Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 8 febbraio 2025


Preghiamo a oltranza per la Chiesa

 

 

La fede, spingendo il nostro sguardo al di là dei mali del tempo presente, ci fa contemplare la Città celeste, la nuova Gerusalemme che discende da Dio rivestita della Sua gloria. Tutti gli Angeli e i Santi sono radunati intorno al trono di Dio e dell’Agnello per adorarlo, benedirlo e ringraziarlo in eterno. Qui, sulla terra, essa è già presente e operante mediante la Chiesa Romana, Madre e Maestra di tutte le altre Chiese particolari; dalla sua Cattedra il Vescovo di Roma insegna e governa. Chi desidera pregare per la rinnovazione della Chiesa può prendere spunto da un testo che il sacerdote pronuncia subito prima della Messa: la dichiarazione dell’intenzione. Evidentemente non è un testo indispensabile alla validità della Messa, ma è molto importante che il sacerdote, con queste poche parole, richiami alla mente ciò che sta per fare e che intende fare con tutta la Chiesa.

«Io voglio celebrare la Messa e confezionare il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo secondo il rito della Santa Chiesa Romana, a lode di Dio onnipotente e di tutta la Corte trionfante, a utilità mia e di tutta la Corte militante, per tutti coloro che si sono raccomandati alle mie preghiere, in generale e in particolare, e per il felice stato della Santa Chiesa Romana». Qui, nel dichiarare l’intenzione, il sacerdote proclama semplicemente quel che sta per fare con la celebrazione della Messa, cioè realizzare la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ma esprime anche le peculiari intenzioni per cui si accinge a farlo (quelle intrinsecamente legate al Sacrificio che sta per compiere, non quelle personali che può liberamente aggiungere).

La prima è la lode di Dio e di tutta la Sua Corte celeste: in ogni Messa si eleva a Dio l’omaggio più perfetto possibile, quello che conclude il Canone, quando il sacerdote dice: «Mediante lui, con lui e in lui, a te, Dio Padre onnipotente, sia ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli». Questa è la lode più perfetta, poiché è quella che il Figlio di Dio ha rivolto al Padre offrendo la Sua vita sulla Croce; ogni volta che il Suo Sacrificio si rende di nuovo presente sull’altare, anche noi tributiamo a Dio l’onore più grande e perfetto che si possa immaginare, l’unico che sia davvero degno di Lui. Oltre a ringraziare la Santissima Trinità, diamo gloria anche alla Corte celeste, a tutti gli Angeli e i Santi, associandoci così alla loro incessante adorazione.

Poi, nondimeno, c’è anche un’intenzione relativa a noi che siamo sulla terra: l’utilità del sacerdote che offre il Sacrificio e di tutta la Chiesa militante, che combatte qui sulla terra. Ogni Messa procura innumerevoli grazie, di cui non abbiamo idea, per tutta quella componente del Corpo Mistico che si trova ancora qui, immersa nella lotta. A questa intenzione è connessa la raccomandazione di tutti coloro che hanno chiesto le preghiere del sacerdote, in generale e in particolare: alcuni membri della Chiesa militante, infatti, hanno particolarmente bisogno delle grazie che scaturiscono dalla Santa Messa, tra le quali ci sono le grazie di perdono, riparazione ed espiazione che il Sacrificio ottiene ai peccatori bisognosi di conversione e a quelli che, benché già assolti, devono ancora scontare la pena dei peccati commessi.

Il sacerdote, infine, dichiara di offrire la Messa per il felice stato della Santa Chiesa Romana. Con questa locuzione si intende la Chiesa universale, che a Roma ha il suo centro di unità. In ogni Messa chiediamo a Dio di assicurare questo felice stato; trattandosi, evidentemente, della Chiesa Romana, che qui ha il suo cuore, dobbiamo domandare che proprio in essa, da colui che la governa e da coloro che con lui collaborano, sia adempiuta la volontà di Dio e sia fatto tutto ciò che corrisponde ai fini per i quali il ministero di Capo della Chiesa è stato istituito. In ogni Messa, dunque, chiediamo la prosperità della Chiesa militante, ossia della Chiesa Romana; dobbiamo perciò esprimere apertamente al Signore questa suprema intenzione, che il più delle volte rimane implicita: è bene che ne prendiamo consapevolezza e che la rivolgiamo a Dio in modo rinnovato.

Per fare in modo che l’offerta del Sacrificio sia il più possibile fruttuosa, in base alle disposizioni di chi la compie e di chi vi si associa (cioè di tutti i fedeli), il sacerdote aggiunge un’articolata richiesta: «Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda la gioia con la pace»: anzitutto, domanda che possiamo essere felici di appartenere alla Chiesa e di vivere in pace con essa, non in conflitto o in stato di divisione. Poi chiede l’emendazione della vita: è evidente che possiamo legittimamente aspettarci da Dio la gioia e la pace nella misura in cui siamo disposti a correggere, nella nostra condotta, ciò che non Gli è gradito. Dopo la correzione, ci vuole lo spazio di una vera penitenza, ossia il tempo necessario per pentirci sinceramente dei nostri peccati ed effettuarne adeguata penitenza, dato che non sappiamo se ce ne rimane abbastanza. Si domanda poi la grazia e consolazione dello Spirito Santo, che sono effetto della compunzione, di quell’atteggiamento di perenne richiesta di perdono che è proprio di chi sa di essere peccatore e di aver sempre bisogno di esser perdonato da Dio. Infine, viene la perseveranza nelle opere buone: tutto ciò che precede deve portare frutti concreti, che sono le azioni ispirate e mosse dalla carità.

Con queste disposizioni (che chiediamo a Dio quale frutto della grazia accolta, con cui dobbiamo cooperare) possiamo offrire la Messa in modo fruttuoso. Il Sacrificio di Gesù ha certamente valore di per se stesso; non siamo noi a renderlo efficace. Tuttavia gli effetti che ha nelle anime dipendono anche dal modo in cui esse sono disposte; perciò è importante che facciamo tutto il possibile per prepararci, sia sul piano dell’interiorità, sia su quello della condotta esterna. Con queste richieste rivolgiamoci spesso al Signore, mediante la Vergine Maria e con il Santo Rosario, per domandare questo felice stato della Chiesa Romana, purché siamo pure pronti a collaborare, a soffrire e ad offrirci perché Dio ci conceda questa grazia.

 

http://lascuredielia.blogspot.com/2023/12/pro-felici-statu-sanctae-romanae.html?m=1


sabato 1 febbraio 2025


Chi è guarito guarisce

 

 

Rinfranchiamo ancora l’anima alle sorgenti della divina Parola.

Dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Romani (12, 16-21)

Fratelli, non siate sapienti secondo voi stessi; non rendete a nessuno male per male; abbiate cura di fare il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti; non difendetevi da soli, carissimi, ma lasciate spazio all’ira – sta scritto infatti: «A me il castigo; io retribuirò» (Dt 32, 35), dice il Signore – ma «se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sul suo capo» (Pr 25, 21-22). Non esser vinto dal male, ma vinci il male con il bene.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (8, 1-13)

In quel tempo, essendo Gesù disceso dal monte, lo seguirono grandi folle. Ed ecco che un lebbroso, accostatosi, lo adorava dicendo: «Signore, se vuoi, mi puoi purificare». Gesù, stesa la mano, lo toccò e disse: «Lo voglio: sii purificato». Subito la sua lebbra fu purificata e Gesù gli disse: «Bada di non dirlo a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote e offri il dono che Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». Quando fu entrato in Cafarnao, gli si accostò un centurione pregandolo e dicendo: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre moltissimo». Gesù gli disse: «Io verrò e lo curerò». Il centurione, rispondendo, disse: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma soltanto di’ con la parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io, infatti, sono costituito sotto l’autorità, ma ho sotto di me dei soldati e dico a uno: “Vai” ed egli va; a un altro: “Vieni” ed egli viene; al mio servo: “Fa’ questo” ed egli lo fa». Udito ciò, Gesù ne restò ammirato e disse a coloro che lo seguivano: «In verità vi dico: in Israele non ho trovato fede così grande. Vi dico anzi che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. Invece i figli del regno saranno gettati fuori, nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti». Gesù disse al centurione: «Va’ e, come hai creduto, ti sia fatto» – e il servo guarì in quell’istante.

 

Colui che, poco dopo la Sua nascita, è stato indicato ai Magi da una stella, sulle rive del Giordano ha ricevuto la testimonianza del Padre e, in occasione delle nozze di Cana, ha rivelato il proprio potere soprannaturale trasformando l’acqua in vino, continua a manifestare la sua gloria divina con due miracoli avvenuti per effetto della sola Sua volontà. Un lebbroso, che Gli si avvicina esprimendo la propria fede in Lui, si sente dire semplicemente: «Io voglio che tu sia guarito» e questo accade. L’altro caso è quello del servo del centurione romano di Cafarnao, che viene guarito a distanza, semplicemente perché il Salvatore dispone che avvenga ciò che il centurione desidera.

Abbiamo così due guarigioni miracolose che non sono effetto di particolari atti compiuti da Gesù, ma risultano un semplice adempimento del Suo volere. Quello che rende possibile il dispiegamento del potere di Gesù, però, è la fede di coloro che si rivolgono a Lui. Il lebbroso dice: «Se vuoi, tu puoi purificarmi»; con grande semplicità, Gesù si limita a rispondere: «Lo voglio: sii purificato» (Mt 8, 2-3). La fede del lebbroso conosce la potenza del Salvatore, ma si abbandona al Suo volere, senza pretendere il miracolo. Gesù risponde a quella fede manifestando che essa è vera, fondata, ma in più rivela la Sua bontà: non c’è soltanto un potere assoluto che agisce in modo incontrastato, ma questo potere è messo a servizio della bontà, è un potere indirizzato al bene dell’uomo. La fede del lebbroso arriva così alla carità, poiché la bontà di Gesù suscita in lui l’amore per Dio; perciò quella fede si compie conducendolo all’unione con Lui.

Nel caso del centurione abbiamo qualcuno che intercede a favore di un altro, di un subalterno, che tuttavia aveva con lui una relazione profonda sul piano umano: era un uomo obbediente sul quale il padrone contava. Anche qui la fede incondizionata ottiene il miracolo, ma è una fede particolarmente umile. Pure quella del lebbroso lo era, dato che lo aveva spinto a prostrarsi davanti a Gesù, ma il centurione vuole addirittura evitare che Gesù entri in casa sua. In realtà non è necessario, visto che a Gesù basta pronunciare una parola. Ora, questa umiltà denota un alto livello di perfezione, poiché è l’umiltà di chi riconosce non solo di non poter pretendere nulla (come già il lebbroso), ma neppure di poter far venire il Signore presso di sé, neppure di poterlo accogliere; è l’umiltà di chi riconosce la propria assoluta indegnità.

Eppure, anche in questo caso, la bontà del Signore valica quella distanza così grande. Se il Figlio di Dio, quando si è incarnato, ha varcato l’abisso che separava il Creatore dalla creatura, a maggior ragione va incontro a coloro che non avrebbero potuto avere contatti con Lui: il lebbroso non poteva avvicinarsi a nessuno; il centurione era un pagano – ed è per questo che non voleva costringere il Maestro a entrare in casa sua, sapendo che, secondo la legge mosaica, si sarebbe contaminato. Ora, è proprio di Dio poter varcare il duplice abisso che c’è tra Lui e la creatura, l’abisso che riguarda il piano dell’essere (Dio e la creatura esistono in due ordini, su due piani diversi) e l’abisso che separa l’infinitamente Santo dai peccatori; e il Signore lo fa. Questa è la nostra salvezza: per noi, esseri umani peccatori, non ci sarebbe stata alcuna speranza, se non fosse stato il Figlio di Dio a prendere l’iniziativa di scendere tra noi e a venirci incontro.

È questo fatto che suscita la fede di coloro che si rivolgono al Cristo: è proprio questa immensa degnazione, questa condiscendenza senza limiti che dà fiducia agli uomini, ai peccatori, ai pagani, a coloro che sarebbero naturalmente esclusi; è questo che accende la speranza nei cuori di coloro che desiderano salvezza e non si sono rassegnati alla propria condizione decaduta e condannata. Ora, il Vangelo sprona anche noi ad avere la stessa fede, a riconoscere la bontà del Signore, che si è chinato su di noi per darci prima di tutto la grazia di conoscerlo, la grazia della Sua amicizia, la grazia della comunione con Lui, ma poi anche i benefici temporali di cui abbiamo bisogno, quelli che possiamo legittimamente chiedergli, purché la nostra intenzione sia retta, purché, cioè, desideriamo quegli aiuti materiali allo scopo di servirlo meglio, di compiere la Sua volontà e di dimostrargli il nostro amore in risposta all’amore che ha avuto per noi.

Comprendiamo bene, a questo punto, le raccomandazioni di san Paolo. Chi ha questa fede umile e incondizionata, evidentemente, non si considera sapiente da se stesso, secondo le proprie opinioni e concezioni, ma riconosce di aver ricevuto tutto da Dio e che deve a Lui anche ciò che sa. Chi ha questa fede umile e desidera rispondere all’amore di Dio si rende conto di non dover rendere al prossimo male per male e capisce di non aver bisogno di difendersi da sé in modo conflittuale, ma che può contare sull’intervento di Dio e sulla Sua provvidenza, sui Suoi doni multiformi e variegati. Chi ha questa fede umile si sforza di essere in pace con tutti, per quanto dipende da lui, poiché la bontà di Dio, quando raggiunge un cuore umano, se quel cuore non è completamente freddo, duro ed estraneo, gli fa sentire il bisogno spontaneo di farle eco, di trasmetterla ad altri, di comunicarla. La bontà di Dio, infatti, colma il cuore umano di una gioia e di una pace che non possono rimanere racchiusi nel cuore stesso.

Chi ha questa fede umile cerca di fare del bene per rendere testimonianza al Signore, per far sapere ad altri quanto Dio è buono e fino a che punto possono contare su di Lui. Chi ha questa fede umile, anche se subisce dei torti, si rimette con fiducia e tranquillità al giudizio di Dio e, a chi gli ha fatto del male, fa del bene, affinché l’amore disinteressato lo rimetta in discussione: «Se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; così facendo, accumulerai carboni ardenti sul suo capo» (Rm 12, 20), ossia lo riempirai di una sana inquietudine. In tal modo, tu non sarai vinto dal male, ma vincerai il male con il bene. Chiediamo dunque al Signore la grazia di poter accogliere, senza frapporre ostacoli, la Sua bontà, che si manifesta in mille modi, e quella di potere, a nostra volta, donare la stessa bontà, così che tanti altri possano conoscere l’amore di Dio.


sabato 25 gennaio 2025


L’ex-galeotto e il monaco gnostico

 

 

Sono circa le sette del mattino. Alla Messa in un antico monastero, durante l’omelia del Padre priore, un uomo si mette a un tratto a borbottare vivacemente, poi esce disgustato dalla chiesa. Incrociando un prete, gli esterna le proprie rimostranze. È un uomo semplice che ha conosciuto il carcere, ma mostra un sincero zelo religioso, sebbene un po’ confuso per mancanza di istruzione. La predica del monaco non gli va giù per nessuna ragione: è scandalizzato e indispettito al tempo stesso. «Ma come… Allora il buon Dio ha sbagliato tutto… La colpa del male è sua… Dove va a finire il libero arbitrio?». Per quel poco che ha potuto udire anche il prete, il religioso stava discettando sulla nostra struttura antropologica, che a suo dire sarebbe viziata all’origine, come per difetto di fabbricazione, in quanto incapace di resistere all’assalto del peccato per debolezza congenita. Come se non bastasse, tutta la creazione, essendo soggetta alla corruzione, sarebbe costitutivamente imperfetta: il passo di san Paolo secondo cui essa soffre nelle doglie del parto (Rm 8, 22) subisce così un’interpretazione che non può non apparire tendenziosa, o per lo meno non in sintonia con la Tradizione.

In effetti quell’uomo, pur nella sua semplicità, ha perfettamente colto nel segno. Il sacerdote che la Provvidenza ha messo sul suo cammino cerca di rimediare come può, in una conversazione di pochi minuti. Evidentemente non gli parla di gnosi e dintorni, ma gli conferma che l’origine del male non può essere attribuita a Dio, bensì alla libera scelta dell’uomo, il quale non è stato sopraffatto, nella sua “fragilità”, da un’irresistibile forza esterna, preesistente e in sé sussistente, ma si è sottomesso al diavolo con la propria disobbedienza al comando divino. Il discorso del monaco, in ultima analisi, annulla la responsabilità umana e la rigetta sul Creatore. Da questa visione discende inevitabilmente un’idea distorta di misericordia: una sorta di indulgenza paternalistica che è dovuta ad un povero minus habens e che non gli si può negare, almeno finché la sua crescita interiore (tema su cui il Padre batte parecchio) non l’abbia elevato ad uno stadio superiore di consapevolezza. Non sarà mica quello in cui si vorrebbe superato il concetto di colpa personale e di peccato come offesa a Dio, nonché la necessità di perdono, redenzione, espiazione, riparazione…? Di tutto ciò, in effetti, non v’è traccia nella predicazione del suddetto, così come ne è assente la grazia.

E dire che, proprio in quel luogo, l’Apostolo delle genti ha suggellato la sua missione col martirio… Il suo insegnamento dogmatico e morale, che è uno dei principali fondamenti della fede cattolica, è semplicemente cancellato dalle teorie che, in modo più o meno surrettizio, insinuano certi moderni predicatori, attivi ad ogni livello della gerarchia. Non è questo il momento di attardarsi sulle radici cabalistiche di quella visione, ma le sue ricadute pratiche sono fin troppo evidenti, a sprezzo non solo di san Paolo, ma anche dei martiri cui è intitolata l’abbazia, Vincenzo e Anastasio, nonché dei testimoni della fede di ogni tempo. I cultori di quel “pensiero”, con le loro idee, giustificano qualsiasi peccato, anche il più sordido; non stupisce perciò che, nelle azioni, si rivelino affaristi senza scrupoli, dediti a vizi abominevoli e attaccati al potere come ventose. Porsi problemi in merito, però, è del tutto anacronistico, tipico di indietristi da reprimere e rieducare con commissariamenti e restrizioni… Intanto, da parte sia di vecchie volpi che di nuovi arrivati, continua l’arrembaggio ai beni immobiliari degli Ordini religiosi e delle diocesi, non ultimo il Vicariato di Roma: tutta colpa – ovviamente – del buon Dio, che ci ha fatti difettosi.


sabato 18 gennaio 2025


Nient’altro che menzogne

 

 

Domino suo stat aut cadit; stabit autem: potens est enim Deus statuere illum (Con il proprio signore sta o cade, ma starà in piedi, poiché il Signore ha il potere di renderlo stabile (Rm 14, 4).

Certe discussioni attuali danno l’impressione che la grazia non sia nient’altro che un concetto astratto, un mero termine del gergo teologico cui non corrisponda qualcosa di reale, almeno nella vita di chi parla. Chi invece crede davvero che Dio comunica la Sua forza soprannaturale a quanti sono uniti a Lui nel sincero sforzo di compierne la volontà adorabile sperimenta il Suo aiuto, sentendosi da Lui sostenuto in qualunque circostanza e vedendo gli effetti dell’azione nascosta della grazia. Non c’è perciò motivo di preoccuparsi eccessivamente se non si ha la possibilità di frequentare solo la Messa antica o se il sacerdote che celebra è bergogliano: se uno ha una fede viva, pura e genuina, la grazia lo preserva dai pericoli e lo illumina nelle scelte da compiere.

Moderni paradossi

È paradossale che, per difendere la sana dottrina, si perda di vista la fede e, con essa, i contatti con  Colui che è perfettamente capace di tenere in piedi i Suoi autentici fedeli, vuole farlo e lo fa: è con Lui che stiamo o cadiamo, sapendo bene che, per quanto da Lui dipende, non ci lascia certo inciampare, purché non siamo noi a metterci a rischio col sottrarci alla Sua mano nella convinzione di combattere per la Sua causa. Questa terribile disgrazia è conseguenza di una fiacca vita interiore, nella quale, dietro il paravento delle intenzioni più nobili, trionfano il giudizio proprio e la volontà propria, i due irriducibili nemici dell’unione con Dio. Così, a lungo andare, si finisce col separarsi da Lui proprio a motivo dell’accanita lotta a favore della verità.

Tale accecamento viene giustificato con le ragioni più diverse, vecchie o recenti: stato di necessità, sede impedita, papa eretico, nullità dell’elezione… chi più ne ha più ne metta! Anche qui – altro paradosso – una presunta difesa della Tradizione si sposa inopinatamente con il vizio più tipico della postmodernità, quello di scambiare le proprie teorie per la realtà, pretendendo oltretutto che siano l’unica visione possibile e l’unica legittima: se qualcuno non è d’accordo, mal gliene incolga! Le idee strampalate, del resto, stanno in piedi non per effetto della grazia, ma soltanto perché chi le professa si sottrae sistematicamente ad ogni confronto, imponendole agli altri con un dogmatismo settario che non rifugge dal ricorso a tecniche di indottrinamento e di manipolazione mentale.

I dieci lettori di queste pagine – spero vogliano riconoscere almeno questo – sanno bene che chi scrive aborrisce quel tipo di mezzi, desiderando unicamente che ognuno accolga liberamente la verità, la quale non è monopolio suo né di alcun altro, se non della Chiesa docente (purché doceat davvero!). A tal fine, qui, si confida soltanto nell’efficacia della persuasione, senza pretendere di sostituirsi al buon Dio, il solo che legga nelle coscienze; altrimenti si finisce col mettere completamente da parte Colui che si vorrebbe onorare, escludendo così ogni influsso della grazia, ridotta appunto a parola vuota. Se ci siamo risolti a troncare certi dibattiti, è perché non portavano da nessuna parte ed erano quindi una dannosa perdita di tempo.

Subdoli diversivi

Non mancano peraltro elementi fattuali tali da far sospettare, dietro i paradossi evidenziati, qualche astuta manovra diversiva. Non è detto che i banditori delle varie teorie ne siano consapevoli complici: potrebbero anche farsi semplicemente usare da poteri nascosti. Un pensiero del genere si affaccia inevitabilmente, se si considera il prezzo che tanti altri devono pagare per i comportamenti sconsiderati di alcuni che, pensando di risolvere un problema, ne provocano molti di più. Così, per altro verso, ogni tentativo di delegittimare, senza averne né autorità né mandato, colui che occupa il Soglio petrino distoglie l’attenzione dagli scandali che non sono mai stati chiariti, come quello del gesuita mosaicista e quello legato al seminario dei chierichetti del Papa, immense voragini capaci di inghiottire chiunque vi sia coinvolto, se si va fino in fondo nelle indagini; queste, piuttosto, sarebbero inchieste giornalistiche utili e fruttuose.

Incongruenze sospette

Tanto per rimanere in tema di manovre occulte, sarebbe poi interessante spiegare com’è realmente deceduto il compianto Benedetto XVI, visto che la versione ufficiale è messa in crisi da un piccolo dettaglio che la Provvidenza ha voluto indicarci. Nel libro di memorie dell’ex-segretario particolare, ora nunzio nei Paesi baltici, si parla alla fine delle esequie, avvenute, come tutti sanno, il 5 Gennaio 2023. Il fatto è che il documento in formato PDF pronto per la stampa reca in calce la data del 2 Gennaio 2023, ore 17,31… Poiché nel testo si asserisce che papa Francesco ha presieduto la cerimonia (cosa che in realtà non avvenne, dato che a farlo fu il cardinal Re e il Papa si limitò ad assistere), le fonti ufficiali si affannarono a presentare la sua mera assistenza come una presidenza.

La contraddizione, tuttavia, rimane e spinge inevitabilmente a sospettare di tutta la storia confezionata per i mezzi di comunicazione. Stupisce, peraltro, che i giornalisti che si considerano tanto esperti della materia non l’abbiano notata e messa nel dovuto risalto. Com’è davvero morto il caro Ratzinger? Deve tornare lui stesso dal cielo a raccontarcelo? Che i suoi nemici non credano nell’aldilà non ci costringe ad escludere una simile eventualità. Qualora non abbia lasciato questo mondo in modo naturale, bisogna che si sappia, malgrado il titolo del libro suindicato, che è tutto un programma. Chi vuol conoscere la verità non può accontentarsi di una ricostruzione ad hoc, tesa a disinnescare le polemiche… ma, soprattutto, chi sta per presentarsi al Giudice deve fare mea culpa, finché fa in tempo.


sabato 11 gennaio 2025


Cosa vuole il Signore da te

 

 

Non est sapientia, non est prudentia, non est consilium contra Dominum (san Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, 10, 3: PL 76, 1111).

Predicando sulla visita dei Magi, san Gregorio Magno rileva l’ipocrisia di Erode, il quale, temendo di esser detronizzato per l’avvento del Messia, finge di volerlo ossequiare, al fine di sapere esattamente dove si trova (cf. Mt 2, 1-8). Ma cosa può l’umana malizia – si domanda il santo Pontefice – contro i piani di Dio? «Non c’è sapienza, non c’è saggezza, non c’è disegno contro il Signore», soggiunge citando la Sacra Scrittura (Pr 21, 30). Gli esseri umani, per quanto intelligenti, abili e accorti, non possono assolutamente impedire la realizzazione dei progetti divini: come il folle Erode non poté sopprimere il Cristo, così né gli imperi pagani, né le invasioni islamiche, né le rivoluzioni di ogni tendenza, né i regimi totalitari, né le cospirazioni dei giudei sono mai riusciti a fermare la Sua Sposa.

Si potrà obiettare che i nemici della Chiesa, al giorno d’oggi, sono penetrati nel sacro recinto e sono riusciti ad occuparne il centro. Questo fatto è certamente di una gravità che non esitiamo a definire – pur non intendendo affatto evocare una vicina fine del mondo – apocalittica, sia nel senso che riveste un carattere del tutto inedito, facendo comunque presagire l’avvicinarsi degli ultimi tempi, sia nel senso che, nei disegni della Provvidenza, serve a svelare una realtà nascosta, ossia la vera identità di quei membri della gerarchia che non servono il Signore, ma il demonio. Dobbiamo esser grati a Dio di averci permesso di distinguere chi davvero è Suo e chi non lo è, così da poter compiere scelte utili alla nostra salvezza.

Ciò non significa certo che ciascuno di noi sia libero di scegliersi i capi e di seguire chi preferisce; così non si farebbe altro che ricadere nella palude del modernismo nel tentativo stesso di evitarla. Coloro che, senza alcun mandato (anzi, spesso in aperta disobbedienza), si propongono come guide, non si comportano diversamente da Lutero: con la pretesa di risolvere problemi che non sono alla loro portata, spaccano la Chiesa arrogandosi un’autorità che non hanno e assumendosi compiti che non competono a loro. Qualora siano stati sanzionati con pene canoniche (inevitabili nel caso in cui si rifiuti l’obbedienza ai superiori), il loro ministero sacerdotale è del tutto illegittimo e coloro che consapevolmente ne fruiscono commettono peccato in materia grave.

Come sostenere, tuttavia, il peso di una prova spirituale mai sperimentata prima nella storia? Come rimanere dentro l’Ovile santo, se i Pastori sembrano impazziti? Occorre anzitutto ricordare che non tutti e singoli i membri del clero sono inaffidabili e corrotti: ci sono molti vescovi e sacerdoti che adempiono umilmente il loro dovere, senza esibizioni né clamori, a beneficio del Popolo di Dio; con un po’ di pazienza e di fiducia nella Provvidenza, chiunque li può cercare e trovare. Soprattutto, però, è necessario ravvivare la fede: è impossibile sia che la Chiesa venga meno, sia che il Signore ci lasci da soli alle prese con i lupi travestiti da agnelli. L’esperienza conferma puntualmente questa consolante certezza, almeno per chi la conserva e la rafforza.

Tanti, purtroppo, han già deciso in cuor loro che è tutto finito: poiché la barca starebbe affondando, si salvi chi può con scialuppe improvvisate. Questa visione così pessimistica denuncia appunto una fede povera e una visione meramente umana della Chiesa; chi invece ha una fede viva, sa benissimo che la barca di Pietro, per quanto sbattuta dalle onde, non potrà mai affondare. Gesù, pur apparendo addormentato, al momento opportuno si desterà e con una sola parola calmerà i flutti agitati (cf. Mc 4, 37-39). Se desideriamo far qualcosa di buono, perciò, gridiamo a Lui per chiedergli soccorso come fecero i discepoli quella notte, anziché andare a caccia di motivi per adirarci e criticare, cadendo in tal modo nel tranello che Satana tende a quanti non è riuscito a sviare come gli altri.

Benedetto zelo! Se non è illuminato, combina disastri. Eppure «non c’è sapienza, non c’è saggezza, non c’è disegno contro il Signore»: ne sei realmente convinto? Evidentemente no, se ritieni di dover “salvare” la Chiesa dai suoi nemici con mezzi, per giunta, puramente umani. Meno male che il buon Dio ha pazienza al di là di ogni immaginazione, pur non essendo questa una ragione che ti autorizzi ad abusarne ma, semmai, un motivo di compunzione e uno sprone al ravvedimento. Uno zelo sano e salutare è soltanto quello di chi, stando umilmente al suo posto, compie con perseveranza i propri doveri di stato, pregando con fiducia, sacrificandosi con abnegazione e offrendo con fede al Signore fatiche e dolori. Quante occasioni sprecate…!

Fa’ dunque tesoro di tutto ciò che, per disposizione della Divina Provvidenza, ti tocca sopportare, se non puoi sottrartene senza peccato: ogni cosa ti farà progredire verso la santità e tornerà a vantaggio dei disegni di Dio, che da tutta l’eternità ha previsto questo tuo contributo e lo ha incluso nel Suo perfettissimo piano d’amore. Al momento del Giudizio scoprirai sbalordito quanto bene avrai fatto, anche senza saperlo, alla Chiesa e al mondo, per la felicità tua e di tantissimi altri che forse neppure conosci, ma ti verranno incontro al tuo ingresso in Paradiso, se lo avrai meritato. Che il nuovo anno ti veda serenamente dedito, lontano da dispute e polemiche che ti uccidono l’anima, a questo servizio umile e nascosto che non perderà la sua ricompensa.