Basta con le finzioni!
Dilatato corde
inenarrabili dilectionis dulcedine curritur via mandatorum Dei (Regula Benedicti, Prologo, 49).
«Col cuore dilatato dall’indicibile dolcezza dell’amore si corre la
via dei comandamenti di Dio». In chiusura del Prologo della sua celebre Regola,
uno dei testi fondanti della civiltà occidentale, san Benedetto pone questa
straordinaria osservazione, frutto della sua esperienza, che in pochissime
parole condensa l’intera vita del cristiano, qualunque ne sia lo stato. In essa
si compongono in mirabile equilibrio la legge e la dilezione, l’obbligo e la
grazia, il dovere e il desiderio. È del tutto assente la tensione dialettica
introdotta nel pensiero moderno dall’errore di Lutero; si colgono piuttosto quelle
polarità che sono proprie della dinamica battesimale, ma si compongono con estrema
naturalezza nell’esistenza di chi è guidato da una fede viva: chi ama davvero
il Signore ne compie la volontà con gioia e prontezza, come di corsa, non con
faticosi sforzi e animo contrariato.
Oblio dottrinale
Nell’euforia della pretesa nuova Pentecoste, che avrebbe
dovuto dare inizio all’era del Paradiso in terra, la “teologia” postconciliare
ha deliberatamente rimosso dogmi senza i quali il cristianesimo si annulla da
sé, in primis quello del peccato originale. Non si è trattato di una sua
negazione formale (che sarebbe eresia), bensì del suo inavvertito relegamento
fra le anticaglie del passato, quasi fosse mera convinzione soggettiva di un
pur grande Padre della Chiesa, sant’Agostino, e non una verità di fede definita
dal Concilio di Trento (cf. DS 1512-1513). Tolto il peccato originale, viene
meno la necessità della Redenzione operata da Cristo, nonché quella della Chiesa
e dei Sacramenti; la vita cristiana si riduce a vaga utopia intessuta di idee
balorde e vuote parole. Tutto si è così dissolto in buonismo totalitario
che, malgrado la sua apparenza innocua, non ammette contestazioni.
Tale voluta “dimenticanza” di un punto fondamentale della dottrina cattolica
ha avuto ripercussioni profonde anche sul piano puramente umano. Se non è più
riconosciuta come uno degli effetti del peccato originale, la concupiscenza è
considerata un fatto normale: l’inclinazione al male, anziché venir combattuta
con l’aiuto della grazia, è percepita come una tendenza naturale dell’essere
umano, cioè come qualcosa che appartiene alla sua essenza. Tutte le deliberazioni
con cui l’uomo accoglie volontariamente i cattivi impulsi provenienti dalla sua
sensualità, ambizione e avidità vengono così legittimate quali incoercibili
espressioni della libertà individuale; con un totale capovolgimento della
realtà, “peccato” diventa la loro inibizione, mentre qualunque proposizione di
un precetto negativo appare come un intollerabile attentato al libero esercizio
di presunti “diritti”.
Inutile dire che siamo qui agli antipodi dell’antropologia (pratica
e non teorizzata) di san Benedetto come di qualsiasi altro Santo, dato che la
verità morale è stata ribaltata sulla base di una negazione concernente la
condizione della natura umana decaduta (locuzione che, nelle facoltà
teologiche, suona ormai come una bestemmia). Per l’uomo naturalmente buono di
Rousseau, artefice della sua fortuna come per gli Umanisti, la “bontà” di un
atto coincide con l’assenza di coazione del libero arbitrio. Non è chi non veda
che una visione del genere demolisce dalle fondamenta ogni morale – anche solo
naturale – e rende impossibile la convivenza sociale ed ecclesiale. La civiltà
sorta dal provvidenziale incontro tra l’annuncio evangelico, la cultura greca e
il diritto romano (e che nella Regola benedettina trova un’insuperabile
sintesi) è annientata da una menzogna demoniaca.
Radici anticristiane
L’inestirpabile odio per la civiltà cristiana (che oggi si
accanisce contro tutto quanto è occidentale perché da essa derivato) affonda le
radici nella cabala giudaica, che considera l’universo, in chiave panteistica,
emanazione della divinità mediante successive irradiazioni delle energie
divine, le quali, a mano a mano che discendono a livelli inferiori del cosmo,
si contaminerebbero con la materia e vi rimarrebbero imprigionate. Compito dell’iniziato
è perciò quello di liberarle con la propria presa di coscienza e con azioni
miranti ad affrancarlo da qualsiasi costrizione legata al mondo imperfetto. Gli
ulteriori sviluppi delle dottrine lurianica e sabbatiana esplicitano la
necessità di una redenzione per mezzo del peccato: anche qui il
capovolgimento della realtà è completo, cosa che spiega bene la corrispondente
mutazione del pensiero “cattolico” in materia.
Il ribaltamento non risparmia neppure il rapporto tra l’uomo e Dio:
Creatore dell’universo materiale sarebbe un demiurgo malvagio che, oltre a
fabbricare un universo difettoso, si sarebbe accanito a caricare l’uomo di
precetti impraticabili per renderlo ancora più schiavo. Missione degli iniziati
è allora quella di restaurare e perfezionare il cosmo (tiqqun ʽolam), in
vista dell’avvento del Messia, con le loro “buone azioni”, che sono tuttavia,
in realtà, l’opposto del moralmente buono. Ora, che a tali dottrine si
riferisca esplicitamente il Romano Pontefice in un messaggio indirizzato a
volontari cattolici è quanto meno inquietante. Si tratta infatti di un
messianismo anticristico che mira alla distruzione del cristianesimo a
vantaggio di un panteismo satanico, ovvero di una delle espressioni più
perverse e dannose della gnosi: possibile che nessuno gliel’abbia detto?
Correre la via dei comandamenti divini, in un quadro del genere,
diventa di fatto impossibile, a meno che non si ricorra alla finzione: sì, è un’immensa,
generale, onnipervasiva messinscena che da almeno sessant’anni pervade la
Chiesa terrena, occultando il tradimento di Cristo dietro volti ammiccanti e
una facciata di inclusione senza limiti… eccetto per chi voglia rimanere
cattolico. Da una buona quindicina d’anni chi scrive ha scoperto questa
gigantesca mistificazione e non cessa di coglierne nuovi aspetti, come in un
labirinto che riservi continue sorprese e in cui si aprano incessantemente
altri canali di indagine. Soltanto un’inestimabile grazia, senza alcun merito
da parte nostra, poteva tirarcene fuori; altrimenti sarebbe stato impossibile,
dato che ci avevan posto sugli occhi una sorta di occhiali psichedelici con cui
ci facevan vedere quel che volevano.
Ancora di salvezza
Non sorprende affatto che, in questo clima di falsità, si senta
affermare dal vertice che la Messa in latino non è un problema, perché
basterebbe usare il Messale di Paolo VI in quella lingua… quasi non si trattasse di due riti diversi, anzi
inconciliabili quanto a teologia sacramentale, ecclesiologica e morale. Come la
Messa detta di san Pio V traduce nel culto la dottrina cattolica, che vi trova
una delle più autorevoli attestazioni, così la nuova Messa esprime la teologia
perversa del modernismo, trasposizione delle idee cabalistiche nel pensiero
ecclesiastico. L’eliminazione della prima, ai fini dello snaturamento del cristianesimo
e della sua riconduzione nell’alveo del giudaismo spurio, è una necessità
assoluta. Non facciamoci dunque illusioni circa il ripristino della legalità
liturgica: al di là delle chiacchiere, ne siamo ben lontani; i segnali, semmai,
fanno pensare alla soluzione finale.
Non è per gettare sconforto nei cuori, ma per fortificarli in vista della battaglia che ci attende: con la nuova elezione, l’opposizione è stata imbavagliata o, piuttosto, si è eclissata nella speranza di chissà quali concessioni, come quando i bambini, dopo aver irritato i genitori, si sussurrano complici: «Stiamo buoni, altrimenti non ci lasciano andare a giocare». Così, senza più nessuno che ci rappresenti, ci faranno ingoiare col sorriso cose che, nel pontificato precedente, abbiamo aspramente contestato. Per dirla in termini militari, l’impressione è che, dopo lo sfondamento delle linee, sia ora il tempo del consolidamento delle posizioni e dell’eliminazione delle sacche di resistenza: nella lingua del capo, è il compito del terminator, anche se al colpo d’occhio, vedendolo passare tra la folla, sembra una controfigura… una specie di fantoccio collocato in quel ruolo dai nemici di Cristo.
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