Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 28 marzo 2015


Attenti al lupo

 
Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. […] Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco (Mt 7, 15-16.19).
 
Sapete qual è uno dei frutti peggiori dei falsi profeti? È quella che gli specialisti di “morale” hanno battezzato opzione fondamentale. Secondo questa bella teoria, in parole povere, uno può pure rimpinzarsi ogni giorno di siti pornografici e andare a donne (o a uomini) più volte a settimana senza commettere peccato, dato che in realtà, nella sua coscienza, non approva quei comportamenti e non ne ha fatto una scelta di vita. È come dire che, siccome non sono d’accordo con chi compie certe azioni per convinzione, posso compierle tranquillamente ogni volta che ne ho voglia, purché non sia per orientamento stabile. Il medesimo “ragionamento” si può evidentemente estendere a qualsiasi crimine: violentare un bambino, strangolare la moglie, seviziare il convivente… tutto può essere moralmente scusato, basta che l’opzione di fondo di chi lo fa sia buona. Isteria, fariseismo o sfacciataggine all’ennesima potenza?

«Com’è possibile che succedano certe cose?… Ma dove andremo a finire?», ci si chiede sgomenti guardando il telegiornale. Con la premessa appena esposta, tuttavia, certi fatti non destano alcuna meraviglia; sono semplicemente l’ultima conseguenza di un’ideologia disastrosa. È pur vero che in proporzione, grazie a Dio, pochi hanno studiato una certa morale post… conciliare; ma quei pochi che l’hanno studiata, oltre a riportarne una deformazione mentale permanente, hanno poi provocato danni incalcolabili tramite il loro ministero, specie nella predicazione e nella confessione: è il cosiddetto effetto “sasso nello stagno”. Come potrebbero del resto correggere i fedeli pastori d’anime che usino, per giustificare i propri vizi, lo stesso escamotage che raccomandano agli altri?… o che sostengano che, andando a mignotte, non fanno del male a nessuno?… o che si appellino alla propria opzione fondamentale per sentirsi perfettamente in regola?… Quanti sacrilegi commettono poi dicendo Messa in quello stato!

Se un cristiano lotta contro un’attrazione per lo stesso sesso e si imbatte in un prete che lo assolve misericordiosamente assicurandogli che il buon Dio lo ha fatto così e che deve pertanto accettarsi, in quanto il vero peccato consiste nel rifiutare la propria condizione, che deve fare quel poveretto? Come minimo, far notare al confessore che sta bestemmiando il Creatore e insultando l’intelligenza del penitente. Ma poi, dove andrà a cercare qualcuno che lo aiuti realmente? Per fortuna – o meglio per grazia – lo Spirito Santo, Lui che è veramente misericordioso, trova ancora dei laici dotati di molto coraggio (ovvero di molto courage, dato che il movimento è di origine americana) e disposti a prendere sul serio l’immutabile Parola di salvezza. Certo, non saranno ricevuti in Vaticano come le associazioni “cattoliche” che si battono per i diritti degli omosessuali… ma che importa, ciò che conta è poter essere un giorno ricevuti in Paradiso.

Un alto rischio rimane tuttavia per quanti non sono in grado di smascherare i lupi travestiti da agnelli. Se poi si oppongono pure ottusamente a chi cerca di svegliarli, rinfacciandogli di non essere in sintonia con la star ecclesiastico-mondana del momento, rimane soltanto da pregare, consacrando in pari tempo al Cuore immacolato quanti più bambini possibile, perché almeno la Madonna li preservi dall’essere irrimediabilmente manipolati a casa e a scuola. Bisogna in effetti preparare una generazione nuova, che possa sostituire quella che non sarà in condizione di superare l’imminente castigo: «Io ho abbandonato la mia casa, ho ripudiato la mia eredità; ho consegnato ciò che ho di più caro nelle mani dei suoi nemici. […] Molti pastori hanno devastato la mia vigna, hanno calpestato il mio campo. Hanno fatto del mio campo prediletto un deserto desolato […]. Essi hanno seminato grano e mietuto spine, si sono stancati senza alcun vantaggio; restano confusi per il loro raccolto a causa dell’ira ardente del Signore» (Ger 12, 7.10.13).

Fra i ministri di Dio, in verità, non sono molti ad ammettere apertamente il proprio smarrimento per la cattiva qualità del raccolto o per la sua completa assenza: bisogna far comunque buon viso a cattivo gioco, ripetendosi a vicenda che, certo, i frutti pastorali non sono incoraggianti, ma ora tutto sta cambiando e ben presto turbe di gente assetata di misericordia invaderanno di nuovo le nostre parrocchie, ormai liberate dal timore di scontrarsi con clericali ostacoli alla loro ricerca… Appena terminato il “sinodo” che avrà imposto nuovi itinerari di riconciliazione per i fedeli in situazione irregolare, scatterà la sanatoria universale, già indetta in veste di “anno santo” pensato ad hoc. Ma in fin dei conti – come ci hanno insegnato – non dobbiamo cercare i risultati, noi lavoriamo per la gloria (quella di sentirci buoni e riconosciuti perché diamo tutto a tutti, senza mai dire di no a nessuno: le donne di strada, almeno, si fan pagare…). Tu credevi di essere un prete, ma in realtà volevano un assistente sociale – che in più dà pure un po’ di conforto spirituale, quando serve, e ogni tanto esegue qualche rito religioso, che non fa mai male. Basterà questo per non finire nel fuoco?
 

domenica 22 marzo 2015


Ridere per non piangere


Lo confesso: piango spesso sull’odierna situazione ecclesiale, in cui sono orfano di padre e di madre. Non ho più il sostegno, in una lotta che si fa sempre più aspra, dell’autorità benefica di un Pastore universale all’altezza della sua missione, né il conforto di sentirmi al sicuro in seno a quella santa Madre Chiesa la cui dirigenza, in nome della misericordia verso chi non vuol saperne, è diventata matrigna con chi le è fedele. Ma non si può sempre piangere; quand’anche fossero lacrime sante che lavano l’anima e la preparano a consolazioni celesti, la nostra fragile psiche, ferita dal peccato originale, ha bisogno di sollevarsi ogni tanto con quei mezzi umani che il buon Dio ha pur concesso alla nostra specie. Fra questi c’è senz’altro l’umorismo, che contiene un segreto per resistere alle peggiori prove dell’esistenza – segreto prezioso, soprattutto se la prova è del tutto inedita.

Non so se dobbiamo essergliene grati, ma ogni giorno il caro buontempone della pampa, per carpire il plauso dello Zeitgeist mondano, ci fornisce nuovi motivi per ridere o piangere, a seconda dello stato d’animo del momento. Una delle ultime sparate (ma già trita e ritrita nella sostanza) è che ci sono persone così buone che, per colpa degli altri, sono costrette a commettere reati perché non possono agire altrimenti; basterebbe regalare loro un sorriso o una carezza perché evitassero di farlo. Pensate per esempio a un drogato che vi punta addosso un coltello per derubarvi, o magari a un mafioso che spara nel mucchio per colpire uno come lui, o ancora a un adepto del novello califfo che stacca teste a ripetizione, e provate a dargli una carezza… Vi abbraccerà commosso e ritornerà un angioletto (ma non azzardatevi a provare a convertirlo, sarebbe gretto proselitismo; ancor meno a dirgli che il peccato grave non è lecito a nessuno e in nessuna circostanza, sarebbe bieco moralismo). Via, si parte tutti per la Siria!

Secondo la vulgata dei vaticanisti prezzolati, nel conclave del 2005 l’argentino sarebbe stato il favorito di un altro cardinale gesuita che si batteva da tempo per un “rinnovamento” radicale della Chiesa, ma era troppo anziano e malato per prenderne il timone. Nulla di più falso: risulta invece da testimonianze dirette che, interpellato sul confratello come nuovo candidato, il celebre biblista abbia respinto l’ipotesi con non celato disprezzo: «È troppo ignorante!». La superbia intellettuale, stigma dell’élite gesuitica radical-chic, preferì che diventasse papa il nemico giurato di sempre piuttosto che un personaggio di scarsa cultura, contando comunque su una futura strategia di boicottaggio sistematico… Una volta morto – a quanto pare suicida e, quindi, in odore di dannazione eterna – il paladino dei non credenti, al conclave successivo non ci fu più, evidentemente, l’opposizione del gruppo da lui capeggiato; il seguito lo conoscono tutti. La valutazione del livello di cultura dell’eletto è peraltro l’unico elemento su cui possiamo ritrovarci in sintonia con il defunto – oltre, naturalmente, la pur invisa scelta dell’ultimo autentico successore di Pietro.

L’ignoranza rappresenta di solito, sul piano morale, una scusante, eccetto quando si tratta di ignoranza crassa; la contestazione “colta” e pervicace della verità rivelata è invece un peccato ben più grave. Per ignoranza, ad ogni modo, si possono dire solenni sciocchezze senza nemmeno rendersi conto che esse ricadono sotto gli anatematismi (quelle limpide e liberanti proposizioni che iniziano con si quis dixerit e terminano con anathema sit) dei Concili di Trento e Vaticano I, che un pontefice dovrebbe almeno aver sentito nominare, se non altro nella sua giovinezza. Che le affermazioni incriminate non rientrino nel magistero ufficiale o esprimano eventualmente opinioni private non cambia nulla: si quis dixerit, è sufficiente averle pronunciate. Se poi non vengono nemmeno ritrattate, non c’è nulla da fare: la scomunica, in questi casi, è automatica. Qui non viene più da ridere, perché la situazione si fa tragica.

Un papa che cada in eresia cessa di esserlo ipso facto, ci assicura san Roberto Bellarmino. Se questo è chiaro a livello teologico, sul piano canonico la questione è ben più delicata: ci vorrebbe un concilio che dichiarasse formalmente l’eresia e chiedesse al papa di abiurare o di dimettersi – cosa impensabile, nella situazione attuale. Ma come si è potuto arrivare ad una simile degenerazione? La risposta è molto semplice: grazie a un concilio che è stato definito pastorale (senza peraltro che alcuno, in cinquant’anni, ci spiegasse che cosa ciò significhi esattamente), ma che in realtà ha provocato uno stravolgimento radicale delle convinzioni comuni concernenti i punti più importanti della fede, quelli per i quali vale o non vale la pena di credere e di appartenere alla Chiesa. È un innegabile dato di fatto: l’ermeneutica della rottura trova spesso consistente fondamento in testi costellati di affermazioni ambigue, imprecise o decisamente problematiche dal punto di vista dottrinale, per non parlare di quelli che, appena enunciato un principio in maniera cristallina, lo smentiscono subito dopo con ipotesi, riserve e considerazioni contrarie, o di quelle “eccezioni” vaghe e non ben delimitate che scardinano in pratica le norme poco prima ribadite… Non c’è che dire: le commissioni, controllate da vescovi e teologi progressisti, lavorarono con estrema finezza per ottenere il consenso dell’assise senza dare a vedere i loro veri obiettivi.

Tutti sanno che a un ladro, per forzare una porta o una finestra, basta trovare una fessura abbastanza larga per infilarvi il piede di porco; una volta penetrato nella casa, essa sarà alla sua mercé. Una piccola crepa può provocare il crollo di una diga possente, tanto è forte la pressione dell’acqua; poi si salvi chi può. Le cosiddette “aperture” del Vaticano II si sono ben presto trasformate da spiragli in voragini abissali, per la fede e la salvezza delle anime… Padre Pio soleva parlare delle riunioni che si tengono all’Inferno per architettare piani distruttivi a danno della Chiesa e chiedeva a Dio di poter morire prima di vederne lo sfacelo; fu accontentato giusto in tempo, ma lo sfascio era già iniziato. Egli profetizzò l’èra della falsa misericordia (quella che, anziché liberarne il peccatore, lo imprigiona nel suo peccato). Ora, nella “Chiesa rinnovata”, la sua figura è diventata un idolo, per molti che non vanno mai a Messa e a confessarsi non ci pensano neppure. Nonostante svariati tentativi, il diavolo non riuscì a neutralizzarlo in vita; che ci stia riuscendo adesso? La vendetta è in effetti un piatto che si mangia freddo, fosse pure mezzo secolo dopo. Ma il cornuto sa che gli rimane poco tempo; lo sapeva pure Padre Pio. Ride bene chi ride ultimo.
 

domenica 15 marzo 2015


Pace e libertà

 
Non esiste illusione più tenace e insidiosa di quella di essere liberi. L’uomo è per nascita schiavo del peccato, delle proprie passioni e dell’inclinazione al male, per non parlare dei suoi errori passati e di tutti i condizionamenti provenienti dall’ambiente in cui nasce, che si putrefà nella corruzione. Dopo il peccato originale, l’uomo non è mai stato libero né mai lo sarà, se non obbedendo alla legge di Cristo. È un dato di fatto metafisico, prima che morale: la natura umana è ferita e danneggiata. Questo formicolare di esseri infelici che si dibattono nell’ignoranza e nella melma credendo di esercitare la propria libertà – mentre vi affondano inesorabilmente sempre di più – sarebbe degno di compassione se quei medesimi esseri non si fossero volontariamente resi sordi a qualsiasi richiamo, pieni di astio verso chi vorrebbe aiutarli a tirarsene fuori, incantati invece da chi li indottrina, li manipola, li manovra, li controlla finanche nella mente, oltre che in tutti gli aspetti della loro esistenza concreta.

Come mai personaggi così giovani con incarichi politici così importanti? Perché le ultime generazioni, nate dopo il ’68 e il “rinnovamento” della Chiesa, sono ormai in buona parte prive di coscienza e di qualsiasi scrupolo. I governanti attuali sono monelli, individui completamente amorali, talmente spregiudicati da essere disposti a tutto pur di rimanere in sella, così che da loro si può ottenere qualunque cosa. Le logge massoniche sovranazionali (piuttosto che quelle nostrane, che non contano più nulla) li usano per realizzare i propri piani di sovversione della società e disgregazione della persona umana, dopo aver brutalmente scartato elementi più maturi già da esse imposti, ma evidentemente non del tutto docili – per non dire succubi – alle direttive dei loro mandanti occulti. Ora che sono riusciti a piazzare un amico anche oltre Tevere, nemmeno da lì arriva più alcuna opposizione, ma anzi un potentissimo appoggio nella manipolazione della cosiddetta opinione pubblica, ormai influenzabile a piacere (compresi i sedicenti cattolici).

«Chi sono io per giudicare»… Sono bastate cinque parole, pronunciate durante una chiacchierata con i giornalisti in una cabina d’aereo, per far crollare di botto una diga che reggeva da duemila anni, provocando nelle coscienze un disastro ben peggiore di quello del Vajont. Il giudizio morale, già latitante, è stato definitivamente bandito dalla convivenza civile ed ecclesiale, secondo un principio di relativismo assoluto che è stato poi ampiamente illustrato appena due mesi dopo, sempre per via giornalistica. Il nuovo dogma non ha bisogno di definizioni solenni (visto che quelle del passato non contano più nulla), ma passa giustamente attraverso quei mezzi di comunicazione che raggiungono immediatamente tutti, cattolici e non, credenti e atei, persone ragionevoli e individui privi di pensiero. Un anno e mezzo più tardi, la devastazione delle coscienze è ormai evidente: non si può più nemmeno dire, in una chiesa, che quando nasciamo siamo o maschi o femmine… Figuriamoci l’effetto negli ambienti politici e “culturali” dei senza-dio e dei falsi cristiani!

Un capo della Chiesa secondo il quale «Dio non è cattolico» e che se la prende tanto con l’autentica attività missionaria, per giunta ormai esangue (quella che, in obbedienza al mandato di Cristo, mira alla conversione dei non cristiani per la loro salvezza), tacciandola di sciocco proselitismo proprio davanti a un giornalista apostata e abbracciando poi calorosamente i capi di sètte fondamentaliste che praticano un proselitismo selvaggio ai danni della Chiesa Cattolica… dovrebbe almeno, come usa dire nella città di cui è vescovo, “fare pace col cervello”. Ma se uno si prende la briga di rileggersi i canoni contenuti nella Costituzione Dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I (ebbene sì, se ce n’è stato un secondo, è perché prima c’è stato quello), si renderà facilmente conto che, oltre a un problema di semplice logica, evidente a chiunque ragioni un pochino, ce n’è uno di fede e di conseguente disciplina ecclesiastica: molte affermazioni del de quo, per quanto ambigue e furbesche, lo fanno incorrere nella scomunica.

Nella medesima pena sono da tempo incorsi, anche senza formale notifica, alcuni dei suoi elettori a causa delle eresie da loro propalate sia a voce che per iscritto, poi lodate dal loro candidato già all’indomani della sua elezione. C’è decisamente di che convincersi ulteriormente – se necessario – dell’invalidità di tutta la messa in scena. Che pensare poi del fatto che il titolare della diocesi ambrosiana era già dato per eletto dalla conferenza dei Vescovi italiani, con una certezza tale che il telegramma di felicitazioni è partito ancor prima dell’Habemus papam? Si è trattato semplicemente di una gaffe colossale o qualcosa non ha funzionato come dovuto, visto che il “papa mancato”, nei due mesi successivi, è stato inavvicinabile, a detta dei suoi sacerdoti? Ha forse ricevuto minacce in conclave perché si facesse da parte, come già accaduto con il cardinal Siri nel 1978?

Ad ogni modo, la celebre astuzia gesuitica (nel senso deteriore del termine) può ben ingannare chi ha dimenticato anche le nozioni più elementari del catechismo o chi non le ha mai imparate, ma non chi conosce rettamente la fede che professa e, trovandosi in stato di grazia, è assistito dallo Spirito Santo. Compito del supremo Pastore non è sostenere in modo dissimulato un partito eterodosso praticando al contempo un maldestro equilibrismo per tenersi attaccata la parte sana, ma denunciare apertamente l’errore per smentire il primo e incoraggiare la seconda: «Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a custodia del proprio campo, e perciò siamo tenuti dall’obbligo sacrosanto a vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe, stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole, con le quali l’Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo: “Ma tu, veglia, adempi il tuo ministero… predica la parola, insisti a tempo, fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina” (2 Tm 4, 2-5). E poiché, ad evitare le frodi del nemico, è anzitutto necessario scoprirle, e giova molto avvisare gl’incauti degl’inganni suoi, non possiamo del tutto tacerne, per il bene e la salute delle anime, sebbene preferiremmo nemmeno nominare simili malvagità, “come conviene ai Santi” (Ef 5, 3)» (Pio XI, Enciclica Casti connubii, 1930).

Parole quanto mai attuali, pur a distanza di tanti anni. Tutto il Magistero autentico, del resto, non può che essere perennemente valido: «Perché come è sempre il medesimo “Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli” (Eb 13, 8), così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito (cf. Mt 5, 18)» (ibid.). È allora del tutto naturale obbedire, con la mente, con il cuore e con la vita, a chi insegna nel nome del Salvatore, purché questi obbedisca a sua volta a Chi lo ha collocato al suo posto: «È proprio di tutti i veri seguaci di Cristo, sia dotti, sia ignoranti, lasciarsi reggere e guidare dalla santa Chiesa di Dio in tutte le cose spettanti alla fede e ai costumi, per mezzo del suo Supremo Pastore, il Pontefice Romano, il quale è retto a sua volta da Gesù Cristo Signor Nostro» (ibid.). È questa obbedienza il segreto della vera libertà. Continuiamo ad affermarlo con franchezza e coraggio, sapendo che, al momento da lui voluto, Dio ci donerà di nuovo una guida che, confermandoci nella verità, ci restituisca la pace.

Desisti dall’ira e deponi lo sdegno; non irritarti: faresti del male… Ancora un poco e l’empio scompare… Conosce il Signore la vita dei buoni… Non saranno confusi nel tempo della sventura e nei giorni della fame saranno saziati. Poiché gli empi periranno… tutti come fumo svaniranno… Perché il Signore ama la giustizia e non abbandona i suoi fedeli (Sal 37 [36], 8.10.18-20.28).
 

domenica 8 marzo 2015


Sogno o realtà?


Sarebbe bello che Benedetto XVI fosse ancora papa; ma di fatto si è dimesso e non governa più la Chiesa. Sarebbe bello che il suo successore, pur con una personalità e uno stile propri, proseguisse in continuità, come sarebbe naturale, la sua opera di ripristino della sana dottrina e di una corretta liturgia; ma di fatto sta demolendo a colpi di piccone quel poco che di buono rimaneva ancora nella coscienza e nelle abitudini dei fedeli. Sarebbe bello che la Curia romana fosse purgata dei sodomiti e dei massoni che la infestano; ma di fatto ne sono stati espulsi soltanto elementi fedeli alla Tradizione e poco inclini alla finzione. Sarebbe bello che il mondo fosse meno cattivo e bastasse aprire i confini (ma non le proprie case!) agli immigrati; ma di fatto i trafficanti di esseri umani prosperano con la benedizione dell’Occidente, il quale da anni arma le milizie islamiche che si finanziano anche in questo modo… Sarebbe bello non essere costretti a esprimersi sempre con un sarcasmo tagliente, ma è l’unico modo per non mettersi a urlare.
 
La realtà va vista così com’è, senza evadere nei sogni. Essa non coincide con ciò che vorremmo: non possiamo dipingercela come ci piacerebbe, perché questa è un’illusione da bambini. A quell’età è un’utile scappatoia per superare angosce eccessive e non gestibili con le risorse dell’infanzia; ma da adulti quell’evasione non ci è più consentita: le cause della nostra angoscia dobbiamo guardarle in faccia. Possiamo pure ripeterci ogni momento che quanto sta avvenendo è stato predetto e fa parte del piano divino: ciò non diminuisce il dolore insopportabile di sentircene spettatori impotenti, ci preserva soltanto dallo sprofondare nella disperazione – un po’ meno dal disgusto nei confronti di coloro che ostentano una fiducia imperturbabile nella nuova dirigenza cattolica o nella cosiddetta “comunità internazionale”, a seconda dei problemi considerati…
 
Come saremmo felici di scoprire che ci siamo sbagliati, per pregiudizio, ignoranza o miopia spirituale! Come vorremmo poterci convincere delle accuse rivolte senza posa – in modo indiretto ma fin troppo palese – a quanti sentono le cose come noi! Ma la ragione e la coscienza ce lo vietano: bisognerebbe smettere di vedere e di pensare, e questo è inaccettabile. Quella superiore sapienza dello “spirito” (senza ulteriori qualifiche) che, come ci viene insistentemente ripetuto, bisognerebbe accogliere per riconoscere le novità e le sorprese che qualcuno lassù ci tiene in serbo (manco fosse Babbo Natale) è ben nota a chi scrive, il quale nella sua giovinezza ha avuto agio di conoscerla in modo approfondito, rimanendo altamente edificato dai suoi frutti di immoralità scandalosa e riuscendo a conservare la fede e la vocazione unicamente per la grazia di Dio e l’educazione ricevuta in famiglia.
 
Quella pretesa “sapienza”, in realtà, riposa sul tacito presupposto che la Chiesa sia appena ripartita da zero, come se due millenni di storia fossero integralmente da rottamare, e che soltanto adesso, finalmente, si sia cominciato a capire e a vivere il Vangelo. Su tale presupposto si è costruito un enorme edificio di mistificazione, nel quale sono state ormai indottrinate generazioni di seminaristi e religiosi – e, attraverso di loro, anche di fedeli. I pilastri di questo edificio sono rappresentati da alcuni asserti indiscutibili del tipo: «La Chiesa si è aperta al mondo», «Il Popolo di Dio si è rimesso in cammino», «Bisogna condannare l’errore e non l’errante», «Dobbiamo cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide», «Siamo al servizio dei poveri»… Questi nuovi dogmi hanno informato tutta una mentalità e tutta una prassi, divenute ormai così correnti che a provarsi a rimetterle in dubbio si è automaticamente presi per mostri di integrismo.
 
Noi abbiamo sempre creduto che fosse il mondo a doversi aprire alla Chiesa per essere salvo; che il Popolo di Dio camminasse anche prima (e sulla buona strada!), guidato da Pastori santi e fedeli; che condannare l’errore in teoria senza mai sanzionare l’errante ostinato serva solo a convincere gli altri che l’errore sia accettabile o persino buono; che per ritrovare la piena comunione con i cristiani divisi abbiamo bisogno di esaminare proprio ciò che l’ha spezzata; che limitarsi a fornire ai poveri cibo e vestiti, omettendo di offrire loro anche le verità della salvezza eterna, significa defraudarli del bene maggiore che possediamo e di cui hanno bisogno più di qualsiasi altra cosa… Un uomo liberato dalla povertà materiale, che per i suoi peccati rischia però di dannarsi per l’eternità, non è felice in questa vita e potrebbe non esserlo mai, nemmeno nell’altra. Per inciso, di peccati ne facciamo tutti, compresi i poveri; è un dato reale che non riesce a smentire nessun sogno della “nuova morale”, in cui nulla è peccato e non si sa più neppure che cosa sia il peccato.
 
Tutto ciò dovrebbe essere semplicemente evidente per chi ha la fede e usa giusto un pochino la testa… ma forse pretendiamo troppo, in questa congiuntura ecclesiale in cui l’uso del raziocinio è diventato un lusso (Dio ce ne scampi, la Chiesa deve essere povera!) e la fede è ridotta a vago sentimentalismo da romanzo rosa. A forza di giocare al ribasso hanno svuotato i magazzini, non restano più nemmeno i saldi di fine stagione… A che cosa aggrapparsi, a questo punto? Dove sopravvive ancora la Sposa di Cristo? Indubbiamente, nei suoi Sacramenti, nella sua Tradizione, nei suoi ministri fedeli, in tanti battezzati che soffrono, offrono e pregano: nell’anziana cieca e sorda che recita il Rosario nella solitudine della sua casetta; nel parroco di campagna che fa il catechismo ai suoi bambini; nella mamma che ogni domenica porta con sé i figli alla santa Messa; nell’operaio che ringrazia il Signore mattina e sera per la famiglia e per il lavoro; nell’insegnante che, nel trasmettere il suo sapere, fa crescere delle persone e le dispone così al Regno di Dio… Questo non è un sogno, è realtà. Forse non saremo in tanti, ma l’importante è esserci.
 
Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno (Lc 12, 32).
 

domenica 1 marzo 2015


È davvero finita?

 
Ci piacerebbe sapere di che cosa san Paolo aveva parlato a viva voce con i cristiani di Tessalonica per poter comprendere meglio le velate allusioni contenute nella seconda lettera loro indirizzata (cf. 2 Ts 2, 5-7). Ad ogni modo, i testi profetici, anche se inizialmente oscuri, svelano il loro significato quando le vicende da essi evocate sono in corso di realizzazione. Lo stato attuale del mondo e della Chiesa sembra autorizzare un tentativo di spiegazione che, per quanto si voglia prudente, poggia sull’osservazione diretta dei fatti e sulla loro inquietante concatenazione. Per favore, non ci si accusi subito di catastrofismo, perché la realtà supera abbondantemente la percezione che, nonostante le straordinarie risorse mediatiche della nostra epoca, possiamo averne come singoli e come gruppi.

L’Apostolo delle genti, in relazione alla manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi, profetizza il pieno dispiegamento del mysterium iniquitatis mediante il consumarsi dell’apostasia e l’avvento di un uomo del peccato, il figlio della perdizione (cf. ibid., vv. 3. 7). Alla sua epoca, però, era ancora presto e bisognava attendere: c’era infatti qualcosa, ben noto ai suoi fedeli, che tratteneva (tò katéchon, v. 6) la manifestazione dell’empio e del suo potere. Subito dopo egli accenna invece a qualcuno (ho katéchōn, v. 7) che trattiene il compimento dell’iniquo mistero e che deve essere tolto di mezzo perché esso trionfi momentaneamente prima della sua definitiva sconfitta.

Che cosa ci insegna la storia recente? Fino a cinquant’anni fa, la Chiesa Cattolica si è efficacemente opposta all’opera delle tenebre con la sua dottrina, la sua liturgia e le sue istituzioni. Era questa la realtà che tratteneva (tò katéchon) come un baluardo gli assalti del male e impediva ai suoi agenti di operare in modo troppo spavaldo e violento, a meno di rivoluzioni sanguinarie, ma limitate nel tempo e nello spazio. Poi la Chiesa (o meglio una parte di essa, inizialmente minoritaria, ma molto agguerrita e influente) ha deciso di sospendere bruscamente la provvidenziale funzione che Dio le aveva assegnato nella storia e si è “aperta al mondo”, mettendosi a “dialogare” ad oltranza con chiunque (compresi quanti volevano distruggerla…).

Come risultato, fenomeni fino allora esclusivi di una ristretta cerchia sociale e culturale hanno dilagato fino a sommergere di fango la società occidentale e la Chiesa stessa: aberrazioni ideologiche, immoralità disgustose, rivendicazioni puerili, ingiustizie accecanti, misfatti disumani sono diventati normalità. Ma qualcuno (ho katéchōn) continuava pur sempre ad opporsi… Lo avevano ingiuriato, diffamato, persino citato in giudizio per crimini contro l’umanità (sentite da che pulpito…): niente, egli continuava imperterrito – con la limpidezza imperturbabile degli uomini di Dio, preoccupati unicamente di rammentare la verità per il bene altrui, senza temere per sé – ad arginare lo straripamento dell’iniquità, se non altro nelle coscienze dei buoni.

Ma, secondo la profezia, egli doveva esser tolto di mezzo. Che importa che ciò sia avvenuto per opera di (falsi) uomini di Chiesa che lo circondavano, erano anzi fra i suoi più stretti collaboratori? Di fatto doveva succedere – ed è successo. A questo punto, la confusione più completa ha invaso il Popolo di Dio: l’uomo iniquo, appoggiato dai suoi compari, ha occupato il suo posto con la frode; gli apostati, sentendosi ormai sicuri, hanno gettato la maschera e attaccato apertamente la dottrina; i fautori mondani del progresso si sono scatenati all’assalto delle legislazioni nazionali per imporre sistematicamente il loro nuovo “ordine” satanico, che capovolge dalle radici quello naturale. Sembra incredibile l’accelerazione di certi sviluppi in soli due anni…

Di fronte al quotidiano susseguirsi di evidenze incontrovertibili, negli ultimi mesi chi scrive si è più volte lasciato andare, con un sentimento tra l’incredulo e l’angosciato, all’espressione: «È finita…». Per chi ha fede, beninteso, non potrà mai “essere finita”; se tutto questo, anzi, è stato predetto, vuol dire che fa parte di un piano divino per il trionfo del bene, al quale non parteciperà se non chi sarà stato passato al vaglio e, con l’aiuto della grazia, si sarà mantenuto fedele. Ciò che sta finendo è ciò che comunque doveva finire: un sistema che prosperava su una fede più apparente che reale, su un surrogato di fede che, servendo a scopi puramente temporali, faceva comodo a chi governa come a chi è governato: quanti vantaggi terreni, in fondo, si possono ricavare da un po’ di realistica devozione a prezzi ribassati!

L’attuale apostasia non è altro che il frutto maturo (o meglio marcio) di questo atteggiamento: una religiosità esteriore che va a braccetto con il mondo e ne riceve mille favori e privilegi. Ciò che sta cambiando a ritmi vertiginosi è in realtà una subdola riedizione – ma in una forma mille volte più radicale – di un sistema ormai superato nella sua vecchia veste, ma sempre efficace nella sostanza: si ribadisce la dottrina sul piano teorico, ma per ragioni “pastorali” si persegue al contempo una prassi del tutto divergente che la ignora completamente e instilla nei fedeli convinzioni ad essa contrarie, che a poco a poco informano la loro coscienza e il loro agire morale. Poco importa se questa discrasia è arrivata a un livello tale da rimettere di fatto in discussione la dottrina stessa, della quale ci si affanna paradossalmente ad escludere qualsiasi modifica: excusatio non petita

La morale cattolica, nella Chiesa, è ormai defunta. Dalle sue ceneri è risorto uno strano moralismo utopistico, velleitario, antropocentrico, mondano, totalmente chiuso alla trascendenza e ignaro della grazia santificante nonché della vocazione eterna dell’uomo (di che cosa?!?)… un moralismo assolutamente inefficace, ma perfettamente funzionale al mondialismo imperante, che spersonalizza l’essere umano e lo riduce a merce. Non serve a nulla ribadire che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma, né stigmatizzare a parole la tratta di persone, dopo aver abbracciato con calore ed entusiasmo un amministratore che intende incrementarla autorizzando la mercificazione delle donne nella capitale e ha istituito un registro per le “unioni” tra persone del medesimo sesso… L’informazione è oggi alla portata di chiunque: basta fare due più due per rimanere allibiti di fronte a tale stupefacente ipocrisia. Ma sulla cosiddetta opinione pubblica certi gesti hanno l’effetto istantaneo di provocare un vero e proprio black out del cervello, oltre a quello di annullare in modo completo, definitivo e inappellabile qualsiasi dichiarazione verbale passata, presente o futura.

Lo scatenamento del male, benedetto nei fatti anche dalla “nuova religione”, ha d’altronde una funzione positiva: mostra inequivocabilmente la bruttezza del peccato e dei suoi effetti; svela l’orrendo volto di chi ne è all’origine sul piano preternaturale; impone alla coscienza la gravità delle responsabilità umane – almeno a quella di chi accetta di vedere la realtà così com’è ed è pronto a prendere posizione rispetto a ciò che vede. Chi potrà dire tutto questo per smascherare il diabolico inganno? «Se tu in questo momento taci, aiuto e liberazione sorgeranno per i Giudei da un altro luogo» (Est 4,14). Le parole rivolte alla regina Ester in un momento di minaccia esiziale per la sua gente si rivelano sorprendentemente attuali: quando chi dovrebbe parlare e agire per salvare il suo Popolo si astiene dal farlo, Dio fa sorgere qualcun altro da dove meno ce lo si aspetterebbe.

Si può storcere il naso davanti ad un ex-agente del K.G.B. che, diventato un mezzo dittatore, non va tanto per il sottile quando vuole ottenere qualcosa: di fatto è l’unico capo di Stato che, senza la minima remora, abbia attaccato frontalmente l’omosessualismo ovunque imposto, coi ricatti e col denaro, da superpotenze e organismi internazionali, difendendone efficacemente il proprio popolo. Si potrà certo discutere sui metodi, ma è l’unico che si stia opponendo all’avanzata della massoneria euro-americana nell’Europa orientale. Di tutto si potranno accusare i Russi, fuorché di essere ipocriti: quando vogliono dire qualcosa, non hanno peli sulla lingua e se ne infischiano della diplomazia… indizio di carattere forte e di attributi virili. Non per niente, nella loro storia, hanno respinto i Mongoli, Napoleone e Hitler, sono sopravvissuti a Lenin e Stalin – il che è tutto dire.

La Madonna non ha forse chiesto di consacrarle proprio la Russia? Come sempre, vedeva lontano. Secondo il messaggio affidato ai tre pastorelli di Fatima, la sua conversione avrebbe portato pace al mondo intero. Forse non soltanto la conversione dal comunismo (nel quale pochi, in fin dei conti, possono aver veramente creduto, nei Paesi del socialismo reale), ma anche – ciò che, fra l’altro, permetterebbe di rendere finalmente giustizia ai greco-cattolici ucraini – il suo ritorno all’unità cattolica dell’unica Chiesa di Cristo. Ma sotto quale capo visibile, dato che al momento non ce n’è uno valido, in senso canonico e teologico? Preghiamo perché la Madre di Dio, già vincitrice a Lepanto, Vienna e Mosca, ce ne doni uno che non sia inflitto o tollerato da suo Figlio, bensì donato.