Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 23 agosto 2025


Qualche punto fermo sulla sodomia

 

 

Un promemoria per capire perché non ha senso e non è lecito celebrare un “giubileo” dedicato a una categoria di persone che vivono stabilmente e convintamente in stato di peccato mortale.

1) La cosiddetta omosessualità non esiste, in quanto l’esercizio della sessualità (che è un’espressione esclusiva della persona umana) presuppone per sua stessa natura due soggetti morfologicamente e psicologicamente complementari, cioè un uomo e una donna. Negli animali irragionevoli non c’è sessualità, ma solo rapporti riproduttivi regolati dalla fisiologia e dall’istinto. Tra esseri umani dello stesso sesso la sessualità è impossibile; con essa non ha nulla a che fare l’omoerotismo (pratiche di manipolazione degli organi genitali e di altre parti del corpo avulse dal loro fine proprio).

2) La sodomia – come, sulla scorta della Sacra Scrittura (cf. Gen 18,16-19, 29), è più corretto chiamare la cosiddetta omosessualità – è un insieme di atti gravemente disordinati, in quanto non finalizzati all’uso naturale degli organi della procreazione e profondamente contrari alla dignità della persona umana. Essi sono estremamente degradanti e comportano sempre materia grave; compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, costituiscono perciò peccato mortale e privano l’anima dei battezzati della vita di grazia con tutti i suoi benefici, esponendola così alla dannazione eterna.

3) Affermare che esiste un’altra identità sessuale (detta omosessuale in contrapposizione a quella detta eterosessuale) significa negare una verità di ragione (livello naturale della conoscenza) e una verità rivelata (livello soprannaturale della conoscenza). La Sacra Scrittura (Gen 1, 27; 3, 24), con la quale concorda la scienza, riconosce solo due sessi, complementari tra loro; la trasmissione della vita umana richiede necessariamente un gamete maschile (prodotto dall’uomo) e un gamete femminile (prodotto dalla donna). Chi nega questo dato, di per sé evidente ma confermato dalla Rivelazione divina, è al contempo: a) un malato mentale; b) un eretico.

4) In certi casi – come quello qui considerato – uno può essere simultaneamente eretico e malato di mente, poiché la permanente distorsione cognitiva (delirio) è frutto di volontario assenso all’errore, pervicacemente reiterato nonostante tutti i richiami della coscienza, della grazia e dell’autorità; il soggetto – a meno che non sia stato plagiato – è perciò pienamente responsabile della sua patologia e merita condanna finché, se possibile, non si ravveda. Pur non avendo in ciò la potestà di emettere sentenze che abbiano valore giuridico, abbiamo il diritto e il dovere della pubblica esecrazione.

5) Nella Chiesa Cattolica il potere è stato preso da una mafia di eretici e pervertiti; quello che finora sembrava un problema temporaneo si sta invece rivelando una situazione di più lunga durata. Perciò bisogna proclamare senza timore che chiunque sostenga l’omoeresia, a qualunque livello, in questo non va ascoltato e che quanto dice in proposito non richiede affatto il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà, dato che non possiede l’autorità del Magistero autentico. Il foro interno (coscienza) non può essere violato da nessuno, fosse pure il Papa.

6) Perché un eretico perda la giurisdizione, tuttavia, è necessaria una sentenza giudiziaria emessa da un’istanza superiore, non certo da inferiori. Finché ciò non avviene, pertanto, siamo tenuti a prestare obbedienza, in ciò che è legittimo, ai legittimi superiori. Questo non è formalismo farisaico, poiché la comunione gerarchica non è una mera idea o un vago sentimento né un legame puramente spirituale, bensì, prima di tutto, un vincolo giuridico la cui sussistenza assicura l’unione organica con il Corpo Mistico e che esige la sottomissione in ciò che non contraddice la legge divina e il diritto canonico.

7) Per tali ragioni, qualunque cosa accada, restiamo saldamente all’interno di quella società visibile che è la Chiesa Cattolica. Scegliersi autonomamente una guida che rivendichi un’autorità di cui non è dotata significa sottomettersi a un potere illegittimo che si regge sugli abusi di coscienza (e, spesso, anche di altro genere); in altre parole, finire in una setta da cui sarà molto difficile uscire a causa del profondo oscuramento dell’intelletto, indotto da sistematiche manipolazioni cognitive ed emotive.

8) A quanti praticano l’omoerotismo in modo ostinato e convinto è dovuta la riprovazione sociale e l’esclusione dai Sacramenti. Chi è invece afflitto da tendenze omoaffettive, se ha buona volontà, va aiutato a guarire da quella patologia; esistono a tal fine terapie riparative efficaci e sperimentate, che occorre conoscere e applicare per il bene di tante persone che soffrono di quel disordine a causa di traumi infantili o di un precoce avviamento al vizio seguito all’adescamento da parte di pederasti. I tribunali civili devono punire questi ultimi con la massima severità e metterli in condizione di non nuocere più, poiché questa è un’esigenza fondamentale della giustizia.

9) Alla luce di quanto sopra esposto, i neologismi omofobia e omotransfobia sono privi di senso: condannare atti e comportamenti gravemente contrari alla legge divina e alla dignità umana non è una patologia, bensì una logica applicazione della retta ragione e della verità rivelata. Le subdole manipolazioni linguistiche e concettuali cui, per legittimare l’abominio, ricorre il sistema di potere che domina la società civile e la Chiesa terrena non sono altro che inconsistenti giochi di parole con i quali è impossibile nascondere la realtà e, tantomeno, modificarla.

10) La carità di Cristo ci spinge a proclamare la verità con chiarezza e fermezza per il bene di tante anime che rischiano di dannarsi per tutta l’eternità; illuderle con vuoti artifici dialettici significa condannarle all’infelicità anche in questa vita. Pertanto, nella speranza di vincere la sordità di chi si è lasciato irretire dall’errore e dalla menzogna, gridiamo senza timore queste semplici certezze di fede e di ragione, consapevoli che non c’è per l’errante altra via per sfuggire al fuoco eterno che la resipiscenza e la conversione a Gesù Cristo, via, verità e vita.

Sulla base delle ragioni suesposte, chiediamo a papa Leone XIV di annullare le iniziative previste per il 5 e 6 Settembre 2025 nella Basilica di San Pietro e nella Chiesa del Gesù in Roma. Un abominio del genere sarebbe altamente offensivo di Dio e di tutti i cattolici, nonché di chiunque sia sano di mente. Esso contrassegnerebbe altresì negativamente tutto il pontificato e scuoterebbe fortemente la fiducia di moltissimi fedeli.


sabato 16 agosto 2025


Che non succeda a noi come a loro

 

 

Chi ritiene di stare in piedi badi di non cadere (1 Cor 10, 12).

Il Signore ci ammonisce riguardo al fatto che l’essere membri della Chiesa, che è certamente una grazia immensa, non è tuttavia sufficiente per garantirsi la salvezza definitiva, in quanto è necessario perseverare sino alla fine. Per questo san Paolo ricorda gli esempi storici della peregrinazione di Israele nel deserto: erano stati liberati dall’Egitto, sì, ma non erano ancora giunti alla Terra promessa. Gran parte di loro non vi arrivò, proprio perché non perseverò nella fede e cedette alle tentazioni (cf. 1 Cor 10, 5ss). La tentazione, quasi sempre, fa leva sulle concupiscenze, sui bisogni più immediati, che però non sono più volti al loro fine (il sostentamento e la trasmissione della vita), bensì sono deviati verso il piacere preso come fine a se stesso. Così – dice l’Apostolo – la maggior parte degli Israeliti perì nel deserto perché non era rimasta fedele al Signore e, non avendo apprezzato la grazia inestimabile della liberazione, non aveva avuto la pazienza di sostenere la prova fino in fondo.

Nel Vangelo il Signore, avvicinandosi a Gerusalemme per il Suo ingresso trionfale, quando vede la città dall’alto del Monte degli Olivi, scoppia in pianto (cf. Lc 19, 41). Qui si vede la carità di Gesù, il suo amore per gli uomini, in particolare per il Suo popolo. Egli sospira: «In questo giorno, che era il tuo (cioè nel giorno della tua salvezza), tu non hai riconosciuto ciò che ti conduce alla pace. Ormai questa grazia è nascosta ai tuoi occhi, perché l’hai rifiutata. Verranno giorni in cui i nemici ti circonderanno, ti assedieranno e poi, dopo averti presa, ti raderanno al suolo e uccideranno tutti i tuoi figli (cf. Lc 19, 42-44). Questa storia deve istruirci: ciò che è accaduto nelle vicende bibliche, evidentemente, è un ammonimento per noi oggi.

La durezza di cuore dell’antico Israele fu causa della sua rovina, non solo di quella di Gerusalemme e della Nazione, che sarà poi dispersa, ma soprattutto della sua rovina spirituale: nell’ostinato rifiuto del Messia questo popolo – o almeno quello che ne rimane – continua ad opporsi ai piani divini nel vano tentativo di realizzare le promesse fatte ai padri, dalle quali, però, è decaduto. Le promesse di Dio sono certamente irrevocabili ma l’uomo può decaderne, se non rimane fedele alle condizioni che Dio ha posto perché si possa godere di ciò che ha promesso. Sul piano spirituale, perciò, il giudaismo è sì sopravvissuto, ma in una forma deviata, in quanto si è perpetuato come religione avversa al Cristianesimo, come causa di opposizione perenne all’unica vera religione, che è quella dell’Antico Testamento, giunta con il Nuovo alla perfezione.

È ovvio che, nel momento in cui, con il Sacrificio del Figlio di Dio, è stata instaurata la Nuova Alleanza, quella antica ha cessato di essere in vigore. Tuttavia il giudaismo continua ancora ad essere praticato, benché non ci sia più alcun motivo per la sua sussistenza, in quanto ciò che c’era all’inizio come premessa e preparazione ha trovato compimento nel Cristianesimo. Ora, questa è una rovina spirituale di gravità inimmaginabile, perché significa chiudersi completamente alla luce di Dio, respingere ostinatamente i Suoi richiami, continuare a opporsi all’avvento del Suo Regno, che nessun essere umano può fermare.

Questa rovina spirituale ha inevitabili ripercussioni anche sul piano politico: perciò a un certo punto è stato concepito il nefasto progetto di ricostituire uno Stato ebraico, che però non ha alcuna legittimità né sul piano giuridico né su quello teologico. Sul piano giuridico è ridicolo avanzare motivazioni di tipo religioso rivendicando un diritto che risale a più di tre millenni fa, diritto che, come appena accennato, è stato comunque perso a causa delle continue ribellioni del popolo, delle sue infedeltà, dei suoi cedimenti all’idolatria, che lo hanno fatto decadere dall’Alleanza. Ciò avvenne già nel 586 a.C., quando i Babilonesi espugnarono Gerusalemme per la prima volta; poi successe di nuovo con Tito nel 70 d.C. Per imporre tale falso messianismo, tutto un popolo è stato scacciato dalla sua terra e costretto a vivere in un regime di apartheid, prima che si procedesse chiaramente al suo sterminio, che sta avvenendo sotto i nostri occhi senza che nessuno faccia nulla per fermarlo. L’annuncio del castigo è perentorio: «Non lasceranno in te pietra su pietra» (Lc 19, 44).

Sul piano teologico questa pretesa è ancora più infondata, proprio perché tutte le promesse di Dio si sono compiute per noi, che siamo il nuovo Israele, la Chiesa Cattolica. Ciò che Dio aveva promesso nell’Antico Testamento è stato realizzato nel Nuovo; siamo quindi noi gli eredi dei beni promessi da Dio, che non sono però un territorio geografico né uno Stato inteso in senso politico, bensì i beni del Regno di Dio, che abbraccia l’umanità intera, chiamata a convertirsi aderendo a Gesù Cristo con la fede e venendo rigenerata da Lui col Battesimo. Sono questi i beni messianici: sono quelli della grazia di cui godiamo nella Chiesa; sono quelli della gloria di cui, con tutti i Santi, gode l’Assunta in Paradiso in un tripudio di carità e di gioia.

A questo punto veniamo a noi. Come dicevamo, i fatti della storia sacra sono lezioni. Se stiamo in piedi per grazia di Dio, perché il Signore ci ha risollevati, badiamo di non cadere, cioè facciamo in modo che non capiti anche a noi ciò che è successo all’antico Israele: non decadiamo da questo stato benedetto e privilegiato in cui il Signore ci ha collocati per pura benevolenza. Prima di tutto dobbiamo vivere in una gratitudine continua, ringraziare ininterrottamente il Signore per la dignità di cristiani che ci ha dato nel Battesimo: è la dignità di figli di Dio, creature partecipi della Sua vita; poi, evidentemente, dobbiamo conformare la nostra esistenza a ciò che siamo.

A questo scopo, bisogna non soltanto respingere le tentazioni più grossolane con cui il diavolo fa leva sui nostri bisogni primari, ma soprattutto imparare a non mormorare, a non lamentarci di ciò che la Provvidenza dispone per noi, poiché tutto, perfino le prove, ha un fine positivo. Dio ci mette alla prova per affinare la nostra fedeltà a Lui, per rafforzare il nostro attaccamento, per farci progredire nell’unione con la Santissima Trinità. Tutto ciò che Dio dispone o permette è dunque per il nostro bene; il cristiano, di conseguenza, accoglie con serenità e gratitudine tutte le evenienze, sapendo che sono tutti mezzi disposti da Dio per il suo progresso. In questo modo la nostra anima e il nostro corpo saranno un tempio. Noi già lo siamo in virtù del Battesimo, perché lo Spirito Santo abita in noi, ma bisogna che tutte le espressioni del nostro essere manifestino la presenza di Dio in noi.

Quando il Signore purificò il Tempio di Gerusalemme dai venditori, citò i Profeti quando Dio dice: «La mia casa è casa di preghiera; voi, invece, ne avete fatto una spelonca di briganti» (Lc 19, 46; cf. Is 56, 7; Ger 7, 11). Ogni volta che nella nostra anima prevalgono i pensieri cattivi, i sentimenti negativi, le deliberazioni contrarie alla Legge di Dio, essa diventa una spelonca di briganti, un riparo dei demoni. Facciamo allora in modo che essa sia davvero un tempio, che sia una casa di preghiera dove Dio è adorato giorno e notte, dove almeno nell’intimo sale a Lui una lode incessante. Così diverremo sempre più capaci di riconoscere i momenti in cui il Signore ci visita con un’ispirazione intellettuale o con una mozione dello Spirito Santo.

Non possiamo evidentemente pregare sempre in modo espresso anche con la mente, poiché, se siamo occupati in qualche cosa, non possiamo formulare una preghiera esplicita. Tuttavia il movimento del cuore, l’aspirazione dell’anima alla vita eterna e al godimento di Dio non deve mai cessare: al contrario, deve essere sempre presente e alimentare ogni nostro sforzo indirizzandolo verso il suo fine ultimo, in modo che ogni azione acquisti un senso soprannaturale: non rimanga semplicemente un fatto terreno, ma diventi un gradino per avvicinarci al Cielo.


sabato 9 agosto 2025


Il Cristo nascosto

 

 

Ma Gesù taceva (Matteo 26,63).

Fratelli e Sorelle in Cristo,

ci sono momenti in cui il silenzio di Dio sembra risuonare più forte del rumore del mondo. Momenti in cui la sofferenza persiste, in cui le risposte non arrivano e in cui i fedeli - persino il Pastore – deve vegliare nel buio.

Questo è uno di quei momenti.

E oggi non vengo a proporre soluzioni. Vengo a vegliare con voi.

Cristo è ancora in mezzo a noi – non sempre in trionfo, non sempre in modo chiaro – ma spesso in modo nascosto. Nascosto nelle ferite dei malati, nascosto nella confusione della Chiesa attuale, nascosto nella persecuzione di coloro che cercano la Messa tradizionale, nascosto nelle lacrime silenziose di una madre che prega nella notte. Ed è lì, proprio lì, che i fedeli dovrebbero potersi aspettare che il loro Pastore rimanesse.

Perché è in quella quiete, tra le ombre e il silenzio, che viene forgiato il vero coraggio pastorale. La presenza del Pastore non si misura con parole o gesti eclatanti, ma con la fermezza di restare quando tutto sembra tranquillo o addirittura abbandonato. Nella solitudine della guardia, dove le prove incalzano e la speranza si affievolisce, il Pastore è chiamato ad essere un segno vivente dell’amore incrollabile di Dio: una sentinella silenziosa che porta i pesi del gregge condividendo le sue sofferenze e intercedendo davanti al Trono di grazia. In questo caso, la fede non è una rassegnazione passiva, ma una resistenza attiva e orante che abbraccia il mistero dei tempi e della provvidenza di Dio. Restare è testimoniare l’opera nascosta della grazia anche quando è velata alla vista umana.

Un vescovo è chiamato ad essere una sentinella. Non deve abbandonare le porte quando nella città cresce l’agitazione. Non deve ritirarsi dall’altare quando le lacrime riempiono il santuario. Deve vegliare.

«Venne dai suoi discepoli, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola?”» (Matteo 26, 40).

Quando Nostro Signore entrò nel Getsemani, non chiese come prima cosa ai Suoi discepoli di agire, ma di vegliare. Di rimanere svegli con Lui nel Suo dolore. Non chiese soluzioni. Chiese la presenza.

È il ruolo del Pastore in una Chiesa sofferente: non risolvere per prima cosa, ma restare.

È qui che sono chiamati i vescovi. Pronti a vegliare mentre gli altri fuggono.

Pronti a custodire il tabernacolo. Pronti a tenere la lampada della fede quando altri la lasciano spegnere.

Papa san Pio X una volta scrisse: «L’ufficio divinamente affidatoci di pascere il gregge del Signore ha soprattutto questo dovere assegnatogli da Cristo, vale a dire di custodire con la massima vigilanza il deposito della fede consegnato ai santi, respingendo le profane novità di parole e le opposizioni di conoscenze falsamente definite tali” (Pascendi Dominici Gregis, 1907).

E quella fedeltà è messa alla prova non solo nella dottrina, ma anche nella compassione, nella pazienza che ha patito a lungo di accompagnare il popolo di Dio nelle sue ore più buie.

Eppure oggi vediamo molti Pastori, molti vescovi, che non sono realmente presenti con il loro gregge. Ma oggi, che il vostro Pastore sia stato presente con voi o meno, voglio dirvi che non siete soli.

In Isaia 53, 2-3 leggiamo: «In Lui non c’è bellezza né avvenenza: e noi Lo abbiamo visto e nulla alla vista c’era che ci facesse desiderare di Lui. Disprezzato, il più abietto tra gli uomini, uomo dei dolori e conoscitore delle infermità…».

Cristo non è estraneo al nascondimento. È nato in un luogo fuori mano. È fuggito in esilio. È stato frainteso dai religiosi, tradito dagli intimi, giudicato in silenzio. E quando è risorto dai morti, non è apparso a tutti, ma solo ai pochi che avevano vegliato.

Oggi c’è la tentazione – anche nella Chiesa – di equiparare Cristo all’approvazione o alla vittoria o allo status quo. Ma i santi sapevano il contrario.

San Giovanni della Croce ha scritto: «La sopportazione delle tenebre è la preparazione alla grande luce».

Santa Gemma Galgani diceva: «Se vuoi veramente amare Gesù, impara prima a soffrire, perché la sofferenza ti insegna ad amare».

E papa Pio XII ha dichiarato: «La Chiesa, seguendo il suo Divino Fondatore, avanza sempre sotto il segno della contraddizione».

Non dobbiamo temere il nascondimento di Cristo. Non dobbiamo affrettarci a risolvere ciò che Dio ci chiede di portare. Il Signore non è assente. È velato, come lo è nel tabernacolo.

Forse tu, caro ascoltatore, sei tra coloro che vegliano per una persona cara in ospedale, per un figlio che ha perso la strada o per una Chiesa che riconosci a malapena. Voglio parlarvi ora:

«Il Signore è buono con quelli che sperano in Lui, con l’anima che Lo cerca. È bene attendere in silenzio la salvezza di Dio» (Lamentazioni 3, 25-26).

Non disprezzate l’attesa. Nel silenzio, Cristo è vicino. Egli non dimentica colui che veglia. Vede le lacrime che nessun altro vede. Si ricorda di coloro che non se ne vanno.

E io, come Pastore, sono qui a vegliare con voi. Non vengo con spiegazioni facili e con una salvezza rapida, ma con la fede in Colui che è nascosto eppure del tutto presente. Ed è qui – soprattutto qui – che dobbiamo guardare verso l’altare, verso quel miracolo velato e silenzioso che ci sostiene. Nel Santissimo Sacramento, infatti, non incontriamo un Dio lontano, ma il Cristo crocifisso e risorto, che rimane con noi nel silenzio, nella sofferenza e nel mistero sacramentale. Ciò che sembra nascosto è, in verità, il luogo della massima vicinanza.

E oggi – voglio che lo ricordiate – ci sono tabernacoli in tutto il mondo – a volte chiusi a chiave, spesso silenziosi – che contengono lo stesso Cristo che ha percorso le strade della Galilea, che ha pianto nel Giardino, che è stato appeso alla Croce.

Cristo – Corpo, Sangue, Anima e Divinità – rimane con noi, aspettando in silenzio, esposto all’indifferenza, adorato da pochi.

«E mentre erano a cena, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo» (Matteo 26, 26).

Ecco il mistero di Cristo nella sofferenza:

– nascosto;

– incompreso;

– offerto.

San Pietro Giuliano Eymard scrisse: «L’Eucaristia è la prova suprema dell’amore di Gesù. Dopo di essa, non c’è altro che il Paradiso stesso».

Cristo è nascosto nell’Eucaristia. E Cristo è nascosto nella sofferenza. La domanda è: «Ci inginocchieremo?».

Oggi dico a coloro che sono affranti, tranquilli, fedeli: Egli vi aspetta.

A voi che state portando la croce, non visti dagli altri.

A voi che vi sentite lasciati indietro, inascoltati, incompresi.

A voi il cui corpo o la cui anima sono affaticati dall’afflizione.

A voi che vi sentite confusi dai messaggi contrastanti che sentite dalla Chiesa.

Cristo è più vicino di quanto pensiate.

«Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a guarire i contriti di cuore, a proclamare la libertà agli schiavi e la liberazione dei prigionieri; a proclamare l’anno di grazia del Signore e il giorno di vendetta del nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti» (Isaia 61, 1-2).

Le vostre ferite non sono inutili. Il vostro silenzio non passa inosservato. Le preghiere che sussurrate nel buio sono raccolte come incenso davanti al trono di Dio.

La Chiesa può essere ferita, ma Cristo è ancora in essa. Voi starete soffrendo, ma Cristo soffre in voi. E questo Pastore vede – e rimane.

Il silenzio della Chiesa non è abbandono. È il silenzio del Getsemani. La sofferenza della Chiesa non è una sconfitta. Sono le doglie del parto della risurrezione.

Non siete soli. Anche se la notte sembra infinita e nessuna voce sembra rispondere, siete accompagnati dalle preghiere silenziose della Chiesa, dall’intercessione dei Santi, dall’amore di coloro che soffrono con voi senza essere visti. Le ferite che portate non passano inosservate in Paradiso. Ogni sospiro, ogni lacrima, ogni silenzioso atto di sopportazione viene catturato in qualcosa di più grande: nel cuore stesso di Cristo, che soffre con voi e per voi. E in questa comunione di sofferenza, la speranza comincia a sorgere – non sempre rapidamente, ma sicuramente, come l’alba che sorge sulle colline.

«Ora il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di essere un’anima sola gli uni verso gli altri, secondo Gesù Cristo, affinché con una sola mente e con una sola bocca glorifichiate Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Romani 15, 5-6).

Rimaniamo insieme:

nella veglia notturna;

nel silenzio dell’Eucaristia;

nella quiete dove Cristo è nascosto…

… e dove, finalmente, Egli sarà rivelato.

Che Dio Onnipotente vi benedica, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.

Mons. Joseph E. Strickland

 


sabato 2 agosto 2025


Quinto comandamento: abolito

 

 

Arrossiscano gli empi e siano condotti agli inferi; ammutoliscano le labbra ingannatrici. Il Signore ricercherà la verità e retribuirà abbondantemente quanti praticano la superbia (Sal 30, 18-19.24).

Dobbiamo correggere quanto affermato in calce all’ultimo articolo circa l’assordante silenzio della Santa Sede nel dibattito circa la legge con cui si intende legalizzare l’aiuto al suicidio. In realtà si sono registrati diversi interventi, non però di monito né tanto meno di condanna, bensì a favore. Il primo è stato quello dell’eminentissimo Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che nel Giugno scorso, a margine della commemorazione di don Oreste Benzi, nel rispondere a un giornalista ha “diplomaticamente” liquidato la questione augurandosi che «qualunque decisione venga presa sia a salvaguardia della dignità umana». Alla legge di Dio neanche un vago rimando, ma pure la ragione ne esce malconcia: legalizzare in qualunque modo l’omicidio del consenziente è di per sé contrario alla dignità umana.

Oltre a questo luminoso responso, subito sdoganato dalla stampa come un via libera della Santa Sede al cosiddetto suicidio assistito, bisogna registrare le disinvolte spiegazioni del nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, di nomina prevostiana, secondo cui la vita umana va difesa, sì, ma non si può fare a meno di varare una legge che regoli gli interventi volti a porre fine all’esistenza dei malati. Il problema, in realtà, è già definito dagli articoli 579 e 580 del codice penale, benché l’insindacabile Corte Costituzionale abbia di fatto abolito il secondo ponendo le condizioni alle quali non andrebbe applicato. Il fatto è che le norme che tutelano la vita dell’uomo hanno valore assoluto e non possono quindi essere sottoposte a condizioni; monsignor Pegoraro, tuttavia, sembra ritenere che le delibere di un tribunale statale valgano più della legge divina.

Necessarie precisazioni

Non dimentichiamo però che il Segretario di Stato vaticano non è soggetto di Magistero, ma svolge un compito di natura politico-diplomatica; dovrebbe perciò astenersi dall’entrare nel merito con dichiarazioni non solo inopportune, ma tanto ambigue da poter essere tranquillamente interpretate nel senso voluto dagli uditori. Nemmeno la Pontificia Accademia per la Vita è soggetto di Magistero, bensì è un organo di studio e consultazione; nessuno tuttavia – a cominciare dai giornalisti – opera questo genere di distinzioni, ma cataloga ogni dichiarazione (fosse pure una semplice intervista) come posizione ufficiale della Santa Sede, considerata oltretutto un’opinione fra le tante e non più il giudizio inappellabile di Gesù Cristo. Neanche la direzione della Conferenza Episcopale Italiana è soggetto di Magistero; eppure il suo quotidiano promuove da mesi una sfacciata propaganda a favore.

Nella “civiltà” delle parole e dell’immagine basta molto meno per convincere la gente che la Chiesa stia approvando il disegno di legge sull’aiuto al suicidio; in realtà, però, Parolin e Pegoraro non sono la Chiesa Cattolica… e neppure la cei. Le conferenze dei vescovi sono organismi di diritto meramente ecclesiastico istituiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta per coordinare e rappresentare gli episcopati dei vari Stati; a parte l’instabilità di tante entità politiche, che si ripercuote inevitabilmente su tali organismi (come nel caso della Jugoslavia), essi non hanno nulla a che fare con l’organizzazione della Chiesa antica (dove le diocesi erano raggruppate intorno alle metropolie), ma si sono di fatto rivelati strumenti di pressione e controllo dei singoli vescovi, la cui autorità apostolica, sancita dal diritto divino, è seriamente compromessa e menomata.

Segreteria di Stato, pontificie accademie, conferenze episcopali… tutto ciò non è affatto intrinseco all’essenza della Chiesa così come voluta dal Fondatore; la Chiesa non si definisce a partire da tali strutture, bensì dalla fede, dai Sacramenti e dalla comunione gerarchica. Chi rigetta la dottrina della Chiesa anche in un solo punto (in questo caso, il quinto comandamento) si pone al di fuori di essa e decade per ciò stesso da qualsiasi carica; poiché, tuttavia, i sudditi non hanno facoltà di giudicare i superiori in foro esterno, questi ultimi mantengono la giurisdizione fino a che non siano deposti da un’autorità superiore. Perciò, pur considerando in coscienza apostati i superiori che han rinnegato la fede, continueremo a obbedire ai loro ordini legittimi, ma per il resto, d’ora in poi, faremo come se non esistessero, così da salvaguardare al contempo la fede e l’appartenenza alla Chiesa visibile.

Falsi profeti

Quando Gesù, nel Vangelo (Mt 7, 15ss), parla dei falsi profeti che vengono a noi in vesti di pecore ma dentro son lupi rapaci allude a tutti coloro che apparentemente insegnano nel Suo nome ma, in realtà, non fanno altro che propalare le proprie opinioni. Come riconoscerli? Dai loro frutti, dice il Signore. Un primo indizio è certamente che, se una presa di posizione non corrisponde alla verità che la Chiesa ha sempre insegnato in modo costante, essa non può venire da Dio e va pertanto rigettata in quanto falsa. Un altro indizio: se uno prova a contraddire questi personaggi, che hanno l’apparenza degli agnelli ma dentro sono dei lupi, essi diventano delle belve; la loro mitezza si rivela così pura simulazione. Il criterio decisivo è però costituito dai frutti più consistenti, che sono le azioni: è facilissimo parlare dicendo cose molto belle e incantando gli uditori, ma contraddicendo poi ciò che si è detto con il proprio comportamento.

Oggi, purtroppo, si vive di ciò che si vede e si dice nei mezzi comunicazione: tante parole – anche seducenti – a cui però non corrisponde ciò che esprimono. Sono decenni che si sentono discorsi che non solo non portano il frutto che ci si aspetterebbe, ma sono anzi clamorosamente smentiti dalla realtà dei fatti. Ciò fa sì che le parole perdano progressivamente il loro significato e diventino vuote, oppure assumano un significato diverso da quello proprio, se non contraddittorio. In tal modo si arriva a giustificare anche comportamenti illeciti con argomentazioni apparentemente buone; ci sono tuttavia atti che sono intrinsecamente cattivi (intrinsece malum) in quanto lo è il loro oggetto, a prescindere dal fine e dalle circostanze, e di conseguenza non sono mai leciti, in nessun caso: uno di questi è il togliere la vita a un innocente o aiutarlo a farlo.

Nessun Parlamento o corte costituzionale ha competenza sulla vita e sulla morte, poiché la vita umana è un bene di cui non si può disporre autonomamente come si vuole, nemmeno se è la vita di un malato terminale o affetto da malattia incurabile; ogni vita umana va rispettata fino al termine naturale. Chi parla di aiuto a morire copre con parole seducenti una realtà orribile: l’omicidio di persone sofferenti, che rimane un omicidio anche se la vittima è consenziente ed è quindi proibito sia dalla legge morale che dal codice penale. Non è ragionevole riconoscere questo e postulare poi un preteso diritto all’autodeterminazione dell’individuo riguardo al termine della vita: nessun uomo ha facoltà di decidere circa la fine della sua esistenza; nessuno può determinare quando concluderla, in quanto essa appartiene a Dio, che l’ha data ed è quindi l’unico che possa stabilire in quale momento ognuno lascerà questo mondo.

Sguardo di verità

«Il delitto della loro bocca è la parola delle loro labbra; siano perciò catturati con la loro superbia» (Sal 58, 13). Il pensiero moderno, che con il suo antropocentrismo e con l’esclusione del Creatore si è fissato sui diritti degli individui, ha perso di vista la realtà essenziale: diritto, in senso soggettivo, è la facoltà di accedere a un bene; l’uccidersi o essere uccisi non è un bene, perciò non può essere oggetto di un diritto. Parlare dunque di diritto all’autodeterminazione nel porre termine alla propria vita è un non-senso: in quanto locuzione contraddittoria, non ha giustificazione razionale. Se però si persiste per decenni a inventarsi diritti inesistenti, alla fine si giunge a postulare un presunto diritto di ammazzarsi o farsi ammazzare: ciò è completamente aberrante, poiché offende in modo gravissimo il Creatore e calpesta la dignità umana in modo inaccettabile.

Chi si fa uccidere, oltretutto, va sicuramente all’Inferno, poiché la sua volontà di togliersi la vita perdura fino all’ultimo. In altri casi si può sperare nella salvezza di un suicida, se, per esempio, non aveva il pieno uso della ragione oppure, prima di morire, ha avuto il tempo di pentirsi e chiedere perdono a Dio. In questo caso, invece, chi si fa iniettare una sostanza letale è lucido e permane in questa volontà cattiva fino all’ultimo istante; ciò si presume perché, se si pentisse, potrebbe ancora arrestare il proprio atto o quello di chi lo sta “aiutando”. Quest’ultima opzione, per il momento, da noi non è ancora legale ma potrebbe diventarlo. In altri Paesi, purtroppo, l’omicidio del (presunto) consenziente lo è da diversi anni; succede così che persone sofferenti (anche solo dal punto di vita psichico) o meno abbienti vengano istigate a togliersi di mezzo. Ciò supera di molto gli orrori del regime nazista e di quelli comunisti, ma passa per una conquista.

Con le parole suadenti dei falsi profeti anche tanti cattolici si son lasciati convincere che sopprimere gli ammalati sia un atto di compassione: ciò che è orribile si riveste di un’apparenza di pietà. Come già avvenuto con l’aborto, il varco aperto con l’ipocrita intento di limitare, legalizzandolo, un crimine finora vietato diventerà rapidamente una voragine. Che il Signore aiuti noi a mantenere la lucidità mentale, così da non esser trascinati fuori strada fino ad approvare azioni gravemente contrarie alla volontà di Dio e alla dignità della persona umana; che maledica invece quanti, a cominciare dagli ecclesiastici, promuovono la legalizzazione dell’omicidio, specie gli opinionisti che la propagandano e i parlamentari che voteranno a favore. Nel nome del Signore Gesù Cristo, li consegniamo tutti a Satana per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Giudizio (cf. 1 Cor 5, 5).

Morte a chi vuole morte

Per molti di loro, purtroppo, nemmeno l’esser colpiti nel fisico servirà a farli rinsavire e convertire: come già il loro capo-scuola, Carlo Maria Martini, a una morte santa preferiranno la siringa mortale e si danneranno. L’oscuramento della ragione e il tradimento della verità son giunti a un livello così demoniaco che i colpevoli si puniscono da sé. Di fronte a un così ostinato rifiuto di dargli ascolto, Dio smette di correggere i peccatori e li abbandona agli effetti della loro perversità; ciò vale sia per i cattivi maestri, sia per la società nel suo insieme, che li segue in spregio della legge divina. Tutti costoro si infliggeranno da sé la sentenza capitale, eseguendo così il giudizio, fin d’ora manifesto, che si meritano. Lo Stato è morto, come pure la gerarchia apostata e collaborazionista. La Chiesa, invece, non potrà mai morire, ma vivrà sempre in tutti quei vescovi, sacerdoti e laici fedeli che, con la loro corrispondenza alla grazia, rimarranno uniti al Corpo Mistico.

«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9, 60). Che la Chiesa istituzionale si adoperi per la legalizzazione dell’omicidio è un fatto di gravità apocalittica che ci causa inesprimibile sgomento e dolore, ma non dobbiamo lasciarci andare allo sconforto: tutti quegli spiritualmente morti di cui parliamo si seppelliranno a vicenda, mentre i veri cattolici, con l’aiuto della grazia, continueranno a vivere sereni testimoniando senza timore l’amore di Dio e la Sua chiamata alla vita eterna, con le condizioni per ottenerla. I cadaveri ambulanti che si vestono di porpora e di viola, ma puzzano in modo insopportabile come carogne in avanzato stato di decomposizione, non meritano la nostra sofferenza. In alto i cuori, dunque! cuori colmi di gratitudine per l’immeritata sorte di esser stati preservati dal generale naufragio di coloro che han rinnegato la fede.


sabato 26 luglio 2025


Licenza di uccidere

 

 

Il mondo – e in particolare il Vaticano – si è giustamente indignato per l’attacco alla parrocchia cattolica di Gaza: un carro armato ha intenzionalmente colpito la croce di metallo che si ergeva in cima alla facciata e che, cadendo, ha ucciso tre persone e ferito una ventina di astanti, fra cui un giovane seminarista. Tale atto di evidente odio contro i cristiani e il cristianesimo, compiuto da membri dell’esercito sanguinario di uno Stato abusivo che sta compiendo un genocidio senza che nessuno lo fermi, è stato “casualmente” consumato proprio nei giorni in cui, in Italia, è iniziato il dibattito parlamentare su un disegno di legge con cui si intende legalizzare l’omicidio di ammalati in fase terminale.

Osservazioni preliminari

Occorre anzitutto rilevare che nessuna istituzione politica è legittimata a legiferare sulla vita umana, se non per tutelarla: si tratta infatti di un bene indisponibile (o, secondo l’espressione invalsa in ambito cattolico, di un valore non negoziabile). Lo Stato non può in alcun modo disporre della vita dei cittadini se non nel caso della pena di morte, la quale, per reati molto gravi e ben individuati, è moralmente giustificata dal perseguimento del bene comune. Qui, però, non si tratta di criminali la cui stessa esistenza nuoccia alla società civile ma di pazienti, cioè di persone che hanno l’inviolabile diritto di essere curate e assistite fino a che non intervenga la morte naturale, esclusa ogni forma di accanimento terapeutico.

Non è pertanto di spettanza di alcuna corte costituzionale decidere in materia dichiarando legali atti criminosi di soppressione di pazienti o autorizzando l’iter parlamentare di una proposta legislativa contraria alle norme morali. Un tribunale umano non ha facoltà di modificare ciò che è regolato dalla legge naturale; se interviene in questo ambito, commette un intollerabile abuso che va esecrato e denunciato senza esitazione, soprattutto se operato da giudici di nomina politica che sentenziano sulla base di valutazioni puramente ideologiche. Tanto meno può entrare nel merito un’assemblea parlamentare composta di individui eletti senza alcun merito né competenza, facilmente corrompibili e sottomessi a ordini di scuderia.

Non è qui il luogo per riprendere il discorso sulla cosiddetta democrazia né sulle modalità, per il nostro Paese, dell’instaurazione del regime repubblicano, attuatasi grazie ai brogli elettorali del 2 Giugno 1946. Quel che ci preme, in questo momento, è registrare l’ennesima forzatura dell’ordine stabilito da Dio, che, come le precedenti (divorzio, aborto, fecondazione artificiale), sta per compiersi per mezzo di una legge che, non avendo per fine un bene, sarà priva di ogni vigore legale e morale, ma sarà applicata coercitivamente da istituzioni ridotte a esecutrici di un programma di morte e distruzione elaborato altrove. Esecutore delle nuove, illegittime norme sarà quello stesso governo che sta vendendo armamenti ai genocidi e sprecando enormi risorse dei contribuenti per sostenere uno Stato in guerra verso il quale non ha alcun obbligo né legame.

Multiforme ipocrisia

Quel che è più disgustoso è la posizione dei “moderati” della cosiddetta destra, come pure di certi ambienti “cattolici” progrediti, secondo la quale una legge in materia sarebbe necessaria; poiché, a detta loro, non sarebbe possibile ottenere il meglio, bisognerebbe accontentarsi del male minore, ossia di una norma che autorizzasse sì l’omicidio, ma con qualche opportuno paletto. Occorre prima di tutto osservare che il principio del male minore vale unicamente nel caso in cui si sia costretti a scegliere tra due mali entrambi inevitabili: se, per esempio, stanno contemporaneamente naufragando due navi ed è impossibile soccorrerle ambedue, la guardia costiera deciderà di intervenire là dove c’è il maggior numero di passeggeri. Non è questo, evidentemente, il nostro caso.

Altro principio invocato è quello della riduzione del danno, sancito dall’enciclica Evangelium vitae nel paragrafo 73. È il principio cui ci siamo appellati per sostenere la campagna Un cuore che batte, visto che essa soddisfaceva i requisiti richiesti: nell’impossibilità, a breve e medio termine, di ottenere l’abrogazione della Legge 194, si mirava a limitarne gli effetti negativi, senza che ciò comportasse in alcun modo un’implicita approvazione di una legge iniqua che, anzi, si intendeva contrastare. Là si tratta di una legge già promulgata ma che si può correggere; qui, invece, di una legge non ancora promulgata che si può fermare; in caso contrario, come avvenuto con l’aborto, avrà inizio una strage senza fine di innocenti (almeno a livello civile).

Se si ha dunque la possibilità reale di evitare un grave danno, non ha senso adoperarsi per ridurlo, anche perché questa strategia si è già rivelata fallimentare con la Legge 40, i cui paletti (posti con il pio intento di limitarne gli effetti cattivi, per quanto voluti) sono saltati uno dopo l’altro a colpi di sentenze giudiziarie, rivelandosi così perfettamente inutili. Siccome gli addetti ai lavori, compresi gli “esperti” della conferenza episcopale, non possono ignorare questi fatti, le loro argomentazioni risultano insopportabilmente ipocrite; sarebbe tempo, perciò, che ci sbarazzassimo pure di quell’altro apparato parassitario che usa i soldi dei fedeli per portare avanti agende decise altrove, sfruttando il proprio potere per inculcare idee e comportamenti in perfetta contraddizione con il Magistero cattolico, che dovrebbe invece insegnare e applicare.

La vera necessità

Se c’è un intervento decisamente urgente e doveroso a livello legislativo, è una norma che sanzioni adeguatamente la prassi inaccettabile che la nuova legge si limiterebbe semplicemente a legalizzare: sono ormai decenni che i malati terminali vengono soppressi, con o senza il consenso loro o dei familiari. Di fatto, l’unica norma assolutamente inderogabile è che il paziente non soffra e concluda la sua esistenza nel minor tempo possibile. Mentre le cure palliative, entro limiti ben definiti, sono un trattamento lecito e opportuno a cui tutti devono avere accesso, la sedazione profonda priva il malato della possibilità di vivere coscientemente le ultime ore di vita, che sono decisive per la sua salvezza eterna. Un simile danno spirituale non è compensato dal beneficio dell’eliminazione totale del dolore, cosa ben diversa dalla sua attenuazione.

Tuttavia il personale sanitario, con l’ausilio di psicologi appositamente istruiti, fa leva sui sensi di colpa dei familiari che eventualmente si oppongano alla sedazione profonda oppure la sospende bruscamente, anziché gradatamente, causando nel paziente spasmi insopportabili che impressionano fortemente i presenti. Avendo nel frattempo acquisito sui parenti un notevole potere manipolatorio, li convincono che il bene del loro caro richieda la sospensione dei sostegni vitali (alimentazione e idratazione), facendolo così morire di fame e di sete. Ciò può avvenire tanto in ospedale quanto a casa, con la differenza che, nel primo caso, è molto più difficile controllare l’operato dei sanitari e intervenire per tempo. Se, finora, si poteva ancora sporgere denuncia, con la nuova legge non lo sarà più; se le pressioni per anticipare il decesso erano già fortissime, presto saranno irresistibili. Il crimine diventerà così non solo legale, ma anche obbligatorio.

N.B.: l’espressione suicidio assistito è un non-senso, perché è contraddittoria. Il suicidio, infatti, è l’atto di chi si toglie la vita da sé; nella presente fattispecie, invece, si tratta di togliere la vita a chi ne fa richiesta, atto che costituisce comunque un omicidio. Dato che nessuno può disporre neppure della propria vita, chi chiede di essere assassinato commette peccato mortale e muore in quello stato senza pentimento, cosa di cui consta la certezza in quanto, in caso di pentimento, chiederebbe la sospensione della procedura, che impiega pochi secondi ad ottenere l’effetto. Quell’anima è perciò sicuramente destinata all’Inferno, cosa che non sembra preoccupare né la direzione della conferenza episcopale con il suo favoreggiamento di un crimine né la Santa Sede con il suo assordante silenzio.

AGGIORNAMENTO

Nella giornata di ieri la Corte Costituzionale ha sentenziato che, qualora un paziente si trovi nelle condizioni da essa stessa indicate (!) dell’accesso al suicidio medicalmente assistito ma non sia in grado di assumere autonomamente il “farmaco”, quest’ultimo non può essergli somministrato da un altro, costituendo ciò reato di omicidio del consenziente. Questo è un raggio di speranza, sia pure in un quadro totalmente aberrante: si parla infatti di un inesistente diritto di autodeterminazione in materia di fine-vita; la questione è inoltre dichiarata inammissibile solo perché il tribunale che l’ha sollevata non avrebbe «motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». Se si trova un macchinario che sostituisca il medico, in parole povere, il malato può senz’altro procedere a togliersi la vita. I giornalisti fanno la loro parte, ovviamente, per suscitare “compassione” verso i sofferenti a cui la legge impedisce di uccidersi.