Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 25 aprile 2015


Doglie del parto


Stiamo soffrendo in modo inaudito per lo stato della Chiesa; ma non è una sofferenza sterile, bensì il preludio di una rinascita. Certamente il Corpo mistico non può morire né rinascere: è nato una volta per tutte dal costato trafitto del Redentore crocifisso e cresce incessantemente verso la propria consumazione celeste. La sua componente terrena, tuttavia, essendo legata alle vicissitudini della storia, può conoscere alterne fasi di fioritura o di declino. Se è vero – come è vero – che il suo stato di salute non si misura sull’indice di gradimento mediatico del suo (supposto) capo visibile, in questi anni non possiamo certo esultare, se osserviamo quanto la pratica delle virtù evangeliche si sia drammaticamente rarefatta e il ricorso al sacramento della Penitenza sia vistosamente precipitato; se poi si mettono in conto le assoluzioni invalide per mancanza di sincero pentimento e di proposito efficace, la situazione si rivela ancora più tragica.

Tra pochi mesi, per giunta, partirà l’inedito giubileo della misericordia (come se un anno santo non servisse per sua natura a concedere il perdono di Dio a chi ha le disposizioni interiori necessarie, con la remissione delle pene del Purgatorio a chi è libero da qualsiasi attaccamento al peccato…). Dei missionari pontifici saranno incaricati di recarsi in ogni singola diocesi per garantire l’ottemperanza alla volontà papale, casomai qualche vescovo o parroco renitente osasse pensare di mantenersi entro i limiti della sana dottrina. Essi avranno la facoltà di rimettere anche i peccati che comportano la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica: un Guglielmo di Nogaret potrebbe farsi assolvere sul campo, mentre monsignor Faure starà certamente nutrendo speranze in un’insperata riconciliazione con la nomenklatura romana.

Scherzi a parte, il numero di confessioni sacrileghe – e di conseguenti comunioni sacrileghe – aumenterà in modo esponenziale. Come si farà, oltretutto, a distinguere i sacerdoti dei quali ci si può fidare perché, nell’assolvere e nel consacrare, intendono realmente fare ciò che fa la Chiesa? Non tutti hanno il dono spirituale di percepire, come una santa madre di famiglia di mia conoscenza con cinque figli a carico e marito disoccupato, se un sacerdote è stato generato o no dalla mistica unione di Gesù e Maria insieme sofferenti sul Calvario. Sarebbe a dire che non tutti i sacerdoti sono ugualmente consacrati? Ovviamente no: è sufficiente che siano stati validamente ordinati; ma non tutti hanno la stessa fecondità spirituale. Una cosa è rigenerare le anime con il Sangue di Cristo (e con il proprio, mescolato ad esso), un’altra è fungere da animatore-intrattenitore-aggregatore a servizio di una struttura socio-assistenziale.

Il secondo può pure lavorare ad orario, dedicando il tempo libero ai suoi interessi preferiti, leciti o meno; il primo è crocifisso in permanenza con Colui che rappresenta e, proprio come il divino Agricoltore, si sforza senza posa di liberare dai rovi la Sua vigna e di tenerne lontano le bestie selvatiche. Dato però che la cinta è stata abbattuta e che la vigna si ribella, in quanto ama i suoi rovi e non vuole separarsene, il compito del ministro fedele appare sempre più come una missione impossibile. Se poi la vigna soffre acutamente per i parassiti che la infestano a causa dei suoi stessi peccati, a cui non vuole assolutamente rinunciare, come fa un Pastore, per quanto misericordioso, a provare giusta compassione per essa? Senza meno sarà afflitto dal suo stato, ma in coscienza non potrà sentirsi solidale con sofferenze colpevoli, se la sua coscienza è retta. È pur vero che il Figlio di Dio si è fatto peccato per la nostra giustificazione (cf. 2 Cor 5, 21), ma non perché chi è rinato dal Suo sacrificio continuasse a crocifiggerlo…

Non tutte le sofferenze sono uguali: quelle di cui si è responsabili per ostinazione nel peccato non portano nulla di buono, ma sono utilizzate dal diavolo per spingere i fedeli di Cristo alla bestemmia e all’apostasia, dopo averli indotti alla disobbedienza, a meno che il peccatore non ascolti il sussurro dello Spirito Santo, che di quelle stesse sofferenze si serve per spingerlo alla conversione. Per quanto sembrino intollerabili, invece, quelle provocate in un’anima pura dal triste spettacolo del male, ormai ammesso e giustificato anche da (falsi) uomini di Chiesa, hanno uno sbocco positivo; una madre sa di che si tratta, perché ha sperimentato nel fisico un dolore simile per analogia. Questi sono dolori del parto: sta per nascere un mondo veramente nuovo, nel quale la Sposa di Cristo che è sulla terra, purificata dalle menzogne e dai peccati che ne derivano, risorgerà santa e immacolata, come la vuole il suo Sposo. Per il momento tutto questo non si vede, perché è come un feto nascosto nel grembo materno; ma un giorno – forse non lontano – verrà alla luce, partorito dalla Vergine Madre come già una volta ai piedi della Croce.

Secondo la profezia della beata Anna Caterina Emmerich, combinata con la visione di papa Leone XIII, si può calcolare che occorra resistere ancora per venti-trent’anni. Visto che per Lui mille anni sono come un giorno solo, si tratta di una manciata di minuti, nei tempi di Dio – i quali non sono una scusa per lasciare che i peccatori perseverino nel peccato grave (attribuendone la responsabilità, in definitiva, a Colui che in realtà lo aborrisce), ma un’opportunità di salvezza che la sua infinita pazienza concede loro. Forse alcuni di noi vedranno la nuova èra dall’alto, festeggiandola con gli Angeli e i Santi; l’importante è che la loro preghiera non ci abbandoni per tutto il tempo in cui dovremo lottare in questo mondo, in cui i demòni si sono scatenati e scorrazzano indisturbati dappertutto – anche nelle chiese. Ebbene, sono cominciate le contrazioni, ci avviciniamo alla battaglia decisiva; ma non abbiamo nulla da temere, purché rimaniamo fedeli a Colui che ha vinto il mondo e dona anche a noi la capacità di vincerlo grazie alla fede in Lui (cf. Gv 16, 33; 1 Gv 5, 5).

La donna, quando partorisce, è afflitta perché è giunta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo (Gv 16, 21).
 

sabato 18 aprile 2015


C’era una volta…

 
C’era una volta un mondo felice, dove tutti volevan la pace e condannavano la guerra, facevan l’amore ed eran fra loro fratelli, cantavan canzoni al suon della chitarra per costruire ponti da un continente all’altro… Una volta fermato il conflitto del Vietnam, finita la crisi energetica e passati gli anni di piombo, una nuova èra paradisiaca sembrava ormai sul punto d’instaurarsi. Quei cattivoni  del far west da una parte e dei gulag dall’altra, certo, continuavano a farsi la guerra fredda, ma chi avrebbe mai creduto che, un giorno, sarebbe pur caduta la ferrea cortina che spaccava il Vecchio Continente in due fortezze fieramente opposte? A questo punto il vento della libertà soffiò ormai incontrastato; gli uomini dei due mondi, non più trattenuti da muri, poterono scambiarsi entusiasti i doni delle rispettive ricchezze – il materialismo teorico e pratico – con i loro specifici effetti, i quali, sommandosi, avrebbero prodotto un meraviglioso risultato: un assoluto disprezzo per la verità, la giustizia, la legge, l’onestà e la vita stessa.
 
Nel frattempo, la bella addormentata nel bosco dei suoi documenti, convegni, programmi, discorsi e istruzioni per l’uso celebrava trionfalmente la propria trasformazione da crisalide in… lepidottero orribile e sgraziato, elaborando a mo’ di giustificazione una nuova teoria del sublime convertito in laida, banale e offensiva celluloide. Scaricata nella spazzatura la ricchissima eredità del passato come fosse ingombrante ciarpame, libera da qualsiasi zavorra corse incontro al nuovo mondo che nasceva, agile e leggera come un’innamorata. Per mirabile prodigio, non s’era accorta che non era ancor giunto alcun principe a svegliarla; così non vedeva né sentiva quanto il nuovo mondo, tanto amato, tramava a suo danno – e a quello dell’umanità intera. Ma no, non c’era nulla da temere: come per incanto, eravamo diventati tutti buoni; bastava avere le idee giuste. Che importa che, nelle cosiddette comuni, i bambini fossero costretti ad assistere all’accoppiamento selvaggio e promiscuo di uomini e donne, fra cui il papà e la mamma (sempre che sapessero chi erano)? In fin dei conti, un fondo di bene c’è in tutti, compreso chi si batte per divorzio, aborto, contraccezione, fecondazione artificiale, manipolazioni genetiche, eutanasia e quant’altro… Così i fautori radicali di questa barbarie bestiale, zitti zitti, occuparono a poco a poco i posti-chiave della società civile e dei poteri mediatici; venuti oggi allo scoperto, impongono ormai apertamente, anche agli infanti dell’asilo, masturbazione e pratiche omosessuali.
 
In simile temperie socio-culturale, non ricordo che qualcuno – nemmeno al catechismo – m’abbia fatto imparare a memoria (che parolaccia!) i Dieci Comandamenti… tant’è vero che, adolescente, li confondevo ancora. Eppure la Bibbia era stata la base di tutto: catechesi, predicazione, preghiera… tutto era biblico. Il gruppo-giovani della parrocchia meditava ogni settimana il santo Vangelo, sul quale ognuno metteva a parte gli altri dei propri elevati pensieri, compresi i quotidiani diverbi col babbo o con la mamma… Poi ci si sposò, si divorziò, ci si riaccoppiò… come da manuale. È impressionante come certe storie di ferventi cattolici assomiglino a quelle di gente che a Messa c’è stata, l’ultima volta, il giorno della prima comunione – a parte la farsa degli sponsali che, un po’ per le foto, un po’ per la suocera, veniva meglio in chiesa. Che qualcosa sia andato storto?… non dico nel privato, ma in tutto l’insieme. Eppure sembrava che fosse solo questione di comprendere e accettare determinate idee (tanto che, sempre nell’adolescenza, i Sacramenti mi sembravano, stando così le cose, un sovrappiù abbastanza superfluo); il tutto della salvezza e delle promesse divine, del resto, era qui sulla terra e consisteva nel nostro stare insieme – talvolta un tantino conflittuale, ma contenente pur sempre la pienezza assoluta del bene supremo.
 
Ma questo è disfattismo, qualunquismo, menefreghismo! È per partito preso che non vuoi vedere i magnifici frutti del rinnovamento post-conciliare… O è per ordine di scuderia – se è permesso replicare – che non si possono ammettere i suoi catastrofici risultati? La conoscenza del vero Dio, necessaria per vivere in modo a lui gradito e accogliere con frutto la grazia che salva, si è dileguata per fare spazio a un attivismo convulso e scomposto con il quale non di rado lo si offende o si dà scandalo, come se non bastassero i peccati mortali pacificamente ammessi o tollerati… Giusto per fare un esempio, uno studente che aveva passato in parrocchia infanzia, adolescenza e giovinezza, dirigendo il servizio dell’altare e facendo catechismo ai bambini, poté tranquillamente provare la vita a due, prima di sposarsi: visto che si volevan tanto bene, avrebbero fatto ancora in tempo a lasciarsi, se non avesse funzionato. Il suo fidato mentore (poi diventato direttore spirituale niente meno che nel seminario del Papa, che lo ha scelto di recente come vescovo ausiliare), interpellato sul fatto, risponderà candidamente: «E vabbè, tanto mo’ se sposano»…
 
Che potranno insegnare ai giovani i sacerdoti da lui “formati”? Tutt’al più i rudimenti di quel nebuloso nuovo umanesimo nel quale la retta fede e lo stato di grazia sono perfettamente irrilevanti: basta praticare un volontariato di cui anche gli atei sono capaci, dato che non esige alcun esercizio delle virtù teologali infuse nei battezzati, ma unicamente quello delle forze naturali, guidato oltretutto non dalla Parola divina, ma dalle idee umane del momento; così andiamo tutti d’amore e d’accordo, credenti o meno. Non c’è che dire: come antidoto contro il nichilismo imperante (grazie al quale un pilota depresso non ha scrupolo alcuno a schiantarsi con l’aereo e con tutti i passeggeri a bordo), questo ritrovato sarà certamente risolutivo. L’importante è sbracciarsi per fornire vitto e alloggio gratuiti a chiunque sbarchi sul nostro suolo, compresi i maomettani che buttano a mare i compagni di traversata di fede cristiana (oggi ospiti delle patrie galere a spese di chi lavora per non arrivare neanche a fine mese, domani liberi di scorrazzare indisturbati dovunque)… e se non concordi, ti bollano come razzista xenofobo.
 
Questa non è una favola, ahimé, è tutta storia vera, esperienza di vita di chi scrive e di chi legge. Se l’idiozia e l’indecenza dilagano entro il sacro recinto, figuriamoci fuori… A che pro strapparsi le vesti, a questo punto, per bullismo, pedofilia, violenza sulle donne, stragi stradali, criminalità organizzata, disastri ambientali, cataclismi naturali, sfruttamento selvaggio delle risorse e dei popoli, con le guerre, le guerriglie e il terrorismo che ne sono corollario? Poste certe premesse – e tolta ogni barriera – ci si poteva aspettare qualcosa di meglio?… Ma che c’entra? Chi convive, si sposa, si separa, si risposa, si rilascia… non fa del male a nessuno (a parte i figli). Il fatto è che, come qualunque ingegnere sa bene, se si tocca anche un solo pilastro si mette in pericolo la stabilità di tutto un edificio, il quale potrebbe anche polverizzarsi nel giro di pochi secondi con tutti gli abitanti che custodisce, come accadde a Roma una notte di dicembre del 1998. Dato che mancava poco a Natale, il giorno dopo capitai, senza saperlo, a casa di un’ammalata il cui figlio era rimasto sotto. Non ricordo cosa riuscii a dirle con la mia “formazione” del seminario…
 
Con buona pace dei “preti di strada” e affini, la legalità non basterà mai a correggere l’uomo e a salvare il mondo. A parte i legittimi dubbi circa i contenuti di detta legalità, sollevati dal fatto che le legislazioni civili permettono crimini orrendi come l’aborto e la selezione genetica, mi sembra che si dovrebbe piuttosto ricominciare a parlare di moralità. Che dire poi del fatto che l’esponenziale moltiplicarsi di leggi e regolamenti è inversamente proporzionale alla loro efficacia, vista pure l’inefficienza della giustizia? Al massimo è un tentativo di nascondere la marea di corruzione che ha travolto la società e lo Stato: corruptissima republica, plurimae leges, come già asseverato da Tacito. Chi non conosce né osserva la legge divina, per qual motivo dovrebbe sentirsi obbligato a rispettare le leggi umane? Non si farebbe prima, allora, ad andare alla radice dei comportamenti illeciti, cioè alla responsabilità morale dell’individuo? Ma chi è, oggi, in grado di educare a tale responsabilità? I preti del vabbè?… o non piuttosto quelli attualmente torchiati dalla stessa gerarchia a causa della loro fedeltà alla dottrina cattolica e alla vera liturgia della Chiesa? In ogni caso, degli uomini di Dio che non credano alle favole, ma a Lui.
 

sabato 11 aprile 2015


Nuovo popolo cercasi

 
Questo si scriva per la generazione futura: e un popolo nuovo darà lode al Signore (Sal 102 [101], 19).

Lo so bene: le geremiadi non piacciono a nessuno. Il fatto è che il povero Geremia aveva ragione; ma la sua singolare vocazione fu di parlare per non essere ascoltato – nemmeno dopo la catastrofe. Ciononostante, egli rimase fedelmente con il rimasuglio di Israele disfatto ed errabondo, pur di non abbandonarlo al suo destino, e con il suo popolo cocciuto, nonostante il contrario responso divino, emigrò in Egitto, dove si persero le sue tracce (ma non le sue parole, rimaste monito prezioso per il futuro, sempre che si voglia intenderle). Come egli stesso aveva profetizzato, alcuni anni dopo Nabucodonosor arrivò fin là: la spontanea sottomissione predicata da Geremia e ostinatamente rifiutata dai suoi compatrioti, alla fine, fu imposta con la forza. Probabilmente sarebbe convenuto a tutti dargli retta fin da principio…

Quale interesse possono avere per noi queste antiche storie bibliche? Quello che ha tutta la storia sacra: la nostra salvezza eterna. Più di chiunque altri, un ministro della Chiesa deve interrogarsi su ciò che tale storia gli insegna per prendere le proprie decisioni. Che ne sarà del popolo errante e ribelle, se i ministri di Dio decisi a fare la Sua volontà lo abbandonano? Se così avessero fatto Mosè, Elia o Geremia, come sarebbe sopravvissuto il popolo eletto?… e dove si sarebbe incarnato il Figlio di Dio?… e da dove sarebbe germogliata la Chiesa? Di contro, però, la Parola divina ci invita pure ad uscire dall’accampamento portando, dietro Gesù, il suo obbrobrio (cf. Eb 13, 13). Come egli ha consumato il Suo sacrificio redentore fuori della Città santa, che lo aveva respinto quale Messia, così anche chi lo segue fedelmente dovrebbe dissociarsi espressamente da quel mondo ecclesiale che lo rinnega a fatti e a parole. Ma come continuare, poi, a guidare e sostenere i cattolici fedeli e quelli che, oggi pur così refrattari, cercheranno aiuto quando arriverà il castigo?

Il grosso della Chiesa terrena si è reciso dalle radici e, come accadrebbe a qualsiasi albero, è seccato. Attanagliato dal senso di vuoto e dalla nostalgia lacerante di qualcosa – e di Qualcuno – che i più giovani non hanno mai conosciuto, questo popolo disorientato e confuso si sforza in tutti i modi di convincersi da sé di quel che non sa più e di animarsi autonomamente di una vita che gli manca… perché, in realtà, ha perduto la sorgente della grazia. Non serve a nulla, a questo punto, insistere ottusamente a irrigare l’albero secco e privo di radici con acque derivate in modo autarchico e velleitario. All’organismo vivente che ci era stato trasmesso hanno sostituito un sistema artificiale che ha spento la fede e con il quale è impossibile suscitarla di nuovo, come mi ha fatto intuire, la notte di Pasqua, un episodio tanto fortuito quanto simbolico: non riuscendo in alcun modo ad accendere il nuovo cero pasquale in pura paraffina (che avrebbe bruciato con sgradevole odore e abbondante fumo nero), dopo aver recitato mentalmente un’Ave Maria mi è venuto in mente di mandare a prendere il vecchio cero del fonte battesimale (in pura cera d’api), che si è acceso immediatamente e ha poi brillato nella buia navata spandendo il buon profumo di Cristo.

Senza di esso, non so proprio come avrei potuto iniziare la Veglia pasquale… Senza un recupero della Tradizione, non vedo come possa rinascere la Chiesa, uccisa da un rito che non è più percepito come il Santo Sacrificio della nostra redenzione, ma come mero intrattenimento di natura socio-religiosa, di cui esistono oltretutto, in pratica, tante varianti quanti sono i ministri che lo celebrano. Una liturgia adattabile a tutti i gusti e a tutte le circostanze ha ingenerato la convinzione che l’uomo non debba conformarsi a Dio, ma piuttosto piegare l’idea di Dio ai propri capricci; così ora ci si pone in ascolto della Parola – come amano tanto dire – non per conoscere ciò che Egli vuole e obbedire a Lui nella propria condotta con l’aiuto della Sua grazia, ma per disquisire se quanto udito corrisponde o meno al codice morale personale (che è gioco-forza del tutto relativo). Il fedele si è trasformato in severo censore della verità rivelata, giudicata in modo insindacabile sulla base delle massime mondane del momento… C’è poi da meravigliarsi che nessuno si confessi più – o, se lo fa, sia convinto di non avere alcun peccato e ne approfitti, eventualmente, per denunciare i peccati di altri: marito, suocera, figli, parenti, colleghi e via dicendo?

Ma che importa? Se è assente la vita di grazia (locuzione ormai indecifrabile) e dilaga il peccato mortale, la piaga infetta e non curata è dissimulata con fiumi di parole; se la vera fede è morta, ci si dimena in attività aggregative che non la richiedono affatto; se non si prega più, si corre da un santuario all’altro – basta che in albergo si mangi bene. Se la Chiesa ha tradito il suo Signore, si può sempre osannare il líder máximo, che sta fondando una nuova religione in cui, finalmente, saremo tutti uguali, cattolici e non, cristiani e non, credenti e non… Era ora che finisse quell’odioso mondo di discriminazioni che faceva distinzione addirittura tra maschi e femmine, giovani e vecchi, onesti e disonesti…! Questo mondo di oggi, effettivamente, tra poco finirà, implodendo sul proprio vuoto spinto. Bisogna quindi preparare fin d’ora la generazione futura che sopravvivrà alla catastrofe, quel popolo nuovo che darà lode al Signore con la verità del proprio essere e operare.

Ecco dunque la risposta alla domanda formulata all’inizio: bisogna rimanere dentro, ma in modo diverso; sarà la qualità della presenza ad attirare chi cerca Dio. Ciò da cui bisogna uscire è la struttura mortifera, gestita da vescovi increduli, in cui la Chiesa si è rinchiusa e soffocata, per creare in alternativa ambienti vitali – non necessariamente riconosciuti, ma nemmeno in stato di rottura – in cui si possa realmente respirare lo Spirito Santo e crescere nella vita soprannaturale. Quale sia la soluzione concreta per attuare questo programma, non mi è stato ancora indicato dall’alto; ho un’idea sulla possibile guida. Invito perciò i lettori ad offrire preghiere e sacrifici per questa intenzione e a rimanere in contatto. Credo che vi abbiamo tutti interesse – un interesse supremo.

Al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!» (Sal 22 [21], 32).
 

sabato 4 aprile 2015


Lettera aperta ai sacerdoti

 
Tristis est anima mea usque ad mortem: sustinete hic, et vigilate mecum (Mt 26, 38).

Carissimi confratelli nell’unico sacerdozio di Cristo,
questo misero scritto, pubblicato in occasione della santa Pasqua, è dettato da un profondo affetto nei confronti di tutti voi, che rendete presente nel mondo il nostro amato Salvatore parlando e agendo nella sua Persona per il bene del Popolo riscattato dal suo Sangue e per la salvezza eterna dell’intera umanità. È con molto rispetto che mi rivolgo a voi, mosso da un ardente amore alla Chiesa, che ci ha generati nel Battesimo e ci ha conferito il sacro ministero, e al contempo da un sentimento di profonda perplessità, se non di smarrimento, riguardo a certi orientamenti di recente assunti dalle sue guide, a livello nazionale e oltre. Le intemperanze cui mi lascio talvolta andare nel valutare situazioni correnti sono espressione di una sofferenza che mi fa spesso piangere e gridare a Dio, quando prego o celebro da solo. E se Gesù, nel Getsèmani, avesse previsto, da parte della sua stessa Sposa, un futuro tradimento che avrebbe di fatto vanificato, per molti, la sua Passione redentrice?

In riferimento al programma del prossimo convegno ecclesiale di Firenze, illustrato nell’ultima riunione del clero della mia diocesi, non posso nascondere il grave turbamento di apprendere, dopo vent’anni di ministero, di non essere stato costituito presbitero per donare Dio e la sua grazia alle anime redente dal Sangue di Cristo, ma semplicemente per fornire a quanti mi incontrano un di più di umanità. Sarebbe certamente interessante che qualcuno ci spiegasse meglio che cosa si intenda esattamente con tale locuzione; ma in ogni caso, per quanto si fosse abili, mi sembra quanto meno arduo arrivare ad evincere – e convincere gli altri – che quell’espressione possa designare la vita soprannaturale, conquistata per noi dalla Croce gloriosa, che ci abilita a godere della vita futura. La trasmissione di questo dono incommensurabile ci impone il dovere ineludibile di suscitare la fede con una predicazione integra e franca della Parola divina, in modo che chi la accoglie possa riceverlo con frutto mediante i Sacramenti da noi amministrati.

Tolta – o dimenticata – la necessità assoluta di vivere e morire in stato di grazia per poter evitare la dannazione eterna (cui molti oggi si espongono, purtroppo, a causa della propria grave ignoranza in materia di fede e di morale), diventa poi quasi inevitabile convincersi in perfetta buona fede – come suggerito in quell’occasione da un confratello più anziano di me – che chi vive in stato di peccato mortale pubblico e conclamato sia in fin dei conti una vittima dell’ottuso clericalismo di chi lo esclude dalla vita ecclesiale per una questione di stupide regole canoniche… La vera misericordia – di cui ultimamente si fa un gran parlare – vorrebbe piuttosto che lo si avvertisse dell’enorme rischio che corre permanendo in quello stato; poi sarà libero di scegliere se persistere nell’errore o, con l’aiuto della grazia, convertirsi e cambiare vita: ma, se nessuno lo riprende con carità e delicatezza, non avrà mai questa libertà di scelta.

Qualcuno invocherà qui l’ignoranza invincibile come scusante, anche del peccato grave; ma il nostro compito è appunto quello di istruire le persone nelle verità della salvezza e di rimediare, nel caso, alla loro carente conoscenza, forse dovuta talvolta anche a nostre inadempienze… In ogni caso, non vedo come si possa far progredire nella fede e nella santità il Popolo di Dio (che in buona parte, ormai, ignora finanche le verità fondamentali del Credo e, non ricevendo mai i Sacramenti, ha di principio perso lo stato di grazia) con sproloqui inconsistenti su un preteso nuovo umanesimo i cui contenuti si evita rigorosamente di definire in modo chiaro; tanto meno si vede come annunciare efficacemente il Vangelo salutare, in una “società liquida” che, privata di riferimenti certi, affoga nell’impurità e nella violenza, con fervorini melensi sulle ferite da curare o sul “buono” che si potrebbe rinvenire anche in situazioni oggettivamente cattive. Non si comprende affatto, poi, per quale mistero della fede il peccato mortale di concubinaggio possa nascondere in sé – come asserito da importanti personaggi – un’incipiente sacramentalità…

Certi discorsi mi spingono ad immaginare il caso assurdo di un medico che, di fronte a un paziente malato di cancro, gli dicesse: «Vedi, tu hai un tumore, ma per il resto stai bene. Perciò non ti prescrivo alcuna cura; al massimo, se proprio vuoi, fatti una tisana»… o quello di un medico che, per non turbare il medesimo paziente, con misericordia e tenerezza non gli dicesse nulla e lo lasciasse andare con una pacca sulla spalla e qualche parola rassicurante del tipo: «Ti voglio bene» oppure «Dio ti ama così come sei». Ovviamente, ci sarebbe di che denunciarlo. Noi non corriamo questo genere di rischi, nella vita presente; ma quando ci presenteremo al giudizio… come renderemo conto dei talenti affidatici? La prima forma di carità e misericordia – soleva ripetere un santo Papa venuto da un Paese lontano, ma ancora in Europa – è dire la verità agli uomini, specie se erranti.

Quanto all’uscire, annunciare… trasfigurare che ci è stato indicato come linea pastorale (?) da seguire nei prossimi anni, posso senz’altro concordare sul fatto che sia effettivamente urgente distogliersi, nella Chiesa attuale, dal morboso ripiegamento su se stesso di chi si bea contemplando il proprio ombelico e si meraviglia che altri non si sentano attirati a fare altrettanto. Non mi è però ben chiaro come questo fine sia perseguibile mediante una suprema tensione verso l’uomo piuttosto che – come di norma in qualsiasi religione – verso Dio… a meno che, i fianchi cinti da un grembiulino, non si sia scambiato l’uno con l’altro. Parafrasando il grande commediografo inglese, potrei così concludere: «God or man? This is the problem». Sarò forse un presuntuoso ma, dal canto mio, non ho di questi dubbi amletici e non ne ho mai avuti: per grazia di Dio, ho fatto la mia scelta e non me ne pento.

P.S.: un vecchio canto popolare della Via crucis, noto in varie regioni d’Italia, si rivolge al Redentore paziente con queste parole: «Gesù mio, con dure funi, come reo, chi ti legò? Sono stati i miei peccati: Gesù mio, perdón, pietà». I meno devoti, un tempo, si prendevano una magra rivincita sostituendo al testo della risposta la seguente parafrasi: «Sono stati i preti e i frati…». Per quanto irriverente, questa triste bravata potrebbe farci riflettere sulle nostre attuali responsabilità di pastori: vogliamo anche noi, ancora una volta, crocifiggere Gesù per rifiuto della sua vera identità di divino Salvatore universale e per connivenza con i poteri di questo mondo, come già le autorità giudaiche? Vi scongiuro: rimaniamo con Cristo e vegliamo con lui per la sua Chiesa, perfino a costo di rimetterci personalmente. Buona Pasqua.