L’ipocrisia del Vaticano di oggi
Attendite a
fermento pharisaeorum, quod est hypocrisis (Lc
12, 1).
In ogni circostanza, con estrema precisione, la parola del Signore
fa da discrimine nel distinguere e dividere la verità dalla menzogna, l’onestà
dalla slealtà, la realtà dall’apparenza. Da questo punto di vista siamo
inguaribilmente divisivi, poiché non sopportiamo l’ipocrisia e siamo incapaci
di andare a braccetto con gli ipocriti; per far ciò dovremmo rinunciare sia alla
fede che alla ragione. Non c’è bisogno di avere un dottorato in teologia (in
quest’epoca, anzi, è meglio non averlo): bastano la retta ragione e una fede
semplice e viva, cose di cui, purché lo voglia, può disporre chiunque, compresa
la vecchina che sgrana il rosario e il campesino analfabeta dell’America
Latina. Solo chi ha messo sordidi interessi al posto di Dio – nonché della
propria stessa dignità – gioca con le parole esibendosi come pessimo attore nel
teatrino ecclesiale postconciliare.
Necessarie precisazioni
Chiariamo subito che siamo arcistufi di polemiche sul Vaticano II e
sui papi che lo hanno seguito: è un binario morto, seguendo il quale non si
ottiene alcun vantaggio ai fini della conservazione della vera fede e si
rischia invece di collocarsi fuori della Chiesa. Tali questioni, oltretutto,
non sono di nostra competenza e, perciò, decidiamo una volta per tutte di
astenercene, soprattutto dopo aver osservato l’esito rovinoso del percorso di
quanti le hanno trattate. Il bene della Chiesa e delle anime non consiste nel
far nascere innumerevoli aggregazioni scismatiche che rinchiudono i fedeli in
veri e propri ghetti, mentre riducono la Tradizione ad appannaggio di gruppi
ribelli e fanno apparire la Messa antica come la bandiera di separatisti fanatici
avversi al progresso sociale ed ecclesiale: teniamo presente l’abilità
del potere mediatico nel deformare la percezione di ciò che è buono.
Se con le persone deve sempre prevalere la carità, sul piano dei
princìpi bisogna comunque esser chiari e fermi, non per qualche interesse particolare,
ma per amore della verità e per il bene delle anime. Per questo può succedere che
un sacerdote accolga con affabilità un gruppo di pellegrini lefebvriani che non
hanno dove andare per la Messa, pur rimanendo convinto che sia stato un grave
errore consacrare dei vescovi contro il volere del Papa e che i sacerdoti da
loro ordinati non siano semplicemente irregolari, ma in oggettivo stato di
scisma, pur essendo soggettivamente persuasi del contrario. Non è una questione
di cavilli canonici, ma una ferita inferta al Corpo Mistico che può far
piangere di dolore davanti al tabernacolo per la sorte di tanti chierici,
religiosi e fedeli che, vivendo separati, rischiano una deriva di tipo settario
e privano la Chiesa tutta del loro apporto.
Due pesi, due misure
Veniamo adesso, però, al riprovevole comportamento di chi ha potere
in Vaticano. È opportuno rammentare che la Curia Romana non è un organo di
diritto divino, bensì un’istituzione di diritto ecclesiastico che coadiuva il
Sommo Pontefice nel governo della Chiesa universale; il suo operato, di
conseguenza, merita l’ossequio dovuto a un’espressione del primato petrino, ma
rimane soggetto al giudizio della retta ragione e della sana dottrina. Come non
vogliamo diventare protestanti per una pretesa fedeltà alla verità regolata dal
libero esame, così non siamo papolatri che si arrampicano sui vetri nel vano
tentativo di giustificare tutto e il contrario di tutto, ma consideriamo fatti
e parole con la massima onestà intellettuale di cui siamo capaci, senza voler
compiacere nessuno: «Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei servo di
Cristo» (Gal 1, 10).
Abbiamo dunque due modi d’agire opposti, vertenti sullo stesso
oggetto ma riguardanti due diverse categorie di persone: il pellegrinaggio giubilare
della Fraternità Sacerdotale San Pio X, regolarmente registrato, scompare dal
sito vaticano all’ultimo momento, causando impreviste difficoltà a decine di
sacerdoti e migliaia di fedeli che devono sormontare l’ostracismo della Chiesa
accogliente, inclusiva e dialogante; il “giubileo” organizzato da
un’associazione di sodomiti, invece, si svolge senza il minimo intoppo, anzi
con il palese favore di numerosi prelati a tale inaudita e provocatoria
esibizione. Questa ingiustificabile disparità di trattamento, unita all’udienza
concessa da Prevost, con incredibile tempismo e la grancassa mediatica
all’unisono, al gesuita araldo dello sdoganamento della perversione, dissolve
ogni patetica illusione circa il pontificato delle correzioni senza strappi…
In nome della carità e della giustizia
Si può discutere all’infinito sulla situazione giuridica della
Fraternità, ma un fatto è innegabile: i suoi sacerdoti e vescovi non
obbediscono alla legittima autorità ecclesiastica e operano al di fuori di qualsiasi
quadro canonico. Per conservare la fede non si può rifiutare l’obbedienza in
tutto, ma basta opporsi agli ordini illegittimi o contrari alla legge divina:
nel primo caso si fa ricorso, nel secondo si è moralmente obbligati a
disobbedire. Quanti esplicano un’attività pastorale in modo totalmente
indipendente dall’autorità negano de facto l’apostolicità della Chiesa
(che è una verità di fede) e, volenti o nolenti, si costituiscono come una
sorta di Chiesa parallela. Benché singoli chierici e fedeli possano
eventualmente trovarsi ancora in stato di grazia per via dell’errore
invincibile, la condizione oggettiva della loro aggregazione è lo stato di
scisma.
Detto questo, è comunque gravemente contrario alla carità e alla
giustizia impedire loro di pregare nelle chiese e, al contempo, accogliervi a
braccia aperte gruppi di persone che vivono stabilmente in peccato mortale (di
un peccato, per giunta, fra i più ripugnanti) e non hanno la minima intenzione
di pentirsene, anzi si presentano come organizzazioni che rivendicano un
riconoscimento ecclesiale, a livello pratico e dottrinale, del loro riprovevole
stato. Se poi il rifiuto di ammettere i lefebvriani da parte di chi è pronto a
ospitare chiunque si richiama a ragioni canoniche, perché mai si cedono a scismatici
orientali gli edifici consacrati al culto cattolico e vi si invitano eretici
protestanti a predicare? Tale insanabile contraddizione si spiega unicamente o
con la malafede o con disturbi mentali: ci dicano, di grazia, per quale delle
due ipotesi dobbiamo propendere.
Conclusioni provvisorie
Come già accennato all’inizio, siamo inclini alla prima: l’ipocrisia
di una banda di depravati che ha sì preso il potere in Vaticano, ma è
inevitabilmente manovrata dalle società segrete con i ricatti e il denaro. I
loro burattinai sono occultisti della peggiore specie che fecero di tutto per
impedire una riconciliazione con monsignor Lefebvre e lo manipolarono con false
informazioni per spingerlo sulla strada dello scisma. In questa luce tutto
torna: ai tradizionalisti bisogna continuare a opporre motivi per restare
separati, così da avere un nemico da esecrare per difendere le “riforme”
conciliari, che rappresentano piuttosto l’invenzione di una nuova religione in
totale discontinuità con quella di Cristo. È la stessa strategia dei sionisti:
creare, finanziare e armare un nemico (prima il partito nazista, poi il
movimento Hamas) che serva a giustificare le loro riprovevoli azioni.
Le menti che stanno dietro gli uni e gli altri sono le stesse: sono quei banchieri aschenazisti che prendono gli ordini dai demoni cui rendono culto. Essi odiano la Tradizione, poiché la Messa e l’Ufficio tradizionali fanno scappare gli spiriti immondi e sono una barriera alla loro avanzata. Se perciò amiamo davvero la Chiesa, rimaniamo al suo interno per mantenerne vivo il sacro patrimonio e perseverarvi sulla retta via, dalla quale nessun ipocrita potrà mai costringerci a deviare, purché coltiviamo una vita spirituale autentica, solida e intensa. Continuiamo a obbedire ai soli ordini legittimi, senza lasciarci incastrare in forme di controllo mentale e operativo che, col pretesto di difendere la Tradizione, incanalano e neutralizzano il dissenso, il quale non è altro che senso critico e indipendenza di giudizio, cioè le cose che il regime teme di più e sulle quali non ha il minimo potere.
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