Viva la Chiesa sinodale!
Il pontificato appena conclusosi è servito, per alcuni, a radicarli
nella fede e a consolidare il loro attaccamento alla Chiesa visibile; per
altri, a trasformarli in infallibili censori e inappellabili giudici di
chiunque nella Chiesa eserciti un ministero, fino al vertice. Per quanto
l’evoluzione impressa dal Vaticano II alla compagine terrena della Sposa di
Cristo abbia modificato il suo aspetto visibile e indebolito il Magistero
ordinario, costringendoci a rimanere vigilanti nei confronti di esso, che deve piuttosto
confermarci senza ombre né ambiguità, non siamo da ciò autorizzati a
capovolgere l’ordine stabilito dal Fondatore, come invece sembrano fare molti
nell’attuale congiuntura storica. Pare anzi che certuni, proprio in ragione di
una presunta cattolicità, si sentano investiti del supremo compito di emettere
sentenze, a favore o a sfavore, sul nuovo papa Leone XIV.
Tutti per la sinodalità di fatto
Certi siti gestiti da ex-vaticanisti sono diventati una sorta di speaker’s
corner dove chiunque voglia può prender la parola e pontificare su
qualsiasi argomento ma, di preferenza, sul Vicario di Cristo. Si direbbe che
gusti, desideri e opinioni di chi scrive fossero criteri di valutazione assolutamente
certi, a prescindere dalle sue competenze; teologi e canonisti possono finalmente
gustarsi il meritato riposo, visto che c’è chi li sostituisce egregiamente.
Così tutti, volenti o nolenti, si ritrovano a far parte di quella chiesa
sinodale auspicata dagli uni, esecrata dagli altri: tutti a discutere con
la pretesa di aver voce in capitolo, senza accorgersi di esser probabilmente
manovrati da poteri occulti che non hanno a cuore il bene delle anime, ma si
servono degli autocostituitisi censori per aumentare la confusione e acuire lo
smarrimento di quanti ancora credono (o pensano di credere).
Non soltanto l’ordine ecclesiale appare gravemente compromesso,
infatti, ma è in pericolo anche la natura stessa della fede, la quale è assenso
dell’intelletto alla verità insegnata da quanti sono insigniti del mandato
apostolico; se questi ultimi non contano più nulla nel sentire dei cristiani,
la fede si trasforma in un’ideologia che si frantuma in innumerevoli varianti,
come nel mondo protestante. È proprio a questo fenomeno che, purtroppo, stiamo
assistendo, nonostante esso sia giustificato con una fiera protesta di
cattolicità. Tale paradosso è il frutto più velenoso del pontificato
bergogliano, a prescindere dalla sua legittimità; le accese controversie che lo
riguardano non sono servite se non a dividere e demolire, come confermato dal
fatto che uno dei più accesi (e sospetti) sostenitori della sua nullità si
smentisce ora platealmente affermando la validità del successore.
Nella ridda di pareri e giudizi basati su conclusioni affrettate,
tratte già all’indomani dell’elezione, teniamo a ribadire la necessità di
attenerci ai fatti oggettivi. Non c’è dubbio che i discorsi e il modo di
presentarsi di Leone XIV siano rassicuranti; tuttavia quanti desiderano evitare
di rimanere di nuovo bruciati dopo l’entusiasmo iniziale rimangono
prudentemente a guardare in attesa delle prime decisioni pratiche, dalle quali
soltanto si potrà dedurre la direzione che il nuovo Papa intende seguire. Del
resto, noi ci aspettiamo la salvezza da Gesù Cristo, non da chi Lo rappresenta
sulla terra, pur senza nulla togliere all’importanza del secondo; altrimenti
ricadiamo nella papolatria rinfacciata ai progressisti nello scorso pontificato.
Qualunque cosa il Papa faccia o non faccia, nessuno potrà mai toglierci il
Signore, presente, realmente, nell’Eucaristia e, spiritualmente, nell’anima in
stato di grazia.
Enigmi irrisolti o indizi eloquenti?
Ora, a prescindere dagli orientamenti dell’associazione e della
rete televisiva che hanno attaccato l’allora cardinal Prevost, rimane il fatto
che due sacerdoti della diocesi da lui guidata in Perù, accusati di un grave
crimine, non siano stati adeguatamente indagati. Non ci è dato sapere se ciò sia
dovuto a una deliberata volontà di copertura o, semplicemente,
all’impossibilità di intervenire efficacemente in casi del genere, impossibilità
causata sia dall’indebolimento dell’autorità dei vescovi in generale, effetto
delle “riforme” postconciliari, sia dall’estrema pericolosità di ogni tentativo
di colpire la rete, così potente e ramificata, di ecclesiastici corrotti che si
proteggono a vicenda. Si fa presto, sulla tastiera, ad accusare di codardia chi
rischia non tanto la rimozione, quanto il carcere e la damnatio memoriae
a causa di una calunnia attinente allo stesso ambito.
Non essendo in grado di trarre conclusioni in un senso o
nell’altro, sospendiamo perciò il giudizio in attesa – lo ripetiamo – di vedere
i fatti, senza pregiudiziali di sorta. Non abbiamo, analogamente, la
possibilità di verificare certe ipotesi circa un’eventuale pianificazione
dell’elezione, circostanza che alcuni elementi sembrano comunque suggerire.
Significa sicuramente qualcosa che il Presidente della prima superpotenza
mondiale – cosa inaudita e inammissibile – abbia diffuso l’immagine di sé in
tenuta pontificia; è come dire: «Il papa lo faccio (cioè lo scelgo) io»; guarda
caso, è americano. Fatto altresì singolare, l’anticipazione del nome (come
quella ascritta, sul Foglio, ad un’intelligenza bizantina, vale a
dire i servizi segreti turchi?), come pure l’attacco sferrato a Prevost, alla
vigilia dell’inizio del conclave, da una testata cattolica filosionista.
Vien da pensare che in certi ambienti si fosse già al corrente
dell’esito e che si sia cercato, da una parte, di favorirlo, dall’altra, di
ostacolarlo. Preso atto della soddisfazione espressa dal rabbino-capo di
Roma (casomai fosse necessaria alla legittimazione del Romano Pontefice), è
difficile rimuovere l’idea che gli usurai aschenazisti ci abbiano ficcato il
proverbiale naso. La cosa non ci interesserebbe tanto, se la prima omelia di
Leone XIV, subito dopo la citazione del passaggio tendenzialmente panteistico della
Gaudium et spes, non affermasse testualmente che Gesù ci ha «mostrato un modello
di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un
destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità» (Omelia
della Messa con i Cardinali nella Cappella Sistina, 9 Maggio 2025; il
corsivo è nostro).
Dato che le parole hanno un peso e un significato, l’avverbio
avversativo qui adoperato vuole dire che, mentre il Paradiso è al di là delle
possibilità dell’uomo, l’imitazione di Cristo è alla sua portata, senza alcun
bisogno – a quanto pare – della grazia santificante. Si potrebbe ipotizzare che
tale svista fosse frutto di mera imprecisione (del resto usuale nella confusa “teologia”
postconciliare), ma che capiti a un dottore in diritto canonico che a ventidue
anni si è laureato in matematica appare piuttosto improbabile, posta
l’importanza del discorso e della circostanza. Se Cristo è dunque imitabile da tutti,
con o senza Battesimo, ebrei, musulmani, buddisti e quant’altro sono
esattamente sul nostro stesso piano, ciò che, volendo, si può evincere dai
paragrafi 13 e 16 della Lumen gentium
nonché dalla dichiarazione Nostra aetate.
Altro che sconfessione del documento di Abu Dhabi…
Conclusione provvisoria
In conclusione, pur non intendendo aggiungerci alla lista di coloro
che sentenziano, non riusciamo a placare l’inquietudine provata fin dalla sera
dell’8 Maggio scorso: la sensazione è che la rivoluzione stia procedendo
indisturbata, benché in modo più fine, discreto e garbato. Dopo lo sfondamento
delle linee, è giunto il tempo di consolidare la posizione? Cionondimeno,
raccomandiamo ancora intense preghiere per Leone XIV, ben sapendo per fede che
Dio può trarre ciò che vuole da chiunque sia permeabile alla grazia. Se poi
l’agonia dovesse proseguire (come fan pensare le voci sulle nuove nomine), ogni
buon cattolico troverà sempre luce e conforto davanti al tabernacolo, il cui
divino Prigioniero sarà sempre con chi Lo ama sinceramente e persevera nel Suo servizio
costi quel che costi. Nessuno al mondo può allontanarci da Gesù né privarci
della Sua grazia, se noi non vogliamo e non la perdiamo per colpa nostra.
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? […] nessuna creatura ci potrà mai separare dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore (cf. Rm 8, 35.39).