Fatti portare sulle spalle di Dio
Et reddidit
iustis mercedem laborum suorum, et deduxit illos in via mirabili, et fuit illis
in velamento diei, et in luce stellarum per noctem (La Sapienza rese ai giusti la ricompensa delle loro fatiche e li
accompagnò in una via meravigliosa; fu per loro protezione di giorno e luce di
stelle di notte; Sal 54, 17).
Il cristiano, in tempo di prova, non può fare a meno degli aiuti
speciali che la Provvidenza accorda ai giusti, cioè a coloro che in ogni
circostanza cercano esclusivamente di comprendere e adempiere la volontà di
Dio. Certo della ricompensa che, a suo tempo, gli sarà resa per ogni singolo
merito acquisito con la sua perseverante obbedienza, forte delle consolazioni
che il Signore già gli concede nel vivo della lotta, umilmente fiero delle
sofferenze sopportate per rimanergli fedele, egli si lascia guidare sulla
mirabile via che la divina Sapienza traccia per lui, come un bambino con la
mano in quella del padre o, a volte, saldamente seduto sulle sue spalle. Nella
soddisfazione trionfante e piena di sicurezza che coglie nel suo sguardo,
l’anima riconosce allora un’immagine del suo stato interiore e ne gioisce
intimamente, colma di gratitudine e d’amore per Colui che la degna di tanta
sollecitudine, coprendola d’una nube refrigerante per proteggerla dagli ardori
del giorno e rischiarandone la notte con l’incanto d’un cielo stellato. Le
dolcezze che lo Sposo momentaneamente le riserva nei travagli di una purificazione
passiva sono tali da farli quasi rimpiangere, una volta cessati.
Come lasciarsi scuotere o agitare dalle vicissitudini esterne,
quando si è profondamente uniti a un tale Amante? Come sacrificare il gaudio
inattaccabile di quest’intimità alle volgari passioni di un’epoca ormai
tramontata, quando lo sdegno per i peccati altrui, pur in sé giustificato,
distoglieva l’io dalla propria emendazione e ne nutriva l’orgoglio, anziché
ricondurlo all’umile esame dei propri errori? Come cedere ancora ai vani
raggiri del nemico sconfitto, che sotto apparenza di bene istiga il cuore
all’insubordinazione per i motivi più sacri, giocando così la sua ultima carta
per precipitare l’anima nel baratro della perdizione? Sarebbe pura follia. Se
però questo è il pericolo che ancora corre chi, per grazia, è stato elevato a
un alto grado della vita mistica, figuriamoci che cosa rischia chi rimane avvinto
alla volontà propria, mediante la quale il demonio lo acceca progressivamente
convincendolo della santità delle sue ragioni, quand’anche siano palesemente
contrarie alla volontà significata di Dio. Il Signore non si contraddice mai;
perciò non può ispirare a qualcuno un comportamento che violi gravemente
l’ordinamento da Lui stabilito.
Per scongiurare quest’esiziale deriva, occorre informare l’intera
esistenza a quei comportamenti che consentono di acquisire la forma mentis
dell’uomo di Dio, secondo quanto domandato da una mirabile orazione liturgica: Largire nobis, quaesumus, Domine, semper
spiritum cogitandi quae recta sunt, propitius et agendi: ut, qui sine te esse
non possumus, secundum te vivere valeamus
(Concedici sempre, ti preghiamo, Signore, la disposizione di pensare ciò che è
retto e, nella tua benevolenza, anche di compierlo, affinché noi, che senza di
te non possiamo sussistere, siamo in grado di vivere come a te piace). Il
credente cui la Chiesa dà voce, ispirandone la preghiera, è ben consapevole che
il suo stesso essere dipende radicalmente dal Creatore; di conseguenza, in
perfetta coerenza logica, desidera condursi in ogni cosa in modo a Lui gradito.
A tal fine chiede anzitutto la grazia necessaria per ordinare rettamente il
pensiero, così da poter dirigere l’azione secondo il Suo volere, sapendo che
non basta aver tutto chiaro nella testa, ma che le conoscenze della fede vanno
poi applicate nel concreto dell’esistenza fino a renderla cristiforme.
La posta in gioco è così alta che la Chiesa, al sopraggiungere
delle tenebre, invoca lo Sposo fra le lacrime affinché non permetta che «l’anima,
oppressa dal peccato, rimanga esclusa dal dono della vita, mentre non pensa
nulla di eterno e si impiglia nelle colpe» (Breviario Romano, Inno dei
Vespri della Domenica). Quanta antica saggezza in queste essenziali parole,
così efficaci nella loro lapidaria pregnanza! A poco a poco, senza avvedersene,
ci si può lasciar andare per la china – anche nel trattare le cose di Dio! – di
una considerazione puramente terrena e per niente soprannaturale di problemi e
sfide contingenti, perdendo di vista l’orizzonte dell’eternità, che pure è
sempre all’opera nel tempo mediante la Provvidenza. Così ci si affida a
soluzioni umane immediate che non corrispondono affatto al volere divino,
malgrado le ragioni teologiche accampate, ineccepibili solo in apparenza. Si
asserisce, per esempio, che la regolarità canonica, essendo soltanto un mezzo,
può in certi casi esser posposta alla salvezza dell’anima, che ne rappresenta
il fine, senza accorgersi che il fine non può esser raggiunto senza i mezzi
necessari e che tale alternativa non è affatto inevitabile.
Audiam quid
loquatur in me Dominus Deus (Ascolterò che cosa dice in me il Signore Dio; Sal 84, 9): chi si è
abituato a riconoscere e obbedire alla voce divina nell’intimità di un dialogo
costante e amoroso riceve indicazioni sul da farsi con mirabile puntualità,
anche quando gli par di trovarsi in una situazione senza via d’uscita.
Piuttosto che arrampicarsi sui vetri con sofismi di un razionalismo troppo
affine a quello dei modernisti, si sforza di tendere l’orecchio ai sussurri
dello Spirito Santo, badando di non mollare la mano del Padre celeste. Il Verbo
lo istruisce interiormente, non per mezzo di giochi intellettuali orditi con
termini ridotti a puri nomi, bensì mediante un’adesione sempre più stretta a
Lui, che gradualmente conforma l’anima a Sé. Ciò presuppone evidentemente una
lunga purificazione del cuore e dello spirito attraverso ripetute e prolungate
notti interiori, una spremitura dolorosa nel torchio della mistica
rigenerazione tesa a separare l’olio della santa unzione dalla morchia dei vizi
e delle passioni, quell’olio che, consacrato l’intelletto, discende poi dal
capo sulla veste di Aronne, impregnando così tutte le membra di fragranza
celeste.
A parte i singoli atti di contemplazione propriamente detta, che
ordinariamente non possono durare se non pochi istanti, l’anima può conseguire
uno stato abituale di contemplazione che determina in essa «il formarsi
quasi di una nuova facoltà interiore attraverso la quale si vedono e si
giudicano tutte le cose. […] Si tratta […] di districare la propria anima dal
ginepraio degli interessi, dei gusti, delle valutazioni puramente terrene e, in
questa libertà riconquistata, di mettersi docilmente sotto il magistero del
dono di scienza, che ci insegnerà a vedere, a gustare, ad amare ogni creatura
nella pura luce di Dio, in una semplicità di spirito che sembrava ricchezza per
sempre perduta, dopo il peccato, e che rifiorisce per un miracolo di carità»
(M. Ildegarde Cabitza osb, Studium orationis,
Rosano 1977, 26-27). Il mezzo principale per ottenere questo risultato è, alla
scuola dei Padri del deserto, la frequente lettura e meditazione della Sacra
Scrittura, che innalza la mente al ricordo delle realtà spirituali, tenendo
fuori dell’anima i cattivi pensieri che la inquinano e accendendo in essa il
desiderio e la speranza della beatitudine futura (cf. ibid., 31).
C’è però un altro motivo, più sostanziale, che ci incoraggia in tal
senso: «Le Scritture contengono la Parola di Dio rivestita di segni, di parole
umane destinate a renderle intelligibili attraverso la forma sensibile; grazie
ad esse noi ci stabiliamo in comunione col Verbo, assimiliamo e facciamo nostri
i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua volontà. Attraverso espressioni e
formule in apparenza uguali per tutti, lo Spirito infonde vita ad ogni parola e
dispone il colloquio intimo in cui l’anima percepisce ineffabili realtà, è
tutta protesa in ascolto, raccolta in questo dialogo che si svolge nelle
profondità del suo essere» (ibid. 31-32). Così l’orante ascolta
realmente – senza pericolo di illusione (purché il suo cuore sia davvero puro e
la sua vita effettivamente ordinata secondo la legge divina) – ciò che il
Signore Dio dice in lui; in tal modo si dispiega in lui un’energia
inesauribile, tale da renderlo capace di sopportare qualunque avversità:
«Coloro che sperano nel Signore rinnovano la forza, mettono ali come d’aquila;
correranno e non si stancheranno, cammineranno e non verranno meno» (Is 40,
31). Ciò garantisce la fede viva che trasfigura l’essere mediante la carità,
non un intellettualismo basato su meri asserti dottrinali incisi su cuori di
pietra.
Caro Padre, Lei e' la nostra gioia, la nostra consolazione; quanta saggezza nelle Sue parole! Grazie per questo "diario dell'anima". Ave Maria!
RispondiEliminaLe domando in quale epoca della bimillenaria storia della Chiesa, la gerarchia ha perseguitato chi vuole andare alla Messa di tradizione apostolica, chi vuole ricevere la comunione in bocca, chi vuole ricevere una formazione autenticamente sacerdotale. Non è una questione di contingenze storiche che qui non c’entra niente, ma bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini e resistere all’aggressore e a chi vuole, non sono in grado di dire quanto consapevolmente, indebolire la fede dei semplici. Se la gerarchia propone mezzi depotenziati come l’imposizione della comunione in mano o impedire di celebrare la messa di tradizione apostolica e io sono pienamente consapevole dell’inadeguatezza dei mezzi, ho non solo il diritto ma il dovere di rigettare quei mezzi quand'anche fossero indicati in documenti del magistero ordinario. Non siamo nella situazione in cui si trovava san Francesco d’Assisi, san Domenico o sant’Ignazio di Loyola. Qui siamo in una situazione mai accaduta ed è inutile mettere toppe vecchie su vestiti vecchi.
RispondiEliminaNon si può parlare della gerarchia come se fosse un monolite perfettamente unanime nel perseguitare i cattolici fedeli; perciò non la si può rigettare in blocco, ma bisogna cercare con pazienza, fiduciosi nell'aiuto della Provvidenza, singoli sacerdoti e vescovi degni a cui rivolgersi.
EliminaAl tempo di S.Ilario contro gli ariani la situazione era molto simile
EliminaCaro padre Elia, secondo lei dopo che Paolo VI ebbe proibito l'uso della messa in latino nel 1969, padre Antonio Coccia ofm di santa memoria che celebrava col messale del 1962 nella chiesa di san Gerolamo alla Carità alla presenza di pochi fedeli tra i quali il cardinale Alfredo Ottaviani ex Prefetto del Sant'Uffizio, faceva bene o faceva male?
RispondiEliminaPaolo VI non aveva facoltà di proibire l'uso del Messale di san Pio V, il quale, nel promulgarlo, asserì in modo inequivocabile quanto segue: "In virtù dell'Autorità Apostolica, Noi concediamo a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente".
EliminaPertanto l'uso di quel Messale è e rimane del tutto lecito.
Un pezzo da rileggere con calma, come si sorseggia una bevanda fresca e sana in tempo di calura estiva. Questi sono, a mio modesto parere, i brani più illuminanti di padre Elia, quando non è preso sulle questioni viccanal-pandemiche. Spero seguano in futuro anche consigli di lettura, magari sui Padri del deserto.
RispondiEliminaCarissimo Don Elia, grazie per questo bellissimo articolo....preciso, puntuale, incisivo come sempre. Soprattutto molto toccanti le parole sulla " spremitura" messa in atto da NS Signore per poter essere in comunione con Lui in modo profondo , vero e duraturo. E anche molto belle le parole dove dice che il Signore nel mezzo della prova consola e dà forza. Io, sono anni che mi trovo nella spremitura e ancora non è finita, sono stata colpita in quello che ho di più caro: mio figlio. Ho capito gli errori che ho fatto, ho capito che ho mancato e manco di umiltà. Ma ancora non ho capito come agire in certe situazioni che sono diaboliche, come essere umili nelle situazioni, vista la malvagità che mi ritrovo ad affrontare per difendere mio figlio. Molte volte mi sembra di avere una forza immensa per combattere e cercare di sradicare certe situazioni create ad arte e in modo compatto da certe persone che sembrano demoni incarnati, però poi divento piena di ira e di rabbia perché non riesco a scardinare certe situazioni, anzi mi si ritorcono contro. Non so che fare! L'unica preghiera che mi dà pace è quando dico "Sia fatta la tua Volontà, Signore. Solo allora trovo pace , nonostante l'angoscia e l'amarezza. Sono stremata da questa grande prova e non riesco a comprenderne il motivo....vorrei capire cosa vuole da me il Signore provando così profondamente. Per favore preghi per me, perché è molto dura. Spero che lo Spirito Santo la ispiri per potermi illuminare. Grazie.
RispondiEliminaPer aiutarti non posso risponderti qui, ma è meglio che tu mi scriva in privato: parrocchiavirtuale.slmgm@gmail.com
EliminaIntanto ti assicuro il ricordo nella preghiera e ti benedico.
RispondiEliminaradicatinellafede rnf
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IX Domenica dopo Pentecoste in rito tradizionale a Vocogno in Val Vigezzo (VB).
Omelia di don Alberto Secci: Abbiamo dimenticato il pianto del Signore.
Domenica 7 Agosto 2022
https://www.youtube.com/watch?v=1nC3uqNwqyE&t=16s
Wednesday 10th August 2022: St. Lawrence
RispondiEliminaSacred Heart Church - Limerick - ICKSP
https://www.youtube.com/watch?v=SY59QSp9oZ8
Carissimo Don Elìa, il Suo invito e' arrivato fino a Limerick tanto che
al termine della Messa, dopo le preghiere Leonine, si e' invocato e terminato con le litanìe a S.Giuseppe..
Dio vi benedica tutti.Ave Maria!
Benedetto XVI Non conformatevi al mondo
RispondiEliminahttps://gloria.tv/post/wS2BdWgSuWoN1gESqcd7S8oSy
In linea con l' argomento trattato.
Santa Filomena, Vergine e Martire, prega per noi!
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