Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 25 luglio 2015


Rimetti a noi i nostri debiti

 
Dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris (Mt 6, 12).

L’umanità va incontro ad un terribile castigo che deve purificare la Terra dalla sporcizia del peccato. Non è una previsione catastrofica da visionari di sventura, ma la chiara percezione di un esito inevitabile. Un futuro dai contorni apocalittici? Pare proprio di sì: perché negarlo spacciando fallaci rassicurazioni prive di qualsiasi fondamento? I segni dei tempi sono estremamente chiari e vanno in una direzione ben precisa. L’Apocalisse, d’altronde, fa parte del canone della Bibbia e non la si può neutralizzare come letteratura: malgrado l’imbarazzo che ha sempre suscitato nella Chiesa, è un testo profetico ispirato dallo Spirito Santo. Non temiamo affatto la sufficiente ironia degli esegeti alla moda che non credono più in nulla: a noi interessa salvarci l’anima e aiutare altri a salvarsela; non frequentiamo salotti eleganti in cui, tra una tartina e un pasticcino, si disquisisce amabilmente sul fumo mentre il mondo è in fiamme.

San Pio da Pietrelcina predisse a un penitente che, a causa degli enormi peccati degli uomini, un giorno l’umanità sarebbe stata decimata da un cataclisma che ne avrebbe lasciato in vita solo un terzo. A partire da una visione ricevuta da suor Lucia di Fatima, qualcuno ha arguito che, nella parte del segreto che non è stata ancora resa nota, sia preannunciato uno spostamento dell’asse terrestre così marcato e repentino da provocare immani inondazioni in ogni parte del mondo. Gli Inuit dell’estremo nord canadese, del resto, hanno già notato una variazione nelle posizioni della levata del sole e un allungamento delle giornate con un correlativo aumento delle temperature che non sarebbe dovuto, quindi, all’effetto dei gas-serra. Il fatto si può forse spiegare, almeno in parte, con i devastanti terremoti avvenuti negli ultimi anni; ma nel prossimo futuro non si esclude una collisione tra la Terra e un meteorite di grosse proporzioni, mentre la deriva sempre più accelerata del Polo Nord magnetico è un dato più che accertato.

Nel frattempo, mentre negli ospedali pubblici, a spese dei contribuenti, va avanti indisturbato un genocidio senza fine e i poteri occulti promuovono alacremente il sovvertimento della natura umana (tanto che in diversi Paesi che diconsi civili, sempre a carico dei contribuenti, vengono incitati alle perversioni sessuali persino i bimbi dell’asilo, per giunta esposti all’adozione da parte di pervertiti “uniti” dalla legge), il leader carismatico della Chiesa Cattolica, in viaggio nel suo continente di origine, non trova di meglio che confondere ulteriormente i poveri, già ricattati dagli organismi internazionali, con promesse assolutamente irrealistiche: un mondo nuovo che dovrebbe esser realizzato non certo da Dio con la seconda venuta del Cristo, secondo la Parola sacra di cui egli sarebbe, in linea di principio, araldo e banditore, ma da irrealizzabili accordi umani che si dovrebbero raggiungere mediante un dialogo capace di coinvolgere tutte le parti, ma senza alcun criterio oggettivo di verità e di giustizia a cui tutti dovessero sottomettersi.

Nonostante il rischio di apparire monotoni, siamo costretti a ripetere che questo è tradimento. Se poi, a prova di ciò, non bastassero le dichiarazioni verbali del personaggio in questione, arrivano i suoi gesti simbolici a dissipare qualsiasi dubbio a cui ci si volesse aggrappare per non dover ammettere la realtà dei fatti: tanto per fare un esempio, accettare in dono un oggetto blasfemo che presenta il crocifisso Redentore inchiodato non su quella che da secoli è cantata come la Crux fidelis, ma sul simbolo dell’ideologia più devastatrice che la storia umana abbia mai conosciuto, fondata com’è sull’odio satanico contro Dio e il Cristianesimo di un ebreo dedito al culto del diavolo. Potessimo interrogare le centinaia di milioni di vittime da essa direttamente provocate… Per giustificarsi davanti ai giornalisti, non basta certo appellarsi al pensiero e al genio “artistico” completamente aberranti di un gesuita passato all’altro fronte: l’errore di qualcuno, fosse pure pagato con la vita, non è mai una giustificazione.

Non lasciamoci prendere in giro: chi non difende la verità cristiana propaganda gli errori mondani e diffonde le mistificazioni escogitate dai nemici della Chiesa. Ma se a farlo è colui che dovrebbe guidarla, chi riporterà il Popolo di Dio sulla via della salvezza?… e chi tratterrà l’umanità dallo sprofondare nel baratro in cui sta precipitando? Un urlo di dolore si leva dal cuore scosso dalla carità nei confronti di queste pecorelle che vanno inconsapevolmente al macello e non vogliono più ascoltare alcun richiamo, erroneamente convinte che la misericordia divina chiuda gli occhi su tutto e faccia grazia anche a chi si rifiuta di riconoscere il proprio peccato per abbandonarlo. Dimitte nobis… dimitte nobis… dimitte nobis… dimitte nobis debita nostra! È l’implorazione di perdono che la medesima carità soprannaturale fa sgorgare fra le lacrime dalle labbra di chi, per grazia, ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui.

Ma l’esaudimento di questa richiesta è condizionato dalla clausola che la completa: sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Quanti, però, fra coloro che barcollano sull’orlo del precipizio, intenti per lo più a godere e divertirsi, sono disposti a rimettere i torti ricevuti? Ecco allora che, nel mistero della Comunione dei Santi, Dio benedetto e misericordioso suscita altre persone che siano disposte a perdonare di cuore, senza condizioni, quanti li hanno feriti per attirare la misericordia su chi non ha le disposizioni necessarie per riceverla ed espiare al suo posto in vista della sua conversione. È certamente una missione impegnativa: ma con la grazia tutto è possibile, purché uno si decida ad accogliere la chiamata celeste; è la vocazione, accessibile a chiunque, che il Salvatore rivolge ai credenti in quest’epoca di inaudito pericolo. Chi è pronto ad associarsi a quest’opera santa per la salvezza del mondo?

Anche chi non lo fosse si butti in ginocchio e invochi la misericordia divina, soprattutto meditando i misteri dolorosi del Rosario: Gesù che suda sangue nel Gethsèmani al pensiero di quanti, con la loro impenitenza, trasformeranno la Sua Passione in causa di più severa condanna; Gesù che si lascia flagellare in modo disumano per riparare i peccati della carne, con cui il diavolo irretisce uomini e donne per spingerli alla follia dell’incredulità; Gesù incoronato di spine per guarire gli intelletti accecati dalle menzogne ideologiche che snaturano l’essere umano, immagine di Dio; Gesù che sale il Calvario sotto il peso della croce per dare la forza di portarla a quanti si associano a Lui con le proprie sofferenze fisiche, morali e spirituali; Gesù nell’atto supremo di consumare il Suo sacrificio redentore per strappare gli uomini perduti alla seconda morte, la dannazione eterna, e riaprire loro la via del Paradiso.

«Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). Questa preghiera è stata esaudita in grazia dell’inenarrabile patire dell’Uomo-Dio. Chi lo disprezza non tenendone conto può ancora contare sul suo perpetuo rendersi presente nel Sacrificio incruento della Messa; ma sembra che l’eccezionale indurimento dei cuori richieda nei nostri tempi anche un’eccezionale partecipazione volontaria alla Sua salvifica Passione. Ognuno scelga il modo e la misura conformi alle sue possibilità, ma – per amore di Dio e del prossimo – lo faccia, approfittando di ogni occasione e di ogni mozione dello Spirito Santo; il Signore ha riservato a questa eroica generosità un premio di gloria speciale. E non dimentichiamoci di diffondere quanto più possibile, fra i nostri cari, amici e conoscenti, la consacrazione al Cuore immacolato di Maria, rifugio inattaccabile dei peccatori e arca di sicura salvezza.
 

sabato 18 luglio 2015


Il medico e la medicina


È un’esperienza comune: quando una persona cara è colpita da grave malattia, si cerca il migliore specialista e ci si affida alla sua scienza e perizia. Anch’egli è un essere umano, ma in casi come questo la sua figura appare soffusa di un’aura quasi sacrale e ci si mette totalmente nelle sue mani. È naturale, d’altronde, dare fiducia a chi possiede le conoscenze e i mezzi per ottenere la guarigione; è perfino logico, purché si tenga conto dei suoi limiti di uomo fallibile e non se ne faccia una specie di divinità: qualsiasi capacità umana conserva pur sempre un carattere limitato e provvisorio, data la sua natura derivata e la necessità di progredire continuamente.
 
Nella vita spirituale – cioè per quanto riguarda la salute della nostra anima – queste dinamiche sono di solito molto meno evidenti e, di conseguenza, ancor meno impellenti. Non solo, quindi, ci esponiamo sconsideratamente agli “agenti patogeni”, ma siamo pure estremamente inerti e indolenti nel diagnosticare i nostri mali e nel cercare aiuto per porvi rimedio. È pur vero che non è affatto facile, nel nostro tempo, trovare un buon medico dell’anima che possa realmente aiutarci, anziché peggiorare la situazione; è capitato a molti di noi di allontanarsi dal confessionale con il fermo proposito di non tener conto di quanto detto dal confessore perché contrario alla sana dottrina. Ma non bisogna per questo smettere di domandare a Dio una valida guida spirituale.

Uno scopo precipuo della parrocchia virtuale è appunto quello di mettere i fedeli a contatto con sacerdoti affidabili. Un vero padre nello Spirito è un ministro che non mette se stesso al centro dell’attenzione e non crea perciò dipendenze psicologiche o affettive, ma, riconoscendosi semplice strumento della grazia, orienta la persona che gli chiede consiglio verso l’Unico in grado di darle ciò di cui ha bisogno la sua anima, le insegna come ascoltarlo e riceverne le cure, si fa canale della Sua terapia. Quel Medico, infatti, è al tempo stesso la medicina e compendia in sé la guarigione. Non c’è nient’altro da cercare o da scoprire all’infuori di Lui; al tempo stesso, non si finisce mai di conoscerlo né di attingere alle profondità della Sua sapienza: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36 [35], 10).

Cominciamo dunque con il contemplarlo nel santo Vangelo, bevendo avidamente le Sue parole vivificanti, osservandone con religioso stupore le azioni salvifiche, ponendoci al Suo séguito fra i discepoli e le donne pie. Chiediamo loro di raccontarci in qual modo Lo hanno conosciuto, che cosa hanno provato in quel primo incontro, come da quel momento è cambiata la loro esistenza, che cosa hanno fatto per ricambiare l’intervento del Suo amore, così inaspettato e al di là di qualsiasi attesa. Nella Comunione dei Santi ce li troveremo tutti intorno ed essi scambieranno con noi, come un bene comune, i doni della grazia da loro ricevuti: Andrea, Pietro, Giovanni, Matteo, la Maddalena, i discepoli di Emmaus… Quanti compagni, a partire da loro, possono insegnarci ad entrare nella Sua amicizia e a penetrarne le insondabili ricchezze! Ognuno di noi può scegliere l’amico che sente più affine per lanciarsi in questa meravigliosa avventura.

Al di sopra di chiunque altri, ecco venirci incontro Colei che Gli ha fornito carne e sangue, dando così, all’eterna Sapienza, la possibilità di intrattenersi con i figli dell’uomo come uno di loro e di offrirsi in sacrificio per la loro redenzione; a noi, quella di vederla con i nostri occhi, udirla con le nostre orecchie, toccarla con le nostre mani. Chi potrà mai sondare l’abisso di quel Cuore immacolato che l’ha accolta in sé prima ancora del grembo? Chi potrà meglio iniziarci all’amore di quella medesima Sapienza divina che in Lei si è incarnata e fatta come noi? Ma dobbiamo dapprima lasciarci iniziare al mistero di questa Donna singolare che concepì il Verbo del Padre e non se ne lasciò sfuggire nemmeno una parola, già pronunciata nella Scrittura o da pronunciare a viva voce: dobbiamo conoscere Lei, che è un tutt’uno con il Figlio, per poter veramente conoscere Lui come desidera esser conosciuto.

Chi ancora non lo possiede, acquisti dunque il Trattato della vera devozione alla Vergine Maria. San Luigi Maria Grignion de Montfort, nostro patrono, è uno dei Suoi migliori conoscitori e araldi, come già san Bernardo di Chiaravalle nei suoi sermoni mariani e, subito dopo, sant’Alfonso Maria de’ Liguori nelle Glorie di Maria. Gli Orientali, dal canto loro, non si lasciano certo battere nel rendere onore alla Panaghía: chi ha confidenza con il loro linguaggio può procurarsi le splendide omelie mariane del bizantino Nicola Cabásilas. Fra i moderni, per chi legge il francese, spicca padre Louis Bouyer con il suo Le trône de la Sagesse, vigorosa sintesi speculativa composta da un luterano convertitosi alla fede cattolica (poi profondamente deluso dal “rinnovamento” conciliare). Ma non attingete a fonti inquinate che declassano la santissima Vergine a ragazzetta comune: pur essendo, quanto alla natura umana, una donna come tutte le altre, ella è, quanto all’elezione divina, l’immacolata Madre di Dio.

Chi meglio di Lei potrebbe accostarci al Medico celeste, da Lei stessa partorito nella natura umana, e disporci a riceverne le cure? In nessun’altra terapia la collaborazione del paziente è tanto necessaria quanto in quella dello spirito; da questo punto di vista, nessuno può meglio formarci di Colei che, nella Sua stessa persona, è paradigma perfetto e insuperabile di tale cooperazione. Ci siamo consacrati al Suo Cuore immacolato: oltre a rinnovare spesso tale atto, soprattutto nelle feste mariane, prendiamo allora l’abitudine di offrire ogni mattina la nostra giornata al Padre per le Sue mani purissime, uniti a Cristo e mossi dallo Spirito: perché Gli sia gradita, ella saprà purificare e perfezionare la nostra oblazione per unirla al Sacrificio del Calvario – cui, prima fra tutti, si è associata in modo strettissimo – nel suo rinnovarsi sull’altare. È evidente che questa offerta ci impegna a portare pazientemente la croce come strumento di autodonazione e a fare in modo che ogni gesto e parola, nel corso del giorno e della notte, siano accetti a Dio.

È pur vero che, quanto più si affina la percezione dell’infinita santità di Lui, tanto più si scava la consapevolezza della propria radicale indegnità e incapacità: potremmo mai fare qualcosa che sia degno del tre volte Santo? Anche in questa presa di coscienza, tuttavia, può celarsi una terribile insidia; più si ascende nella vita mistica, infatti, più diventa sottile l’alternativa – quasi si camminasse lungo una cresta – tra l’essere rapiti dalle braccia paterne e il precipitare in un crepaccio senza fondo. Non alludo al rozzo fraintendimento protestante che, per salvaguardare l’assoluto primato divino, nega ogni spazio alla partecipazione dell’uomo alla propria salvezza, riducendo così la grazia a puro nome e sottraendole, in linea di principio, qualsiasi appiglio nella natura. Mi riferisco a quel tipo di visione che immagina Dio così irraggiungibile da rendere irrilevante qualsiasi iniziativa umana che non sia negazione di sé e dissoluzione dell’io; è quell’atteggiamento della mente che va sotto il nome di gnosi, la più diffusa e pericolosa trappola della cultura contemporanea, anche in campo teologico.

L’abisso invalicabile che certo esiste tra il Creatore e la creatura, per giunta peccatrice, è stato varcato da Dio stesso nella Persona del Verbo incarnato. Una volta compiutosi il mistero della nostra Redenzione, la grazia del Battesimo ci abilita a vivere in perpetuo stato di oblazione perché si sviluppi in noi la vita del Figlio e possiamo partecipare a quell’eterna circolazione d’amore che costituisce la Trinità santissima. Questa esistenza oblativa – specie in circostanze penose e in situazioni indesiderate che non possiamo evitare – si articola però in deliberati e ripetuti atti di offerta che compiamo per mezzo di Colei che personifica la Chiesa-Sposa. Ecco dunque la terapia spirituale che, a poco a poco, ci guarisce dall’innata tendenza egocentrica e accaparratrice della natura decaduta e ci rivolge dolcemente al Padre, dilatando sempre più il nostro cuore alle misure del Suo amore senza misura. È sottinteso che, in questo processo, la grazia di Cristo è all’inizio, al centro e alla fine; senza di essa non potremmo nemmeno pensarlo.

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1).

domenica 12 luglio 2015


Ascolta, figlio…

 
Ausculta, o fili, praecepta magistri (san Benedetto abate)

Nessun vantaggio per noi dal meditare la Parola del Signore e dal nutrirci del Suo Corpo e Sangue, se poi non ne viviamo nell’esistenza di ogni giorno; tanta grazia e degnazione nei nostri confronti deve pur produrre, con la nostra cooperazione, un effetto di santificazione: «Portate dunque un frutto degno della conversione» (Mt 3, 8). Ma com’è difficile riconoscere, momento per momento, la volontà di Dio! A seconda delle singole inclinazioni di carattere, oscilliamo dal lassismo più permissivo al rigore più scrupoloso, con tutto un ventaglio di atteggiamenti che, salvo quello equilibrato, sono espressione della nostra natura ferita o dei suggerimenti menzogneri del demonio. Quest’ultimo, con quanti sono avviati sulla via del bene, si trasforma spesso in angelo di luce per spingerli a rovinosi eccessi o in falso paraclito per giustificarne i cedimenti; una volta ottenuto lo scopo, in ogni caso, si manifesta per quello che è: implacabile accusatore.

Ecco perché ci è così necessario un maestro di vita interiore che ci insegni a discernere fra i movimenti dell’anima e ad individuarne l’origine: così potremo distinguere tra ciò che viene realmente da Dio e ciò che invece nasce dalla nostra psiche o è insinuazione del nemico. Sia ben chiaro: a nessun risultato potremo mai pervenire in questo campo senza aver dapprima conformato la nostra vita e i nostri atti all’universale volontà divina, valida per tutti in ogni circostanza ed espressa nei Comandamenti come la Chiesa li ha sempre spiegati e applicati. Ciò che la legge morale proibisce va escluso a priori dall’orizzonte delle possibili scelte e non dev’essere mai fatto da nessuno, per nessun motivo e in nessuna situazione; le nostre orecchie siano sorde a qualsiasi discorso “teologico” o “pastorale” che apra surrettiziamente spiragli all’immoralità, soprattutto in materia grave, se non vogliamo farci trascinare nel baratro dell’incosciente suicidio collettivo in cui si è gettata la società moderna.

La scelta della guida spirituale richiede a sua volta acuto discernimento; per questo è necessaria una preghiera insistente, pressante, offerta con forti grida e lacrime (Eb 5, 7), sostenuta da opere di carità e, se possibile, culminante in un pellegrinaggio: il Signore non farà mancare la Sua risposta. È evidente che tocca pure a ciascuno esprimere il proprio giudizio mediante l’esercizio della ragione e del sensus fidei: un direttore di coscienza che non sia cristallino nella sua fedeltà alla dottrina definita o manifesti cedimenti sul piano morale va subito scartato, a prescindere da qualsiasi altra considerazione; sarebbe come affidare la propria salute ad un medico incompetente. Certo, molti risponderanno che questa, oggi, è merce rarissima: ne convengo pienamente, ma proprio per questo rinnovo il mio invito ai sacerdoti a segnalarsi e i fedeli stessi a far loro conoscere la parrocchia virtuale. È anche possibile collaborare senza iscriversi sulla lista, ma offrendo semplicemente la propria disponibilità a ricevere persone della zona da me indirizzate.

Un’insidia particolarmente sottile, anche per sacerdoti molto sinceri e ben formati, è quella di cui ho dovuto prender coscienza io stesso nel corso degli anni. Non mi riferisco allo spontaneismo grezzo che impazza da decenni in parrocchie, associazioni e movimenti; chiunque abbia iniziato un vero cammino spirituale sa bene che, per la nostra natura corrotta, ciò che è spontaneo è l’egoismo e il peccato, mentre la virtù e l’amore richiedono una lunga purificazione e un paziente allenamento. Penso piuttosto a quell’illusione, così diffusa, che spinge a guardare subito alle vette senza prima aver risollevato la persona dal pantano della valle – in altre parole, senza averne prima verificato le condizioni morali e la vita di preghiera. Chiudere una ferita senza purgarla è il miglior modo perché l’infezione si diffonda fino a provocare la morte… in questo caso dell’anima. Senza aver almeno cominciato a correggere le cattive abitudini e a combattere vizi e peccati, non si va da nessuna parte nel mondo dello spirito, ma si nutrono soltanto orgoglio e presunzione. Non si affronta una scalata con le gambe rotte, né si attacca in prima linea se il nemico è nelle retrovie.

Un vero padre, in vista del loro bene, non risparmia ai suoi figli lotte e sudori. Va anzitutto bandita con decisione quella tenerezza morbosa – e in fondo egoistica e peccaminosa – che non fa maturare i piccoli e fa regredire i grandi, ma che nell’odierna società ha contaminato le relazioni di ogni genere o quasi. Una sana virilità incute generalmente timore, anziché infondere fiducia e sicurezza; ad attrarre è per lo più quella malintesa virilità violenta, propinata da cinema e videogiochi, che è piuttosto una reazione alla paura e alla frustrazione. Un atteggiamento fermo e deciso viene spesso percepito e giudicato come troppo rigido e severo da chi vorrebbe unicamente conferme che lo esimessero dal rimettersi in discussione; ma non per questo bisogna rinunciare – almeno con chi è abbastanza intelligente da accettarle – a porre esigenze morali e opportune proibizioni di quanto è dannoso. Ciò risulta più facile con i bambini, almeno con quelli non ancora troppo guastati dagli stessi genitori e dall’ambiente sociale; con i giovani e gli adulti è meglio mettere in chiaro le cose fin dall’inizio, per evitare di perdere tempo e di farne perdere.

Certo, non si può non tener conto del fatto che nella cultura attuale, dopo la demolizione della pedagogia tradizionale e l’imposizione di teorie educative aberranti, non si possono applicare tali e quali i metodi del passato, che sono improponibili alla nostra debolezza; bisogna tuttavia coglierne i princìpi ispiratori e le dinamiche metodologiche per adattarli con equilibrio alle necessità di oggi. Il ricorso ai vecchi trattati di ascetica, di primo acchito, provoca un’acuta e dolorosa consapevolezza delle altezze da cui siamo precipitati; ma, senza scoraggiarsi troppo presto, fa bene inoltrarvisi a poco a poco per distillarne almeno gli elementi essenziali, indispensabili per ricostruirsi una sana disciplina. Che parola desueta! Eppure qualunque sportivo vi si sottopone per poter sviluppare le proprie capacità fisiche e ottenere dei risultati… Se tenessimo alla salute dell’anima almeno quanto a quella del corpo, quali diete e privazioni non le infliggeremmo! «Il Regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12).

Cerca dunque un buon maestro per ascoltare i suoi precetti e, soprattutto, per metterli in pratica. In attesa di trovarne uno reale, puoi anche reperirne uno virtuale procurandoti il libro di un certo fra’ Semplice, intitolato Il setaccio, nel catalogo in linea delle Edizioni Segno; puoi altresì scrivere all’autore all’indirizzo di posta elettronica riportato dietro il frontespizio. Non sarà come aprire il cuore, di presenza, ad uno starec che ti legge nell’anima e ti risponde proprio quella parola che avevi bisogno di ricevere; ma per cominciare è già qualcosa… Se poi la Provvidenza vorrà, potrai fare la sua conoscenza o – se avrai pregato con tutto il cuore – trovare un angelo in carne e ossa vicino a casa tua, là dove Dio ti ha posto a far brillare la Sua luce in questo mondo tenebroso che Lo rifiuta, ma non sa di averne una nostalgia indicibile.
 

sabato 4 luglio 2015


Divino sacrificio
 
 
Un Dio che si fa uomo allo scopo di offrirsi in espiazione per le Sue creature ribelli e di donarsi ad esse in cibo dopo averle così riscattate dal potere del male… Nessuna religione ha mai nemmeno intravisto di lontano un’eventualità del genere, né questo pensiero ha mai nemmeno sfiorato l’anima religiosa degli uomini di ogni tempo. Senza nulla togliere ad una sana religiosità naturale nella sua valenza di praeparatio evangelica, questa è la migliore prova dell’origine trascendente della religione cristiana. Secondo il dogma definito dal Concilio Vaticano I, la ragione umana è certo capace di riconoscere Dio e di rendergli un doveroso omaggio; ma l’uomo peccatore non sarebbe mai stato in grado di farsi riammettere nella Sua amicizia, se non fosse stato Lui stesso a varcare il triplice abisso – ontologico, conoscitivo e morale – che Ne separa quell’essere creato che, anche prima del peccato originale, non sarebbe mai penetrato nel mistero della Trinità senza la luce della Rivelazione soprannaturale e l’aiuto della grazia.
 
Il segreto della vita trinitaria permette di superare gli evidenti paradossi della fede cattolica, che si ergono come un ostacolo insormontabile per i credenti del monoteismo semplice. L’Incarnazione è possibile perché è ad immagine del Verbo che è stato creato l’uomo, ciò che rende la natura umana suscettibile di essere assunta da Lui. L’oblazione della Persona teandrica di Cristo, poi, è da Lui offerta al Padre a nome di tutti gli uomini e, avendo un valore infinito, ha il potere di riparare tutti i peccati della storia; Dio stesso, in tal modo, riconcilia a Sé l’umanità decaduta e altrimenti votata alla dannazione eterna. È pur vero che la tirannia del Maligno, cui l’essere umano si è assoggettato con il peccato originale, avrebbe potuto essere annientata in un attimo direttamente dal potere divino; ma, come notava già sant’Ireneo, la giustizia esigeva che la vittoria fosse riportata nella stessa natura che aveva subito la sconfitta. Che un Dio incarnato nutra di Sé le creature redente per renderle capaci della Sua eterna vita, infine, è reso possibile dalla comunanza della carne e dalla Sua abissale condiscendenza.
 
Nell’odierno contesto ecclesiale, parlare di sacrificio e di espiazione o fa inorridire o risulta del tutto incomprensibile, ma non si può annullare la Parola di Dio, scritta e trasmessa: Gesù «è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (Gv 2, 2). Il vero problema è che le menti di molti cattolici sono così profondamente manipolate, dal punto di vista culturale, che proiettano immediatamente su quei termini rappresentazioni estranee di crudeltà pagane perpetrate per compiacere gli idoli, ossia i demòni. Inoltre il falso concetto di misericordia oggi in voga induce a ritenere che a Dio basti chiudere gli occhi sui peccati perché tutto sia risolto, come se fosse un controllore neutrale che ignorasse benignamente le infrazioni al regolamento… Nella realtà, invece, il peccato grave fa perdere al battezzato lo stato di grazia e lo sprofonda in uno stato spirituale abominevole; qualsiasi colpa umana provoca altresì uno squilibrio metafisico e morale che esige necessariamente riparazione: non però un’assurda sofferenza che dovrebbe placare una divinità assetata di sangue, bensì un atto di amore totale e incondizionato che renda all’Amore infinito, calpestato e offeso, ciò che gli è dovuto – un atto che solo Dio nella carne avrebbe potuto compiere. Ecco la Croce.
 
Tutto questo, evidentemente, non è frutto di elaborazione intellettuale né una proiezione di bisogni inappagati: non c’è nulla, nella comune esperienza terrena, che possa anche solo far pensare o desiderare ciò che promette la fede cristiana, sebbene nell’anima umana, creata per la somiglianza con Dio, alberghi il presentimento – o la nostalgia – del Paradiso. Chiunque non si sia lasciato ridurre dalla cultura dominante in un completo oblio delle proprie origini e del proprio fine scorge nel mondo le tracce della presenza e dell’azione divine; ma «ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1 Gv 3, 2). C’è un salto che si può compiere solo sulle ali dello Spirito Santo; la teologia tradizionale ci fornisce gli strumenti per aggrapparci ad esse e una conoscenza accessibile ai mortali nello stato di viatori, dalla quale i mistici si innalzano talvolta – non senza patire un radicale sconvolgimento che sarebbe intollerabile agli altri – ad una certa visione del Cielo, in cui sono ammessi ad udire parole indicibili (2 Cor 12, 4).
 
Oggi questo discorso risulta inaccessibile alla maggioranza dei fedeli che frequentano le nostre chiese, pur essendo la chiave della loro salvezza eterna. Tra la Rivelazione divina e l’odierno vissuto ecclesiale, in effetti, si è interposta la famosa svolta antropologica, la quale, basandosi filosoficamente sul pensiero di Kant, Hegel e Heidegger, che hanno bandito la metafisica classica ed eliminato la nozione stessa di trascendenza, ha capovolto l’orientamento naturale dell’uomo verso Dio e ridotto quest’ultimo a funzione della ragione o del benessere. Buona parte di quei poveri cristiani che ancora lo fanno non va più a Messa per adorare il Signore e ricevere la Sua grazia, ma per ottenere, a seconda delle esigenze personali, una gratificazione sociale, emotiva o intellettuale, quando non ci va semplicemente per abitudine sociologica o, eventualmente, per rinnovare l’auto-celebrazione del gruppo. «È la loro festa», affermavano perentoriamente mamme agguerrite a proposito della Prima Comunione dei figli, dopo un anno che il parroco, poco aggiornato e notorio guastafeste, ripeteva che si tratta del Sacrificio del Calvario. E poi – argomento inoppugnabile – in tutte le altre parrocchie si battono le mani in chiesa…
 
«Il mio cuore è sconvolto dentro di me, il mio intimo freme di compassione», ma «il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11, 8.7). «Poiché questo è un popolo ribelle, sono figli bugiardi […]. Essi dicono ai veggenti: “[…] diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d’Israele”» (Is 30, 9-11). Sei tu, crocifisso mio Signore, che si sono tolti dalla vista… con la complicità ampiamente assicurata, purtroppo, da tanti Tuoi ministri. Non è soltanto una questione di latino: il modo di pregare del Canone Romano – e della vera Messa nel suo insieme – è ormai insopportabile a molti sacerdoti e fedeli, semplicemente perché è innegabilmente rivolto al Padre Tuo e non si presta ad essere appiattito sull’orizzonte circoscritto dell’assemblea che si è messa al Suo posto. Provate a togliere a un bambino viziato il giocattolo preferito del momento – anche se domani lo butterà via e ne pretenderà un altro più “aggiornato” ancora…
 
Non facciamoci falsi scrupoli di tornare alla Messa di sempre: non abbiamo alcuna voglia di uscire dai binari con la sedicente “chiesa in uscita”. Non è cinico egoismo, ma dolente realismo. L’unico rimedio ancora disponibile per salvare chi non vuol sentire alcun richiamo… è il castigo, un castigo procurato, fra l’altro, proprio da quel falso profeta che, dicendo cose piacevoli (esattamente ciò che il mondo incredulo e i non più cristiani voglion sentirsi dire), li sta trascinando nel baratro. Chi riuscirà ad accorgersi in tempo che sta precipitando potrà afferrare la mano tesa e scoprire un’oasi in cui ancora si adori il Dio vivente – non quello dei teologi di oggi o dei filosofi di pascaliana memoria. Farà in pari tempo la scoperta di quel rito che attua in ogni tempo e in ogni luogo il Sacrificio dell’umana redenzione – ben altro che la triste festicciola che piace agli adulti immaturi più che ai loro figli, i quali, in ogni caso, tra pochissimi anni non saranno più bambini e si lasceranno definitivamente alle spalle la Messa con tutto il corredo dell’infanzia. Nei piani divini c’è una speranza per tutti; ma ci vuole chi la mantenga accesa.