Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 14 giugno 2025


Parola di vero Pastore

 

 

Come più volte asserito in queste pagine, la cosiddetta sinodalità è un artificio retorico escogitato per scardinare la costituzione divina della Chiesa imponendo decisioni prese da pochi ma presentate come richieste provenienti dal basso. Ci è di grande conforto costatare che un valoroso Vescovo, ingiustamente e illegalmente rimosso dalla sua diocesi a causa della sua fedeltà al Signore, abbia maturato al riguardo una posizione analoga. Riproponiamo perciò con gioia l’ultima lettera da lui indirizzata ai fedeli, dal titolo: Il cammino sinodale non è una via da seguire per la Chiesa (28 Maggio 2025). È un testo che si fa molto apprezzare per la pacatezza evangelica, unita a cristallina chiarezza e a franchezza genuinamente apostolica. Auspichiamo peraltro con vivo desiderio che papa Leone XIV proceda quanto prima a riparare alla gravissima ingiustizia subita dall’Autore; sarebbe un gesto di riconciliazione che contribuirebbe non poco a dimostrare la veracità del saluto di pace rivolto alla Chiesa intera il giorno della sua elezione.

 

Miei cari figli e figlie in Cristo,

è con cuore di Pastore, spinto dal dovere e dall’amore, che devo parlare apertamente di una questione che in questo momento mi grava profondamente sulla mente e sul cuore: il cosiddetto cammino sinodale. Esso si presenta come una via da seguire per la Chiesa, ma in realtà si allontana dal fondamento posto da nostro Signore Gesù Cristo.

La Chiesa non è nostra, da reinventare. Essa è il Corpo Mistico di Cristo, fondato sulla roccia di Pietro, guidato dai successori degli Apostoli e santificato dallo Spirito Santo. Qualsiasi tentativo di ridefinire la sua costituzione divina – appiattendone la natura gerarchica o distribuendo l’autorità dottrinale del papato tra conferenze episcopali, assemblee o comitati laici – non è rinnovamento, ma rottura.

Il cammino sinodale si discosta dal chiaro insegnamento e dalla struttura tramandatici dagli Apostoli. Esso mina l’ufficio petrino, istituito da Cristo quando disse: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18). Esso introduce confusione al posto della chiarezza, sentimento democratico al posto dell’autorità divina e compromesso al posto della fedeltà.

La Chiesa non può contraddirsi: non può insegnare oggi ciò che ha condannato ieri. Il deposito della fede non è soggetto a evoluzione consensuale. Come scrisse sant’Ireneo di Lione, «la Chiesa, sebbene dispersa in tutto il mondo, fino ai confini della terra, ha ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli questa fede […] e la conserva con cura» (Contro le eresie, I, 10, 1).

Nel libro dell’Apocalisse vediamo le anime dei Martiri che stanno sotto l’altare e gridano a Dio (cf. Ap 6, 9-11). Sono coloro che hanno mantenuto la fede fino alla morte, rifiutandosi di piegarsi allo spirito del mondo. Essi ci ricordano che essere cattolici non significa seguire le mode del tempo, ma aggrapparsi alla Croce di Cristo, qualunque cosa accada.

Il sangue dei Martiri non è solo il seme della Chiesa, ma anche il suo vessillo. Essi morirono nella fedeltà all’unica, santa fede cattolica e apostolica, non in un’esperienza sinodale. Morirono nella fedeltà ad una Chiesa che ha una sola voce, una sola fede, un solo Battesimo (cf. Ef 4, 5). Disonoriamo la loro testimonianza quando cerchiamo di sostituire la verità apostolica con i venti mutevoli dell’opinione popolare.

Preghiamo per il Papa, amiamo il Papa, ma seguiamo Cristo. Se la Santa Sede promuove un cammino che si allontana dalla fede degli Apostoli, dobbiamo rispondere non con la ribellione, ma con incrollabile fedeltà e dire, con Pietro e gli Apostoli: «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29).

Vi esorto, cari fedeli, a non lasciarvi smuovere. Tenete saldo ciò che avete ricevuto. State con i Santi e i Martiri. Siate come le vergini sagge, con le lampade accese e pronte per lo Sposo.

Aggrappiamoci alla fede dei nostri padri: immutata, immutabile e sempre vera.

Vostro in Cristo,

Vescovo Joseph E. Strickland


sabato 7 giugno 2025


Lo spirito dell’Anticristo

 

 

Omnis spiritus qui solvit Iesum, ex Deo non est, et hic est Antichristus, de quo audistis quoniam venit, et nunc iam in mundo est (1 Gv 4, 3).

Per decenni molti cattolici sono stati sedotti dall’illusione di poter conciliare il Vangelo con l’utopismo sessantottino: si sono adoperati a difendere la vita, la famiglia e l’educazione, sì, ma cercando di andare d’accordo con tutti e di evitare lo scontro in nome del dialogo; hanno operato e manifestato per la pace, sì, ma andando a braccetto con quelli che propugnavano aborto, libertà di drogarsi e sesso libero di qualunque specie; si sono impegnati per la salvaguardia del creato, sì, ma lasciandosi incantare dai banditori delle varie dottrine new age con le loro pratiche alienanti. È così che, a poco a poco, le verità e le esigenze morali della Rivelazione cristiana hanno ceduto il posto, nelle menti, nei cuori e nella vita, alle menzogne del pensiero dominante travestite da ideali evangelici.

«Ogni ispirazione che dissolve Gesù non è da Dio – e questo è l’Anticristo, del quale avete udito che sta venendo ed è ormai nel mondo». Non possiamo convincerci che tutti i problemi della Chiesa siano racchiusi negli ultimi dodici anni come in una parentesi infelice da dimenticare per ripartire finalmente nel verso giusto. Chi scrive, per grazia di Dio, non ha mai smesso di compiere il suo dovere, come meglio poteva, neanche nei momenti più bui, dato che neppure un cattivo papa ha potuto impedirglielo; con l’aiuto del Cielo, continuerà a farlo anche in futuro a prescindere dal gradimento o meno del nuovo regnante, visto che lavora per Gesù Cristo e non per lui. Egli non si aspetta un’approvazione estrinseca, ma fonda la propria sicurezza sulla testimonianza della coscienza (l’unica che tenga nella prospettiva del Giudizio divino), conscio che le sue difficoltà non sono certo iniziate nel 2013.

Un processo dissolutivo

Per la Chiesa i problemi, in realtà, son cominciati sessant’anni fa, quando si è deciso di aprirla al mondo e di deporre le armi nei suoi riguardi, come se, fino a quel momento, ci si fosse completamente sbagliati quanto al giusto modo di intendere e di vivere il Vangelo. In tal modo, però, si è per così dire dissolto Cristo nell’intelletto e nella volontà dei cattolici e lo si è sostituito con un ologramma che ne porta il nome, ma non è altro che un’immagine artificiale: l’utopismo sessantottino, appunto, che è nato in casa nostra prima ancora di contagiare tutta la società. Questo processo è un fatto per sua natura anticristico; esso non è stato avviato dall’elezione di Bergoglio, bensì dal Concilio Vaticano II e, nel frattempo, ha prodotto una radicale e completa falsificazione del cristianesimo, realizzata non soltanto nelle forme esterne, ma anche nell’identità e nell’esperienza dei fedeli.

Tra il 2013 e il 2025 gli artefici di tale processo, avendo ormai ottenuto un controllo sufficiente dopo aver tolto di mezzo colui che faceva da ostacolo, si son semplicemente levati la maschera e manifestati per quello che sono: una cricca di apostati, dediti all’affarismo e alla pederastia, che hanno occupato i centri nevralgici della Chiesa militante al fine di portarne a termine il processo di dissoluzione in base agli ordini dei poteri occulti che li ricattano. Ciò, evidentemente, non è possibile in assoluto, dato che l’essenza della Chiesa è soprannaturale, ma è possibile sul piano delle sue istituzioni terrene, che sono state gradualmente svuotate del loro contenuto proprio fino a lasciarne il solo guscio materiale, cioè un apparato di influenza, di potere e di culto che ancora sussiste nelle forme visibili, ma deviato verso altri scopi e con un significato estraneo.

Tale costatazione non implica l’idea, contraria alla fede, che la promessa del Signore si sia vanificata, ma che la porzione del Corpo Mistico che vive sulla terra deve riprodurre in sé la Passione dello Sposo e passare, in un certo senso, per la morte. Del Verbo incarnato poté morire solo il corpo fisico, mentre l’anima immortale scese vittoriosa agli inferi per liberarne i giusti che attendevano la Redenzione; così, analogamente, la Chiesa terrena può essere uccisa quanto al suo apparato visibile, ma non quanto alla sua essenza soprannaturale. «La Chiesa è morta», ha sentenziato il demonio in un esorcismo: come sempre, egli proferisce menzogne che racchiudono qualcosa di vero, ma distorcendolo o esagerandolo. La fede ci assicura che tale affermazione è falsa, se presa in senso assoluto, ma può contenere una parte di verità, sotto un certo aspetto accidentale e transitorio.

La risposta della fede

Ciò non ci autorizza certo a disobbedire in ciò che è legittimo né deve spingere nessuno a lasciare la Chiesa visibile, poiché la giurisdizione ecclesiastica rimane intatta sul piano giuridico e le scialuppe che si staccano dall’unica nave non garantiscono alcuna salvezza. La sola risposta vera e giusta alla situazione abnorme in cui ci troviamo si colloca nel mezzo: né la ribellione degli scismatici né la subdola persuasione che, finalmente, vada di nuovo tutto bene. Testate, gruppi e associazioni che, durante il pontificato precedente, hanno radunato e addomesticato i dissenzienti contestando derive e falsità di per sé evidenti, ora si adoperano a consegnare al nuovo regime quanti hanno loro dato credito, così che, ammaliati dall’apparenza esterna, acconsentano a ciò che fino a un mese fa aborrivano: la sinodalità – si sente ora dire – non è il male assoluto, basta intenderla bene…

Questa è la dissoluzione del cristianesimo: che (magari in cambio di un po’ più di libertà per i cultori della Tradizione) si finisca con l’accettare tutto e il contrario di tutto, in una coesistenza degli opposti terribilmente dissonante, ma percepita come realizzazione di una “pace” e di una “comunione” tra “legittime” diversità che, in realtà, annulla tutto rendendo ogni cosa irrilevante e insignificante; ecco la morte della Chiesa, seppur camuffata da un’apparente reviviscenza. Se ai funerali del Papa si piazzano dei travestiti in prima fila, vuol dire che vogliono abituarci alla “normalità” di una malattia mentale, così che, un passo dopo l’altro, ci ritroviamo nei conventi uomini abbigliati da monache o, viceversa, donne in talare e cotta intorno all’altare; suor Brambilla ne sarebbe sicuramente entusiasta. Se alle udienze del Mercoledì non son più i sacerdoti a leggere il Vangelo della catechesi, bensì laiche e suore in stragrande maggioranza, vuol dire che intendono assuefarci al vederle preti o diaconi.

Perdonateci la volontà di non intrupparci nel coro del peana leonino: poiché farlo non sarebbe onesto, la coscienza ce lo vieta. Non vogliamo con ciò gettarvi nello smarrimento e nella costernazione: la nostra fede – lo ripetiamo – poggia su Gesù Cristo, non su chi Lo rappresenta; come, con l’aiuto di Dio, siamo andati avanti finora, così, con l’aiuto di Dio, continueremo ad andare avanti. L’anima della Chiesa vive in tutti i vescovi, sacerdoti e fedeli che tengono accesa la lampada della fede con l’olio dell’umiltà e dell’abnegazione, di cui nessuno al mondo può privarli, se non smettono di procurarselo con un’incessante preghiera e un’instancabile carità. La peggiore disgrazia, per un cattolico, è perdere la fede nella persuasione di averla ancora, quando invece non ha più se non una sua contraffazione che oltretutto, a forza di confonderlo con continue contraddizioni, gli ha offuscato pure la ragione. Questo è il frutto dello spirito dell’Anticristo.


sabato 31 maggio 2025


Cattolici nell’era dei like

 

 

Viviamo in un’epoca in cui la lucidità intellettuale, la capacità di giudizio e l’autonomia di valutazione sono fortemente compromesse. Molte menti sono infatti offuscate da criteri estrinseci al reale, si lasciano guidare da emozioni o desideri e si affidano alle prese di posizione di altri. L’intento di chi scrive su queste pagine, invece, ben lungi dall’essere quello di voler influenzare chicchessia, non è altro che quello di evidenziare dei fatti per aiutare ognuno a riflettere da sé sulla realtà oggettiva; esso non risponde né a ordini di scuderia da parte di occulti finanziatori, che non esistono, né ad una strategia politica mirante a ottenere consensi: al contrario, l’assoluta sincerità delle osservazioni qui condivise rischia di far perdere all’autore anche i suoi venticinque lettori.

Non siamo manichei

L’impegno più urgente che ci si profila dinanzi è quello di uscire dalla “logica” manichea del mondo postmoderno, secondo la quale bisogna per forza dichiararsi pro o contra, mostrare il pollice retto o il pollice verso, dividere l’umanità in buoni (in tutto e per sempre, incorruttibili e immacolati) e cattivi (in tutto e per sempre, irredimibili e pestiferi). In un quadro del genere – che non è affatto cristiano – è impensabile pregare per qualcuno che non sia già santo; anzi, ci si attende la salvezza da quelli che la massa ha già canonizzato, delegando loro la soluzione di ogni problema. Presto o tardi, però, si scopre che tali “salvatori” non erano poi così efficienti, ma mutano posizione a seconda del volere dei manovratori occulti, come Putin sulla Siria e Trump sull’Ucraina. Chi accorda eccessiva fiducia agli uomini, in ogni caso, dimostra di non essere davvero radicato in Cristo.

Oggi è breve il passo perché il medesimo approccio sia applicato alla vita ecclesiale, specie dopo dodici anni di incubo distopico. Il comprensibile bisogno psicologico di esser rassicurati e confortati rischia però di deformare la percezione del reale mettendo in esagerato rilievo i dati considerati positivi e lasciando nella penombra quelli che disturbano: dopo il male assoluto, è imperativo che, adesso, tutto vada di nuovo bene. A parte l’impossibilità concreta che ciò succeda in questa situazione di completa contraffazione del cristianesimo, che procede indisturbata da sessant’anni e non ha risparmiato alcun aspetto della Chiesa, ciò che la carità intellettuale suggerisce, in questo momento, è un prudente mettere in guardia dalle illusioni: un’eventuale delusione, infatti, sarà tanto più cocente quanto più esse saranno state forti.

Quello che conta, riguardo al nuovo Papa, sono i fatti e le parole, che vanno valutati per quello che sono in sé stessi piuttosto che in base a mere ipotesi di strategie segrete volte ad accontentare gli elettori. Quando fatti e parole mostrano una salda coerenza e un’oggettiva continuità con quanto detto e fatto dal predecessore, un osservatore obiettivo non può rifugiarsi nei sogni. Certo, ci sono tempi e modalità diverse di reazione: si può rispondere a caldo, nell’immediato, come pure in modo più ponderato, dopo opportuna meditazione. Ciò non significa affatto che la percezione della realtà cambi a seconda del momento o dello stato d’animo, ma che la maniera di porsi in relazione con la realtà percepita può maturare e perfezionarsi, soprattutto se interviene quel fattore soprannaturale che denominiamo grazia.

Osserviamo i fatti

Ci siamo già soffermati su alcune dichiarazioni di Leone XIV che, sia pure in mezzo a richiami più rassicuranti, sono causa di profonda inquietudine, visto che si ricollegano inequivocabilmente alle posizioni di “papa Francesco”. Ora accenniamo a qualche sua decisione, ossia alle nomine, le quali sono una sicura cartina di tornasole degli orientamenti di chi governa. Si obietterà che è prematuro trarre conclusioni dopo nemmeno un mese, osservazione con cui siamo perfettamente d’accordo, tant’è vero che, come già asserito, sospendiamo il giudizio sul pontificato appena iniziato, senza la minima pretesa di sentenziare su ciò che non ci compete, ma limitandoci a guardare senza paraocchi ciò che succede, così da evitare lo shock subìto, nel Settembre del 2013, alla lettura dell’intervista di Bergoglio alla Civiltà Cattolica, zeppa non solo di eresie, ma di autentici non-sensi.

Se quella volta, a motivo dell’inusuale presentazione alla loggia di San Pietro, ci eravamo mantenuti guardinghi per sei mesi, fino a quando l’atroce realtà fu impietosamente svelata, questa volta non vogliamo lasciarci sedurre dagli orpelli esterni tornati in auge, in quanto essi non bastano, da soli, a dimostrare un cambiamento in meglio, soprattutto se il resto non concorda. Che dire, dunque, della nomina di un’altra suora al Dicastero dei religiosi? Anziché sanare quella grave anomalia teologico-giuridica che è stato il conferimento di un incarico di governo (capo di un organo della Santa Sede!) a chi non è insignito dell’Ordine sacro (né mai potrà esserlo), Leone XIV ha affiancato al “prefetto” illegittimo un “segretario” altrettanto illegittimo, catapultandolo oltretutto da fuori in un ruolo di solito ricoperto da un membro del dicastero che ne conosca bene colleghi e funzionamento.

L’organo che coadiuva il Papa nel governare milioni di religiosi e religiose è così venuto a trovarsi in mano a due incompetenti da cui non ci si può aspettare altro – oltre all’aumento del malcontento di quanti ci lavorano – che una prosecuzione e una moltiplicazione delle gravissime ingiustizie già in atto contro numerosi Ordini e monasteri, per non parlare degli istituti di rito tradizionale, i quali, da qualche anno, dipendono dal medesimo dicastero. Cosa significa l’avervi messo alla testa due donne, in patente contraddizione di quanto stabilito da Bergoglio stesso nella Costituzione Apostolica Praedicate evangelium, che richiede un cardinale come prefetto e un arcivescovo come segretario? Non è forse, questo, l’ennesimo atto di puro arbitrio compiuto in assoluto spregio dell’ordinamento giuridico della Chiesa Cattolica?

Per restare nell’ambito della Santa Sede, la nomina del nuovo cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita è un’altra decisione che denota continuità piuttosto che cambiamento di rotta. Uno che auspichi la regolamentazione giuridica del cosiddetto suicidio assistito di fatto lo avalla, esattamente come avvenuto con l’aborto; l’omicidio, però, rimane tale anche se chiesto dall’interessato o se la vittima non è ancora in grado di esprimersi. Il plauso delle associazioni pro vita a questa designazione le denuncia come falsa opposizione e complici del sistema: la loro attività neutralizza infatti ogni serio impegno a difesa della vita umana, come dimostrato in occasione della campagna Un cuore che batte, da alcune palesemente osteggiata con obiezioni inconsistenti, da altre guardata con freddezza, se non con sufficienza… fino a quando le centoseimila firme raccolte le han costrette a far salti mortali per riposizionarsi in merito.

Pensiamo al Giudizio

In definitiva, tutto sarà chiaro al Giudizio finale; ciò non toglie che ognuno di noi sia in primo luogo obbligato a pensare al proprio, che avverrà al momento della morte. Perciò, ben lungi dal pretendere di emettere giudizi sulle persone, così da non usurpare un diritto esclusivo di Dio, ci limitiamo, come già detto, a osservare i fatti e a trarne cautamente qualche conseguenza onde evitare di restare ancora delusi. È innegabile che il modo di presentarsi e di parlare di Leone XIV sia ben più degno di quello del predecessore, ma il pensiero, almeno per quanto è finora dato arguire, non suona sostanzialmente diverso. Il grido di dolore della volta scorsa è scaturito proprio dall’amore per la Chiesa e per il Papa, dal quale ci si attende legittimamente una parola che non lasci adito a dubbi circa non solo la centralità  di Cristo, ma anche la necessità della Chiesa ai fini della salvezza; altrimenti, a forza di dare per scontate verità fondamentali, si finisce col dimenticarle e cedere alle menzogne moderniste.


sabato 24 maggio 2025


Nihil sub sole novum

 

 

Niente di nuovo sotto il sole (ma in latino fa più effetto): le speranze si sono presto spente. Nelle prime esternazioni del nuovo Papa, malgrado l’entusiasmo suscitato da alcune affermazioni, appare una perfetta continuità con il pontificato precedente e, in generale, con la linea postconciliare della teologia e del Magistero. In realtà l’intuito – troppo spesso negletto a favore del ragionamento – si era già espresso, in chi scrive, subito dopo l’Habemus papam e, precisamente, con questi pensieri: «Ti adoro nei Tuoi imperscrutabili disegni di sapienza infinita; forse è la volta buona che smetto di confidare negli uomini e comincio a confidare unicamente in Te». Nondimeno durante la Messa, rimandata a tarda sera per via dell’elezione, l’impressione che il cuore stesse per scoppiare lo ha costretto a fermarsi alcuni istanti per chiedere di esser preservato, non ritenendosi pronto.

Troppe concordanze

Nella prima omelia di Leone XIV, il giorno seguente, la citazione del paragrafo 22 della Gaudium et spes e quell’invece di troppo, come osservato negli ultimi articoli, han fatto suonare i campanelli d’allarme, cosa che potrebbe esser presa per un sintomo di paranoia se l’allarme non fosse stato – ahimè – pienamente confermato dal seguito. Il famigerato testo conciliare afferma testualmente che «con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Abbiamo già riflettuto, due anni fa, sugli effetti devastanti di quell’affermazione ambigua e sulla sua possibile connessione con uno dei peccati più sordidi; ora dobbiamo sottolinearne il nesso con l’idea, ormai divenuta di dominio pubblico, che siamo tutti figli di Dio, come ribadito nell’ultimo messaggio Urbi et orbi del defunto papa Francesco, messaggio a cui il successore si è riferito ben due volte, nel saluto dalla loggia e nell’omelia della Messa di inaugurazione.

Tale insistenza in due occasioni così rilevanti (la primissima presentazione al mondo e il discorso programmatico del pontificato) non può essere casuale, tant’è vero che, parlando agli acattolici la mattina del 19 Maggio, Leone ha inequivocabilmente ribadito la continuità con l’ideologia della fraternità universale proposta dal «Papa della Fratelli tutti» (Discorso ai rappresentanti di altre Chiese ecc.), enciclica cui allude anche nella chiusura dell’omelia di inizio-pontificato. L’enfasi posta sui grandi passi e sugli sforzi compiuti da Bergoglio a favore del dialogo interreligioso culmina nella citazione esplicita dell’eretico documento di Abu Dhabi, citazione che allarga al rapporto con le false religioni quanto appena affermato riguardo all’ecumenismo e alla sinodalità, impegni che Prevost dichiara di voler proseguire. Non poteva poi mancare, a coronamento del tutto, l’evocazione dell’intramontabile Nostra aetate in riferimento a giudei e maomettani.

Lo spirito di fraternità umana risulta inscindibile dalla libertà di coscienza, di pensiero e di parola. Il termine uguaglianza non compare, ma è implicito nella sostanza del discorso: l’unità e la pace si fondano sull’idea che siamo tutti sullo stesso piano in quanto, a prescindere dalla religione, siamo «figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi» (Discorso ai rappresentanti, in fine); di conseguenza, non dobbiamo fare altro che conoscerci, rispettarci e… dialogare! Ma chi l’avrebbe detto? Dopo appena sessant’anni che ce incurcheno ’ste cose (per citare la buon’anima di un parroco romano), com’è possibile che ancora non l’abbiamo capito? Bisogna insistere con i princìpi della libera muratoria, piuttosto che con quella propaganda religiosa, congiunta alla sopraffazione e ai mezzi del potere, con cui si tenta di catturare gli altri (Omelia della Messa di inaugurazione).

 

Ricadute sulla Chiesa e sul Papato

In tale contesto, la missione di Pietro non è quella di «essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri», bensì quella di essere un «fratello che vuole farsi servo», la cui unica autorità è la carità. Secondo un metodo consolidato, i dati della dottrina cattolica sono presentati in termini caricaturali a vantaggio di una visione egualitaristica che dissolve i fondamenti stessi della Chiesa: il potere sacro (la suprema potestas) conferito da Cristo all’Apostolo scelto come roccia si riduce a un amare di più, privo di quei connotati giuridici e disciplinari che sono intrinsecamente connessi ad ogni autorità perché sia tale. La carità non è l’autorità stessa, ma la condizione a cui essa deve essere rettamente esercitata nella Chiesa. È vero che la pietra d’angolo è Cristo e che tutti i battezzati sono pietre vive (cf. At 4, 11; 1 Pt 2, 5), ma il nuovo nome ricevuto da Simone indica che proprio lui – e lui soltanto – rappresenta in pienezza Cristo Capo.

Qui, in definitiva, è in gioco il fine della Redenzione operata dal Figlio di Dio e la ragion d’essere della Chiesa quale Suo Corpo Mistico. Se gli uomini non devono fare altro che «ascoltare la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia» e se «questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà»… che bisogno c’era della Croce? a che servono i Sacramenti? perché stare nella Chiesa Cattolica? a quale scopo studiare il catechismo e osservare la legge morale, pregare e mortificarsi? Visto che, a quanto pare, tutte le dottrine e gli insegnamenti si equivalgono e che i cattolici non si distinguono sostanzialmente dagli altri, che ci sta a fare il Papa?

Egli serve, evidentemente, a riaffermare e consolidare la rivoluzione iniziata nel 1962, come risulta in modo inequivocabile da questo passaggio del discorso rivolto da Leone XIV ai cardinali il 10 Maggio scorso: «Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione […] alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium» (i corsivi sono nostri). Qui, in più, si dichiara solennemente che il pontificato bergogliano, ben lungi dal dover essere sconfessato, è la piena, anzi magistrale attuazione dell’ultimo concilio. Un ritorno alla normalità può esser percepito – come scrive un confratello – unicamente da coloro che si sentono «normalmente cattolici in una Chiesa in cui la normalità cattolica è cosa sconosciuta alle nostre generazioni».

Tiriamo le somme

Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, ma perfetta continuità con l’apostasia silenziosa iniziata negli anni Sessanta; è la solita minestra riscaldata, ma rimessa in tavola in un piatto diverso. Siamo stufi di queste chiacchiere melense, ma terribilmente corrosive di ciò che ci identifica e costituisce come cattolici! Non parliamo nemmeno del tanto banale quanto logoro «no alla guerra e alla pace» (Discorso ai rappresentanti), che ci fa ripiombare in pieni anni Settanta! Ma dove siamo? a un concerto dei figli dei fiori? E queste sarebbero novità? Per favore, c’è qualcuno che sappia rendere un po’ di dignità al Papato e di serietà al Magistero? Si faccia avanti e spieghi all’interessato chi è il Sommo Pontefice e quali sono i suoi compiti!

Purtroppo aumentano gli indizi che l’elezione sia stata pianificata. Lo stile dell’ultimo messaggio Urbi et orbi di Francesco sembra proprio quello del successore, che vi ha fatto riferimento ben due volte; il richiamo alla famiglia fondata sull’unione stabile tra un uomo e una donna, nel discorso rivolto al corpo diplomatico, suona come un tributo al presidente Trump, che pare abbia giocato un ruolo nella scelta; le velate scuse riguardo a Gaza, porte col termine malintesi usato nel parlare agli ebrei, come pure il gradimento espresso dal rabbino di Roma, fan pensare che a comandare siano proprio loro… manco a farlo apposta, la decorazione floreale del sagrato di San Pietro, Domenica scorsa, richiamava il candelabro della festa della dedicazione del tempio.

Evidentemente non abbiamo pregato abbastanza né raccolto la lezione che il Signore ha voluto darci col pontificato precedente: il primato della necessità di santificarci anziché perderci in discussioni sulle reti sociali, dando retta agli esagitati che vi sbraitavano per spingerci alla separazione e alla disobbedienza. Non dimentichiamo però che Dio può tutto con chi è ben disposto e che la grazia di stato porta frutto col tempo. Il nostro amato Benedetto, malgrado il suo retroterra teologico tedesco, da papa si trasformò profondamente sul piano intellettuale e spirituale, soprattutto nei dieci anni di isolamento. Chissà che anche Leone, col concorso delle nostre suppliche, non riesca a superare la visione finora espressa (che gli è valsa il consenso dei progressisti) e a maturare gli elementi positivi, come la sensibilità religiosa e la devozione mariana, che sembrano genuine.


sabato 17 maggio 2025


Viva la Chiesa sinodale!

 

 

Il pontificato appena conclusosi è servito, per alcuni, a radicarli nella fede e a consolidare il loro attaccamento alla Chiesa visibile; per altri, a trasformarli in infallibili censori e inappellabili giudici di chiunque nella Chiesa eserciti un ministero, fino al vertice. Per quanto l’evoluzione impressa dal Vaticano II alla compagine terrena della Sposa di Cristo abbia modificato il suo aspetto visibile e indebolito il Magistero ordinario, costringendoci a rimanere vigilanti nei confronti di esso, che deve piuttosto confermarci senza ombre né ambiguità, non siamo da ciò autorizzati a capovolgere l’ordine stabilito dal Fondatore, come invece sembrano fare molti nell’attuale congiuntura storica. Pare anzi che certuni, proprio in ragione di una presunta cattolicità, si sentano investiti del supremo compito di emettere sentenze, a favore o a sfavore, sul nuovo papa Leone XIV.

Tutti per la sinodalità di fatto

Certi siti gestiti da ex-vaticanisti sono diventati una sorta di speaker’s corner dove chiunque voglia può prender la parola e pontificare su qualsiasi argomento ma, di preferenza, sul Vicario di Cristo. Si direbbe che gusti, desideri e opinioni di chi scrive fossero criteri di valutazione assolutamente certi, a prescindere dalle sue competenze; teologi e canonisti possono finalmente gustarsi il meritato riposo, visto che c’è chi li sostituisce egregiamente. Così tutti, volenti o nolenti, si ritrovano a far parte di quella chiesa sinodale auspicata dagli uni, esecrata dagli altri: tutti a discutere con la pretesa di aver voce in capitolo, senza accorgersi di esser probabilmente manovrati da poteri occulti che non hanno a cuore il bene delle anime, ma si servono degli autocostituitisi censori per aumentare la confusione e acuire lo smarrimento di quanti ancora credono (o pensano di credere).

Non soltanto l’ordine ecclesiale appare gravemente compromesso, infatti, ma è in pericolo anche la natura stessa della fede, la quale è assenso dell’intelletto alla verità insegnata da quanti sono insigniti del mandato apostolico; se questi ultimi non contano più nulla nel sentire dei cristiani, la fede si trasforma in un’ideologia che si frantuma in innumerevoli varianti, come nel mondo protestante. È proprio a questo fenomeno che, purtroppo, stiamo assistendo, nonostante esso sia giustificato con una fiera protesta di cattolicità. Tale paradosso è il frutto più velenoso del pontificato bergogliano, a prescindere dalla sua legittimità; le accese controversie che lo riguardano non sono servite se non a dividere e demolire, come confermato dal fatto che uno dei più accesi (e sospetti) sostenitori della sua nullità si smentisce ora platealmente affermando la validità del successore.

Nella ridda di pareri e giudizi basati su conclusioni affrettate, tratte già all’indomani dell’elezione, teniamo a ribadire la necessità di attenerci ai fatti oggettivi. Non c’è dubbio che i discorsi e il modo di presentarsi di Leone XIV siano rassicuranti; tuttavia quanti desiderano evitare di rimanere di nuovo bruciati dopo l’entusiasmo iniziale rimangono prudentemente a guardare in attesa delle prime decisioni pratiche, dalle quali soltanto si potrà dedurre la direzione che il nuovo Papa intende seguire. Del resto, noi ci aspettiamo la salvezza da Gesù Cristo, non da chi Lo rappresenta sulla terra, pur senza nulla togliere all’importanza del secondo; altrimenti ricadiamo nella papolatria rinfacciata ai progressisti nello scorso pontificato. Qualunque cosa il Papa faccia o non faccia, nessuno potrà mai toglierci il Signore, presente, realmente, nell’Eucaristia e, spiritualmente, nell’anima in stato di grazia.

Enigmi irrisolti o indizi eloquenti?

Ora, a prescindere dagli orientamenti dell’associazione e della rete televisiva che hanno attaccato l’allora cardinal Prevost, rimane il fatto che due sacerdoti della diocesi da lui guidata in Perù, accusati di un grave crimine, non siano stati adeguatamente indagati. Non ci è dato sapere se ciò sia dovuto a una deliberata volontà di copertura o, semplicemente, all’impossibilità di intervenire efficacemente in casi del genere, impossibilità causata sia dall’indebolimento dell’autorità dei vescovi in generale, effetto delle “riforme” postconciliari, sia dall’estrema pericolosità di ogni tentativo di colpire la rete, così potente e ramificata, di ecclesiastici corrotti che si proteggono a vicenda. Si fa presto, sulla tastiera, ad accusare di codardia chi rischia non tanto la rimozione, quanto il carcere e la damnatio memoriae a causa di una calunnia attinente allo stesso ambito.

Non essendo in grado di trarre conclusioni in un senso o nell’altro, sospendiamo perciò il giudizio in attesa – lo ripetiamo – di vedere i fatti, senza pregiudiziali di sorta. Non abbiamo, analogamente, la possibilità di verificare certe ipotesi circa un’eventuale pianificazione dell’elezione, circostanza che alcuni elementi sembrano comunque suggerire. Significa sicuramente qualcosa che il Presidente della prima superpotenza mondiale – cosa inaudita e inammissibile – abbia diffuso l’immagine di sé in tenuta pontificia; è come dire: «Il papa lo faccio (cioè lo scelgo) io»; guarda caso, è americano. Fatto altresì singolare, l’anticipazione del nome (come quella ascritta, sul Foglio, ad un’intelligenza bizantina, vale a dire i servizi segreti turchi?), come pure l’attacco sferrato a Prevost, alla vigilia dell’inizio del conclave, da una testata cattolica filosionista.

Vien da pensare che in certi ambienti si fosse già al corrente dell’esito e che si sia cercato, da una parte, di favorirlo, dall’altra, di ostacolarlo. Preso atto della soddisfazione espressa dal rabbino-capo di Roma (casomai fosse necessaria alla legittimazione del Romano Pontefice), è difficile rimuovere l’idea che gli usurai aschenazisti ci abbiano ficcato il proverbiale naso. La cosa non ci interesserebbe tanto, se la prima omelia di Leone XIV, subito dopo la citazione del passaggio tendenzialmente panteistico della Gaudium et spes, non affermasse testualmente che Gesù ci ha «mostrato un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità» (Omelia della Messa con i Cardinali nella Cappella Sistina, 9 Maggio 2025; il corsivo è nostro).

Dato che le parole hanno un peso e un significato, l’avverbio avversativo qui adoperato vuole dire che, mentre il Paradiso è al di là delle possibilità dell’uomo, l’imitazione di Cristo è alla sua portata, senza alcun bisogno – a quanto pare – della grazia santificante. Si potrebbe ipotizzare che tale svista fosse frutto di mera imprecisione (del resto usuale nella confusa “teologia” postconciliare), ma che capiti a un dottore in diritto canonico che a ventidue anni si è laureato in matematica appare piuttosto improbabile, posta l’importanza del discorso e della circostanza. Se Cristo è dunque imitabile da tutti, con o senza Battesimo, ebrei, musulmani, buddisti e quant’altro sono esattamente sul nostro stesso piano, ciò che, volendo, si può evincere dai paragrafi 13 e 16 della Lumen gentium nonché dalla dichiarazione Nostra aetate. Altro che sconfessione del documento di Abu Dhabi…

Conclusione provvisoria

In conclusione, pur non intendendo aggiungerci alla lista di coloro che sentenziano, non riusciamo a placare l’inquietudine provata fin dalla sera dell’8 Maggio scorso: la sensazione è che la rivoluzione stia procedendo indisturbata, benché in modo più fine, discreto e garbato. Dopo lo sfondamento delle linee, è giunto il tempo di consolidare la posizione? Cionondimeno, raccomandiamo ancora intense preghiere per Leone XIV, ben sapendo per fede che Dio può trarre ciò che vuole da chiunque sia permeabile alla grazia. Se poi l’agonia dovesse proseguire (come fan pensare le voci sulle nuove nomine), ogni buon cattolico troverà sempre luce e conforto davanti al tabernacolo, il cui divino Prigioniero sarà sempre con chi Lo ama sinceramente e persevera nel Suo servizio costi quel che costi. Nessuno al mondo può allontanarci da Gesù né privarci della Sua grazia, se noi non vogliamo e non la perdiamo per colpa nostra.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo? […] nessuna creatura ci potrà mai separare dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore (cf. Rm 8, 35.39).