Panteismo ecclesiastico
Non
sarebbe cosa equa additare le derive panteistiche solo nella cultura profana.
Si è già accennato a quelle di certi prelati umanisti, ma non ci si può fermare
all’epoca del Rinascimento come se fosse stata una breve parentesi: esoterismo
e occultismo sono strettamente intrecciati con la nascita della scienza
moderna, nella quale si distinsero anche ecclesiastici dagli interessi alquanto
sorprendenti. Nel 1776 il gesuita Adam Weishaupt, una volta soppresso l’Ordine,
per incarico di Mayer Amschel Rothschild fonda la superloggia degli Illuminati
di Baviera. Sarà poi un prete scomunicato, l’abbé Paul Roca, alla fine
dell’Ottocento, a consacrarsi alla missione di volgarizzare i miti della
massoneria martinista, che nella persona del barone Yves Marsaudon, iniziato di
alto grado, avrà intensi contatti, negli anni Cinquanta del secolo scorso, con il nunzio
apostolico a Parigi, presto divenuto papa. Proprio l’apostata Roca,
curiosamente, aveva preconizzato un concilio ecumenico che ordinasse la
trasformazione del culto cattolico al fine di renderlo compatibile con un nuovo
“cristianesimo” che si armonizzasse con le altre religioni…
Abbiamo
già ricordato in un’altra occasione il ruolo svolto dal gesuita eretico Pierre
Teilhard de Chardin nell’introdurre nella teologia cattolica, mascherati con
nomi cristiani, i miti centrali della cabala giudaica, come quello dell’Adam
Kadmon, ben riconoscibile dietro l’idea del Cristo cosmico. A poco a
poco, come un veleno che impregna le falde acquifere, la gnosi è penetrata nel
pensiero e nella mentalità di clero e fedeli mediante, prima, il modernismo,
poi il neomodernismo. Con il Vaticano II si è tolto ogni argine all’errore in
base all’assurda idea che fosse giunta l’ora di curarlo con la medicina
della misericordia piuttosto che con la severità delle condanne (principio
che ha senso unicamente nei confronti dell’errante, purché sia ben disposto).
Così non solo l’eresia ha acquisito pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa,
ma si è gettato via tutto il patrimonio teologico accumulato in due millenni di
riflessione sulla verità rivelata: in virtù di una nuova Pentecoste era
cominciata la gioachimita età dello Spirito, che annullava quanto in
precedenza era stato elaborato come un malaugurato fraintendimento del Vangelo.
Eppure
i presuli e i teologi che rifecero tutto daccapo si erano formati alla vecchia
scuola. A parte le deformazioni proprie di certa neoscolastica deteriore, si
trattava sostanzialmente di una tradizione che dai Padri, attraverso la
Scolastica, si era sviluppata in continuità. Tutte le discipline teologiche
subirono una radicale trasformazione in senso immanentistico (e, quindi,
panteistico), a cominciare dalla dogmatica. Qui il completo rigetto delle
categorie metafisiche ha reso impossibile una corretta riflessione razionale
sui dati del depositum fidei, reinterpretati in chiave storicistica o
moralistica. In tale quadro è tuttavia impossibile comprendere adeguatamente, per
quanto è dato all’uomo, il mistero della Trinità o quello dell’unità delle due
nature nella Persona del Verbo incarnato. Senza utilizzare il concetto di
sostanza non si può dar conto dell’unità delle tre Persone divine, che sono un
solo Dio appunto perché hanno in comune lo stesso essere, non perché siano tre
individui legati da un così forte vincolo di comunione da essere come
una cosa sola. L’unione ipostatica si fonda sul fatto che la natura umana di
Cristo sussiste nella Persona divina, non sul fatto che è in accordo con essa;
il dato morale deriva da quello ontologico, non viceversa.
Ciò
che più sgomenta è che si sia deliberatamente cestinato un immenso tesoro di
conoscenze certe per sostituirlo con un fumoso discorrere di realtà indefinite
e sfuggenti. Così la Creazione è apparsa come un’estensione all’esterno, da
parte di Dio, dell’intima vita di comunione della Trinità, mentre essa è una
partecipazione del solo essere e costituisce un semplice presupposto di quella
ben più alta comunicazione di sé che Dio realizza, nei confronti delle creature
intelligenti e libere, mediante la grazia. Dopo il peccato originale e tutti i
peccati che l’han seguito, però, questo dono ha richiesto la Redenzione, della
quale non si fa più parola. Si direbbe che ogni uomo fosse automaticamente
santo per il solo fatto di essere creato a immagine di Dio e unito a Cristo per
via dell’Incarnazione, quando invece il peccatore è da Lui separato e non può
esser riammesso alla Sua amicizia se non per pura grazia, concessa per riguardo
alla Sua Passione e accolta per mezzo della fede e dei Sacramenti. Il Verbo ha
assunto non l’umanità intera, ma una singola natura umana che, nella Sua
ipostasi, ha ricevuto l’individualità e una sussistenza personale.
Se
questi concetti, oggi, suonano estranei alla maggior parte dei cattolici, è proprio
perché sono stati violentemente rimossi e banditi. Il guaio peggiore è che, in
tal modo, è andata persa la distinzione tra l’ordine naturale e quello
soprannaturale, tra il piano dell’Essere increato, in sé sussistente, e quello
dell’essere creato, dipendente e derivato. Di conseguenza si è smarrita la
nozione di trascendenza; Dio è confuso con i sentimenti e le esperienze del
soggetto, mentre la morale si dissolve in un groviglio di capricci e velleità
continuamente mutevoli. Non è un panteismo sistematico ed esplicito, bensì un atteggiamento
di fondo che divinizza il peccatore senza cambiarlo in nulla, trasformando anzi
il vizio in virtù ed esaltando ciò che andrebbe invece biasimato. Tale
panteismo pratico rende impossibile qualsiasi correzione o miglioramento, dato
che l’individuo è rinchiuso in una torre inaccessibile di presunzione e
accecamento; la sua coscienza oscurata è diventata assoluto e insindacabile
criterio di giudizio su ogni cosa, compresa la volontà di Dio.
In
questo contesto anche le virtù teologali sono state snaturate: la fede, da dono
soprannaturale che Dio infonde nell’anima che vi acconsente, è diventata una
risposta a bisogni soggettivi di persone che brancolano nel buio, prive di
riferimenti etici e cognitivi; la speranza, da sicura aspettazione di ciò che
Dio ha promesso, si è tramutata in utopistico sogno di un mondo migliore, atteso
come frutto dell’ideologia del progresso sociologico e scientifico; la carità è
stata deformata in una caricatura che fa adorare i poveri a motivo del semplice
fatto che sono tali, anche se si rifiutano ostinatamente di collaborare alla
risoluzione delle loro difficoltà e di adoperarsi per la propria emendazione,
impegni che restano obbligatori per tutti in vista della ricompensa eterna.
Così lestofanti di ogni provenienza son protetti e tutelati contro ogni buon
senso e a discapito del bene comune; a farne dei privilegiati assolutamente
intoccabili, fra gli altri, è proprio la comunità trasteverina incaricata dai
cabalisti di impregnare la Chiesa Cattolica della loro gnosi perversa.
Tutto
ciò è ancora ben poco di fronte all’abominevole scandalo della Messa celebrata
per una coppia di pervertiti subito dopo la loro unione civile. Il
presule che non l’ha impedita – guarda caso – proviene dalla medesima comunità
cui si è appena accennato. Se d’altronde si crede che Dio abbia già infuso lo
Spirito Santo nell’uomo insufflandogli l’alito di vita (cf. Gen 2, 7) o
che il Verbo, nell’atto stesso di incarnarsi, si sia in certo modo unito a ogni
uomo (Gaudium et spes, 22), risulta piuttosto arduo condannare la
sodomia e qualunque altro peccato… compresa la pedofilia, per la cui
legalizzazione si battono ambienti politici di diversi Paesi occidentali, senza
che nessuno o quasi, nella gerarchia “cattolica”, osi eccepire alcunché. Se però
ogni essere umano è già redento, senza conversione né correzione, come si può
ancora parlare di peccato e di espiazione? Tali residui del Medioevo andrebbero
ripensati tramite la presa di coscienza della bontà assoluta di ogni
creatura, che sarebbe divina per costituzione, con tutte le sue pulsioni; chi può
esser così crudele, del resto, da imporre agli altri di contenerle? Benvenuti
nel mondo degli orrori creato dal panteismo ecclesiastico.