Consummatum est
C’è una traiettoria che parte dal 4
Dicembre 1963 (promulgazione della Costituzione Sacrosanctum
Concilium del
Vaticano II sulla Liturgia) e giunge fino al 9 Luglio 2025 (celebrazione della
Messa Pro custodia creationis da parte di Leone XIV nei giardini
di Castel Gandolfo): è una linea continua e coerente lungo la quale la Messa ha
progressivamente perso – se non nell’essenza, almeno nella percezione di
sacerdoti e fedeli – la sua identità di ripresentazione incruenta del
Sacrificio redentore di Cristo e assunto la fisionomia di riunione fraterna
volta a propagandare contenuti predeterminati con cui plasmare la mentalità e
la condotta dei partecipanti. Nulla di più alieno, dunque, dalla vera natura e
dal vero significato del culto cattolico, col quale la Chiesa rende a Dio
l’adorazione che Gli è dovuta, Gli rende grazie di tutti i Suoi benefici, Lo
rende propizio ai peccatori e ottiene i benefici di cui ha bisogno a vantaggio
di tutti gli uomini.
Una rivoluzione ben studiata…
La Sacrosanctum
Concilium (§ 36)
aveva prescritto il mantenimento della lingua latina; attesa però la grande
utilità per il popolo di un uso più ampio della lingua nazionale, aveva
concesso la facoltà di introdurla in alcune parti della Liturgia. Il 7 Marzo
1965 (cioè poco più di un anno dopo) Paolo VI celebrava con grande enfasi,
nella parrocchia romana di Ognissanti, la prima Messa tradotta in italiano in
misura ben maggiore: l’intero rito, eccettuato il Canone. Il Messale pubblicato
quell’anno applicava già molto generosamente le indicazioni conciliari, che
potevano quindi considerarsi più che attuate. Invece l’attività dell’apposito
Consiglio proseguì senza ragione fino alla primavera del 1969, quando fu
pubblicato un Messale interamente nuovo che non costituiva una semplice riforma
e traduzione di quello del 1570, bensì un rito completamente inedito nel quale
la dottrina cattolica sulla Messa non era più adeguatamente espressa, come
autorevolmente rilevato dai cardinali Bacci e Ottaviani nel loro Breve esame
critico del Novus Ordo Missae.
I lavori del numerosissimo Consiglio
(del quale facevano parte ben sei pastori protestanti) erano stati svolti con
una fretta forsennata che aveva portato, come testimoniato da alcuni membri, a
trattare questioni delicatissime con impressionante superficialità. Per imporre
i cambiamenti il regista dello stravolgimento, monsignor Annibale Bugnini,
aveva sistematicamente ingannato il Papa dicendogli che così voleva la
commissione e i membri della commissione dicendo loro che così voleva il Papa.
Il nuovo rito, confezionato appositamente perché anche gli eretici potessero
utilizzarlo per la loro Santa Cena, fu presentato con una costituzione
apostolica che definiva la Messa sinassi (= raduno) del popolo di Dio.
In realtà la bolla Quo primum tempore, con cui san Pio V aveva promulgato
il Messale da lui riformato (1570), proibiva in modo irrevocabile di modificarlo;
perciò fu inventato di sana pianta un altro rito, molto simile a quello
elaborato da Cranmer (1549).
… e imposta dall’alto
Se in Inghilterra il regime
anglicano aveva sradicato la vera Messa eliminando con pene disumane i
sacerdoti e vescovi che continuavano a celebrarla, i collaboratori di Montini
li ghettizzarono in ogni modo, essendo probabilmente consapevoli del fatto che
la costituzione Missale Romanum (1969) era priva di valore
giuridico e che, in virtù della bolla di san Pio V, nessun sacerdote poteva
essere obbligato a offrire il Santo Sacrificio in modo diverso da quello da lui
stabilito. L’unico modo di far celebrare col nuovo Messale, in altre parole,
era l’imposizione de facto, non potendosi sancire alcun obbligo de
iure. La cosiddetta riforma liturgica, dunque, nacque come una
truffa e si poté affermare soltanto con un enorme abuso di potere che fece leva
sull’obbedienza al Papa, quasi che il Vicario di Cristo avesse una potestà
assoluta e non fosse invece vincolato dal rispetto della Tradizione, che deve
fedelmente custodire e trasmettere.
Ciò che ora ci interessa è la
traiettoria che, obliterando il carattere sacrificale della Messa, le ha
conferito quello di celebrazione della natura di sapore panteistico. È una vera
e propria rivoluzione, ossia inversione del senso di marcia: se prima gli
elementi della creazione erano usati dall’uomo per rendere culto a Dio, ora la
religione è messa a servizio della creazione. Un indizio chiarissimo, nel rito
bugniniano, è la rimozione totale delle preghiere che accompagnano l’Offertorio
esprimendo in modo inequivocabile il significato della Messa. Al loro posto è
stata collocata una formula ebraica di benedizione del pasto (!), oltretutto
modificata: il Re dell’universo dell’originale è diventato il Dio
dell’universo, formula cabalistica che identifica la divinità col mondo
visibile. Con un colpo solo si è trasformato il sacrificio in mero banchetto e si
è sostituito il destinatario del culto con lo spirito ribelle. Non solo, ma è
pure scomparsa la transustanziazione: i frutti della terra e del lavoro
dell’uomo devono diventare per noi (non in sé stessi?) cibo di
vita eterna e bevanda di salvezza.
Venendo all’oggi
Così si eclissa altresì la Presenza
reale proprio nel momento in cui si apre la parte sacrificale della Messa,
ormai denominata liturgia eucaristica, ossia ringraziamento a Dio (?)
per i doni della natura. Ciò non significa che ogni sacerdote metta questa intenzione
escludendo positivamente quella giusta: la fede genuina, in chi l’ha
conservata, consente infatti di eseguire il rito con una visione cattolica,
malgrado le sue storture e carenze. La prospettiva dei legislatori, nondimeno,
appare radicalmente diversa, come risulta dall’analisi del nuovo formulario
(come usa dire) Pro custodia creationis. La straordinaria enfasi conferita
alla sua pubblicazione fa sospettare che gli intenti dei promotori vadano ben
più lontano di quelli dichiarati: col pretesto di chiedere al Creatore di
aiutarci a preservare la Sua opera, infatti, si insinua l’idea che il mondo di
quaggiù sia il fine ultimo dell’uomo e di se stesso, essendo del tutto assente
la dimensione della trascendenza.
I testi, con un po’ di sforzo, si
possono pure interpretare in senso cattolico, secondo la collaudata tecnica
della formulazione ambigua. Il fatto è che troppi elementi spingono verso una
lettura di tipo immanentistico, a cominciare dal fatto che, nella Colletta,
Cristo è chiamato non Figlio di Dio o Verbo creatore, bensì primogenito di
tutta la creazione. L’espressione è incontestabilmente paolina (cf. Col 1,
15), ma l’Apostolo la inserisce in un contesto in cui afferma senza ombra di
dubbio la Sua natura divina e la funzione di principio dell’azione creatrice,
mentre qui essa rischia di farlo apparire allo stesso livello del creato. Si
dice oltretutto che in Lui il Padre ha chiamato tutte le cose alla sola esistenza,
col completo oblio del fine soprannaturale della Sua opera; l’oggetto della
domanda, poi, è che noi la custodiamo nella carità docili al soffio di vita
del suo Spirito: lo Spirito Santo sembra ridotto a mero principio della
vita fisica, mentre pare che la carità vada rivolta alle creature.
In questa prospettiva invertita, cosa
significa chiedere al Padre (come recita l’Orazione sulle offerte) di portare
a compimento l’opera della sua creazione nei frutti della terra e delle nostre
mani perché, trasformati dallo Spirito Santo, diventino per noi cibo e bevanda
di vita eterna? Il pane e il vino non sono più doni della Provvidenza che
conserva e regola il mondo a nostro beneficio, ma appaiono come risultati
naturali dell’autonoma attività della terra e dell’uomo, il quale sembra
ergersi a rivale del Creatore, come suggerito dalla menzione parallela delle
mani di Dio e delle nostre. Cos’è, in tale contesto, la vita eterna
assicurata da cibo e bevanda? Cosa sono i cieli nuovi e la terra nuova
che, secondo l’Orazione dopo la comunione, stiamo aspettando? In che consiste
l’unità, effetto del Sacramento, e la comunione con Dio e con i
fratelli di cui si chiede l’accrescimento? La chiusa è inequivocabile: che impariamo
a vivere convenientemente con tutte le creature…
Conclusione
In parole povere, si sta chiedendo al Creatore di realizzare il Paradiso in terra, visto che, a quanto pare, quello del cielo non interessa più – ammesso che questi signori ci credano. Lo snaturamento del culto cattolico (definito da Leone XIV, nell’omelia, rappresentazione della vita) e la conseguente erosione della fede toccano qui l’apice di quella parabola il cui punto di partenza ufficiale è il 1963: le sciocchezze ideologiche (che in realtà camuffano una visione cabalistica) hanno ormai cancellato, nella coscienza di tantissimi cattolici, non solo il carattere sacrificale della Messa ma, con esso, anche le nozioni stesse di peccato e di redenzione, nonché la consapevolezza di dover necessariamente cambiare vita e conformarla ai Comandamenti divini. L’unica vera religione è stata così ricondotta nell’alveo del giudaismo spurio, che fin dall'inizio ha perseguitato i cristiani e oggi sta operando un genocidio. Siamo certi che il nuovo formulario della Messa qui esaminato sia stato accolto con grande sollievo dai cattolici di Gaza.
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