Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 28 dicembre 2024


Giubileo di liberazione

 

 

Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis (Gv 1, 14).

«Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi». Il Vangelo di san Giovanni si apre con il celebre Prologo, che ascoltiamo al termine di ogni Messa. Il Verbo, la Parola in latino, nell’originale greco è il Logos. Questa parola greca, nell’antichità, poteva subito richiamare alla mente le dottrine gnostiche, allora molto diffuse. Anche oggi, purtroppo, si rischia di scambiare il Logos divino per un’ideologia: c’è un modo di concepire il Cristianesimo che consiste soprattutto in grandi idee, in discorsi sui valori, in programmi sul modo di cambiare la società o di migliorare il mondo.

Il Cristianesimo, in realtà, non è questo, poiché san Giovanni fa un’affermazione sorprendente, qualcosa di inconcepibile per le dottrine gnostiche: «Il Logos si è fatto carne». Ovviamente non poteva trasformare la propria natura; quando l’Evangelista dice così, intende dire che ha assunto la natura umana, ma senza perdere ciò che era in quanto Dio uguale al Padre. Questa affermazione, all’epoca, dovette suonare scandalosissima, poiché era inconcepibile che il Logos creatore si mescolasse in qualche modo con la materia. Certamente non è una mescolanza: come definito nel dogma, in Gesù ci sono due nature distinte, unite nella stessa Persona senza confusione; allora però, evidentemente, l’elaborazione intellettuale della fede era appena agli inizi.

Quello che dobbiamo ritenere è che il vero Cristianesimo presuppone l’Incarnazione, quindi non è fatto di idee, discorsi, programmi… e nemmeno, eventualmente, di una certa attività benefica che tuttavia non nasce dalla carità soprannaturale, bensì da un’ideologia applicata alla realtà. Se il Cristianesimo non è questo – ci domandiamo allora –, che cos’è? Esso è una vita di progressiva conformazione a Gesù Cristo, cioè al Verbo fatto carne. Il Logos, assumendo la natura umana, ha vissuto qui sulla terra come uomo, ma in modo divino; ha fatto risplendere l’amore di Dio, il modo assolutamente inedito in cui Dio ama: è la carità, un amore assolutamente disinteressato, di pura generosità. Allora diventa subito chiaro che, dal momento che la carità non esisteva nel mondo (al di fuori del Cristianesimo essa è sconosciuta), era necessario – almeno secondo il piano di Dio – che il Verbo si facesse carne e venisse a mostrarcela, insegnarcela e comunicarcela.

Se vogliamo sapere come ci si conforma al Verbo fatto carne, abbiamo tutto il Vangelo, che dobbiamo meditare e, anzitutto, conoscere; per conoscerlo bisogna leggerlo spesso. Già nell’Antico Testamento abbiamo il preannuncio del Vangelo: esso infatti, indirettamente, già parla del Vangelo, poiché è lo stesso Verbo che ha preso carne che in esso ha parlato. C’è un salmo lunghissimo, il 118, composto di ventidue strofe (una per ogni lettera dell’alfabeto ebraico), che celebra questa manifestazione del Verbo nella Legge antica e in cui ricorrono alcuni termini: la parola misericordia ritorna spesso, ma oggi, purtroppo, essa è fraintesa, poiché si abusa di un’idea distorta di misericordia. Per comprendere cos’è la vera misericordia, che è espressione della carità di Dio, dobbiamo cercare altri termini molto importanti, che ricorrono con altrettanta frequenza. Nella traduzione latina di san Girolamo sono tre: veritas, aequitas e iustitia.

Veritas è la verità, la conformità all’Essere: esso è conoscibile, ma la nostra conoscenza, per essere vera, deve corrispondere alla realtà. La parola ebraica tradotta con veritas aggiunge una connotazione di stabilità: la verità non cambia, è immutabile. Aequitas è la conformità al vero Bene: non a un’idea kantiana del bene, ma a quel Bene reale che è l’Essere stesso; sono equo, perciò, quando il mio agire è conforme al Bene. Iustitia è la conformità alla Legge, che specifica il Bene nei singoli casi, sotto i diversi aspetti. La Legge non è un insieme disarticolato di norme messe l’una accanto all’altra, ma un corpo organico e coerente, uno ius, da cui il termine iustitia.

Per poter essere realmente giusto, nell’applicare la Legge dovrò essere equo, cioè dovrò ricercare il vero bene mio e degli altri. Ci sono casi in cui l’applicazione rigida della Legge causerebbe un danno piuttosto che il bene per il quale la Legge stessa è intesa; allora l’equità fa sì che io, nel caso di leggi umane, possa attenuare o sospendere del tutto l’applicazione della Legge e la sua severità. L’equità, a sua volta, dipende dalla verità; altrimenti commetto un abuso. Ecco qui la misericordia mal compresa, nella quale non c’è verità, non c’è equità e non c’è giustizia: è una “misericordia” che, in realtà, diventa una copertura dei peccati e degli abusi. Questo è molto grave, poiché in tale modo si puniscono gli innocenti e si premiano i colpevoli. Purtroppo ciò si vede spesso non solo nella società, ma anche nella Chiesa. Quanto è importante, allora, che la nostra esistenza, la nostra azione, la nostra condotta sia conforme a Gesù Cristo, Verbo fatto carne, il quale, vivendo sulla terra in mezzo a noi, ci ha mostrato la via: la verità, l’equità e la giustizia.

La notte di Natale si è aperto l’Anno Santo: è una grande occasione di misericordia, dato che la Chiesa mette a nostra disposizione i tesori immensi dei meriti di Cristo, di Maria Santissima e di tutti gli altri Santi, affinché siano ridotte o annullate del tutto le pene del Purgatorio meritate per i peccati. Nel corso di quest’anno, fino al 6 Gennaio 2026, visitando una delle quattro basiliche papali sarà possibile lucrare l’indulgenza plenaria alle consuete condizioni: bisognerà essersi confessati e comunicati, recitare il Pater e il Credo, pregare secondo le intenzioni del Sommo Pontefice (le intenzioni connesse al suo ufficio, non quelle personali e soggettive). Se c’è un perfetto distacco dal peccato, anche veniale, si ottiene la remissione totale della pena del Purgatorio, o per sé o per un defunto. Ogni giorno sarà possibile ottenere questo dono, perché Dio è misericordioso, ma non lo è in modo arbitrario, bensì in maniera “logica”: c’è un Logos, un criterio, ossia i meriti infiniti di Gesù Cristo, i meriti immensi della Vergine Maria, i meriti di tutti gli altri Santi, che vengono per così dire investiti nella remissione delle pene di noi peccatori.

Non soltanto dobbiamo approfittare di questo dono – trascurarlo sarebbe disprezzarlo – ma anche pregare perché nella Chiesa si torni a far conoscere e ad applicare la vera misericordia, che presuppone la verità, l’equità e la giustizia. Dobbiamo pregare perché questo Anno Santo, questo Giubileo (che un tempo era non solo il tempo della remissione dei debiti, ma anche quello della liberazione degli schiavi) comporti anche, in un certo senso, la liberazione della Chiesa da un regime di uomini corrotti nella mente, nel cuore e nella condotta: corrotti nella mente, perché hanno idee fasulle che non corrispondono alla vera fede; corrotti nel cuore, perché hanno desideri cattivi; corrotti nella condotta, perché molto spesso indulgono a vizi immondi.

Dobbiamo pregare perché questo Anno Santo rappresenti una svolta e la Chiesa possa realmente rinnovarsi – ma come vuole Dio, non come vogliono gli uomini. Ci sono ecclesiastici che pensano di poter modificare l’ordinamento divino della Chiesa, cioè le strutture stabilite dal Fondatore, dal Figlio di Dio. Questo è impossibile; eppure c’è chi ardisce di pensarlo e perfino di provarci: ma chi sono questi “signori”? Come si permettono anche solo di immaginare di poter modificare ciò che è stato stabilito da Gesù Cristo? Preghiamo perché il Signore ci liberi dal loro potere abusivo e ci conceda la grazia di vivere serenamente la nostra fede, così da poter realizzare, giorno dopo giorno, la nostra conformità a Gesù Cristo, Verbo incarnato.


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