Il medico e la
medicina
È un’esperienza comune: quando una persona cara è
colpita da grave malattia, si cerca il migliore specialista e ci si affida alla
sua scienza e perizia. Anch’egli è un essere umano, ma in casi come questo la
sua figura appare soffusa di un’aura quasi sacrale e ci si mette totalmente
nelle sue mani. È naturale, d’altronde, dare fiducia a chi possiede le
conoscenze e i mezzi per ottenere la guarigione; è perfino logico, purché si
tenga conto dei suoi limiti di uomo fallibile e non se ne faccia una specie di
divinità: qualsiasi capacità umana conserva pur sempre un carattere limitato e
provvisorio, data la sua natura derivata e la necessità di progredire
continuamente.
Nella vita spirituale – cioè per quanto riguarda la
salute della nostra anima – queste dinamiche sono di solito molto meno evidenti
e, di conseguenza, ancor meno impellenti. Non solo, quindi, ci esponiamo
sconsideratamente agli “agenti patogeni”, ma siamo pure estremamente inerti e
indolenti nel diagnosticare i nostri mali e nel cercare aiuto per porvi
rimedio. È pur vero che non è affatto facile, nel nostro tempo, trovare un buon
medico dell’anima che possa realmente aiutarci, anziché peggiorare la
situazione; è capitato a molti di noi di allontanarsi dal confessionale con il
fermo proposito di non tener conto di quanto detto dal confessore perché contrario
alla sana dottrina. Ma non bisogna per questo smettere di domandare a Dio una
valida guida spirituale.
Uno scopo precipuo della parrocchia virtuale è appunto quello di mettere i fedeli a contatto
con sacerdoti affidabili. Un vero padre nello Spirito è un ministro che non
mette se stesso al centro dell’attenzione e non crea perciò dipendenze
psicologiche o affettive, ma, riconoscendosi semplice strumento della grazia,
orienta la persona che gli chiede consiglio verso l’Unico in grado di darle ciò
di cui ha bisogno la sua anima, le insegna come ascoltarlo e riceverne le cure,
si fa canale della Sua terapia. Quel Medico, infatti, è al tempo stesso la
medicina e compendia in sé la guarigione. Non c’è nient’altro da cercare o da
scoprire all’infuori di Lui; al tempo stesso, non si finisce mai di conoscerlo
né di attingere alle profondità della Sua sapienza: «È in te la sorgente della
vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36 [35], 10).
Cominciamo dunque con il contemplarlo nel santo
Vangelo, bevendo avidamente le Sue parole vivificanti, osservandone con
religioso stupore le azioni salvifiche, ponendoci al Suo séguito fra i
discepoli e le donne pie. Chiediamo loro di raccontarci in qual modo Lo hanno
conosciuto, che cosa hanno provato in quel primo incontro, come da quel momento
è cambiata la loro esistenza, che cosa hanno fatto per ricambiare l’intervento
del Suo amore, così inaspettato e al di là di qualsiasi attesa. Nella Comunione
dei Santi ce li troveremo tutti intorno ed essi scambieranno con noi, come un
bene comune, i doni della grazia da loro ricevuti: Andrea, Pietro, Giovanni,
Matteo, la Maddalena, i discepoli di Emmaus… Quanti compagni, a partire da
loro, possono insegnarci ad entrare nella Sua amicizia e a penetrarne le
insondabili ricchezze! Ognuno di noi può scegliere l’amico che sente più affine
per lanciarsi in questa meravigliosa avventura.
Al di sopra di chiunque altri, ecco venirci incontro
Colei che Gli ha fornito carne e sangue, dando così, all’eterna Sapienza, la
possibilità di intrattenersi con i figli dell’uomo come uno di loro e di
offrirsi in sacrificio per la loro redenzione; a noi, quella di vederla con i
nostri occhi, udirla con le nostre orecchie, toccarla con le nostre mani. Chi
potrà mai sondare l’abisso di quel Cuore immacolato che l’ha accolta in sé
prima ancora del grembo? Chi potrà meglio iniziarci all’amore di quella
medesima Sapienza divina che in Lei si è incarnata e fatta come noi? Ma
dobbiamo dapprima lasciarci iniziare al mistero di questa Donna singolare che
concepì il Verbo del Padre e non se ne lasciò sfuggire nemmeno una parola, già
pronunciata nella Scrittura o da pronunciare a viva voce: dobbiamo conoscere
Lei, che è un tutt’uno con il Figlio, per poter veramente conoscere Lui come
desidera esser conosciuto.
Chi ancora non lo possiede, acquisti dunque il Trattato della vera devozione alla Vergine
Maria. San Luigi Maria Grignion de Montfort, nostro patrono, è uno dei Suoi
migliori conoscitori e araldi, come già san Bernardo di Chiaravalle nei suoi
sermoni mariani e, subito dopo, sant’Alfonso Maria de’ Liguori nelle Glorie di Maria. Gli Orientali, dal
canto loro, non si lasciano certo battere nel rendere onore alla Panaghía: chi ha confidenza con il loro
linguaggio può procurarsi le splendide omelie mariane del bizantino Nicola
Cabásilas. Fra i moderni, per chi legge il francese, spicca padre Louis Bouyer
con il suo Le trône de la Sagesse, vigorosa
sintesi speculativa composta da un luterano convertitosi alla fede cattolica
(poi profondamente deluso dal “rinnovamento” conciliare). Ma non attingete a
fonti inquinate che declassano la santissima Vergine a ragazzetta comune: pur
essendo, quanto alla natura umana, una donna come tutte le altre, ella è, quanto
all’elezione divina, l’immacolata Madre di Dio.
Chi meglio di Lei potrebbe accostarci al Medico
celeste, da Lei stessa partorito nella natura umana, e disporci a riceverne le
cure? In nessun’altra terapia la collaborazione del paziente è tanto necessaria
quanto in quella dello spirito; da questo punto di vista, nessuno può meglio
formarci di Colei che, nella Sua stessa persona, è paradigma perfetto e
insuperabile di tale cooperazione. Ci siamo consacrati al Suo Cuore immacolato:
oltre a rinnovare spesso tale atto, soprattutto nelle feste mariane, prendiamo
allora l’abitudine di offrire ogni mattina la nostra giornata al Padre per le
Sue mani purissime, uniti a Cristo e mossi dallo Spirito: perché Gli sia
gradita, ella saprà purificare e perfezionare la nostra oblazione per unirla al
Sacrificio del Calvario – cui, prima fra tutti, si è associata in modo
strettissimo – nel suo rinnovarsi sull’altare. È evidente che questa offerta ci
impegna a portare pazientemente la croce come strumento di autodonazione e a fare
in modo che ogni gesto e parola, nel corso del giorno e della notte, siano
accetti a Dio.
È pur vero che, quanto più si affina la percezione
dell’infinita santità di Lui, tanto più si scava la consapevolezza della
propria radicale indegnità e incapacità: potremmo mai fare qualcosa che sia
degno del tre volte Santo? Anche in questa presa di coscienza, tuttavia, può
celarsi una terribile insidia; più si ascende nella vita mistica, infatti, più
diventa sottile l’alternativa – quasi si camminasse lungo una cresta – tra l’essere
rapiti dalle braccia paterne e il precipitare in un crepaccio senza fondo. Non
alludo al rozzo fraintendimento protestante che, per salvaguardare l’assoluto
primato divino, nega ogni spazio alla partecipazione dell’uomo alla propria
salvezza, riducendo così la grazia a puro nome e sottraendole, in linea di
principio, qualsiasi appiglio nella natura. Mi riferisco a quel tipo di visione
che immagina Dio così irraggiungibile da rendere irrilevante qualsiasi iniziativa
umana che non sia negazione di sé e dissoluzione dell’io; è quell’atteggiamento
della mente che va sotto il nome di gnosi,
la più diffusa e pericolosa trappola della cultura contemporanea, anche in
campo teologico.
L’abisso invalicabile che certo esiste tra il
Creatore e la creatura, per giunta peccatrice, è stato varcato da Dio stesso
nella Persona del Verbo incarnato. Una volta compiutosi il mistero della nostra
Redenzione, la grazia del Battesimo ci abilita a vivere in perpetuo stato di oblazione
perché si sviluppi in noi la vita del Figlio e possiamo partecipare a
quell’eterna circolazione d’amore che costituisce la Trinità santissima. Questa
esistenza oblativa – specie in circostanze penose e in situazioni indesiderate
che non possiamo evitare – si articola però in deliberati e ripetuti atti di
offerta che compiamo per mezzo di Colei che personifica la Chiesa-Sposa. Ecco
dunque la terapia spirituale che, a poco a poco, ci guarisce dall’innata
tendenza egocentrica e accaparratrice della natura decaduta e ci rivolge dolcemente
al Padre, dilatando sempre più il nostro cuore alle misure del Suo amore senza
misura. È sottinteso che, in questo processo, la grazia di Cristo è all’inizio,
al centro e alla fine; senza di essa non potremmo nemmeno pensarlo.
Vi esorto,
fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio
vivente, santo, gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale
(Rm 12, 1).
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