Anno nuovo: voto di silenzio?
Vide ut sileas;
noli timere, et cor tuum ne formidet (Is 7, 4).
Dopo otto anni di attività e centinaia di articoli, si può sentire
un forte bisogno di fare una pausa per ritirarsi in sé stessi e dedicarsi alla
ricerca esclusiva dell’intimità con Dio. Nel profluvio di parole della società
moderna, uno teme di farsi complice della strategia di distrazione di massa,
che tiene le persone lontano dal proprio centro interiore e le estrania sempre
più dal mondo dello spirito. Non solo questo, ma sottentra spesso lo scrupolo
di contribuire più al male che al bene con la denuncia di crimini e abusi o la
messa in guardia da difetti e pericoli, col rischio di far pubblicità al
peccato e amplificare gli scandali, causando costernazione nei lettori e
inducendoli, seppur involontariamente, allo scoraggiamento. L’astensione da
ogni commento sarebbe molto più comoda per la tranquillità dell’anima, non più
tormentata da perplessità e incertezze.
Le responsabilità connesse all’ufficio di Pastore, d’altro canto,
non consentono di dar la precedenza alle aspirazioni personali. Dietro il
pensiero di rinchiudersi nel silenzio può nascondersi una sottile tentazione
sotto apparenza di bene, mirante a distogliere qualcuno dal compito che la
Provvidenza gli ha affidato, specie se, malgrado la sua indegnità e
inadeguatezza, riceve inoppugnabili riscontri dei benefici apportati dal suo
parlare, che scaturisce ogni volta dalla preghiera e dalla meditazione. Occorre
guardarsi, ovviamente, anche dal vizio opposto all’eccessiva minuzia nel
valutare l’agire personale, ossia dall’abitudine di incensarsi da sé approvando
tutto in base al giudizio proprio anziché a quello divino, che si manifesta
mediante un buon confessore o direttore spirituale. Il fondamentale criterio di
discernimento, in definitiva, è l’adempimento della volontà di Dio in funzione
del bene reale delle anime, piuttosto che dell’autoaffermazione individuale.
Una buona soluzione può essere quella di utilizzare questo spazio in
primis per un’educazione a coltivare l’interiorità e la relazione col
Signore, così che da essa parta lo sguardo sulla realtà del mondo contemporaneo
e ad essa ritorni l’osservazione di ciò che accade intorno a noi. In tal modo
potremo mantenere l’obiettività e, soprattutto, non perderemo di vista il senso
soprannaturale di ogni cosa. Le analisi delle vicende politiche ed ecclesiali,
per quanto imperfette e limitate, devono aiutarci a discernere le scelte che
Dio vuole da noi, in maniera che non solo siamo preservati dalle minacce che
incombono, ma riusciamo anche a vivere, con l’aiuto della Sua grazia, in modo a
Lui gradito. Questo approccio ci consentirà di mantenerci immuni dalle derive
dell’autosufficienza e della presunzione, nonché di evitare gli scogli della
superbia e dell’orgoglio.
La cura dell’intimità con Dio esige indubbiamente lo sforzo di tacere
ogni volta che sia opportuno e quello di allontanare le sorgenti di
dissipazione. A tal fine è imperativo tenere spento il televisore il più
possibile e gestire con ferrea disciplina i mezzi di comunicazione, a
cominciare dal cellulare; si tratta infatti, oggi, delle principali fonti di
manipolazione mentale, ossia di quella colossale opera di soggiogamento delle
coscienze con cui l’impero globale della finanza ha asservito gran parte della
popolazione mondiale. La libertà d’azione richiede, come imprescindibile
presupposto, la libertà interiore; quest’ultima è garantita soltanto a chi sa
collocare il cuore nel silenzio di Gesù, nel quale sbocciano continuamente luce
e vita sempre nuove. L’occhio dell’anima, reso luminoso da questi doni, coglie
allora la realtà come la vede Lui, con il Suo giudizio ad un tempo severo e
traboccante di misericordia, dato che mira a liberare gli uomini da ciò che li
opprime.
Questa scelta è decisamente controcorrente, in una società che
glorifica la logorrea boriosa e in un ambiente ecclesiale che affoga in
vaniloqui. La commistione tra l’una e l’altro risale ormai a oltre cinquant’anni
fa, come ricorda un lettore che all’epoca era già adulto: «La saggia
ammonizione sul rischio di farsi coinvolgere in discorsi che probabilmente non
son buoni mi fa pensare – ahimè – all’immensa quantità di PAROLE che in campo
ecclesiastico si sono sprecate senza portare alcun frutto. Ricordo un po’
com’era l’atmosfera del tempo, anche se allora non me ne interessavo troppo:
come ci si compiaceva di entrare in questioni politiche, sociali, economiche,
psicologiche che per il clero erano una novità: “Finalmente la Chiesa si apre
alla modernità; abbiamo tanto da imparare dal mondo. Che bello!”. Ma la smania
dei preti tuttologi che vantaggi ha portato?».
Mi sovviene a mia volta che, benché poco più che adolescente, dopo
riunioni-fiume in cui ci si era profusi in proclami che promettevano
cambiamenti a tutto campo, dovevo regolarmente concludere, tra me e me, che fuori
nulla era mutato nel frattempo, ma tutto era rimasto com’era; unico beneficio,
l’appagamento degli oratori e il compiacimento degli uditori. Non v’è chi
ignori, tuttavia, che tale sbornia verbale non si è certo esaurita allora:
anche oggi certe Messe assomigliano a un mare di chiacchiere in cui, qua e là,
galleggia ancora qualche elemento cultuale che i preti, con tutto il loro zelo attualizzante,
non son riusciti ad espellere; per avvicinare i riti all’esistenza quotidiana,
hanno secolarizzato i primi e privato la seconda delle principali risorse
concesse ai credenti per affrontarne le sfide. Ancor più grave è che, in tal
modo, hanno estromesso Gesù Cristo dalla Liturgia per mettere al centro sé
stessi, come vanitose vedettes. La conseguenza più immediata è lo
spegnimento, nel culto come nella vita, del dialogo con Dio.
L’incapacità di ascoltare il Signore e di parlare con Lui ha prodotto
una radicale solitudine anche tra gli uomini, ormai incapaci di vera comunione,
ma risucchiati nel vortice di incontri e assemblee in cui ognuno tenta di
prevalere sugli altri con la propria opinione, mentre le parole si
sovrappongono alle parole, spingendo fuori della memoria quel poco che potrebbe
pur esserci di buono. In tale triste situazione di conflittualità perenne, l’unica,
apparente àncora di salvezza, per chierici e fedeli, sono le fughe affettive,
talvolta lecite, più spesso illecite. L’assimilazione alla società corrotta del
nostro tempo, del resto, non poteva portare altro frutto che l’adeguamento alla
sua “morale” perversa; certo clero si è talmente aperto al mondo da essersene innamorato
e, inevitabilmente, ha finito con l’odiare Cristo. Chi ancora offre la
direzione spirituale, molto spesso, anziché fornire consigli pratici basati
sull’esperienza di due millenni, confonde i malcapitati con le sue
considerazioni intellettualistiche o psicologistiche, prive di ogni rapporto, a
volte, con la realtà concreta.
Nell’ebbrezza del democraticismo imperante, molti Pastori amano
apparire popolari, ma sono il più sovente despoti, ognuno al suo livello. «È
stato posto il principio – prosegue il nostro lettore – che non ci siano più
scomuniche di ordine teologico e morale, ma che vi siano, e come, scomuniche di
carattere ideologico. Adesso si scomunica l’omofobia, il sovranismo,
il populismo: l’arbitrarietà della chiacchiera è totale». Quel che si
sente in certe omelie supera l’immaginabile: l’infondatezza e l’ignoranza
trionfano con accenti perentori che non ammettono possibilità di replica. Il
puro arbitrio individuale impazza altresì nell’applicazione alla sacra Liturgia
di norme sanitarie che non sono più in vigore, casomai avessero prima una
parvenza di legittimità e di ragionevolezza; qualsiasi obiezione, per quanto
garbata, all’imposizione della comunione sulla mano è liquidata con fantasiosi
rimandi a ciò che avrebbe fatto Gesù o con osservazioni non pertinenti
sull’impurità della lingua, come se il comunicando non dovesse esser prima
assolto dai peccati gravi e aver chiesto perdono di quelli veniali, così da
ricevere l’Eucaristia in modo degno.
In un contesto del genere si può ben comprendere sia l’invito che
l’aspirazione a migrare verso la Messa tradizionale; non tutti però, per le più
svariate e sacrosante ragioni, possono permetterselo. Il consiglio generale
rimane quello di andarvi se e quando possibile, cercando comunque una chiesa in
cui il nuovo rito sia celebrato almeno con decoro e senza abusi. Le
testimonianze di diversi lettori ci assicurano che, con la buona volontà e
l’aiuto della Provvidenza, prima o poi si riesce a trovarla: sono tanti i
sacerdoti che, malgrado tutto, han conservato la fede e la devozione; le
posizioni estremistiche che li giudicano tutti indistintamente modernisti perduti le lasciamo a quanti si son posti fuori della comunione ecclesiastica. Nel caso
di provvedimenti ingiusti contro la celebrazione della vera Messa, evitiamo la
disobbedienza aperta (che non si può giustificare se non da chi si considera al
di sopra dell’autorità costituita), pur mantenendo una sana libertà di
coscienza per continuare a seguire la strada buona in modo discreto, senza
cercare lo scontro diretto. Con le situazioni irregolari già esistenti e non
risolvibili nell’immediato, poi, si può ammettere una tolleranza de facto,
senza pretendere di legittimarle de iure e ancor meno crearne di nuove.
Di fronte ad eventuali polemiche suscitate da questa posizione, osserviamo il
santo silenzio.
Bada a tacere; non temere e il tuo cuore non si spaventi (Is 7, 4).