Lettera aperta ai
sacerdoti
Tristis est anima mea usque ad mortem: sustinete hic, et
vigilate mecum (Mt 26, 38).
Carissimi confratelli nell’unico
sacerdozio di Cristo,
questo misero scritto, pubblicato in occasione della
santa Pasqua, è dettato da un profondo affetto nei confronti di tutti voi, che
rendete presente nel mondo il nostro amato Salvatore parlando e agendo nella
sua Persona per il bene del Popolo riscattato dal suo Sangue e per la salvezza
eterna dell’intera umanità. È con molto rispetto che mi rivolgo a voi, mosso da un ardente amore alla
Chiesa, che ci ha generati nel Battesimo e ci ha conferito il sacro ministero,
e al contempo da un sentimento di profonda perplessità, se non di smarrimento, riguardo
a certi orientamenti di recente assunti dalle sue guide, a livello nazionale e
oltre. Le intemperanze cui mi lascio talvolta andare nel valutare situazioni
correnti sono espressione di una sofferenza che mi fa spesso piangere e gridare
a Dio, quando prego o celebro da solo. E se Gesù, nel Getsèmani, avesse
previsto, da parte della sua stessa Sposa, un futuro tradimento che avrebbe di
fatto vanificato, per molti, la sua Passione redentrice?
In riferimento al programma del prossimo convegno ecclesiale
di Firenze, illustrato nell’ultima riunione del clero della mia diocesi, non
posso nascondere il grave turbamento di apprendere, dopo vent’anni di ministero,
di non essere stato costituito presbitero per donare Dio e la sua grazia alle
anime redente dal Sangue di Cristo, ma semplicemente per fornire a quanti mi
incontrano un di più di umanità.
Sarebbe certamente interessante che qualcuno ci spiegasse meglio che cosa si
intenda esattamente con tale locuzione; ma in ogni caso, per quanto si fosse
abili, mi sembra quanto meno arduo arrivare ad evincere – e convincere gli
altri – che quell’espressione possa designare la vita soprannaturale,
conquistata per noi dalla Croce gloriosa, che ci abilita a godere della vita
futura. La trasmissione di questo dono incommensurabile ci impone il dovere ineludibile
di suscitare la fede con una predicazione integra e franca della Parola divina,
in modo che chi la accoglie possa riceverlo con frutto mediante i Sacramenti da
noi amministrati.
Tolta – o dimenticata – la necessità assoluta di
vivere e morire in stato di grazia per poter evitare la dannazione eterna (cui
molti oggi si espongono, purtroppo, a causa della propria grave ignoranza in
materia di fede e di morale), diventa poi quasi inevitabile convincersi in
perfetta buona fede – come suggerito in quell’occasione da un confratello più
anziano di me – che chi vive in stato di peccato mortale pubblico e conclamato sia
in fin dei conti una vittima dell’ottuso clericalismo di chi lo esclude dalla
vita ecclesiale per una questione di stupide regole canoniche… La vera misericordia – di cui ultimamente si fa
un gran parlare – vorrebbe piuttosto che lo si avvertisse dell’enorme rischio
che corre permanendo in quello stato; poi sarà libero di scegliere se
persistere nell’errore o, con l’aiuto della grazia, convertirsi e cambiare
vita: ma, se nessuno lo riprende con carità e delicatezza, non avrà mai questa
libertà di scelta.
Qualcuno invocherà qui l’ignoranza invincibile come scusante,
anche del peccato grave; ma il nostro compito è appunto quello di istruire le
persone nelle verità della salvezza e di rimediare, nel caso, alla loro carente
conoscenza, forse dovuta talvolta anche a nostre inadempienze… In ogni caso,
non vedo come si possa far progredire nella fede e nella santità il Popolo di
Dio (che in buona parte, ormai, ignora finanche le verità fondamentali del
Credo e, non ricevendo mai i Sacramenti, ha di principio perso lo stato di
grazia) con sproloqui inconsistenti su un preteso nuovo umanesimo i cui contenuti si evita rigorosamente di definire
in modo chiaro; tanto meno si vede come annunciare efficacemente il Vangelo
salutare, in una “società liquida” che, privata di riferimenti certi, affoga
nell’impurità e nella violenza, con fervorini melensi sulle ferite da curare o
sul “buono” che si potrebbe rinvenire anche in situazioni oggettivamente
cattive. Non si comprende affatto, poi, per quale mistero della fede il peccato
mortale di concubinaggio possa nascondere in sé – come asserito da importanti
personaggi – un’incipiente sacramentalità…
Certi discorsi mi spingono ad immaginare il caso
assurdo di un medico che, di fronte a un paziente malato di cancro, gli
dicesse: «Vedi, tu hai un tumore, ma per il resto stai bene. Perciò non ti
prescrivo alcuna cura; al massimo, se proprio vuoi, fatti una tisana»… o quello
di un medico che, per non turbare il medesimo paziente, con misericordia e
tenerezza non gli dicesse nulla e lo lasciasse andare con una pacca sulla
spalla e qualche parola rassicurante del tipo: «Ti voglio bene» oppure «Dio ti
ama così come sei». Ovviamente, ci sarebbe di che denunciarlo. Noi non corriamo
questo genere di rischi, nella vita presente; ma quando ci presenteremo al
giudizio… come renderemo conto dei talenti affidatici? La prima forma di carità
e misericordia – soleva ripetere un santo Papa venuto da un Paese lontano, ma
ancora in Europa – è dire la verità agli uomini, specie se erranti.
Quanto all’uscire,
annunciare… trasfigurare che ci è stato indicato come linea pastorale (?)
da seguire nei prossimi anni, posso senz’altro concordare sul fatto che sia
effettivamente urgente distogliersi, nella Chiesa attuale, dal morboso
ripiegamento su se stesso di chi si bea contemplando il proprio ombelico e si
meraviglia che altri non si sentano attirati a fare altrettanto. Non mi è però
ben chiaro come questo fine sia perseguibile mediante una suprema tensione verso l’uomo piuttosto che – come di norma in
qualsiasi religione – verso Dio… a meno che, i fianchi cinti da un grembiulino,
non si sia scambiato l’uno con l’altro. Parafrasando il grande commediografo inglese,
potrei così concludere: «God or man? This
is the problem». Sarò forse un presuntuoso ma, dal canto mio, non ho di
questi dubbi amletici e non ne ho mai avuti: per grazia di Dio, ho fatto la mia
scelta e non me ne pento.
P.S.: un vecchio canto popolare della Via crucis, noto in varie regioni
d’Italia, si rivolge al Redentore paziente con queste parole: «Gesù mio, con
dure funi, come reo, chi ti legò? Sono stati i miei peccati: Gesù mio, perdón,
pietà». I meno devoti, un tempo, si prendevano una magra rivincita sostituendo
al testo della risposta la seguente parafrasi: «Sono stati i preti e i frati…».
Per quanto irriverente, questa triste bravata potrebbe farci riflettere sulle
nostre attuali responsabilità di pastori: vogliamo anche noi, ancora una volta,
crocifiggere Gesù per rifiuto della sua vera identità di divino Salvatore
universale e per connivenza con i poteri di questo mondo, come già le autorità
giudaiche? Vi scongiuro: rimaniamo con Cristo e vegliamo con lui per la sua Chiesa, perfino a costo di
rimetterci personalmente. Buona Pasqua.
questa ora di tenebra Gesù l'ha vinta nel getsemani assicuriamoci di seguirlo e Lui che è fedele ci soccorrerà con la sua grazia e non renderemo vano il Suo Sacrificio!rimaniamo in comunione di preghiera ....la LUCE DEL SIGNORE RISORTO ILLUMINI I NOSTRI PASSI......BUONA PASQUA!
RispondiElimina'Quando la verità diventa imbarazzante e quando uno, nonostante tutto, è riluttante a giustificare palesi menzogne, la soluzione è falsificare la verità, relativizzare la verità ha un qualche fondamento in Dio, ma frammisto con l'oscurità delle bugie,allora viene chiamato relativismo. La solitudine è la condizione di chi ha il difetto di dire la verità e di essere dotato di buon senso'. Sono parole di un papa che non è ancora santo, ma spero lo diverrà un giorno, per il resto, che dire? Domani è Pasqua, rimettiamoci nelle mani del Signore ed attendiamo il miracolo della sua vittoria sulla morte, resurrexit, sicut dixit. Buona e Santa Pasqua a lei, padre, e che Dio ci perdoni tutti quanti perché non sappiamo ciò che stiamo facendo.
RispondiEliminaCredo che l'espressione "un po' più di umanità " riprenda una frase del filosofo ebreo francese Henry Bergson, messa in circolazione durante l'ultima fase della sua vita, quando si avvicinò al Cattolicesimo, senza farsi battezzare per non dissociarsi dalla
RispondiEliminasorte del suo popolo. Bergson riteneva che la religione di Cristo ( visto come il
"supermistico", desse un "supplemento d'anima". Bergson fu il più noto teorico
dell'evoluzionismo non darwinista, mosso secondo la sua visione da una forza
cosmica tendente al meglio che chiamava "Elan vital". Il sistema di idee di Teilhard de
Chardin era basato su un mix di evoluzionismo bergsoniano e di apporti della ricerca
paleontologica. Nelle sue opere l'accento tende a spostarsi da Cristo redentore col
Sacrificio della Croce al "Cristo cosmico", visto come punto Omega: da lì il facile
passaggio a un "orizzontalismo progressista", in cui l'attenzione ai problemi della organizzazione sociale induce a una sopravvalutazione del mondo, visto più come
realtà positiva che come "valle di lacrime". Si trova un amplissimo riferimento alla
problematica di Teilhard de Chardin nel libro "In mano a Satana. Sette vite possedute
dal demonio "di Malachi Martin, personaggio che è bene prendere con le molle: già
segretario del biblista ecumenista card. Bea ( e in quella veste avrebbe letto il Terzo segreto di Fatima ) uscì dalla Compagnia di Gesù perchè contrario al nuovo corso
arrupiano, arrivando a insinuare in un suo romanzo di fantareligione che in Vaticano
dopo l'elezione di Paolo VI sarebbe stata tenuta una seduta satanica. Nel libro di cui
sopra, rinvenibile in rete in lingua inglese col titolo di "Hostage to the Devil", si presentano sette storie di esorcismo, in una delle quali è coinvolto un sacerdote-
paleontologo travagliato dalla problematica dell'evoluzionismo teilhardiano.
Il richiamo a una maggiore umanità va visto anche in riferimento a "Umanesimo
integrale" di Jacques Maritain, in cui si presentava come indispensabiile il passaggio da una civiltà sacrale ( la Cristianità ) a una civiltà laica e democratica non più
dominata dai Cristiani con mezzi coercitivi, ma da loro "animata" come fermento
nella pasta. Scatenatasi la bufera del '68, Maritain ammise la sua delusione,
affermando che il Modernismo storico, rispetto a quello dilagante nel postconcilio era da considerare un "semplice raffreddore da fieno".
Carissimo Franco,
Eliminagrazie infinite per le Sue puntuali e utilissime delucidazioni circa il sottofondo culturale dell'attuale temperie ecclesiale. Dietro i fenomeni storici ci sono sempre delle idee, le quali, se non sono corrette, non possono fare altro che danno (anche con le migliori intenzioni).
Ho letto anch'io di una Messa nera celebrata da prelati massoni in Vaticano durante il pontificato di Paolo VI, esattamente nella Cappella Paolina, che non per niente Benedetto XVI ha restaurato e riconsacrato.
Concordo con il fu Maritain sull'enorme salto di qualità compiuto dal Modernismo post-conciliare; forse ci sarebbero volute altre risposte...
Grazie ancora e... coraggio.
Caro sacerdote, vorrei io laico essere accanto a lei per piangere insieme e insieme tuttavia sperare e attendere la Vittoria di Cristo. Oggi è Pasqua. Il Signore vince ma solo Lui sa quanto durerà questa purificazione. Ho visto in questi giorni la stanchezza di sacerdoti anche abbastanza giovani. La stanchezza della quale parla anche il Papa viene dalla poca fede e da una liturgia che ha pochissimo ormai di cattolico. Le sono vicino nella preghiera, come a tutti i sacerdoti fedeli alla loro missione. Insieme le chiedo la sua preghiera per me
RispondiEliminaFederico
Caro Sacerdote, sono una semplice mamma, ma desidero ringraziarla, per l'amore che traspare dalle sue parole, amore per la Santa Chiesa! Nel cuore porto insieme gioia, sapendo di avere sempre accanto Gesu' Risorto, che mi rinfranca ad ogni passo e angoscia, per la tremenda mancanza di fede, proprio in chi dovrebbe confermarci. Desidero essere tra le fedeli donne che di buon mattino andarono dal loro amato Maestro e prego che molti suoi confratelli, quando si sveglieranno dal letargo, reggano il tremendo colpo al cuore e siano finalmente pronti a rendere testimonianza alla Verita', come gli Apostoli! Santa Pasqua!
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