Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 27 maggio 2023


Libera nos, Domine!

 

 

Concede ut nos in veritatis amore crescamus ad errorum insidias repellendas (dalla Liturgia).

Nel trattare soggetti particolarmente delicati, bisogna chiedere umilmente allo Spirito Santo l’aiuto necessario per respingere sia la tentazione di accomodare il discorso in modo da non urtare nessuno, sia quella di reagire con il sarcasmo e l’acredine percepiti nelle esternazioni prevenute di chierici in situazione irregolare. Nel caso presente ciò che prevale, in realtà, è il dolore di dover rilevare difetti perniciosi in sacerdoti per altri versi validi, con alcuni dei quali sembrava di poter mantenere vincoli fraterni e una fruttuosa collaborazione. Ci sono tuttavia occasioni che mostrano impietosamente quale solco possa scavare l’assimilazione – inconsapevole, si spera – di una teologia contraffatta, capace di distorcere non solo la dottrina, ma anche la prassi. Ciò che ci muove è unicamente l’ardente volontà di corrispondere a quanto domandato nella festa di san Roberto Bellarmino, chiamato da Dio, secondo la Colletta, a respingere le insidie degli errori: la grazia di crescere nell’amore della verità.

È in virtù di tale amore che ci accingiamo a valutare il corposo documentario Libera nos sul ministero dell’esorcismo. Chiunque può facilmente cogliere l’importanza di essere efficacemente assistiti per i fedeli, sempre più numerosi, afflitti dall’azione straordinaria del maligno; anche gli altri, nondimeno, sono interessati, per quanto riguarda sia la lotta contro la sua azione ordinaria, sia il ruolo dei ministri ordinati nella Chiesa, sia l’efficacia di Sacramenti e sacramentali. Certi argomenti uniscono tra loro, come un filo, ambiti apparentemente disparati della teologia che rivestono un interesse non meramente accademico, ma di grande rilevanza per la vita delle persone e per la loro salvezza eterna. Speriamo perciò che appaia evidente che qui non si parla per gusto della polemica, bensì per sollecitudine della salus animarum, la quale dipende strettamente dall’impostazione teologica di quanti se ne occupano in forza della vocazione divina e dello stato che hanno assunto.

Aggiornare anche il diavolo?

Senza timore di essere ingiusti, possiamo affermare con tranquilla coscienza che la pellicola esaminata, al di là degli indubbi meriti pastorali, risulta un lungo spot pubblicitario sul nuovo rito degli esorcismi, elaborato sulla base della “teologia” eterodossa del Sant’Anselmo. Quest’ultimo asserto è suffragato da studi specialistici che dimostrano come un gruppo di liturgisti, non potendo risparmiare neppure questa parte nel totale rifacimento del culto cattolico, abbia deliberatamente inteso modificare non solo il rito in sé, ma i suoi stessi fondamenti dottrinali. Il risultato, secondo un autorevole teologo, è che «il rito recente contiene in massima parte preghiere nuove ed è concepito più come azione liturgica volta all’edificazione dei fedeli che come potente arma spirituale contro i demoni a beneficio degli ossessi» (M. Hauke, Editoriale “Liberaci dal maligno”, in “Rivista teologica di Lugano” XXII [1/2017], 6). In effetti le formule imperative, con cui si comanda al demonio di andarsene, sono state rese facoltative, mentre eccessivo rilievo è stato dato a quelle deprecative, con cui si implora l’aiuto divino. In tal modo si è tolta efficacia al rito e gli esorcisti corrono il rischio di perdere autorità a causa di una visione indebolita del loro ministero, che costituisce una delle forme più eminenti di opposizione al male.

A nessuno sfuggirà quanto sia necessario che la lotta diretta contro il diavolo poggi su solide certezze e si avvalga di validi strumenti. Invece nel documentario, con clamorosa omissione, è del tutto taciuta la vivace reazione degli esorcisti alla promulgazione del nuovo rito (1998), reazione che indusse poi Benedetto XVI ad autorizzarli di nuovo a utilizzare le formule contenute nel Titolo XII del Rituale Romanum, promulgato da Paolo V nel 1614 e riveduto da Pio XII nel 1952. Uno dei più severi critici era stato il compianto don Gabriele Amorth († 2016), proprio uno dei sacerdoti intervistati, promotore e guida della loro associazione internazionale, che a suo tempo si era espresso in proposito – come chi scrive può personalmente testimoniare – con la sua abituale franchezza, ossia in termini niente affatto favorevoli. Ai defunti, a quanto pare, si fa dire solo ciò che fa comodo, come sta avvenendo pure con il più illustre personaggio testé nominato.

Vista l’ampiezza della polemica che divampò a suo tempo, tale silenzio sul problema non può non essere deliberato, gettando una pesante ombra di sospetto sul lavoro considerato, che appare così, inevitabilmente, come un’operazione di mascheramento del tentativo di addomesticare gli esorcisti, la cui funzione è chiaramente molto fastidiosa per coloro che, nella Chiesa, servono l’avversario sotto mentite spoglie, che sia sul colle della secessione o su quello al di là del fiume. Grazie alle risorse della cinematografia lo spettatore comune, emotivamente incantato dalle suggestive immagini non meno che dal sottofondo musicale, ingoia inconsapevolmente la polpetta avvelenata; chi ha maggior competenza in materia, invece, reagisce subito agli errori dottrinali e alle distorsioni teologiche che vengono propinati con estrema naturalezza quasi fossero quanto di più evidente al mondo, mentre invece sono preconcetti ideologici abilmente presentati come insegnamento cattolico.

Cos’è l’esorcismo?

Il più grave, per cominciare, tocca la natura stessa dell’esorcismo, insistentemente definito preghiera della Chiesa anziché atto di autorità del sacerdote. Come, riguardo alla Messa, si parla falsamente di assemblea celebrante e di presidente, quasi il secondo fosse un semplice delegato del popolo incaricato di moderarne le riunioni, così anche qui si ha la netta impressione che il ministro ordinato non faccia sostanzialmente altro che dare voce alla collettività piuttosto che esercitare, in virtù del proprio ruolo esclusivo, la potestà di Cristo, nella cui persona agisce. Questa deformazione teologica si ripercuote, a livello giuridico, sulle condizioni poste all’esercizio di questo ministero: uno degli intervistati afferma categoricamente, ma in modo inesatto, che la licenza dell’Ordinario è costitutiva in quanto mandato da parte della Chiesa, mentre è solo una garanzia legale che l’esorcista abbia le qualità richieste dal suo compito, detenendone già il potere in virtù della ricezione dell’Ordine sacro, il quale, nei suoi vari gradi, comprende pure l’esorcistato, fino a pochi decenni fa conferito con apposita ordinazione. Non minore importanza, evidentemente, rivestono l’obbedienza gerarchica, da cui egli è protetto nella lotta, e la severa ascesi cui deve sottoporsi, ma di cui non si fa cenno.

Tale falsata concezione dell’esorcismo è puntellata con altre affermazioni erronee, come l’imprecisa distinzione tra Sacramenti e sacramentali. È vero che i primi conferiscono la grazia ex opere operato, cioè per effetto dell’atto stesso, mentre l’efficacia dei secondi dipende anche dalla fede e dallo stato di chi li amministra e di chi li riceve; tuttavia non bisogna omettere che pure la fruttuosità dei Sacramenti è legata alle disposizioni interiori e che anche i sacramentali producono infallibilmente il loro effetto, benché di natura diversa: non un aumento della grazia santificante, ma un’azione divina di altro genere, come la protezione dal male o l’incentivazione di beni spirituali o temporali. Altrimenti non si capirebbe perché si siano sempre benedetti – e in modo efficace – case, campi, negozi, officine, animali, strumenti di lavoro e simili; basta consultare il Rituale (quello antico) per scoprire quante cose possano godere, a vantaggio dell’uomo, di un benefico intervento celeste, in perfetta coerenza con la destinazione di tutte le creature all’uso di quella fatta ad immagine di Dio.

Indubbiamente i sacramentali non sono segni efficaci della grazia allo stesso titolo dei Sacramenti; ciò non li riduce però a meri segni evocativi di un’idea, come pare di dover dedurre dall’interpretazione di acqua e sale benedetti, quasi la prima fosse un semplice richiamo al Battesimo e il secondo un simbolo di preservazione dalla corruzione. No: le preghiere di benedizione esprimono chiaramente il fatto che Dio, per mezzo di esse, lega a quegli elementi naturali il potere di allontanare gli spiriti immondi e le malattie dell’anima e del corpo. Analogo discorso vale per tutti gli oggetti di pietà benedetti secondo il Rituale tradizionale (non certo con il nuovo Benedizionale, nel quale, per pregiudizio ideologico, non si benedice più alcun oggetto, ma solo  le persone): croci, rosari, immagini, statue, medaglie, scapolari e quant’altro, che ben a ragione i fedeli portano, venerano ed espongono sia per esserne protetti, sia per accrescere la devozione, propria e altrui. La differenza dagli amuleti consiste nel fatto che quelli sono efficaci – se lo sono – in virtù di un influsso demoniaco sollecitato da uno stregone, mentre gli oggetti di pietà lo sono in virtù della potenza divina ad essi conferita dal sacerdote.

Evoluzione della dottrina?

I luminari del Sant’Anselmo, ovviamente, inorridiranno nell’udire tali affermazioni, liquidandole con sdegno come vecchi residui di una mentalità superstiziosa ormai superata, alla quale lo Spirito Santo, a sentir loro, avrebbe abbandonato la Chiesa terrena per quasi due millenni; i Santi stessi, poveretti, sarebbero stati vittima della mancanza di quelle conoscenze che noi, oggi, avremmo acquisito grazie agli studi di quegli illuminati. Proprio questo fa pensare l’asserzione di uno degli intervistati secondo cui il nuovo rito degli esorcismi corrisponde alla comprensione più evoluta che la Chiesa Cattolica avrebbe raggiunto della propria missione e del proprio operare. Il voler continuare ad usare il vecchio Rituale è bollato come una forma di quell’archeologismo già riprovato da Pio XII: un testo utilizzato con successo fino a soli venticinque anni fa, a quanto pare, è già diventato un fossile, mentre non lo è affatto il gesto di soffiare sul posseduto, messo in risalto come un’importante novità.

La sindrome dell’archeologo non è propria di chi, in spirito di continuità, persevera nel fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto, bensì di quanti, in cerca di pretesti per modificare le cose più sacre, vanno a ripescare da polverosi manoscritti antiche usanze poi abbandonate; analoga procedura han seguito per imporre la comunione sulla mano. Ora, la loro falsa autorevolezza può pure ingannare molti sacerdoti in buona fede, ma non tutti: le risorse di una buona teologia, fondata sull’insegnamento perenne della Chiesa, permettono di individuare facilmente errori, incongruenze e ambiguità all’interno di discorsi abilmente costruiti in modo da apparire inconfutabili, pur essendo in realtà estremamente difettosi. Per questo è quanto mai urgente e doveroso, per ogni sacerdote – ma specialmente per quelli che si dedicano al ministero dell’esorcismo – tornare a studiare i vecchi manuali di teologia, dato che nulla di nuovo si sa oggi sulle varie forme di infestazione diabolica in sé, salvo l’eventuale interferenza di disturbi di natura psichica, i cui sintomi sono però ben distinti.

Conclusione

L’accento posto sull’importanza della preghiera ecclesiale anziché su quella della potestà sacerdotale, come tante altre falsificazioni teologiche, può causare, a lungo termine, un completo capovolgimento di prospettiva, inducendo a credere che l’efficacia degli atti liturgici provenga dal basso anziché dall’alto, com’è veramente nella realtà delle cose. Vien da pensare che anche in questo caso l’applicazione delle direttive del Vaticano II sia sfociata in una radicale trasformazione non solo di testi e riti, ma pure della fede: sembra che l’uomo si salvi per opera propria, una volta informato di essere ormai libero da ogni condanna in virtù di una sorta di amnistia generale decretata duemila anni fa. Anche l’esorcismo, di conseguenza, viene presentato in chiave secolarizzata come mera relazione di aiuto. Senza nulla togliere all’importanza del dialogo e della fiducia, non dimentichiamo che l’unica relazione capace di salvarci è quella con Cristo, alla quale la Vergine Corredentrice, come nostra Madre nell’ordine della grazia, ci educa costantemente, purché la nostra fede sia retta e completa. Per Sua intercessione, che il Signore ci conceda di crescere nell’amore della verità per respingere le insidie degli errori.

P.S. Resta aperta la domanda sul motivo per cui la casa cinematografica produttrice abbia scelto il nome Sine sole e come logo di apertura, se non bastasse, un sole eclissato da una luna nera che si trasforma poi in fenice. Dato che nella simbologia cristiana il sole rappresenta Cristo e la luna la Chiesa, si vuol forse suggerire l’idea che una Chiesa ottenebrata dalla menzogna stia ormai oscurando lo Sposo, prima di scomparire lasciando il posto alla “religione” umanitaria dell’Anticristo? Fa parte pure quella casa del complotto che vuole annientare la civiltà fondata sulla ragione e sulla fede, così che essa abbia fine e dalle sue ceneri rinasca un sistema di natura opposta? È arduo non sospettarlo, se si considera come il documentario, pur esaltandola in apparenza, tenda a neutralizzare la lotta contro Satana, anche sottolineando, fra l’altro, l’attuale divieto di effettuare esorcismi se non quando si sia certi della sua presenza (che il più delle volte può essere diagnosticata con piena sicurezza soltanto effettuandoli). Non meno invalidante è un altro fatto messo in evidenza, funzionale alla riuscita di un rito «concepito più come azione liturgica volta all’edificazione dei fedeli che come potente arma spirituale contro i demoni a beneficio degli ossessi»: la svalutazione del latino a favore delle lingue volgari, che il diavolo non aborrisce tanto quanto la lingua resa sacra dal millenario uso cultuale.


sabato 20 maggio 2023

 

Unito ad ogni uomo?

 

 

Uno dei testi più citati e commentati nella teologia e nel Magistero successivi al Vaticano II è una frase della Gaudium et spes secondo la quale, testualmente, «con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (GS 22; il corsivo è nostro). L’indeterminatezza di tale asserto ha causato un grave malinteso da cui è derivata tutta una serie di grossolani errori, capaci di scuotere dalle fondamenta la fede stessa e la Chiesa con la sua dottrina e i Sacramenti, fino a renderli qualcosa di accessorio, se non del tutto superfluo. Quella che, con inedita dicitura, è denominata costituzione pastorale ha peraltro inaugurato un nuovo genere magisteriale con il quale, anziché riaffermare la verità rivelata (se necessario precisandola, esplicitandola e difendendola dalle eresie), si propongono opinioni degli estensori di tenore contingente e sapore personale, così che si fa fatica a riconoscervi la voce perenne della Chiesa, valida in ogni tempo e in ogni luogo.

In certo modo: quale?

In realtà sarebbe bastato inserire nel testo, al posto di quell’infelice quodammodo, l’avverbio latino intentionaliter, che si traduce in italiano con intenzionalmente: non nel senso comune di volutamente, di proposito, deliberatamente, bensì in quello filosofico, che si dice di azione intrinsecamente mirante a qualcosa. Nell’incarnarsi, infatti, il Figlio di Dio non poteva effettivamente unirsi agli uomini (che erano nel peccato e, di conseguenza, inevitabilmente separati da Lui); l’atto con cui assunse la natura umana, nondimeno, tendeva di per se stesso ad aggregargli coloro che avrebbe redenti con la propria Passione e morte. L’Incarnazione, in altre parole, ha posto la condizione che rendesse possibile tale unione: l’umanità del Verbo è il mezzo con cui Egli ha riscattato i colpevoli e li incorpora a Sé nel Battesimo. A volte basta cambiare una parola per trarsi d’impaccio; vista la pletora di vescovi e periti presenti a quell’assise, meraviglia non poco che nessuno ci abbia pensato.

Dopo tre anni di accese discussioni, indubbiamente, nessuno, arrivando esausto in dirittura d’arrivo, aveva voglia di imbarcarsi nell’analisi approfondita di un testo interminabile, zeppo di ambiguità e approssimazioni. Questo fu forse il motivo per cui quell’enormità passò inosservata; più arduo risulta giustificare l’insistenza con cui essa è stata ripresa nei decenni successivi. La prima impressione che si ricava da quell’affermazione è che l’agire divino sia del tutto arbitrario, noncurante non soltanto della giustizia, ma anche della necessità che l’uomo sia realmente rinnovato nell’essere, nella coscienza e nella condotta. Quella frase, presa così com’è, può dare ad intendere che non esista più né il peccato originale né quello personale, ma che l’uomo sia buono per nascita e debba soltanto esser messo al corrente di un fatto che avrebbe rimosso a monte ogni difficoltà. Proprio questo fa pensare l’asserto che precede immediatamente quello che stiamo esaminando: la natura umana, una volta assunta dal Verbo, per ciò stesso sarebbe stata innalzata ad una dignità sublime anche in noi (cf. ibid.).

Non si capisce in che modo i peccatori conseguano tale dignità sublime senza previamente convertirsi con l’assenso alla grazia preveniente, onde poter ricevere anche la grazia santificante. Questo problema sembrerà però superato nel leggere il seguito: vivendo in tutto come noi e spargendo il proprio sangue, Gesù ci ha meritato la vita, ci ha riconciliati con il Padre e strappati alla schiavitù del demonio, ci ha aperto la strada da seguire, ci ha conformati a Sé e rinnovati con lo Spirito Santo… Ciò varrebbe non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini di buona volontà, anch’essi abilitati ad essere «associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (ibid.), dato che Cristo è morto per tutti. A questo punto – verrebbe da dire – tutti han fatto tombola, anche se non lo sanno o non lo vogliono. Purtroppo ci si è dimenticati che la redenzione oggettiva (ossia l’opera di salvezza) è sì compiuta in se stessa, ma va applicata ad ogni singola anima nella redenzione soggettiva (ossia nella rigenerazione individuale, che si attua mediante l’adesione alla verità rivelata e la ricezione del Battesimo).

Il sostrato “culturale”

Per non apparire troppo ingenui, quasi credessimo che questa nuova dottrina fosse frutto di fortuite sviste piuttosto che di un progetto pianificato, sondiamo il terreno su cui sono spuntate. Secondo uno dei periti più attivi al Concilio, il gesuita Karl Rahner, i dogmi della fede sarebbero kantianamente già presenti nella ragione in modo trascendentale e attenderebbero soltanto di esser portati alla coscienza dall’annuncio della Chiesa. Tutti gli uomini, pur senza rendersene conto, sarebbero pertanto cristiani, sebbene anonimi, e andrebbero semplicemente aiutati a scoprire quella verità che sarebbe insita nella struttura stessa del loro intelletto. Si comprende bene perché, a partire da quel momento, i missionari siano andati in crisi e la missione si sia ridotta, quando non a propaganda socio-politica, alla cosiddetta promozione umana, quasi l’unica urgenza fossero il cibo, l’istruzione e le cure sanitarie; l’Inferno non è più un pericolo per nessuno, se è vero che tutti si salvano, anche senza desiderarlo e senza far nulla.

Questa nuova prospettiva non elimina soltanto la necessità dell’evangelizzazione, ma la stessa ragion d’essere della Chiesa, vanificando il compito di insegnare, governare e santificare, minando alla base ogni autorità e conferendo autonomia assoluta al pensiero individuale, peraltro esposto ad ogni genere di manipolazione. Se ognuno porta in sé la verità che salva, chi ha più il diritto di dirgli cosa credere o non credere, cosa fare o non fare? Con tali premesse, il cardinale eretico che nel 2012, in ossequio alle sue aberranti idee, morì per eutanasia, aveva perfettamente ragione; il fatto è che questa non è la fede cattolica, bensì una dottrina gnostica secondo la quale l’uomo si salva da sé in virtù di una pretesa conoscenza. In altre parole, è ciarpame massonico che svuota di ogni senso e valore, se possibile, la Passione del Figlio di Dio, riducendola a mera dimostrazione di favore a un uomo autosufficiente e superbo che di quelle sofferenze pensa di non aver bisogno per evitare la catastrofe eterna.

Connessioni nascoste

Coloro che al giorno d’oggi propalano sfrontatamente questo pensiero nella Chiesa, d’altronde, sono gli stessi che, per coprire i propri misfatti, non hanno esitato a gettare fango sulla memoria di un papa defunto sfruttando il caso di una ragazza scomparsa quarant’anni fa. Quegli individui spregevoli sono pederasti della peggiore specie, dediti a riti satanici svolti all’interno delle mura leonine; la sorte che li aspetta è quella di Gezabele. Quei disgraziati non sono poveretti a cui nessuno ha mai detto che Dio li ama, bensì gente che serve il demonio perché odia l’amore in quanto amore, detesta la verità in quanto verità, disprezza Gesù proprio perché è Gesù. Con diabolica astuzia, affermano una parte del vero omettendo il resto: proclamano sì la liberazione dal peccato e dalla morte, ma tacendo la necessità della corrispondenza umana perché essa si attui nei singoli. Chi li ascolta, perciò, si perde nell’illusione di essere ormai affrancato dalla schiavitù che, in realtà, ancora lo assoggetta.

Gli orrendi crimini cui sono avvezzi quei traditori, a loro volta accecati dal padre della menzogna, vengono variamente giustificati come un modo di vincere il male sondandone fino in fondo l’abisso, oppure come una via di redenzione che dovrebbe completare quella del bene in vista della conciliazione degli opposti. Queste farneticazioni, la cui assurdità salta agli occhi di chiunque abbia un po’ di buon senso, sono invece presentate come dottrine superiori riservate a pochi eletti; allettati così dalla superbia, quegli scellerati cadono in una trappola da cui è praticamente impossibile uscire, eccetto per miracolo. Certamente il Figlio di Dio non si è incarnato per unirsi a coloro di cui, nella Sua prescienza, sapeva che si sarebbero dannati, né ha dato la vita per loro. Questa semplice osservazione demolisce alla base quello stolido ottimismo conciliare che ha portato tanti cattolici, nel clero e nel laicato, alla rovina morale e spirituale. Essa è al contempo una salutare sferzata per i buoni, i quali, consapevoli della posta in gioco, devono pregare e riparare giorno e notte per sé e per gli altri, desiderosi di passare insieme l’eternità a lodare e ringraziare l’impagabile misericordia del loro Redentore.


sabato 13 maggio 2023

 

Il Dio del tuo cuore

 

 

Non timebo mala, quoniam tu mecum es et ego semper tecum, Deus cordis mei (Sal 22, 4; 72, 23.26).

«Non temerò alcun male, poiché tu sei con me e io sono sempre con te, o Dio del mio cuore». A volte capita che un’ispirazione interiore suggerisca di unire due o più frasi bibliche provenienti da contesti diversi. A più attenta riflessione appare chiaro che l’accostamento e la fusione non solo riescono felici e naturali, ma sottendono anche un’importante dottrina spirituale. Il Maestro dell’anima la guida nel cammino dell’unione con Dio, il quale, pur mostrandosi all’inizio piuttosto arduo, si rivela in seguito singolarmente delizioso: «Mi hai fatto conoscere le vie della vita. Mi colmerai di letizia in compagnia del tuo volto; alla tua destra, godimento per l’eternità» (Sal 15, 11). Non potrebbe essere diversamente per chi va liberato dalla morte del peccato: lo strappo dalle vecchie abitudini è doloroso, ma il sentiero della salvezza riserva indicibili e impagabili sorprese.

La fatica dei primi passi

Oltre a distaccarci da quanto appartiene a un’esistenza segnata dalla disobbedienza, che ci ha esiliati nella regione della dissomiglianza, come la chiama sant’Agostino (cf. Confessiones, VII, 10), l’azione divina deve abituarci gradualmente alla vita nuova, nella quale l’influsso della grazia diventa sempre più preponderante. Anche se non tutti, di fatto, sono chiamati all’unione perfetta, la vita spirituale non è altro che l’esercizio della condizione filiale conferitaci dal Battesimo; le varie fasi della relazione con Dio sono lo sviluppo naturale della grazia battesimale, che ci abilita ad instaurare un’intimità vieppiù profonda con Lui. Il peccatore, tuttavia, ne ha in un primo tempo timore, sia perché il diavolo, al fine di scoraggiarlo, ne esaspera il pur giusto sentimento di indegnità, sia perché egli sente confusamente di doversi adeguare a un altro modo di essere e di agire, che non gli viene spontaneo.

Nella patristica greca, la santità rappresenta il normale stato di salute dell’anima umana, che in vista di essa è stata creata e, di conseguenza, è ad essa intrinsecamente ordinata; il peccato è invece una malattia dello spirito che impedisce all’anima di vivere secondo la propria natura e, soprattutto, di raggiungere il suo fine. Nei primi passi della conversione, a volte, l’Amante divino deve quasi lottare con l’anima per disporla ad accettare i Suoi doni (cf. Teresa di Gesù, Vita scritta da lei stessa, cap. IX, 9); dato che l’operare della grazia, dovendo inserirsi nell’agire dell’uomo, ne richiede l’assenso e la collaborazione, tale accoglienza è indispensabile. Così il percorso, di solito, risulta inizialmente accidentato, con una penosa alternanza di progressi, ricadute e riprese; ciò non avviene però per difetto della grazia, bensì per l’esitazione e l’incostanza della parte umana, ancora incapace di corrispondere alle profferte celesti senza riserve né condizioni di sorta.

È molto consolante apprendere che anche una mistica del calibro di santa Teresa d’Avila conobbe tali lotte interiori e impiegò molti anni a superarle, come ella stessa racconta nei primi capitoli della Vita. La grande riformatrice del Carmelo ci rassicura garantendoci che «la fatica maggiore è solo all’inizio, perché qui, sebbene il Signore conferisca energia, pure è l’anima che deve lavorare, mentre negli altri gradi di orazione abbondano i periodi di dolcezza. Tutti però – siano essi al principio o a metà o già alla fine – han da portare le proprie croci, benché differenti di peso. Questa è la via battuta da Gesù Cristo, e questa devono battere anche coloro che intendono seguirlo, se non vogliono perdersi. Ma benedette croci che vengono sovrabbondantemente ripagate fin da questa vita!» (ibid., cap. XI, 5). Una volta che abbiamo imboccato con decisione questa strada, Dio fa concorrere tutto – ma proprio tutto – al nostro progresso spirituale: «Per coloro che amano Dio tutto coopera al bene» (Rm 8, 28).

Una corsa sempre più veloce

Ora, una volta superati gli ostacoli iniziali con le grazie che il Signore, per pura misericordia, accorda generosamente a chi sinceramente desidera seguirlo, l’anima comincia a gustare la manna nascosta (cf. Ap 2, 17), ossia le delizie che Dio riserva a coloro che accettano di entrare in intima relazione con Lui. Essa deve però badare di non attaccarsi alle consolazioni e alle luci interiori, le quali non sono Dio stesso, ma solo doni con cui la attira, stimola e sostiene; altrimenti le sarà impossibile correre sulla via dei Suoi comandi, ossia giungere a praticare le virtù con piacere e facilità in virtù di una corrispondenza sempre più piena alla grazia, che progressivamente dilata il cuore (cf. Sal 118, 32). Poiché l’amor proprio, così radicato nel peccatore, è capace di insospettate mutazioni, grazie alle quali si insinua fin nelle esperienze più elevate, si rende necessaria la purificazione dello spirito, così come, in precedenza, la purificazione dei sensi è servita a distaccarli dai godimenti terreni e orientarli verso quelli celesti; tali prove sono segni d’amore e, per quanto dure, non devono perciò scoraggiarci.

La realtà della crescita spirituale, naturalmente, è ben più complessa di quanto non appaia in queste brevi annotazioni; lo scopo è mostrare che se una persona, nella preghiera, si sente chiamata ad una più profonda intimità con Dio, non deve negarsi né cercare scuse: consapevole di essere oggetto di una grazia di predilezione, al contrario, dichiari con gioia e prontezza la propria disponibilità, senza presumere di sé né, all’opposto, considerarsene incapace. Certo, nessuno di noi merita di suo tali squisiti favori, così come non possiamo meritare né la grazia iniziale che muove alla conversione né quella della perseveranza finale, ma solo chiederle umilmente, per quanto indegni in noi stessi; l’amore di Dio, tuttavia, ha di proprio appunto la capacità di rendere amabili coloro che lo accolgono, trasformandoli in profondità e rendendoglieli graditi, così che possano unirsi a Lui e godere della Sua amicizia, ricca di ogni diletto e capace di saziare l’anima oltre ogni aspettativa.

La gioia dell’intimo possesso

In questa progressiva unione spirituale, è necessario che l’anima cooperi costantemente con la grazia, attenta a non lasciar mai passare troppo tempo senza pensare a Dio, per rivolgergli spesso una parola d’affetto, di lode, di gratitudine, oppure una richiesta ardente e fiduciosa nelle difficoltà, o ancora un semplice sguardo d’intima intesa. Ciò esige evidentemente l’eliminazione del peccato mortale e una lotta incessante contro quelli veniali, nell’esercizio diuturno delle virtù e con un fermo respingimento di ogni tentazione; viceversa, la pratica della presenza di Dio (o, come la chiamano i Padri, il perenne ricordo di Lui) è di grande aiuto nel ripulire il cuore da tutto quanto disgusti l’Amato, risultando così un mezzo di santificazione estremamente efficace. In queste condizioni, la grazia santificante può dispiegarsi liberamente; essendo sostanzialmente, sebbene in grado diverso, la stessa realtà che ci farà godere pienamente di Dio nella gloria, essa è capace di donarci istanti di Paradiso anticipato.

«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8). «Io vedevo sempre il Signore davanti al mio cospetto, poiché sta alla mia destra, affinché io non sia scosso. Perciò si è rallegrato il mio cuore e la mia lingua ha esultato» (Sal 15, 8-9 Vulg.). Qui si coglie la necessità di purificarsi internamente, così da poter accogliere la grazia di “vedere” Dio nella forma consentita allo stato mortale, sentendolo in sé presente e udendone, in certo qual modo, la voce soave risuonare nella coscienza. Al tempo stesso occorre tenerlo perennemente davanti agli occhi dell’anima, in modo che tale grazia di intimità trovi quella corrispondenza che per sua stessa natura richiede. L’Onnipotente, degnandosi di porsi accanto a te, desidera la tua adesione libera e personale: «L’anima mia si è attaccata a te; la tua destra mi ha raccolto» (Sal 62, 9 Vulg.); così ti eleva ad un sublime scambio di amicizia.

Non bisogna assolutamente pensare che ciò si debba riconoscere da fenomeni straordinari né che sia frutto di sforzi umani di autoelevazione; sia la ricerca di quelli che il perseguimento di questi espongono l’anima al pericolo degli inganni diabolici e delle illusioni psicologiche. Questo commercio amoroso è puro dono di Dio, che richiede sicuramente un ingente lavoro per disporsi ad esso, ma non può esser prodotto dall’uomo per effetto della sua applicazione; esso esige perciò un notevole coraggio e, al contempo, un’almeno pari umiltà. Alla fine scoprirai che il Dio del tuo cuore ha stabilito la propria dimora nella tua anima in stato di grazia e che, in tal modo, è sempre stato con te, ma ti aveva dato appuntamento là, nel centro del tuo essere, aspettando che tu vi rientrassi e stessi a tua volta con Lui. Potrai ormai temere più nulla, in questo pacifico e sereno possesso dell’anima da parte di Dio e di Dio da parte dell’anima? «Io appartengo al mio Diletto e il mio Diletto appartiene a me» (Ct 6, 2).

Non timebo mala, quoniam tu mecum es et ego semper tecum, Deus cordis mei.


sabato 6 maggio 2023

 

Il trionfo della Croce

 

 

Non è l’Esaltazione della Santa Croce, ma una ricorrenza di quasi pari importanza, quella del suo ritrovamento da parte di sant’Elena (Inventio Sanctae Crucis), che si celebra il 3 Maggio. La riforma di papa Giovanni XXIII la soppresse completamente, così come tutta una serie di altre festività o di vigilie e di ottave di feste non sopprimibili, ma rimaste, da allora in poi, eventi isolati. Ancor prima del totale rifacimento del culto operato da Paolo VI, dunque, il calendario liturgico aveva già subìto un primo stravolgimento, con una pesante riduzione, per giunta, degli uffici dei Santi, in gran parte declassati. Evidentemente si trattava soltanto di una tappa nella realizzazione del processo portato avanti dai novatori in modo dissimulato, a partire da quel fatto epocale che fu la modifica dei riti della Settimana Santa, inspiegabilmente approvata da Pio XII.

Una sorte un po’ diversa, sotto quest’ultimo, aveva conosciuto la solennità del Patrocinio di San Giuseppe, sostituita da quella di San Giuseppe Artigiano come contraltare alla festa civile del 1° Maggio, pubblicizzata come una sorta di Pasqua comunista. Quella di contrastare la diffusione della propaganda marxista fra i lavoratori era indubbiamente una necessità molto urgente; tuttavia ci si può domandare se sia lecito utilizzare la Sacra Liturgia a tale scopo, a spese, oltretutto, di una festa degli Apostoli risalente al VII secolo. I testi scelti per la nuova festa esaltano il lavoro umano in chiave cristiana nell’intento di mostrare la superiorità della visione cattolica: la dura necessità di una pena comminata per il peccato originale è stata riscattata dalla santità con cui l’hanno vissuta il Carpentiere di Nazareth e Colui che ne fu ritenuto il Figlio. L’impressione complessiva, però, è che le realtà eterne rischino di esser messe a servizio di quelle temporali.

La necessità dell’espiazione, nesso tra Croce e lavoro

L’inversione di traiettoria verso l’immanenza, sulla quale ci siamo ripetutamente soffermati, non poteva non comportare il rifiuto della Croce, il cui ricordo richiama inevitabilmente il dramma del peccato e la necessità della sofferenza espiatrice. Tutto ciò era semplicemente intollerabile per chi mirava a deviare il cristianesimo in senso massonico trasformandolo in culto dell’uomo, il quale, considerato nativamente buono, non poteva più esser sminuito nella propria dignità da vecchie idee come quelle di peccato originale, redenzione, riparazione e così via; al contrario, bisognava incantarlo con miraggi di un futuro radioso e con menzogne di diritti privi di fondamento. Il boom economico arrivò a fagiolo a inaugurare un’epoca di “felicità”, che la cosiddetta riforma liturgica, di lì a poco, consacrò con la nuova Messa, la cena garantita dai frutti del lavoro dell’uomo. Certo, in Africa si soffriva ancora la fame, ma il problema sarebbe stato presto risolto dalle Nazioni Unite.

A livello psicologico e spirituale, il pensiero della Passione e le pratiche di penitenza furono oggetto di una completa rimozione: era finalmente giunta l’ora di riscoprire la Risurrezione, caduta in oblio nei lunghi secoli del Medioevo e della Controriforma, epoche buie di terrore inquisitorio e di sublimato autolesionismo. Festa diventò la parola d’ordine di scialbi riti che avevano un disperato bisogno di essere animati con canti gioiosi, adatti a riunioni tra amici che dovevan per forza riuscire allegre e spensierate. Così, senza avvedersene, si assunse l’atteggiamento di chi tutto pretende da Dio come fosse dovuto, anziché prostrarsi al Suo cospetto in adorazione, compreso di pentimento e gratitudine per il fatto di non esser stato ancora dannato all’Inferno, nonostante le innumerevoli disobbedienze e l’ostinata sordità ad ogni richiamo.

Ciò che più ferisce il cuore di chi ama è il vedere come l’amato, a proprio danno, ignori e calpesti quell’amore che lo renderebbe davvero felice e si rinchiuda invece nel reclamare futili benefici in base ai propri insensati capricci. Il ricordo della Croce, al contrario, ravviva il salutare orrore del peccato e spinge a detestare le proprie colpe in modo più profondo, così che le si possa bandire del tutto con maggior determinazione. La liturgia tradizionale, commemorandola anche nel Tempo di Pasqua, ci impedisce di dimenticare che la felice condizione del cristiano è frutto delle spaventose sofferenze sopportate dal Redentore per amore suo; la consapevolezza delle mancanze commesse contro l’immensa Sua carità fa scoppiare in pianto il cuore indurito dalla disobbedienza, il quale, non potendo capacitarsi di essere oggetto di tali cure in luogo della meritata condanna, arde del desiderio di riparare con ogni mezzo a tanta indifferenza e ingratitudine.

La chiave di tutto: l’amore

Questa è la sorgente della vera gioia, ben diversa da quella, artificiale, di chi usa tutto – comprese le realtà più sacre – per sentirsi bene in modo facile e immediato. Solo l’amore di Dio può appagare il cuore umano, colmandolo al di là di ogni limite e aspettativa; ma l’amore attende il contraccambio: non certo qualcosa che possa compensarlo, infinito com’è, bensì una risposta senza condizioni, senza riserve, senza restrizioni. Essa non potrà essere perfetta se non al culmine di una lenta purificazione interiore, ma l’importante è imboccare la strada nel giusto senso di marcia, così da non allontanarsi sempre più dalla mèta piuttosto che avvicinarvisi. A tal fine è indispensabile un ritorno alle fonti genuine e sicure, a cominciare dalla liturgia che ci è stata trasmessa e che non abbiamo inventato noi, adattandola oltretutto ai gusti di un pubblico mutevole e volubile; al tempo stesso occorre riscoprire i veri maestri della vita morale e spirituale.

Nella tradizione cattolica, la meditazione della Passione e la memoria della Croce mirano a rendere il cristiano consapevole dello straordinario amore di cui è oggetto per suscitare in lui una reazione di irrevocabile dedizione all’Amante divino. Il loro autentico senso, tolte le tare di certe deformazioni del passato, è proprio questo: la volontà di non trascurare più la massima prova di carità da parte del Redentore e di corrispondervi nel modo più pieno possibile, con tutto l’essere e con la vita restante. Con cuore al contempo contrito e gioioso, il discepolo del Crocifisso se Lo tiene davanti agli occhi in ogni tempo, compreso quello pasquale, e si sforza in tutto di conformarsi a Lui, dato che la sua nuova vita nella grazia, scaturente dalla Risurrezione, richiede necessariamente la mortificazione dei desideri e delle tendenze propri della vecchia vita nel peccato. Nulla comunica una pace e una forza maggiori di quelle donate a chi vive ormai unicamente per rispondere all’Amore.

Questa gioconda letizia non si affievolisce, anzi si accresce nelle avversità e nelle persecuzioni, che diventano occasioni di dimostrare al Salvatore attaccamento e gratitudine. Come sant’Elena, allora, ascendiamo il Calvario, seppure in spirito, e abbattuto l’idolo della sensualità e della concupiscenza, ivi collocato dai pagani per impedire ai cristiani di pregare sul luogo della Redenzione, abbracciamo la Santa Croce, baciamola e stringiamola al petto. Con quanto rinnovato vigore, dopo questo semplice esercizio, riprenderemo i nostri compiti e la nostra lotta! Quante grazie, palesi o nascoste, otterremo ogni volta onde far divampare la nostra carità per Dio e per il prossimo! Quale invincibile protezione ce ne verrà contro gli assalti del maligno e le macchinazioni di coloro che lo servono! Dovunque ci troviamo, portiamo la Croce nel cuore e sulla persona quale testimonianza di amore indefettibile e appello alla salvezza per tutti gli uomini dalla coscienza retta e pura.

Salva nos, Christe Salvator, per virtutem Crucis: qui salvasti Petrum in mari, miserere nobis (dall’Ufficio Divino).


sabato 29 aprile 2023

 

Combattere con armi spuntate?

 

 

Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude (Leone XIII, Preghiera a san Michele Arcangelo).

Pur nell’impegno di custodire il silenzio interiore e la pace del cuore, non possiamo esimerci dal dovere di compiere quel che è in nostro potere per zelare l’onore di Dio, quando esso è attaccato. Ciò che più ci indigna, tuttavia, non è il fatto che negli Stati Uniti si organizzino pubblici raduni di satanisti, come quello in corso a Boston in questi giorni (che non è certo il primo né l’unico); non fa meraviglia più di tanto, infatti, che simili abomini avvengano in un territorio dominato da una delle correnti più aggressive della massoneria. Quello che più ferisce e addolora è l’atteggiamento remissivo e disertore della gerarchia cattolica, che ancora una volta si sottrae all’ineludibile compito di reagire vigorosamente in difesa dei diritti divini e per il bene delle anime.

Trattandosi della diocesi di Boston, vien da pensare, come attenuante, che non possa permettersi di meglio, qualora la situazione del clero non sia sostanzialmente migliorata rispetto alla seconda metà del secolo scorso. Negli anni Novanta essa fu travolta da una serie di scandali e processi per abusi su minori che, portandola sull’orlo della bancarotta, la obbligarono a vendere persino le chiese per pagare pesantissimi indennizzi. Senza lasciarci andare a giudizi temerari, vorremmo sperare che la situazione non fosse ancora tale da costringere la Curia al silenzio per timore di ritorsioni. Se così fosse, bisognerebbe auspicare non solo un mutamento ai vertici della Chiesa, ma pure un capillare ricambio del clero, così che tornasse ad essere santo, o almeno affidabile.

L’intervento della Curia diocesana

In uno scarno comunicato al riguardo (a firma non dell’Arcivescovo, cardinal O’Malley, ma del suo ausiliare O’Connell), l’autorità ecclesiastica prende atto della necessità di offrire una risposta ai molti fedeli disturbati dall’evento, fornendoci così l’ennesimo esempio di quel ribaltamento della realtà che da decenni affligge la Chiesa, con il predominio della dimensione soggettiva dei fatti (il disagio emotivo provocato nei cattolici) su quella oggettiva (il grave male commesso). Questa risposta, oltretutto, vuol essere equilibrata, ossia – come si spiega subito dopo – intende situarsi a metà tra il contrastare gli effetti cattivi cui mira l’evento e l’attirare l’attenzione su di esso rendendolo così più visibile… se mai fosse necessario, visto che ha registrato il tutto esaurito.

In tale contesto, la prima disposizione (che appare inevitabilmente come la maggior preoccupazione di chi scrive) è che si eviti di organizzare o incoraggiare qualunque protesta, cosa che – testualmente – «alimenterebbe solo l’odio» e «rifornirebbe di immagini i mezzi di comunicazione». Sembra che i moderni presuli siano ossessionati dalla paura che i cattolici escano allo scoperto e – peggio ancora – vengano additati come fomentatori d’odio e divisione; eppure son proprio loro che, giovani preti, predicavano che la Chiesa doveva uscire dalle sacrestie e impegnarsi nel mondo a fianco della gente. Quel bel proposito, evidentemente, valeva soltanto per le battaglie sociali promosse dalla sinistra, la stessa forza politica che oggi autorizza, quando non benedice e promuove, le peggiori nefandezze.

L’unica raccomandazione – in sé lodevolissima – è quella di tempestare il Cielo di preghiere. Tutti gli uomini e donne religiosi della diocesi sono invitati a pregare più intensamente, mentre santuari, parrocchie e monasteri devono rimanere aperti per l’adorazione e la celebrazione di Messe secondo questa intenzione (non specificata: la parola riparazione rischierebbe di fomentare l’odio?); basta che le varie iniziative pastorali – come pare di legger tra le righe – rimangano sotto stretto controllo e non disturbino il sereno svolgimento del raduno satanistico. A quanto pare, la vita dei cattolici deve correre su un binario parallelo, rinchiusa negli spazi di culto, senza più la minima interferenza con la vita pubblica, nella quale c’è posto per tutti (compresi i satanisti), ma non per loro. Strano esito del pluralismo democratico… a senso unico.

Disposizioni pratiche

Il dettaglio più irritante è che, nella piena consapevolezza del fatto che in questi giorni Boston è invasa da individui avvezzi ai peggiori sacrilegi, anziché proibire, almeno temporaneamente, la comunione sulla mano, si esorti ad essere particolarmente vigilanti, impegno cui, in realtà, si è già seriamente obbligati. Si propone addirittura di collocare un sorvegliante – purché sia discreto – incaricato di verificare che i fedeli portino immediatamente l’Eucaristia alla bocca, così da impedire che sia asportato ciò che consideriamo più prezioso; questo tocca però al sacerdote, che non deve permettere a nessuno di allontanarsi se non dopo aver assunto l’Ostia consacrata davanti a lui. Sarebbe appropriato, infine, assicurare la protezione dei tabernacoli e delle chiese (onde prevenire – come ci si lascia indovinare – la loro profanazione), altra cosa che va sempre garantita.

Quanta delicatezza nel contrastare il male nelle sue espressioni più sacrileghe e aggressive! Vien da pensare che l’imperativo categorico degli odierni Pastori sia quello di non urtare o turbare chicchessia. Se il cardinal von Galen si fosse opposto a Hitler nella medesima modalità, non gli avrebbe dato alcun fastidio; il fatto che la Chiesa tedesca dell’epoca abbia subìto la persecuzione, con l’internamento e la soppressione di centinaia di sacerdoti e religiosi, dimostra però che contrastò efficacemente il regime nazista. Ma chi si azzarderebbe a paragonare con esso quello attuale, che di fatto è ben peggiore, pur essendo gestito dagli stessi burattinai? Quello fu un esperimento di massificazione di un solo popolo in vista di quella dell’umanità intera, attuata col pretesto di un’emergenza sanitaria appositamente causata e con la collaborazione della gerarchia un tempo cattolica.

Armi spuntate

Dispiace soprattutto che l’associazione mondiale degli esorcisti, per bocca del suo presidente, non trovi di meglio da suggerire che il ricorso a un testo contenuto nel nuovo rituale degli esorcismi, il quale, per esplicita ammissione di molti addetti ai lavori, è del tutto inefficace, visto che l’accento vi è stato posto non sugli atti di autorità con cui la Chiesa, mediante il ministro, intima al diavolo di andarsene, bensì sulle preghiere di domanda rivolte a Dio, ma pensate in chiave epicletica, ossia come invocazione dello Spirito Santo. È comune esperienza di quanti operano in questo campo che spesso un’umile supplica elevata al Salvatore è più efficace di un comando diretto indirizzato al nemico; non bisogna però dimenticare che, come appare chiaramente nei millenari testi del Rituale tradizionale, l’ossesso va prima liberato dall’intruso perché sia di nuovo libero di seguire le mozioni del Paraclito, tanto è vero che uno degli ordini impartiti è: Da locum Spiritui Sancto.

Inoltre, l’esortazione a pregare perché «questi nostri fratelli e sorelle caduti nella trappola del nemico del genere umano, conoscendo la vera identità di colui che stanno seguendo in questo momento, aprano il loro cuore all’amore infinito che sgorga dal Cuore di Cristo e rinuncino a Satana, a tutte le sue opere e le sue seduzioni» si fonda su diversi errori e malintesi. Anzitutto non sono nostri fratelli coloro che hanno rinnegato Cristo o non sono battezzati nella Chiesa Cattolica; di essi, poi, alcuni si son lasciati ingannare per ignoranza o per superficialità, altri hanno deliberatamente scelto di mettersi al servizio del male, ben conoscendo la vera identità di colui che stanno seguendo e rifiutando l’amore di Dio proprio in quanto amore. Sembra di respirare l’aria degli anni Settanta, quando ci si illudeva che bastasse spiegare le cose alle persone perché, capendo il proprio errore, si convertissero; poiché ciò, il più delle volte, non avveniva, a lungo andare si assumeva una motivata mentalità da perdente.

Cosa fare, allora?

La conversione, a quei livelli di peccato, richiede un intervento straordinario della grazia, che può essere ottenuto, in genere, soltanto da anime-vittima, come santo Stefano per Saulo e il conte de la Ferronays per Ratisbonne. L’idea che siano sufficienti le preghiere ordinarie può spingere molti a sottovalutare la gravità del male; questo, in un certo qual modo, contribuisce a normalizzarlo. Per arginare l’azione esplicita del diavolo, peraltro, occorre l’autorità del vescovo, che, in qualità di pontefice, esercita il potere di Cristo stesso dirigendolo contro gli obiettivi prescelti (cosa impensabile per chi è convinto che non esistano nemici, ma solo fratelli-che-non-hanno-capito). Abbiamo una certezza di fede che ispira una mentalità da vincitori, quella che corrisponde alla realtà: Satana è uno sconfitto, mentre noi godiamo dei privilegi e delle prerogative dei cittadini del Regno di Dio, al quale nessuno può opporsi e che niente può fermare.

Con questa consapevolezza, il vescovo del luogo dovrebbe indire una solenne processione riparatrice e recitare pubblicamente l’Esorcismo di Leone XIII, cosa che avrebbe ipso facto potentissimi effetti. In tal caso, infatti, non si tratterebbe di un’iniziativa isolata di gruppi scismatici che rafforzerebbe la causa che si intende combattere (come avvenuto con le parate dei sodomiti), bensì dell’intervento di un successore degli Apostoli che, unito al suo gregge, opporrebbe un baluardo ai sempre più spavaldi assalti dell’avversario. Se ciò non avviene, non significa che possiamo fare da soli, ancor meno contro certi pericoli: in casi come questo, chi non è insignito dell’Ordine sacro, non avendone i mezzi, non è incaricato di contrattaccare, ma solo di riparare chiedendo protezione. Le iniziative di preghiera devono rispettare la costituzione divina della Chiesa; altrimenti i fedeli si espongono a rischi troppo elevati e finiscono col sovvertire, sia pure con le migliori intenzioni, l’ordine gerarchico stabilito dal Signore.

Occorre inoltre evitare che singoli eventi come quello di Boston, per quanto in sé esecrabili e dannosi, distolgano l’attenzione da realtà ben più perniciose e durature: i veri e più pericolosi satanisti, di fatto, sono i massoni di alto livello che dirigono sia gli Stati sia le organizzazioni internazionali e che, a loro volta, sono manovrati dai gestori dell’alta finanza. Pertanto chi, dopo aver cooperato ideologicamente all’infame ricatto sanitario che sta mietendo milioni di vittime, si dà l’aria di lottare rilanciando appelli alla preghiera, ma concentrandosi sui paraventi, difficilmente può risultare credibile. Poiché il nemico si è annidato perfino nel cuore del governo centrale della Chiesa, dobbiamo pregare sempre più intensamente perché avvenga un cambio al vertice, senza certo dimenticare che un’autentica rinnovazione ecclesiale richiede la santificazione di ogni singolo membro del Corpo Mistico.