Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 16 agosto 2025


Che non succeda a noi come a loro

 

 

Chi ritiene di stare in piedi badi di non cadere (1 Cor 10, 12).

Il Signore ci ammonisce riguardo al fatto che l’essere membri della Chiesa, che è certamente una grazia immensa, non è tuttavia sufficiente per garantirsi la salvezza definitiva, in quanto è necessario perseverare sino alla fine. Per questo san Paolo ricorda gli esempi storici della peregrinazione di Israele nel deserto: erano stati liberati dall’Egitto, sì, ma non erano ancora giunti alla Terra promessa. Gran parte di loro non vi arrivò, proprio perché non perseverò nella fede e cedette alle tentazioni (cf. 1 Cor 10, 5ss). La tentazione, quasi sempre, fa leva sulle concupiscenze, sui bisogni più immediati, che però non sono più volti al loro fine (il sostentamento e la trasmissione della vita), bensì sono deviati verso il piacere preso come fine a se stesso. Così – dice l’Apostolo – la maggior parte degli Israeliti perì nel deserto perché non era rimasta fedele al Signore e, non avendo apprezzato la grazia inestimabile della liberazione, non aveva avuto la pazienza di sostenere la prova fino in fondo.

Nel Vangelo il Signore, avvicinandosi a Gerusalemme per il Suo ingresso trionfale, quando vede la città dall’alto del Monte degli Olivi, scoppia in pianto (cf. Lc 19, 41). Qui si vede la carità di Gesù, il suo amore per gli uomini, in particolare per il Suo popolo. Egli sospira: «In questo giorno, che era il tuo (cioè nel giorno della tua salvezza), tu non hai riconosciuto ciò che ti conduce alla pace. Ormai questa grazia è nascosta ai tuoi occhi, perché l’hai rifiutata. Verranno giorni in cui i nemici ti circonderanno, ti assedieranno e poi, dopo averti presa, ti raderanno al suolo e uccideranno tutti i tuoi figli (cf. Lc 19, 42-44). Questa storia deve istruirci: ciò che è accaduto nelle vicende bibliche, evidentemente, è un ammonimento per noi oggi.

La durezza di cuore dell’antico Israele fu causa della sua rovina, non solo di quella di Gerusalemme e della Nazione, che sarà poi dispersa, ma soprattutto della sua rovina spirituale: nell’ostinato rifiuto del Messia questo popolo – o almeno quello che ne rimane – continua ad opporsi ai piani divini nel vano tentativo di realizzare le promesse fatte ai padri, dalle quali, però, è decaduto. Le promesse di Dio sono certamente irrevocabili ma l’uomo può decaderne, se non rimane fedele alle condizioni che Dio ha posto perché si possa godere di ciò che ha promesso. Sul piano spirituale, perciò, il giudaismo è sì sopravvissuto, ma in una forma deviata, in quanto si è perpetuato come religione avversa al Cristianesimo, come causa di opposizione perenne all’unica vera religione, che è quella dell’Antico Testamento, giunta con il Nuovo alla perfezione.

È ovvio che, nel momento in cui, con il Sacrificio del Figlio di Dio, è stata instaurata la Nuova Alleanza, quella antica ha cessato di essere in vigore. Tuttavia il giudaismo continua ancora ad essere praticato, benché non ci sia più alcun motivo per la sua sussistenza, in quanto ciò che c’era all’inizio come premessa e preparazione ha trovato compimento nel Cristianesimo. Ora, questa è una rovina spirituale di gravità inimmaginabile, perché significa chiudersi completamente alla luce di Dio, respingere ostinatamente i Suoi richiami, continuare a opporsi all’avvento del Suo Regno, che nessun essere umano può fermare.

Questa rovina spirituale ha inevitabili ripercussioni anche sul piano politico: perciò a un certo punto è stato concepito il nefasto progetto di ricostituire uno Stato ebraico, che però non ha alcuna legittimità né sul piano giuridico né su quello teologico. Sul piano giuridico è ridicolo avanzare motivazioni di tipo religioso rivendicando un diritto che risale a più di tre millenni fa, diritto che, come appena accennato, è stato comunque perso a causa delle continue ribellioni del popolo, delle sue infedeltà, dei suoi cedimenti all’idolatria, che lo hanno fatto decadere dall’Alleanza. Ciò avvenne già nel 586 a.C., quando i Babilonesi espugnarono Gerusalemme per la prima volta; poi successe di nuovo con Tito nel 70 d.C. Per imporre tale falso messianismo, tutto un popolo è stato scacciato dalla sua terra e costretto a vivere in un regime di apartheid, prima che si procedesse chiaramente al suo sterminio, che sta avvenendo sotto i nostri occhi senza che nessuno faccia nulla per fermarlo. L’annuncio del castigo è perentorio: «Non lasceranno in te pietra su pietra» (Lc 19, 44).

Sul piano teologico questa pretesa è ancora più infondata, proprio perché tutte le promesse di Dio si sono compiute per noi, che siamo il nuovo Israele, la Chiesa Cattolica. Ciò che Dio aveva promesso nell’Antico Testamento è stato realizzato nel Nuovo; siamo quindi noi gli eredi dei beni promessi da Dio, che non sono però un territorio geografico né uno Stato inteso in senso politico, bensì i beni del Regno di Dio, che abbraccia l’umanità intera, chiamata a convertirsi aderendo a Gesù Cristo con la fede e venendo rigenerata da Lui col Battesimo. Sono questi i beni messianici: sono quelli della grazia di cui godiamo nella Chiesa; sono quelli della gloria di cui, con tutti i Santi, gode l’Assunta in Paradiso in un tripudio di carità e di gioia.

A questo punto veniamo a noi. Come dicevamo, i fatti della storia sacra sono lezioni. Se stiamo in piedi per grazia di Dio, perché il Signore ci ha risollevati, badiamo di non cadere, cioè facciamo in modo che non capiti anche a noi ciò che è successo all’antico Israele: non decadiamo da questo stato benedetto e privilegiato in cui il Signore ci ha collocati per pura benevolenza. Prima di tutto dobbiamo vivere in una gratitudine continua, ringraziare ininterrottamente il Signore per la dignità di cristiani che ci ha dato nel Battesimo: è la dignità di figli di Dio, creature partecipi della Sua vita; poi, evidentemente, dobbiamo conformare la nostra esistenza a ciò che siamo.

A questo scopo, bisogna non soltanto respingere le tentazioni più grossolane con cui il diavolo fa leva sui nostri bisogni primari, ma soprattutto imparare a non mormorare, a non lamentarci di ciò che la Provvidenza dispone per noi, poiché tutto, perfino le prove, ha un fine positivo. Dio ci mette alla prova per affinare la nostra fedeltà a Lui, per rafforzare il nostro attaccamento, per farci progredire nell’unione con la Santissima Trinità. Tutto ciò che Dio dispone o permette è dunque per il nostro bene; il cristiano, di conseguenza, accoglie con serenità e gratitudine tutte le evenienze, sapendo che sono tutti mezzi disposti da Dio per il suo progresso. In questo modo la nostra anima e il nostro corpo saranno un tempio. Noi già lo siamo in virtù del Battesimo, perché lo Spirito Santo abita in noi, ma bisogna che tutte le espressioni del nostro essere manifestino la presenza di Dio in noi.

Quando il Signore purificò il Tempio di Gerusalemme dai venditori, citò i Profeti quando Dio dice: «La mia casa è casa di preghiera; voi, invece, ne avete fatto una spelonca di briganti» (Lc 19, 46; cf. Is 56, 7; Ger 7, 11). Ogni volta che nella nostra anima prevalgono i pensieri cattivi, i sentimenti negativi, le deliberazioni contrarie alla Legge di Dio, essa diventa una spelonca di briganti, un riparo dei demoni. Facciamo allora in modo che essa sia davvero un tempio, che sia una casa di preghiera dove Dio è adorato giorno e notte, dove almeno nell’intimo sale a Lui una lode incessante. Così diverremo sempre più capaci di riconoscere i momenti in cui il Signore ci visita con un’ispirazione intellettuale o con una mozione dello Spirito Santo.

Non possiamo evidentemente pregare sempre in modo espresso anche con la mente, poiché, se siamo occupati in qualche cosa, non possiamo formulare una preghiera esplicita. Tuttavia il movimento del cuore, l’aspirazione dell’anima alla vita eterna e al godimento di Dio non deve mai cessare: al contrario, deve essere sempre presente e alimentare ogni nostro sforzo indirizzandolo verso il suo fine ultimo, in modo che ogni azione acquisti un senso soprannaturale: non rimanga semplicemente un fatto terreno, ma diventi un gradino per avvicinarci al Cielo.


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