Priorità
assoluta
Riprendiamo da un pregevole sito.
Questo
intervento si riferisce in prima istanza alla situazione presente della Chiesa,
ma intende andare al cuore della vita cristiana. Il vero cristiano ha bisogno di
una cosa soltanto: ha bisogno della preghiera (1); ne ha bisogno come dell’aria
che respira. Il vero cristiano trova la propria delizia solo nella parola
dell’Amato. A tal fine si impone una scelta perentoria: la scelta tra la voce
di Cristo e le voci del mondo. Questo pensiero non nasce da una visione
intimistica e solipsistica della vita cristiana, bensì dalle acquisizioni della
tradizione spirituale più antica, le quali, nel corso dei secoli, sono state
ulteriormente confermate e approfondite, ma mai smentite.
Un’impellente
necessità
La
prima urgenza, per ogni cristiano, è quella di rientrare in se stesso, come
fece Sant’Agostino quando, sollecitato dalla grazia, si ritirò nella propria
interiorità e lì trovò il Signore. Tutta la sua lunga e tormentata ricerca alla
fine sfociò in un’esperienza straordinaria: scoprì la presenza di Gesù come di
una Persona viva che lo interpellava e che voleva venire ad abitare nel suo
cuore. Chi vive in questa dimensione non ha più nulla da temere e non si
preoccupa nemmeno di sapere se il Papa è buono o cattivo, oppure se la persona
che ricopre questo incarico è adeguata o inadeguata. Chi vive in questa
dimensione sa di avere un baricentro che nessuno potrà mai togliergli e che non
potrà mai perdere, se non per propria colpa.
Ovviamente
è necessario che il cristiano lavori su se stesso per arrivare a vivere
costantemente alla presenza di Cristo, nell’intimità con Lui. È necessario un
lavoro di purificazione del cuore e, a cascata, di tutto ciò che esce dal
cuore: pensieri, sentimenti, parole e azioni. Questo lavoro, per quanto penoso,
porta l’anima ad uno stato di purezza che la trasforma profondamente,
rendendola permeabile alla grazia e trasparente alla luce di Dio. Tale stato di
purezza conduce poi l’anima alla quiete, ossia ad uno stato di santa
indifferenza rispetto alle situazioni contingenti. Non è, questa,
un’espressione di egoismo, bensì la condizione di chi si è collocato al di
sopra delle vicissitudini del mondo, poiché il suo cuore – come dice la
colletta della IV Domenica dopo Pasqua – è fisso là dove sono le vere gioie.
La
quiete è uno stato ampiamente descritto dai Padri del deserto come uno stato
non solo di assenza di turbamento, ma anche di presenza a Dio. Questa presenza
a Dio spinge ulteriormente l’anima a umiliarsi, a riconoscere il proprio nulla,
a piangere i propri peccati; paradossalmente, però, più l’anima si umilia, più
la grazia la riempie. È così che l’anima diventa abitacolo di Dio; secondo il termine
usato nella tradizione antica, si deifica, ossia si assimila al suo
Creatore. È possibile percepire sensibilmente questa presenza di Dio nel cuore,
anche se non a tutti, e non sempre, è concesso. Questa esperienza, tuttavia, ci
garantisce che si tratta di qualcosa di reale, non di una teoria né di una
fantasia. L’anima in stato di grazia che è arrivata ad essere dimora di Dio è
continuamente sostenuta dalla Sua presenza, dalla Sua grazia, dalla Sua
misericordia; è continuamente guidata dalla Sua luce, dalla Sua verità, dalla
Sua sapienza; è continuamente rafforzata dalla grazia santificante e da
abbondanti grazie attuali.
L’anima
nella Chiesa
Quest’anima,
in qualunque situazione si trovi concretamente nella vita, è comunque serena e,
al tempo stesso, è piena di compassione per i suoi simili che non godono di
questo stato privilegiato, desiderando che anch’essi lo scoprano. Per questo si
adopera ad aiutare gli altri ad avvicinarsi a Dio, a purificare il cuore, a
raggiungere la quiete, a umiliarsi e a diventare abitacolo di Dio. È certamente
importante avere buoni Pastori ma, se non ne abbiamo, ciò non ci può
assolutamente impedire di operare in questo senso per raggiungere quella
condizione.
Anche
qui dobbiamo sottolineare – come già abbiamo fatto rispetto a una visione
intimistica del Cristianesimo, che non è la nostra – che non proponiamo un
Cristianesimo senza gerarchia, senza mediazioni ecclesiali, senza riferimento a
coloro che hanno il compito di guidare gli altri. No, non intendiamo questo;
vogliamo bensì rendere evidente che l’assenza o scarsità di buoni Pastori non
può impedire a un’anima ben decisa a seguire il Signore di crescere nell’unione
con Lui. La mediazione è sicuramente importante: i Pastori, con a capo il Papa,
hanno il compito di confermarci nella fede, di orientare le nostre scelte secondo
la verità di Cristo, di farci crescere nella santità. Se però, nella situazione
contingente in cui ci troviamo, questo non è fatto o è fatto troppo poco,
abbiamo comunque un patrimonio inestimabile a cui attingere: c’è una storia di
venti secoli; ci sono innumerevoli Santi, fra cui papi, vescovi, sacerdoti,
religiosi e religiose; c’è un patrimonio immenso a cui attingere: dobbiamo
pertanto avere questa cattolicità spirituale che allarga il nostro sguardo a
tutto il deposito che ci è stato consegnato, senza fermarci al momento presente
né fissare lo sguardo sulla situazione contingente.
Troppi
cattolici fanno del Papa un idolo, come se la loro vita cristiana fosse fondata
su di lui anziché su Cristo. Senza nulla togliere all’importanza del Papa, non
dimentichiamo che egli è soltanto il Vicario di Cristo. La sua
mediazione è necessaria, ma la mediazione non è il fine: la mediazione è un
mezzo. Il fine rimane Gesù Cristo, il quale è Mediatore tra Dio e noi nella Sua
santa umanità. Anche la Sua umanità è strumento, è via da percorrere; il punto
d’arrivo è la nostra unione con Cristo Dio e uomo, ovvero la riproduzione della
vita di Cristo in noi: vita di Cristo che è anzitutto divina ma pure umana; è
stata una vita umana perché la vita divina potesse essere comunicata a noi
uomini. La mediazione è un mezzo; il fine a cui dobbiamo arrivare è al di là
della mediazione: perciò non dobbiamo fissare lo sguardo su chi media per noi
ma, attraverso di lui, arrivare a Colui che è rappresentato.
Sguardo
realistico
Ora,
per evitare di farci suggestionare da speranze poco realistiche di un papa
santo, di una nuova fioritura, di una restaurazione generale della Chiesa –
cose tutte che è certamente lecito sperare e buono desiderare, ma che in questo
momento storico sono poco plausibili –, per evitare appunto di suggestionarci,
perdendo così il contatto con la realtà, dobbiamo considerare la situazione
attuale in modo spassionato. Da dove dovrebbe spuntare un papa santo? Qual è la
condizione del clero di oggi? Sono ormai sessant’anni che la Chiesa sperimenta
una profonda trasformazione che coinvolge tutti i suoi aspetti. Si tratta
certamente degli aspetti esterni della Chiesa militante, cioè di quella parte
della Chiesa che cammina nel mondo presente verso il mondo futuro; questi
aspetti esterni sono stati però tutti modificati: non ne è stato lasciato
indenne neppure uno. In questa situazione, dunque, dobbiamo prendere atto che
ormai da due generazioni i sacerdoti non sono più formati come andrebbero
formati.
Due
generazioni sono un lasso di tempo notevole, comunque un lasso di tempo
sufficiente perché si perda anche la memoria di ciò che si faceva prima. Come
può essere descritto il clero attuale in generale, salvo, grazie a Dio,
lodevoli eccezioni? In generale si può affermare che il clero di oggi è, per
così dire, un prodotto di sintesi: è il risultato di un esperimento di
laboratorio. I seminari e le facoltà teologiche sono stati completamente
ripensati, ristrutturati e trasformati in modo tale da ottenere questo
prodotto, che non è naturale: non è il Sacerdozio della Nuova Alleanza così
come Gesù Cristo lo ha istituito nell’Ultima Cena, così come è stato trasmesso
dagli Apostoli ai loro successori, così come si è conservato per quasi duemila
anni; questo clero ha un modo di pensare, di parlare e di vivere che ha ben
poco a che vedere con quelli del clero di un tempo.
Lo
ripetiamo: è un discorso generale che non si applica allo stesso modo e nella
stessa misura ad ogni singolo sacerdote, dato che la grazia opera sempre in chi
ha una coscienza retta; lo spettacolo comune porta però a pensare questo: è una
costatazione. Ora, questa situazione del clero, cioè della categoria di persone
che ha la responsabilità più importante all’interno della Chiesa, va collocata
all’interno di un processo globale che ha trasformato profondamente tutta la
religione cattolica. Si tratta di un processo di rilettura antropocentrica:
si è deliberatamente voluto spostare il baricentro da Dio all’uomo. È ovvio che
questa impostazione antropocentrica comporta inevitabilmente una volontaria
falsificazione della religione cattolica: essa ha infatti comportato una serie
di rifiuti, consapevoli negli artefici di questa rivoluzione, inconsapevoli
negli altri, che hanno subìto una vera e propria manipolazione mentale
sistematica.
Un
molteplice rifiuto
1)
Anzitutto è il rifiuto di Gesù Cristo come Dio fatto uomo: Gesù è oggi
considerato e presentato come mero uomo, certamente affascinante portatore di
un messaggio straordinario, ma semplice uomo. Questa è ormai la percezione
comune che anche tanti cattolici hanno della persona di Cristo, con l’oblio
della Sua funzione di unico Salvatore e la presunzione che tutte le religioni
siano vie di salvezza.
2)
Secondo rifiuto: quello della Sacra Scrittura come norma normans, cioè come regola che
deve regolare tutto il resto, senza essere normata da nient’altro. La Sacra
Scrittura è stata demolita con l’esegesi storico-critica; in poche parole, è
stata trasformata in un prodotto culturale dell’antichità e, di conseguenza, trattata
come un’opera meramente letteraria, non più come Parola di Dio, come testo
ispirato dallo Spirito Santo: come testo, quindi, che ha Dio per autore
principale, il quale si è servito degli autori umani facendo sì che scrivessero
tutto e soltanto ciò che voleva Lui. La Scrittura è stata completamente
relativizzata.
3)
Terzo: il rifiuto della Sacra Tradizione come fonte e canale della Rivelazione.
La Tradizione è la trasmissione del deposito affidato da Gesù agli Apostoli,
deposito che riguarda l’insegnamento, il culto e il governo della Chiesa. La
Tradizione è canale della Rivelazione e la Scrittura è nata nel suo alveo:
l’insegnamento degli Apostoli ha prodotto i testi scritti del Nuovo Testamento,
ma esso viene prima e contiene l’attività scritta. La Sacra Tradizione è stata
completamente annientata; il cattolico comune non sa nemmeno cosa sia. Se gli
si chiede cos’è la Parola di Dio, risponderà da buon protestante: «La Bibbia».
4)
Quarto: il rifiuto del Magistero come fonte vincolante per la fede e per la
morale. Il Magistero è il compito che chi ha l’autorità nella Chiesa svolge per
interpretare la Scrittura e la Tradizione applicandole alle situazioni attuali.
Il Magistero è la fonte prossima della nostra fede, mentre la Scrittura e la
Tradizione sono fonti remote, in quanto noi non possiamo sapere direttamente
che cosa dobbiamo credere e che cosa dobbiamo fare, dato che non siamo noi a
interpretare la Scrittura e la Tradizione, ma dobbiamo ricorrere al Magistero,
che è appunto la fonte prossima. È il Magistero del Papa e dei Vescovi che sono
in comunione con lui che ci spiega che cosa dobbiamo credere e che cosa
dobbiamo fare. Anche il Magistero, tuttavia, è caduto praticamente in disuso in
quanto insegnamento vincolante, rimanendo come espressione di opinioni: a
seconda del Papa e delle sue idee, il Magistero cambia. Questo evidentemente è
assurdo, perché il Magistero è un servizio alla verità di Cristo, non uno
spazio in cui esprimere opinioni personali; eppure nella percezione della
maggioranza dei cattolici (non parliamo poi dei non-cattolici) il Magistero è
ormai una manifestazione di pensieri che il Papa o i Vescovi hanno su
determinati argomenti e la stampa, di conseguenza, presenta le varie
espressioni del Magistero come una posizione tra le altre.
5)
Quinto: se si rifiuta Gesù Cristo come Dio fatto uomo, la Sacra Scrittura come norma normans, la Sacra Tradizione
come canale della Rivelazione, il Magistero come fonte vincolante per la fede e
la morale, inevitabilmente si rifiuta la Chiesa stessa come società perfetta.
La Chiesa ormai è percepita come una grande organizzazione mondiale con scopi
sostanzialmente umanitari. Non è più la società perfetta che trasmette la verità assoluta (assoluta perché
rivelata dal Verbo fatto uomo); non è più la società perfetta che consta di
tutti i mezzi di santificazione necessari per conseguire la salvezza (la
salvezza eterna, non una salvezza terrena). Per quanto gli uomini possano
vincere la fame o evitare le guerre o raggiungere il benessere, devono pur sempre
morire e presentarsi al Giudizio, il quale che ha due possibili esiti: o
l’Inferno o il Paradiso. La vera salvezza è dunque quella eterna; solo la
Chiesa la porta nel mondo: al di fuori della Chiesa – è dogma di fede – non c’è
salvezza. Questo non significa, ovviamente, che tutti coloro che senza loro
colpa ignorano Cristo e la Chiesa si dannino; significa che chi deliberatamente
si pone fuori della Chiesa non può sperare in un’altra salvezza.
6)
Sesto rifiuto: è quello della liturgia come culto reso a Dio, come culto che
Gli è dovuto. La liturgia è diventata una riunione fraterna, un’occasione di
mettersi in mostra, uno spettacolo in cui dimostrare le proprie abilità, reali
o presunte; a Dio non si pensa più. Il più delle volte le liturgie parrocchiali
sono, come già diceva Benedetto XVI, una forma di autocelebrazione; in quanto
tali, però, sono sterili, poiché sono un ripiegarsi dell’uomo su se stesso per
godere di se stesso. Per l’anima è la morte, dato che l’uomo, così, distoglie
lo sguardo da Colui che è la sua vita, smette di trovare la propria delizia
solo nella parola dell’Amato, cessa di accogliere la grazia in quanto riceve i
Sacramenti, ma in modo infruttuoso. È perciò indispensabile ritrovare il senso
e il valore liturgia come culto reso a Dio, in particolare nella Messa. Bisogna
riscoprire i quattro fini del Sacrificio eucaristico, che è il sacrificio della
Croce reso di nuovo presente in modo incruento, quattro fini che sono:
l’adorazione che spetta Dio; il ringraziamento a Dio per tutti i Suoi doni, sul
piano naturale e soprattutto su quello soprannaturale; l’espiazione dei peccati
con cui lo abbiamo offeso respingendo la Sua grazia; l’impetrazione delle
grazie di cui abbiamo bisogno.
7)
Il settimo rifiuto, infine, è quello della santità e della soprannaturalità. Di
santità non si parla più se non in termini puramente sociali: la visione della
santità è meramente orizzontale; non c’è nulla che faccia pensare alla
necessità di purificare il cuore, di esercitare le virtù in grado eroico con
l’aiuto della grazia e di assimilarsi a Cristo. È una santità, per così dire, laica,
fondata su apparenti valori che sono idee, con le quali, tutt’al più, si
motiva un impegno puramente orizzontale. Con simili premesse, è inevitabile che
si perda la nozione stessa di soprannaturalità e di trascendenza. Oggi la
maggior parte delle persone, compresi i cattolici, non riesce più nemmeno a
pensare una realtà che superi il mondo visibile, che sia al di là e al di sopra
di ciò che si vede e si tocca. In questo contesto, evidentemente, il
Cristianesimo perde ogni significato.
Il
catalizzatore liturgico
In
questo processo ha giocato un ruolo fondamentale la cosiddetta riforma
liturgica, la quale, in realtà, è stata un rifacimento totale del culto
cattolico, che andava adeguato alla nuova visione, doveva perdere ogni
connotato soprannaturale, smettere di rimandare alla trascendenza e ripiegarsi
sulla terra, sull’uomo, sul suo benessere psicofisico. Se si tocca il culto,
però, si tocca l’essenza stessa della religione: così la religione cattolica
non è più un deposito, ossia un insieme di verità e di prassi che
formano un tutto coerente e indivisibile; essa non è più un deposito consegnato
dagli Apostoli ai loro successori, un tesoro da custodire gelosamente e da
trasmettere inalterato. La religione cattolica è invece diventata il campo a)
delle libere interpretazioni, b) delle libere sperimentazioni, c) delle libere
evoluzioni.
a)
Tutto è stato reinterpretato. Oggi la parola magica è ermeneutica: non
si può credere una verità del Catechismo così come è formulata, ma bisogna
farne l’analisi ermeneutica, cioè far dire alle fonti qualcosa di diverso da
ciò che dicono. È chiaro che, in questa maniera, si stravolge la fede fino a
dissolverla: se tutto va continuamente reinterpretato, arriviamo ad avere dei
predicatori che negano spudoratamente i dogmi fondamentali della fede cattolica
senza che nessuno li sanzioni.
b)
La religione cattolica è diventata il campo delle libere sperimentazioni:
continue novità, continue invenzioni, continue improvvisazioni, non solo nella
Messa, ma anche nella catechesi, nella predicazione, nell’impostazione della
vita pastorale e così via; bisogna continuamente sperimentare. Forse questo è
oggi un po’ meno evidente, ma fino a venti o trent’anni fa pullulavano i nuovi
metodi di evangelizzazione, nuovi metodi pastorali, nuovi metodi di
predicazione… era una sperimentazione senza sosta.
c)
Infine, di conseguenza, la religione cattolica è diventata il campo delle
libere evoluzioni. Tutto si evolve perché si è convinti che davanti a noi ci
sia sempre qualcosa che non si è ancora realizzato. Finora, pur con duemila
anni di storia alle spalle, pur con tutti gli esempi di eccelsa santità che
abbiamo avuto, non avremmo ancora raggiunto il vero Cristianesimo né realizzato
il Vangelo; la parola Vangelo è diventata una sorta di bandiera con cui
propagandare qualunque cosa. Il fatto è che, in realtà, il Signore ci ha dato
fin dall’inizio tutto ciò che era necessario; la Chiesa è già fin dall’inizio,
fin dal giorno di Pentecoste, ciò che deve essere. Certamente si è sviluppata
sotto tanti punti di vista; essa deve santificarsi nei suoi singoli membri,
certo, ma non c’è qualcosa d’altro che ancora non abbiamo capito o che ancora
non facciamo o che ancora non si sia compiuto.
Auspici
per il futuro
Il
pontificato precedente è stato il punto estremo di questa parabola. Noi ci
auguriamo che, a questo punto, si possa gradatamente tornare a una certa qual
“normalità”, senza – ripetiamo – farci illusioni né sognare chissà quali restaurazioni,
ma sperando che, almeno, si possa ritrovare un modo vivibile di stare nella
Chiesa. Va ribadito ancora una volta che, quand’anche così non avvenisse,
nessuno potrà mai impedirci di santificarci, nessuno potrà mai impedirci di
diventare dimora di Dio, nessuno potrà mai impedirci di scoprire Cristo vivente
nel nostro cuore; perciò non dobbiamo lasciarci scuotere da nessuna evenienza.
Tuttavia, per il bene delle anime che rischiano di perdersi, auspichiamo almeno
un ritorno a una situazione più sostenibile.
Abbiamo
visto che non possiamo sognare una restaurazione immediata, poiché non ci sono
i soggetti atti a ripristinare ciò che ormai non conosciamo più, se non
attraverso i testi e i documenti. Quello che della Tradizione è rimasto negli
istituti tradizionali è sicuramente qualcosa di prezioso, ma c’è un’avvertenza
che non dobbiamo trascurare: evitiamo di trasformare quegli ambienti in ghetti
dove rifugiarci per sentirci al sicuro. Purtroppo si sente troppo spesso dire,
anche da giovani: «Se ho la Messa antica, mi basta; il resto non mi interessa».
Questo atteggiamento non è cattolico. Il cattolico vive dentro un Corpo e,
quindi, inevitabilmente soffre, se il Corpo soffre. San Paolo, nella Lettera ai
Romani, raccomanda: «Gioite con chi gioisce, piangete con chi piange» (cf. Rm
12, 15).
Questo
egoismo sopraffino di chi si accontenta di una forma cultuale e non fa nulla
per crescere nella carità è una deformazione molto profonda che porta danno
alla Tradizione stessa. Cerchiamo allora di allargare lo sguardo, ricordandoci
che il rito è, sì, importante, ma non è tutto: anche il rito è un mezzo – e il
mezzo mi deve condurre al fine. Se io non cresco nell’unione con Cristo, se non
ho bisogno della preghiera come dell’aria che respiro, se non faccio trasparire
Gesù nelle mie parole e nelle mie azioni, il rito non mi serve a niente; anzi,
la mia condanna è più grave, perché ho un bene che pochi hanno, ma non ne
traggo frutto. Che il Signore ci aiuti dunque a camminare con somma fiducia in
Lui rientrando costantemente in noi stessi, così da poterci conformare
interiormente ed esteriormente a Lui, in modo tale da far risplendere la Sua
verità e da cooperare efficacemente alla rinnovazione della Santa Chiesa.
(1) Il termine preghiera, qui, non esclude i Sacramenti, ma li include quali fondamento della vita spirituale.
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