Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)


Priorità assoluta

 

 

Riprendiamo da un pregevole sito.


Questo intervento si riferisce in prima istanza alla situazione presente della Chiesa, ma intende andare al cuore della vita cristiana. Il vero cristiano ha bisogno di una cosa soltanto: ha bisogno della preghiera (1); ne ha bisogno come dell’aria che respira. Il vero cristiano trova la propria delizia solo nella parola dell’Amato. A tal fine si impone una scelta perentoria: la scelta tra la voce di Cristo e le voci del mondo. Questo pensiero non nasce da una visione intimistica e solipsistica della vita cristiana, bensì dalle acquisizioni della tradizione spirituale più antica, le quali, nel corso dei secoli, sono state ulteriormente confermate e approfondite, ma mai smentite.

Un’impellente necessità

La prima urgenza, per ogni cristiano, è quella di rientrare in se stesso, come fece Sant’Agostino quando, sollecitato dalla grazia, si ritirò nella propria interiorità e lì trovò il Signore. Tutta la sua lunga e tormentata ricerca alla fine sfociò in un’esperienza straordinaria: scoprì la presenza di Gesù come di una Persona viva che lo interpellava e che voleva venire ad abitare nel suo cuore. Chi vive in questa dimensione non ha più nulla da temere e non si preoccupa nemmeno di sapere se il Papa è buono o cattivo, oppure se la persona che ricopre questo incarico è adeguata o inadeguata. Chi vive in questa dimensione sa di avere un baricentro che nessuno potrà mai togliergli e che non potrà mai perdere, se non per propria colpa.

Ovviamente è necessario che il cristiano lavori su se stesso per arrivare a vivere costantemente alla presenza di Cristo, nell’intimità con Lui. È necessario un lavoro di purificazione del cuore e, a cascata, di tutto ciò che esce dal cuore: pensieri, sentimenti, parole e azioni. Questo lavoro, per quanto penoso, porta l’anima ad uno stato di purezza che la trasforma profondamente, rendendola permeabile alla grazia e trasparente alla luce di Dio. Tale stato di purezza conduce poi l’anima alla quiete, ossia ad uno stato di santa indifferenza rispetto alle situazioni contingenti. Non è, questa, un’espressione di egoismo, bensì la condizione di chi si è collocato al di sopra delle vicissitudini del mondo, poiché il suo cuore – come dice la colletta della IV Domenica dopo Pasqua – è fisso là dove sono le vere gioie.

La quiete è uno stato ampiamente descritto dai Padri del deserto come uno stato non solo di assenza di turbamento, ma anche di presenza a Dio. Questa presenza a Dio spinge ulteriormente l’anima a umiliarsi, a riconoscere il proprio nulla, a piangere i propri peccati; paradossalmente, però, più l’anima si umilia, più la grazia la riempie. È così che l’anima diventa abitacolo di Dio; secondo il termine usato nella tradizione antica, si deifica, ossia si assimila al suo Creatore. È possibile percepire sensibilmente questa presenza di Dio nel cuore, anche se non a tutti, e non sempre, è concesso. Questa esperienza, tuttavia, ci garantisce che si tratta di qualcosa di reale, non di una teoria né di una fantasia. L’anima in stato di grazia che è arrivata ad essere dimora di Dio è continuamente sostenuta dalla Sua presenza, dalla Sua grazia, dalla Sua misericordia; è continuamente guidata dalla Sua luce, dalla Sua verità, dalla Sua sapienza; è continuamente rafforzata dalla grazia santificante e da abbondanti grazie attuali.

L’anima nella Chiesa

Quest’anima, in qualunque situazione si trovi concretamente nella vita, è comunque serena e, al tempo stesso, è piena di compassione per i suoi simili che non godono di questo stato privilegiato, desiderando che anch’essi lo scoprano. Per questo si adopera ad aiutare gli altri ad avvicinarsi a Dio, a purificare il cuore, a raggiungere la quiete, a umiliarsi e a diventare abitacolo di Dio. È certamente importante avere buoni Pastori ma, se non ne abbiamo, ciò non ci può assolutamente impedire di operare in questo senso per raggiungere quella condizione.

Anche qui dobbiamo sottolineare – come già abbiamo fatto rispetto a una visione intimistica del Cristianesimo, che non è la nostra – che non proponiamo un Cristianesimo senza gerarchia, senza mediazioni ecclesiali, senza riferimento a coloro che hanno il compito di guidare gli altri. No, non intendiamo questo; vogliamo bensì rendere evidente che l’assenza o scarsità di buoni Pastori non può impedire a un’anima ben decisa a seguire il Signore di crescere nell’unione con Lui. La mediazione è sicuramente importante: i Pastori, con a capo il Papa, hanno il compito di confermarci nella fede, di orientare le nostre scelte secondo la verità di Cristo, di farci crescere nella santità. Se però, nella situazione contingente in cui ci troviamo, questo non è fatto o è fatto troppo poco, abbiamo comunque un patrimonio inestimabile a cui attingere: c’è una storia di venti secoli; ci sono innumerevoli Santi, fra cui papi, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose; c’è un patrimonio immenso a cui attingere: dobbiamo pertanto avere questa cattolicità spirituale che allarga il nostro sguardo a tutto il deposito che ci è stato consegnato, senza fermarci al momento presente né fissare lo sguardo sulla situazione contingente.

Troppi cattolici fanno del Papa un idolo, come se la loro vita cristiana fosse fondata su di lui anziché su Cristo. Senza nulla togliere all’importanza del Papa, non dimentichiamo che egli è soltanto il Vicario di Cristo. La sua mediazione è necessaria, ma la mediazione non è il fine: la mediazione è un mezzo. Il fine rimane Gesù Cristo, il quale è Mediatore tra Dio e noi nella Sua santa umanità. Anche la Sua umanità è strumento, è via da percorrere; il punto d’arrivo è la nostra unione con Cristo Dio e uomo, ovvero la riproduzione della vita di Cristo in noi: vita di Cristo che è anzitutto divina ma pure umana; è stata una vita umana perché la vita divina potesse essere comunicata a noi uomini. La mediazione è un mezzo; il fine a cui dobbiamo arrivare è al di là della mediazione: perciò non dobbiamo fissare lo sguardo su chi media per noi ma, attraverso di lui, arrivare a Colui che è rappresentato.

Sguardo realistico

Ora, per evitare di farci suggestionare da speranze poco realistiche di un papa santo, di una nuova fioritura, di una restaurazione generale della Chiesa – cose tutte che è certamente lecito sperare e buono desiderare, ma che in questo momento storico sono poco plausibili –, per evitare appunto di suggestionarci, perdendo così il contatto con la realtà, dobbiamo considerare la situazione attuale in modo spassionato. Da dove dovrebbe spuntare un papa santo? Qual è la condizione del clero di oggi? Sono ormai sessant’anni che la Chiesa sperimenta una profonda trasformazione che coinvolge tutti i suoi aspetti. Si tratta certamente degli aspetti esterni della Chiesa militante, cioè di quella parte della Chiesa che cammina nel mondo presente verso il mondo futuro; questi aspetti esterni sono stati però tutti modificati: non ne è stato lasciato indenne neppure uno. In questa situazione, dunque, dobbiamo prendere atto che ormai da due generazioni i sacerdoti non sono più formati come andrebbero formati.

Due generazioni sono un lasso di tempo notevole, comunque un lasso di tempo sufficiente perché si perda anche la memoria di ciò che si faceva prima. Come può essere descritto il clero attuale in generale, salvo, grazie a Dio, lodevoli eccezioni? In generale si può affermare che il clero di oggi è, per così dire, un prodotto di sintesi: è il risultato di un esperimento di laboratorio. I seminari e le facoltà teologiche sono stati completamente ripensati, ristrutturati e trasformati in modo tale da ottenere questo prodotto, che non è naturale: non è il Sacerdozio della Nuova Alleanza così come Gesù Cristo lo ha istituito nell’Ultima Cena, così come è stato trasmesso dagli Apostoli ai loro successori, così come si è conservato per quasi duemila anni; questo clero ha un modo di pensare, di parlare e di vivere che ha ben poco a che vedere con quelli del clero di un tempo.

Lo ripetiamo: è un discorso generale che non si applica allo stesso modo e nella stessa misura ad ogni singolo sacerdote, dato che la grazia opera sempre in chi ha una coscienza retta; lo spettacolo comune porta però a pensare questo: è una costatazione. Ora, questa situazione del clero, cioè della categoria di persone che ha la responsabilità più importante all’interno della Chiesa, va collocata all’interno di un processo globale che ha trasformato profondamente tutta la religione cattolica. Si tratta di un processo di rilettura antropocentrica: si è deliberatamente voluto spostare il baricentro da Dio all’uomo. È ovvio che questa impostazione antropocentrica comporta inevitabilmente una volontaria falsificazione della religione cattolica: essa ha infatti comportato una serie di rifiuti, consapevoli negli artefici di questa rivoluzione, inconsapevoli negli altri, che hanno subìto una vera e propria manipolazione mentale sistematica.

Un molteplice rifiuto

1) Anzitutto è il rifiuto di Gesù Cristo come Dio fatto uomo: Gesù è oggi considerato e presentato come mero uomo, certamente affascinante portatore di un messaggio straordinario, ma semplice uomo. Questa è ormai la percezione comune che anche tanti cattolici hanno della persona di Cristo, con l’oblio della Sua funzione di unico Salvatore e la presunzione che tutte le religioni siano vie di salvezza.

2) Secondo rifiuto: quello della Sacra Scrittura come norma normans, cioè come regola che deve regolare tutto il resto, senza essere normata da nient’altro. La Sacra Scrittura è stata demolita con l’esegesi storico-critica; in poche parole, è stata trasformata in un prodotto culturale dell’antichità e, di conseguenza, trattata come un’opera meramente letteraria, non più come Parola di Dio, come testo ispirato dallo Spirito Santo: come testo, quindi, che ha Dio per autore principale, il quale si è servito degli autori umani facendo sì che scrivessero tutto e soltanto ciò che voleva Lui. La Scrittura è stata completamente relativizzata.

3) Terzo: il rifiuto della Sacra Tradizione come fonte e canale della Rivelazione. La Tradizione è la trasmissione del deposito affidato da Gesù agli Apostoli, deposito che riguarda l’insegnamento, il culto e il governo della Chiesa. La Tradizione è canale della Rivelazione e la Scrittura è nata nel suo alveo: l’insegnamento degli Apostoli ha prodotto i testi scritti del Nuovo Testamento, ma esso viene prima e contiene l’attività scritta. La Sacra Tradizione è stata completamente annientata; il cattolico comune non sa nemmeno cosa sia. Se gli si chiede cos’è la Parola di Dio, risponderà da buon protestante: «La Bibbia».

4) Quarto: il rifiuto del Magistero come fonte vincolante per la fede e per la morale. Il Magistero è il compito che chi ha l’autorità nella Chiesa svolge per interpretare la Scrittura e la Tradizione applicandole alle situazioni attuali. Il Magistero è la fonte prossima della nostra fede, mentre la Scrittura e la Tradizione sono fonti remote, in quanto noi non possiamo sapere direttamente che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo fare, dato che non siamo noi a interpretare la Scrittura e la Tradizione, ma dobbiamo ricorrere al Magistero, che è appunto la fonte prossima. È il Magistero del Papa e dei Vescovi che sono in comunione con lui che ci spiega che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo fare. Anche il Magistero, tuttavia, è caduto praticamente in disuso in quanto insegnamento vincolante, rimanendo come espressione di opinioni: a seconda del Papa e delle sue idee, il Magistero cambia. Questo evidentemente è assurdo, perché il Magistero è un servizio alla verità di Cristo, non uno spazio in cui esprimere opinioni personali; eppure nella percezione della maggioranza dei cattolici (non parliamo poi dei non-cattolici) il Magistero è ormai una manifestazione di pensieri che il Papa o i Vescovi hanno su determinati argomenti e la stampa, di conseguenza, presenta le varie espressioni del Magistero come una posizione tra le altre.

5) Quinto: se si rifiuta Gesù Cristo come Dio fatto uomo, la Sacra Scrittura come norma normans, la Sacra Tradizione come canale della Rivelazione, il Magistero come fonte vincolante per la fede e la morale, inevitabilmente si rifiuta la Chiesa stessa come società perfetta. La Chiesa ormai è percepita come una grande organizzazione mondiale con scopi sostanzialmente umanitari. Non è più la società perfetta che trasmette la verità assoluta (assoluta perché rivelata dal Verbo fatto uomo); non è più la società perfetta che consta di tutti i mezzi di santificazione necessari per conseguire la salvezza (la salvezza eterna, non una salvezza terrena). Per quanto gli uomini possano vincere la fame o evitare le guerre o raggiungere il benessere, devono pur sempre morire e presentarsi al Giudizio, il quale che ha due possibili esiti: o l’Inferno o il Paradiso. La vera salvezza è dunque quella eterna; solo la Chiesa la porta nel mondo: al di fuori della Chiesa – è dogma di fede – non c’è salvezza. Questo non significa, ovviamente, che tutti coloro che senza loro colpa ignorano Cristo e la Chiesa si dannino; significa che chi deliberatamente si pone fuori della Chiesa non può sperare in un’altra salvezza.

6) Sesto rifiuto: è quello della liturgia come culto reso a Dio, come culto che Gli è dovuto. La liturgia è diventata una riunione fraterna, un’occasione di mettersi in mostra, uno spettacolo in cui dimostrare le proprie abilità, reali o presunte; a Dio non si pensa più. Il più delle volte le liturgie parrocchiali sono, come già diceva Benedetto XVI, una forma di autocelebrazione; in quanto tali, però, sono sterili, poiché sono un ripiegarsi dell’uomo su se stesso per godere di se stesso. Per l’anima è la morte, dato che l’uomo, così, distoglie lo sguardo da Colui che è la sua vita, smette di trovare la propria delizia solo nella parola dell’Amato, cessa di accogliere la grazia in quanto riceve i Sacramenti, ma in modo infruttuoso. È perciò indispensabile ritrovare il senso e il valore liturgia come culto reso a Dio, in particolare nella Messa. Bisogna riscoprire i quattro fini del Sacrificio eucaristico, che è il sacrificio della Croce reso di nuovo presente in modo incruento, quattro fini che sono: l’adorazione che spetta Dio; il ringraziamento a Dio per tutti i Suoi doni, sul piano naturale e soprattutto su quello soprannaturale; l’espiazione dei peccati con cui lo abbiamo offeso respingendo la Sua grazia; l’impetrazione delle grazie di cui abbiamo bisogno.

7) Il settimo rifiuto, infine, è quello della santità e della soprannaturalità. Di santità non si parla più se non in termini puramente sociali: la visione della santità è meramente orizzontale; non c’è nulla che faccia pensare alla necessità di purificare il cuore, di esercitare le virtù in grado eroico con l’aiuto della grazia e di assimilarsi a Cristo. È una santità, per così dire, laica, fondata su apparenti valori che sono idee, con le quali, tutt’al più, si motiva un impegno puramente orizzontale. Con simili premesse, è inevitabile che si perda la nozione stessa di soprannaturalità e di trascendenza. Oggi la maggior parte delle persone, compresi i cattolici, non riesce più nemmeno a pensare una realtà che superi il mondo visibile, che sia al di là e al di sopra di ciò che si vede e si tocca. In questo contesto, evidentemente, il Cristianesimo perde ogni significato.

Il catalizzatore liturgico

In questo processo ha giocato un ruolo fondamentale la cosiddetta riforma liturgica, la quale, in realtà, è stata un rifacimento totale del culto cattolico, che andava adeguato alla nuova visione, doveva perdere ogni connotato soprannaturale, smettere di rimandare alla trascendenza e ripiegarsi sulla terra, sull’uomo, sul suo benessere psicofisico. Se si tocca il culto, però, si tocca l’essenza stessa della religione: così la religione cattolica non è più un deposito, ossia un insieme di verità e di prassi che formano un tutto coerente e indivisibile; essa non è più un deposito consegnato dagli Apostoli ai loro successori, un tesoro da custodire gelosamente e da trasmettere inalterato. La religione cattolica è invece diventata il campo a) delle libere interpretazioni, b) delle libere sperimentazioni, c) delle libere evoluzioni.

a) Tutto è stato reinterpretato. Oggi la parola magica è ermeneutica: non si può credere una verità del Catechismo così come è formulata, ma bisogna farne l’analisi ermeneutica, cioè far dire alle fonti qualcosa di diverso da ciò che dicono. È chiaro che, in questa maniera, si stravolge la fede fino a dissolverla: se tutto va continuamente reinterpretato, arriviamo ad avere dei predicatori che negano spudoratamente i dogmi fondamentali della fede cattolica senza che nessuno li sanzioni.

b) La religione cattolica è diventata il campo delle libere sperimentazioni: continue novità, continue invenzioni, continue improvvisazioni, non solo nella Messa, ma anche nella catechesi, nella predicazione, nell’impostazione della vita pastorale e così via; bisogna continuamente sperimentare. Forse questo è oggi un po’ meno evidente, ma fino a venti o trent’anni fa pullulavano i nuovi metodi di evangelizzazione, nuovi metodi pastorali, nuovi metodi di predicazione… era una sperimentazione senza sosta.

c) Infine, di conseguenza, la religione cattolica è diventata il campo delle libere evoluzioni. Tutto si evolve perché si è convinti che davanti a noi ci sia sempre qualcosa che non si è ancora realizzato. Finora, pur con duemila anni di storia alle spalle, pur con tutti gli esempi di eccelsa santità che abbiamo avuto, non avremmo ancora raggiunto il vero Cristianesimo né realizzato il Vangelo; la parola Vangelo è diventata una sorta di bandiera con cui propagandare qualunque cosa. Il fatto è che, in realtà, il Signore ci ha dato fin dall’inizio tutto ciò che era necessario; la Chiesa è già fin dall’inizio, fin dal giorno di Pentecoste, ciò che deve essere. Certamente si è sviluppata sotto tanti punti di vista; essa deve santificarsi nei suoi singoli membri, certo, ma non c’è qualcosa d’altro che ancora non abbiamo capito o che ancora non facciamo o che ancora non si sia compiuto.

Auspici per il futuro

Il pontificato precedente è stato il punto estremo di questa parabola. Noi ci auguriamo che, a questo punto, si possa gradatamente tornare a una certa qual “normalità”, senza – ripetiamo – farci illusioni né sognare chissà quali restaurazioni, ma sperando che, almeno, si possa ritrovare un modo vivibile di stare nella Chiesa. Va ribadito ancora una volta che, quand’anche così non avvenisse, nessuno potrà mai impedirci di santificarci, nessuno potrà mai impedirci di diventare dimora di Dio, nessuno potrà mai impedirci di scoprire Cristo vivente nel nostro cuore; perciò non dobbiamo lasciarci scuotere da nessuna evenienza. Tuttavia, per il bene delle anime che rischiano di perdersi, auspichiamo almeno un ritorno a una situazione più sostenibile.

Abbiamo visto che non possiamo sognare una restaurazione immediata, poiché non ci sono i soggetti atti a ripristinare ciò che ormai non conosciamo più, se non attraverso i testi e i documenti. Quello che della Tradizione è rimasto negli istituti tradizionali è sicuramente qualcosa di prezioso, ma c’è un’avvertenza che non dobbiamo trascurare: evitiamo di trasformare quegli ambienti in ghetti dove rifugiarci per sentirci al sicuro. Purtroppo si sente troppo spesso dire, anche da giovani: «Se ho la Messa antica, mi basta; il resto non mi interessa». Questo atteggiamento non è cattolico. Il cattolico vive dentro un Corpo e, quindi, inevitabilmente soffre, se il Corpo soffre. San Paolo, nella Lettera ai Romani, raccomanda: «Gioite con chi gioisce, piangete con chi piange» (cf. Rm 12, 15).

Questo egoismo sopraffino di chi si accontenta di una forma cultuale e non fa nulla per crescere nella carità è una deformazione molto profonda che porta danno alla Tradizione stessa. Cerchiamo allora di allargare lo sguardo, ricordandoci che il rito è, sì, importante, ma non è tutto: anche il rito è un mezzo – e il mezzo mi deve condurre al fine. Se io non cresco nell’unione con Cristo, se non ho bisogno della preghiera come dell’aria che respiro, se non faccio trasparire Gesù nelle mie parole e nelle mie azioni, il rito non mi serve a niente; anzi, la mia condanna è più grave, perché ho un bene che pochi hanno, ma non ne traggo frutto. Che il Signore ci aiuti dunque a camminare con somma fiducia in Lui rientrando costantemente in noi stessi, così da poterci conformare interiormente ed esteriormente a Lui, in modo tale da far risplendere la Sua verità e da cooperare efficacemente alla rinnovazione della Santa Chiesa.

(1) Il termine preghiera, qui, non esclude i Sacramenti, ma li include quali fondamento della vita spirituale.


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