Vigila su te stesso
e rimani nella Chiesa
Dio non può ignorare la fatica, l’ascesi, la compunzione e
l’austerità dei Santi, di quelli che sono morti e di quelli che vivono adesso,
ma deve dire: «Risparmierò questa Chiesa a motivo di me stesso e di coloro che
mi ci hanno servito e mi ci servono veramente». Soltanto vigiliamo su noi stessi, poiché Dio ha cura di questa
Chiesa, divenuta luogo di riposo per i suoi servitori. Il Signore Gesù ha cura
di voi, poiché ha detto: “Non vi lascerò orfani, verrò a voi (Gv 14, 18). Vigilate
dunque su voi stessi in tutta umiltà e amor di Dio ed Egli vi benedirà e sarà
vostra protezione e vostra guida (cf. san Barsanufio di Gaza, Lettere
187 e 577).
Come scuola filosofica il nominalismo, negando che i concetti
universali (come essere, verità, bontà ecc.) abbiano una sussistenza reale, li
considera meri nomi, cioè parole con cui il linguaggio indica le qualità
comuni di più enti. Tale impostazione intellettuale ha avuto effetti
catastrofici sul pensiero occidentale; da essa spuntò fra l’altro l’eresia di
Lutero e deriva pure il formalismo contemporaneo, che ha perso il contatto con
il reale per rinchiudersi nelle sue costruzioni mentali. Più sorprendente può
sembrare che anche alcune correnti tradizionaliste abbiano contratto la
medesima patologia, ma certe elucubrazioni con cui si cerca di sanare
insanabili contraddizioni ne sono un sintomo evidente, malgrado il tomismo
sventolato come inoppugnabile stendardo.
Nominalismo tradizionalista
Pensare come san Tommaso, in realtà, è ben altro che ripetere a
pappagallo formulette e stereotipi scolastici. L’Aquinate inorridirebbe di
fronte a certi discorsi con cui si tenta di negare l’evidenza con acrobazie
contorte e conclusioni forzate; soprattutto smonterebbe impietosamente
qualunque tentativo di legittimare la rottura della comunione gerarchica in nome
della fedeltà alla Tradizione, la quale, invece, include tale comunione come
elemento imprescindibile. Anche nel caso ipotetico (peraltro impossibile e
comunque non verificabile) che ogni singolo membro della gerarchia avesse
abbandonato la fede, nessun suddito sarebbe autorizzato a giudicarlo in foro
esterno e a esonerarsi dall’obbedienza, dato che tale giudizio è riservato a
un’istanza superiore.
Ben diverso è il giudizio emesso nel foro interno della coscienza,
la quale, se è retta, non può certo prendere per vero ciò che è falso né
approvare come buono ciò che è cattivo. A questo livello, ogni cattolico ha il
diritto e il dovere di valutare se singole azioni o affermazioni di questo o
quel prelato sono conformi o meno alla dottrina cattolica: la fede e la morale,
infatti, non sono affatto opinioni, bensì certezze insegnate dal Magistero
perenne, sulle quali va misurato tutto quanto si dice e si fa nella Chiesa. A
ciò che lo contraddice in modo palese, è lecito e doveroso negare l’assenso
della coscienza e l’obbedienza pratica, senza però per questo collocarsi fuori
della comunione gerarchica sospendendo in tutto quella sottomissione che
è fondata sulla nota dell’apostolicità.
D’altra parte, nessuno al mondo potrà mai forzare il santuario
inviolabile della tua coscienza con l’esigere da te l’adesione a ciò che essa
giudica falso o cattivo: un ordine illegittimo non obbliga, così come una legge
iniqua non ha vigore. Se un comando è contrario alla legge divina, sei
obbligato a disattenderlo; se è contrario alla legge ecclesiastica, puoi fare
ricorso. Il problema si pone soprattutto per i chierici che, rilevando un
conflitto tra la volontà di un superiore e il dettame della coscienza, hanno
l’obbligo morale di seguire il secondo, anche a costo di persecuzioni; non è
affatto vero, tuttavia, che l’unica via d’uscita, in casi come questo, sia il
porsi in condizione di rottura: il diritto canonico, per quanto disatteso, va
invocato a tutela dei deboli.
Nefaste conseguenze
Queste considerazioni denunciano implicitamente – se mai ce ne
fosse bisogno – l’assurdità della decisione, per un sacerdote, di rompere la
comunione gerarchica al fine di esercitare meglio il proprio ministero. Dato
che la comunione gerarchica è un elemento essenziale del sacerdozio cattolico,
senza il quale esso cessa di essere tale, un sacerdote che affermi di esserne voluto
uscire per poter rimanere cattolico si pone in evidente contraddizione. Se,
dopo la sospensione o la scomunica, egli continua ad esercitare il ministero,
lo fa in modo illegittimo: la sua predicazione e le sue celebrazioni sono illecite,
le sue assoluzioni invalide e sacrileghe (eccetto in pericolo di morte). Chi lo
segue e sostiene pecca perciò in materia grave contro la disciplina
ecclesiastica e l’unità della Chiesa.
Se poi la sospensione è stata deliberatamente provocata con una
serie di mosse studiate a tavolino che hanno obbligato i superiori a
comminarla, vien da porsi qualche domanda circa la rettitudine di tale modo di
agire e sul probabile intento di ottenere dal pubblico una conferma che non
poteva venire dal Cielo: è la solita storia, trita e ritrita, del sacerdote perseguitato,
eroe della “tradizione” e vittima della gerarchia miscredente e corrotta, ma
osannato dai circoli scismatici e ribelli. Sarebbe stato ben più salutare
esaminare la propria vita interiore al fine di scoprire e sradicare difetti
inavvertiti (come la vanità, il narcisismo e la sete di popolarità) su cui il
diavolo e i suoi agenti soffiano con forza per la completa perdizione di
un’anima.
Certe detestabili decisioni, che lacerano ulteriormente la Chiesa
visibile e feriscono il cuore di Cristo, son frutto di una visione
nominalistica della vita cristiana che la riduce a parole, discorsi, conferenze
e dibattiti, con scarsa o nulla attenzione alle azioni concrete e alla pratica
delle virtù, a cominciare dal preliminare rinnegamento di sé: «Se qualcuno vuol
venire dietro di me…» (Mt 16, 24). Quanti sedicenti difensori della dottrina
ignorano o dimenticano il punto di partenza, il Santo Vangelo!… e quanti fedeli
si considerano buoni cattolici perché ascoltano questo o quel predicatore
digitale, della cui vita reale non sanno niente e che non li incita affatto a
una seria revisione della propria coscienza, ma li istiga all’astiosa
ribellione, frutto di orgoglio e presunzione!
Risposta cattolica
Le tesi divulgate da quanti, in nome di una supposta fedeltà alla
Tradizione, si separano dall’unità visibile della Chiesa Cattolica,
dogmaticamente fondata sulla comunione gerarchica e sull’obbedienza legittima,
suonano paradossalmente simili a quelle dei protestanti. Per questo le
rigettiamo con tutto il vigore di cui siamo capaci, ricordando che non può
essere araldo di sana dottrina chi, con somma leggerezza, avverte gli
ascoltatori che d’ora in poi, seguendolo, rischiano di porsi fuori della
Chiesa, come se fosse un’opzione del tutto lecita. Questa, per quanto mal
guidata, è l’unica Chiesa fondata da Gesù Cristo e di cui Egli si prenda cura;
perciò essa è e rimane, in qualsiasi circostanza, luogo di riposo per i Suoi
veri servitori, purché vigilino costantemente su sé stessi.
Ricordiamoci della parola: «Colui che terrà fermo sino alla fine sarà salvato» (Mt 10, 22). Preghiamo il Signore notte e giorno di non esser separati dai Santi né in questo mondo né nell’altro. Dove ce ne andremmo? Che cosa troveremmo di meglio? Dove saremmo accolti? Non lasciamo la luce per ricercare le tenebre; non lasciamo la dolcezza del miele per l’amarezza del serpente (cf. san Barsanufio di Gaza, Lettera 187).
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