Fatevi santi! / 2
Viam
iustificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis (Sal 118, 27).
«Insegnami la via dei tuoi precetti e mi applicherò alle tue
meraviglie». Una reale ed effettiva santificazione personale presuppone
necessariamente la pratica dei Comandamenti, prima di dare accesso alle
manifestazioni straordinarie di Dio. Negli ultimi decenni, invece, si è diffusa
l’idea che si potesse sostituire la loro osservanza, così come ogni forma di
ascesi e penitenza, con particolari esercizi che avrebbero dovuto assicurare il
raggiungimento di una pretesa perfezione ottenuta rapidamente e con poco sforzo.
Che si trattasse della scrutazione della parola, dei carismi
dello spirito, della ricerca dell’unità, dell’esperienza della comunità,
della santificazione del lavoro o d’altro, pareva che un singolo
elemento della vita cristiana, assurto quasi a entità in sé sussistente, fosse
da solo completo e sufficiente a garantire il pieno successo, mentre tutto il
resto rimaneva di fatto declassato ad accessorio di complemento.
In tal modo l’intera dottrina e sapienza ascetico-mistica
accumulata dalla Chiesa in due millenni è inevitabilmente finita nel
dimenticatoio: la nuova Pentecoste l’ha resa del tutto superflua, a meno
che non sia in parte ricuperata, sebbene in modo puramente nominale oppure in ossequio
a false apparizioni, non certo in continuità con la Tradizione né in conformità
alla propria vera natura e ai propri veri scopi. Lo sforzo di correzione e
miglioramento individuale è stato rimpiazzato dalle attività di gruppo, come se
la salvezza fosse una realtà collettiva di cui si beneficia in virtù della mera
appartenenza ad esso. In questo contesto han pullulato ovunque nuove
comunità in cui l’ascesi viene variamente intesa come congerie di velleitari
propositi o, all’opposto, impegno volontaristico estraneo a una vera
cooperazione con la grazia. Il risultato, di solito, è un ottuso convincimento
di essere a posto, che rende le persone refrattarie a qualsiasi richiamo.
Santità a buon mercato
In una temperie spirituale del genere, non raro è il caso di
fondatori che, in forza di un presunto privilegio, si considerano esonerati
dagli obblighi morali cui sono vincolati i comuni mortali e, di conseguenza,
informano i loro comportamenti a un’asserita libertà evangelica che, in
realtà, copre l’assuefazione all’arbitrio, all’illegalità e all’abuso. Pare che
il chiaro monito paolino non sia stato ben compreso: «Voi foste chiamati a
libertà, fratelli, purché la libertà non si trasformi in occasione per la carne»
(Gal 5, 13). Logorroiche affabulazioni spiritualoidi o solenni documenti zeppi
di titoli pomposi non valgono a nascondere la realtà di un sostanziale nulla
sul piano della vita interiore, il cui spazio è riempito da parole vuote e
luoghi comuni. Il peggio è che tutto questo fa scuola tra giovani e meno
giovani trovando appoggio da parte della gerarchia, la quale, finché non è
costretta ad aprirli dallo scoppio di uno scandalo, tiene serrati entrambi gli
occhi.
Senza toccare qui il problema dei condizionamenti mentali cui
spesso sono sottoposti i seguaci, ridotti a volte in balìa di un esercizio
dell’autorità del tutto arbitrario e irretiti da insegnamenti manipolatori che
possono giungere ad alterarne la coscienza, ci limitiamo a evidenziare come la
conversione non consista in un’esperienza emotiva che instauri un rapporto di
dipendenza, bensì nella decisione di abbandonare effettivamente il peccato e di
impegnarsi a osservare la legge di Dio nella condotta concreta. Questo è il
punto di partenza di ogni percorso autenticamente cristiano; senza iniziare da
qui, non si va da nessuna parte, ma ci si perde nelle illusioni. Sicuramente è
solo con l’aiuto della grazia che tale decisione può essere presa e applicata;
nondimeno il Signore, che non nega mai la grazia a chi sia ben disposto, la
vuole in quanto parte integrante della necessaria cooperazione umana. Essa,
inoltre, è solo l’inizio di un processo di graduale purificazione e
santificazione, non certo un punto di arrivo.
La commedia degli equivoci
Il credersi già arrivati in virtù dell’accettazione nel gruppo comporta
un altro grave equivoco: quello di scambiare la perfezione con l’ordinaria vita
cristiana, intesa oltretutto in modo riduttivo come una sorta di patteggiamento
col peccato o di compromesso permanente, uno stato di tiepidezza e ipocrisia
ammantato di nobili discorsi infarciti di concetti astratti e tendenti a
legittimare il peccato: accoglienza, fraternità, inclusione, solidarietà,
condivisione… Un errore analogo è quello con cui si presenta la perfezione come
qualcosa di normale, alla portata di chiunque: le disposizioni e i fenomeni che
la caratterizzano sembrano immediatamente accessibili a tutti, senza alcuno
sforzo umano né speciale intervento della grazia. Il nominalismo protestante
impera ormai senza pudore e senza remore: l’importante è convincersi di essere
giusti grazie alle opinioni, alle parole e, per dare almeno una parvenza di
concretezza, a un po’ di volontariato privo di ogni soprannaturalità.
Contro questa deriva luterana, che conduce nel vicolo cieco di
un’impossibile autosalvazione, risuona possente la divina parola. Chi si è
sinceramente convertito ricerca ardentemente una guida sicura per la propria
condotta; sapendo che Dio solo può offrirgliela, ne medita e scruta i precetti,
la cui osservanza è capace di renderlo effettivamente giusto per effetto della
grazia divina. Dato però che la grazia, lungi dal sopprimerlo o soppiantarlo,
si inserisce nell’agire umano per elevarlo al piano soprannaturale, è
indispensabile che l’uomo faccia qualcosa, ovviamente in sintonia con la
volontà di Colui che gliela dona, non in contrasto. È assurdo che Dio, suprema
verità, consideri giusto chi persevera nel peccato senza volersi emendare, abusando
della Sua misericordia nonché disonorandolo di fronte a quanti vedono vivere in
tal modo uno che si fregia del nome di cristiano. Una religiosità costruita su
questa stridente contraddizione è un’insopportabile farsa.
Quale evangelizzazione?
Ora, che cosa si intende, oggi, quando si parla di evangelizzazione?
Si tratta forse di convincere chi è lontano dalla fede e dalla pratica
religiosa a partecipare a questa finzione? di spingerlo a questa illusoria
conversione a buon prezzo? di coinvolgerlo in un itinerario di apparente
progresso spirituale? Ci sono purtroppo molte persone pronte ad accogliere
simili proposte, che danno loro l’impressione di un grande cambiamento
lasciandole esattamente come sono: è così facile e allettante! Poiché però, pur
essendo possibile ingannare sé stessi e gli altri, è impossibile frodare Colui
che tutto vede, si rivela necessario costruirsene un’immagine a proprio uso e
consumo, un vitello d’oro da adorare come autore della liberazione da un
Egitto nel quale, in realtà, si è rimasti sia col cuore che con la condotta; in
altre parole, ci si foggia un idolo che legittimi la contraddizione e nasconda
l’apostasia dietro la cortina fumogena di un culto artificiale, elaborato dall’uomo
e non prescritto, com’è logico, da Colui che lo esige.
Quando, per pura grazia, si fa ritorno all’autentico rito, si
prende piena coscienza della vera portata dell’insegnamento dei mistici: si
capisce bene cosa sia l’odio del peccato, che essi inculcano come preliminare
di ogni ascesa, e in che consista il sincero amore di Dio, il quale va
dimostrato con i fatti. Il cuore si sente allora sopraffatto dal bisogno di
ricambiare in modo effettivo la Sua impagabile misericordia e brama di dare
sfogo alla fiamma di carità che lo tormenta. In quest’operosa tensione, dopo
essersi lasciato adeguatamente istruire e purificare in successivi passaggi,
esso può finalmente applicarsi alle meraviglie del Signore nell’esercizio delle
virtù, che il divampare dell’amore spinge fino all’eroismo. Ecco: questo è ciò
che ci insegna la tanto celebrata Parola, se letta nell’alveo della
Tradizione che l’ha custodita e ce l’ha consegnata, piuttosto che secondo i
vaniloqui dei moderni spiritualisti; questo è ciò che può farci realmente
santi. Solo così Cristo non è relegato all’ultimo posto col pretesto di servire
il prossimo, come mero puntello di un’ideologia pseudoreligiosa; solo così la
verità che salva si realizza nella coscienza e nella vita.
I comandamenti di Dio esprimono la Sua volontà.
RispondiEliminaNon è che l'uomo sia per i comandamenti, ma viceversa.
Sono infatti quelli a difendere noi.
Ogni fede, quella cristiana più di tutte, consiste di una pratica.
Non è un intellettualismo (di ciò che si pensa o si sa) o un sentimentalismo (se, come e quando me la sento), ma una pratica quotidiana di un orientamento preciso ed esigente (fino alla croce) che non comporta una servitù, ma uno stare in casa da figli.
Anche Gesù dice bene queste cose: chi mi ama osserva i miei comandamenti, essendo Lui venuto a non modificarne uno iota.
Caso mai è sbagliato chi dei comandamenti fa motivo di orgoglio e giudizio, perchè vivere con Dio dovrebbe suggerire l'umiltà.
I comandamenti sono dieci, tre rivolti principalmente a Dio e sette più rivolti alla realtà creaturale. Ognuno di essi, se trascurato, ape una falla nell'anima e di lì entrano i pensieri cattivi. Guai allora a concentrarsi solo su quelli che sembrano più facili o a trascurare quelli che al giorno d'oggi sembrano maggiormente inattuali.
Bisogna pregare che il Signore ci dia la Sua grazia, sapendoci peccatori anche quando giusti. Allora tenderemo alla santità e lo Spirito di Dio, invocato all'inizio di ogni impresa e cammino, ne condurrà lo sviluppo portandolo a compimento attraverso le prove che si renderanno necessarie, ma non troveranno brancolanti nel buio, perchè vedremo la Sua luce.
Credo non ci sia spiegazione più realista che metta in luce tutta la devianza compiuta nella cosidetta nuova pentecoste dei movimenti ecclesiali. Parlo per esperienza vissuta ,è proprio così padre Elia fino a che un imprevisto di Grazia mi ha aperto gli occhi sulla vera Tradizione della Chiesa e della Sana Dottrina che mi ha strappato dalla presunzione di essere già a posto
RispondiEliminaCredo che non ci si può ritenere mai a posto, le tentazioni ci seguono ed inseguono ogni giorno. Con l'aiuto della preghiera e con umiltà si tendono le mani, lo sguardo, i pensieri .....l'anima a Dio....con amore!
RispondiEliminaLa Santa Comunione non sia mai sacrilega, tiepida o irriverente
RispondiEliminaDon Leonardo Maria Pompei
Omelia Solennità del Corpus Domini, domenica 11 Giugno 2023, santa Messa ore 8:30
https://www.youtube.com/watch?v=Zc2HXGUVofM
Alla cortese attenzione di Don Elìa e dei fedeli tutti.
Molto interessante , Don Leonardo (Ex Avvocato) spiega perfettamente a noi fedeli la distinzione tra "diritto" e " facolta' concessa dalla Sede Apostolica". Noi fedeli potremo giovarcene nel caso dovessimo trovarci ad aver negata la Santissima Eucaristia così come e' "diritto" riceverLa degnamente...
Grazie di cuore per la cortese attenzione.
Carissimo Don Elia, i suoi articoli sono sempre brillanti , pieni di spunti di meditazione e di verità. Se ci esaminiamo alla luce di Dio e della legge divina , direi che sia molto ben lontani dalla santità. Per quanto mi riguarda sono molto sofferente per questa mia mancanza. Mi spiego meglio: per intraprendere la via della santità bisogna osservare la legge divina , amare il prossimo, soprattutto i nemici e chiedersi in ogni azione e scelta che facciamo qual è la volontà di Dio. Ebbene, sono un po di anni che mi sono resa conto di non essere una buona cristiana, dei miei limiti e fino a che punto posso sopportare il male che è stato fatto a mio figlio, a me e alla mia famiglia di origine. Molte volte per difendere, soprattutto mio figlio dalla cattiveria delle persone, ho agito per dare loro una lezione e anziché farli calmare e risolvere la questione, mi si è ritorto contro sotto un certo aspetto perché ho dovuto togliere mio figlio dalla realtà in cui si trovava, mentre per un altro verso devo dire che adesso mio figlio ha un po migliorato la situazione cambiando contesto e persone. Ho provato e sto provando con ogni sforzo, proprio per adempiere alla volontà divina di pregare per I nostri nemici. Devo dire che alcune volte sembra che si inacidiscano di più, anziché calmarsi. Anzi, quando invoco lo Spirito Santo per alcune persone, mi sento così male e loro comunque non cambiano atteggiamento. In altri casi, invece, mi capita che se assumo una posizione e faccio sentire la mia voce, allora un po le persone ridimensionano l'atteggiamento. Con questo, non voglio assolutamente dire che non bisogna pregare o che io faccia meglio dello Spirito Santo. È solo che non capisco.....talvolta sembra che quando uno ce4ca di essere umile, paziente, di cercare di risolverebbe le cose con calma, è sempre peggio. Quando invece, arrivo ad un certo punto che non ne posso più e agisco allora forse go un po di calma. La prego mi aiuti a capire perché molte volte mi sento spinta ad agire con veemenza per risolvere le cose. Quindi vorrei capire se è una cosa buona , o è frutto del mio egoismo, e quindi come essere santi in quelle situazioni snervante che veramente ci mettono a durissima prova. Grazie. Mi scusi per il lungo commento ma sono in profonda crisi. Vorrei capire meglio. Grazie
RispondiEliminaNon c'è conflitto tra la preghiera e l'azione: anche agire per difendere le persone di cui si è responsabili è volontà di Dio; l'importante è farlo non perché spinti dalle passioni umane, ma per adempiere il proprio dovere, nei modi suggeriti dalla coscienza illuminata dallo Spirito Santo. Per questo è importante pregare e mantenere puro il cuore dai sentimenti di vendetta, sapendo che chi si comporta male accumula su di sé i castighi del Cielo e dovrà rendere strettissimo conto delle proprie azioni.
EliminaGrazie mille per la sua risposta
Elimina