Multiverso e multichiesa?
No, grazie!
Una delle favole della moderna “scienza” ci narra dell’esistenza di
infiniti mondi paralleli che si distinguerebbero in base a diversi stati della
materia. Senza entrare in una valutazione della teoria nota come fisica
quantistica, sulla quale si fonda tale assunto, ci limitiamo a rilevare
come molte delle sue conclusioni pretendano di essere accettate per “fede” in
quanto non desunte dall’osservazione e non verificabili con esperimenti
riproducibili in laboratorio. La credenza nell’esistenza di molteplici universi,
peraltro, sa molto di gnosi, cioè di una pretesa conoscenza superiore, non
dimostrabile, che andrebbe acriticamente accolta quale strumento di redenzione
e di salvezza. Tenuto conto del carattere prettamente materialistico di questa
visione, però, non si vede in cosa essa possa consistere, se non in un mitico
ritorno alla felicità originaria, raggiunta mediante l’accesso a un’altra
“dimensione”.
L’attuale panorama ecclesiale sembra riproporre quest’idea malsana
sul piano spirituale, complice il nominalismo esasperato del pensiero
dominante, che ha impregnato pure le menti di molti cattolici. La necessità
dell’aderenza al reale non pare più percepita, a scapito della realtà oggettiva
e a vantaggio di elucubrazioni in cui sono le idee e le parole a farla da
padrone. In questo gioco perverso si perde di vista la concretezza dell’Essere,
il quale, precedendo e superando la conoscenza, non è manipolabile a piacere.
Come tanti postulano un multiverso e, col forte rischio di esporsi a
interventi demoniaci, si trastullano in esperimenti di contatto con supposti
abitanti di altre dimensioni, così molti sognano una sorta di multichiesa
in cui ogni velleità abbia diritto di cittadinanza, oppure si inventano “chiese”
parallele dotate di propri capi, maestri e riti sacri.
L’universo sinodale
Uno dei fantastici mondi paralleli che si impongono all’attenzione,
nell’odierno panorama ecclesiale, è quello che si presenta sotto il sibillino
neologismo sinodalità: è l’ultima trovata con cui si tenta di inventare
una Chiesa che esista in un’altra dimensione (quella dell’utopia). Il metodo,
però, è vecchio, dato che risale agli anni Settanta: imporre un programma
elaborato da un ristretto gruppo di ideologi come se fosse il risultato di una
libera discussione in cui tutti, apparentemente, hanno voce. Di fatto i
partecipanti sono stati selezionati in funzione del risultato da ottenere e il
dibattito è stato orientato in una direzione predefinita; il documento finale,
in realtà, era già sostanzialmente scritto, anche se è presentato come frutto
della riflessione comune, così che abbia la forza persuasiva delle richieste
provenienti dalla “base” anziché dal vertice.
Avevamo vent’anni quando scoprimmo questo trucco, accorgendoci che
le posizioni contrarie erano semplicemente lasciate cadere nel vuoto. Quelli
che allora erano dei contestatori, oggi hanno preso la barra, ma non sono
cambiati: la sinodalità è la trasposizione ecclesiastica dell’inganno marxista
con cui il peggiore centralismo viene mascherato da partecipazione popolare
alla gestione del potere. Un esempio lampante è la ristrutturazione della
diocesi di Roma, piombata senza preavviso sulle teste di sacerdoti e fedeli, ma
dopo anni di un cammino sinodale che si è rivelato – per chi non lo
aveva già intuito – un mero fumogeno, l’ennesimo diversivo per attuare
cambiamenti senza tener conto del parere di alcuno: nomine e rimozioni sono
state effettuate, senza la minima trasparenza, in vista dell’assorbimento del
patrimonio immobiliare della diocesi da parte del Vaticano.
A parte questo, anche la proposta (di fatto già attuata in molte
diocesi e dicasteri) di collocare laici e donne in posti di comando non è altro
che uno stratagemma per imporre mutamenti, provenienti dall’alto, che il clero
non accetterebbe – con buona pace della costituzione divina della Chiesa, in
forza della quale la potestà è legata all’Ordine sacro… ma che importa a chi
non ci crede? Pure il sinodo sulla sinodalità ha brillato per mancanza
di trasparenza, con un documento finale spuntato come un fungo dopo quasi un
mese di silenzio pressoché assoluto e immediatamente approvato dal Papa senza
aspettare la stesura della consueta esortazione apostolica. Questi colpi di
mano, fin troppo scoperti, si rivelano però del tutto vani: non basta certo una
firma pontificia per conferire carattere magisteriale a un testo che non
rientra in una delle forme del Magistero e proviene da un’assemblea illegittima
di chierici e laici aventi pari diritto di voto.
In questo “universo” fluido e in continuo divenire, tutto può
sempre cambiare: non solo le strutture di governo, ma perfino il culto e la
dottrina, che devono del resto legittimare la sovversione. Quegli individui
concepiscono la Chiesa come un organismo puramente umano e totalmente
condizionato dalla storia: ciò che poteva andar bene ieri, secondo loro, oggi
non è più adeguato ai tempi nuovi, i quali sono definiti – manco a dirlo –
dalle loro idee e dai loro programmi. Gli scopi che si prefiggono fan loro
apparire lecito qualunque mezzo, compresa la falsità e la simulazione, come si
vide in modo inequivocabile durante il cosiddetto sinodo per la famiglia,
che servì in realtà a demolirla mediante la legittimazione dell’erotismo, della
sodomia e dell’adulterio permanente. Ciò che più sta a cuore a quei vecchi
depravati, di fatto, è sdoganare i loro immondi vizi.
Altri mondi del multiverso chiesastico
Se non ti piace quell’universo cangiante e variopinto, ne puoi
preferire un altro: c’è solo l’imbarazzo della scelta; la reazione al
pontificato dissolutore, anzi, ne ha fatto emergere di nuovi. C’è quello in cui
puoi scoprire ogni giorno un altro codice criptato e assistere a un colpo di
scena da telenovela. C’è quello, collegato, in cui la Messa una cum non
è valida e quindi la Domenica, per non commettere peccato mortale, non si va
più in chiesa. C’è quello in cui la Messa una cum è valida ma non lecita
e quindi, la Domenica, si cerca quella celebrata clandestinamente da un frate
scomunicato. C’è quello in cui un prete girovago si è introdotto in una diocesi
cui non appartiene e, in nome della Tradizione, si è messo a fare il parroco
senza alcun mandato (interdetto a parte). C’è poi quello in cui un vescovo a
riposo, a forza di contestare il Papa, ha pensato alla fine di farlo lui e si è
messo ad amministrare ordinazioni senza alcun discernimento.
Arrivati qui, pare già di esser capitati in un manicomio… ma non è
mica finita. C’è l’universo in cui – teoricamente – si riconosce il Papa e quindi
si celebra una cum ma, a motivo di un preteso stato di necessità,
gli si rifiuta l’obbedienza in toto. C’è quello, distaccatosi dal
precedente, in cui si va alla deriva col pretesto della resistenza,
ordinando preti e vescovi alla cieca, come il vescovo a riposo. C’è quello in
cui, invece, non c’è più papa da quasi settant’anni e, di conseguenza, ci si
arrangia a farne a meno in attesa che la Chiesa rinasca da un ristrettissimo
numero di chierici e fedeli. C’è poi quello in cui il solo modo per rimaner
cattolici è diventare ortodossi e farsi crescere il codino, con tutti i
vantaggi della Divina Liturgia in greco o paleoslavo (altro che latino!). C’è ancora
quello… ma quando finisce questa storia?
Ritorno al reale
In realtà non può finire, perché la multichiesa è una Chiesa
a infinite dimensioni; non si smette mai di scoprirne. Se così non fosse, la
teoria crollerebbe di colpo e tutto tornerebbe tranquillamente alla normalità…
alla serena, benefica, confortante normalità! Sembrerebbe un sogno, ma sappiamo
per fede che nulla è impossibile a Dio. I germogli della vera rinascita già si intravedono,
benché siano insidiati dalle manovre manipolatorie di varie istituzioni che si
spacciano per cattoliche (e magari pure per tradizionaliste e fatimite) ma
applicano i metodi di controllo mentale del Mussad… Sono anche quelli
piccoli universi paralleli, dove uno spietato capitalismo sionista si sposa
senza difficoltà con un devozionalismo puritano dall’aria molto perbene.
Attenzione a non cascarci!
È di grande conforto, malgrado tutto, l’unanimità della preghiera e
del canto che ha contraddistinto l’ultimo Pellegrinaggio Summorum Pontificum,
le cui fila, benché assottigliate dalle defezioni verso altri mondi, si sono
rivelate ancora compatte e affiatate. Quale emozione nel vedersi aprire davanti
la porta centrale della basilica di San Pietro all’arrivo della processione! Al
canto del Christus vincit, nello stupore di turisti e visitatori, è
stato quasi un pregustare l’ingresso nella Gerusalemme celeste. Il silenzio e
il raccoglimento, creatisi poi al momento dell’esposizione eucaristica, hanno
proclamato senza parole la risposta di san Pietro a Gesù risorto, riportata sul
cornicione del transetto: «Signore, che tutto conosci, tu sai che ti amo».
Ognuno può aver ripetuto quelle parole davanti a Lui nel cuore; i sacerdoti si
son sentiti ripetere: «Pasci le mie pecorelle».
Domine, qui omnia nosti, tu scis quia diligo te. Pasce oves meas (cf. Gv 21, 19).
Nessun commento:
Posta un commento