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