Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 19 ottobre 2024


La caduta dei cedri

 

 

Ah! quanti cedri del Libano e stelle del firmamento si son visti cadere miseramente e perdere in poco tempo tutta la loro altezza e il loro splendore! Da cosa dipende questo strano cambiamento? Non certo da mancanza di grazia – la grazia è data a tutti – ma da mancanza di umiltà (san Luigi Maria Grignion de Montfort, Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, § 88).

Poiché, a quanto pare, la confusione non era sufficiente e i fomentatori di divisione non risultavano abbastanza numerosi, ecco che un carmelitano esclaustrato, molto seguito nella sua predicazione e candidato a capo di una nuova setta, decide di provocare un altro sussulto con un’omelia di appena un’ora e mezzo, che consiste in realtà nella lettura di un saggio di carattere storico-canonico e non ha perciò nulla a che fare con il Santo Sacrificio, il quale – cosa che un sedicente difensore della fede dovrebbe ben sapere – non va usato come pretesto di vani comizi o per l’esternazione di opinioni personali. Del resto il modernismo latente dell’oratore (innegabile, malgrado le intenzioni dichiarate) era già trapelato nel 2020 in un’aspra e severa esortazione a sottomettersi ai diktat della dittatura sanitaria, con buona pace dei diritti della Chiesa e dei cattolici.

Ovvietà non còlte

Molto malvolentieri sono costretto a riaprire un discorso che pensavo di aver definitivamente chiuso con un articolo del Dicembre del 2023. Ci sono attività più utili (come pregare, studiare e predicare), a cui un sacerdote non dovrebbe sottrarre tempo ed energie per occuparsi ancora di palesi sciocchezze; tuttavia il bene delle anime, profondamente scosse da improvvide dichiarazioni, esige una presa di posizione che le pacifichi e rassicuri, stornandole da nefaste suggestioni di separarsi dalla Chiesa. Il tono non sembri beffardo: sciocchezza è il termine più delicato per designare la pretesa di un semplice presbitero di dichiarare vacante nientemeno che la Sede Apostolica. A prescindere dalle argomentazioni fornite, arrogarsi un’autorità che non si detiene è un modo di ribaltare l’ordine divinamente costituito della Chiesa e, di conseguenza, contribuisce solo a danneggiarla ulteriormente.

Tralasciando le fonti cui l’autore si ispira (un ex-parroco scomunicato e ridotto allo stato laicale; un giornalista incompetente che spinge i cattolici fedeli a porsi fuori della comunione ecclesiastica), il solo merito che gli si possa ascrivere è quello di aver sollevato la questione dei requisiti giuridici di un atto di rinuncia, in mancanza dei quali esso non è semplicemente nullo, ma inesistente. Sarebbe stato un ottimo servizio il segnalare il problema a chi di dovere perché lo approfondisse, senza però prendere una decisione rovinosa per sé e per altri. Non necessariamente si può e si deve far valere in foro esterno una conclusione cui si sia pervenuti nel foro interno della coscienza: nel caso preso in esame, chi è onestamente giunto alla certezza morale che l’attuale pontificato sia nullo non ha per ciò stesso facoltà di trarne conseguenze che vogliano avere rilevanza giuridica.

Sorprende che tali ovvietà non siano colte da chi pur si fregia di un dottorato in teologia. Non meno imbarazzante è l’auspicio che il suo «intervento possa fungere da invito per le autorità ecclesiastiche a rispondere in merito alle questioni […] sollevate, […] avviando quindi un dialogo costruttivo». È almeno dal 2016 che qualunque richiesta di chiarimento, presentata persino da vescovi e cardinali, è sistematicamente lasciata cadere nel vuoto; la Santa Sede si sentirà forse obbligata a rispondere a un semplice religioso che mette in discussione l’autorità del Papa? È da folli anche solo immaginarlo, di quella follia che, come messo in evidenza dal Montfort in modo così veritiero, è dovuta alla mancanza di umiltà. L’unica risposta che arriverà sarà la notifica della scomunica latae sententiae, come già accaduto per altri sacerdoti che hanno fatto la medesima sciocchezza.

Cui prodest?

L’oratore chiede espressamente a chi dissente da lui di evitare contestazioni superficiali, tenendo conto della dura fatica che gli è costato il suo lavoro di ricerca. Dovrebbe esser chiaro – spero – che il vizio non va cercato anzitutto nelle argomentazioni svolte (che richiedono una valutazione specialistica), bensì nella pretesa di trarne conclusioni giuridicamente rilevanti. Un ministro di Dio ha oltretutto l’obbligo morale di prevedere le ripercussioni negative che i suoi discorsi avranno sui fedeli: in questo caso, grazie alle reti sociali, si è scatenato un putiferio nel giro di ventiquattro ore. Si va dallo sbigottimento di chi aveva fiducia nell’autore al delirio violento di chi non aspettava altro che un nuovo impulso per dar sfogo alla propria rabbia repressa. La responsabilità davanti a Cristo e alla Chiesa esige che si rimedi, nei limiti del possibile, con una ritrattazione: chi spinge i cattolici a separarsi dal Corpo Mistico, infatti, commette una colpa di gravità inimmaginabile.

Tale peccato, purtroppo, non è nuovo: il sacerdote non è certo il primo, in questi ultimi sessant’anni, a provocare divisioni in forza di un’opinione personale. L’unità visibile e il bene delle anime, però, sono beni di gran lunga superiori alla tranquillità di una singola coscienza che ritiene di aver risolto un dilemma che, peraltro, non le compete e non è alla sua portata. Questo atteggiamento, di fatto, è espressione di un idealismo estremo che ignora la realtà a vantaggio di disquisizioni intellettuali che possono sempre essere ulteriormente discusse. Che Bergoglio eserciti il supremo pontificato, che le sue decisioni abbiano effetto e che tutti gli obbediscano è innegabile; se poi detenga la potestà connessa al suo ufficio formalmente o solo materialmente non è questione che spetti a noi definire, ma è di competenza del collegio cardinalizio. Che rifiutargli l’obbedienza non sia un atto scismatico in quanto non lo si riconosce papa è un cortocircuito logico derivante dalla negazione dell’evidenza.

Una lezione dai tempi antichi

La superbia non tenuta a bada è segno che manca un’autentica vita interiore – e ciò, se può essere scusato in fedeli accecati dall’ignoranza o deformati dal modernismo, sorprende amaramente in un religioso la cui vocazione è centrata proprio su di essa alla scuola di grandissimi maestri. Come si esprimerebbe a suo riguardo santa Teresa d’Avila o san Giovanni della Croce? Poiché non intendo infierire, ricorrerò a un antico Padre del deserto, il monaco egiziano padre della scuola monastica che fiorì a Gaza nel VI secolo, san Barsanufio. In una delle sue lettere di direzione spirituale, così si esprime: «C’è un proverbio che dice: “Vedi correre un giovane? Sappi che l’ha allenato un anziano”. Per noi, l’anziano che ci allena è Satana. Per gelosia, egli vuol gettarci in giorni cattivi col pretesto della giustizia e noi non sappiamo che molti che volevano trarre altri dal fiume vi sono precipitati con loro. Vedi da quanto tempo vuol tenderti tranelli. […] Dio non ti chiede di far del bene al prossimo al di là delle tue possibilità» (Corrispondenza, 56).

Il diavolo è il nostro allenatore nel senso che, tentando di sedurci per permissione divina, ci sprona ad esercitarci nella virtù. Per invidia, cerca di spingerci alla rovina col pretesto della giustizia, cioè sotto l’apparenza di motivi buoni e nobili, se non riesce a farci cadere in peccati comuni ed evidenti. Tanti, presumendo di sé, sono affogati nel fiume dal quale volevano salvare un altro, essendo finiti nel tranello di voler fare del bene al di là delle proprie possibilità. Chi sta al suo posto e riconosce umilmente i propri limiti, invece, capisce queste cose agevolmente. Pur soffrendo intensamente per lo stato della Chiesa, si adopera ad aiutare il prossimo in ciò che gli è consentito, senza pretendere di risolvere problemi che non rientrino nelle sue responsabilità né sconfinare in ambiti che gli siano preclusi; in tal modo riesce ad evitare ogni trappola. Quando c’è un uragano, del resto, i cedri del Libano sono più esposti; i semplici arboscelli resistono meglio.

Si quis est parvulus, veniat ad me (Pr 9, 4).


1 commento:

  1. Perché i demoni, che sono ladri astuti, cercano di prenderci alla sprovvista per derubarci e svaligiarci. A tal fine, spiano giorno e notte il momento favorevole, Si aggirano di continuo intorno a noi per divorarci e toglierci in un momento, con un peccato, quanto abbiamo potuto guadagnare di grazie e di meriti in parecchi anni. La loro malizia, la loro esperienza, le loro insidie e il loro numero devono farci temere infinitamente tanta sventura, sapendo che persone più ricolme di grazie, più ricche di virtù, più mature per esperienza e più elevate in santità sono state sorprese, derubate e infelicemente spogliate. Ah, quanti cedri del Libano e stelle del firmamento si sono visti cadere miseramente e perdere in poco tempo tutta la loro altezza e il loro splendore! Da che cosa dipende questo strano cambiamento? Non certo da mancanza di grazia - la grazia è data a tutti - ma da mancanza di umiltà. Si credevano più forti e più sufficienti di quanto non fossero, si sono fidati e appoggiati su se stessi, hanno creduto la loro casa abbastanza sicura e le loro casseforti abbastanza solide per custodire il prezioso tesoro della grazia. Così, per questo loro appoggio impercettibile su se stessi - anche se pareva loro di contare soltanto sulla grazia di Dio - il Signore giustissimo ha permesso che siano stati derubati e abbandonati a se stessi.

    San Luigi M. Grignion de Montfort, Vera Devozione, § 88.

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