Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 23 novembre 2024


Perdere la fede per difenderla?

 

 

Qui flent, tamquam non flentes (1 Cor 7, 30).

La brevità della vita e l’imminenza del giudizio spingono il cristiano – e ogni uomo ragionevole – al distacco verso le realtà di questo mondo passeggero, dove tutto, prima o poi, finisce. Per questo san Paolo esorta i fedeli di Corinto a regolarsi in base alla provvisorietà e relatività delle circostanze in cui vivono (che siano gradite o meno) e delle opportunità che le varie situazioni offrono o tolgono. Anche chi è afflitto, di conseguenza, deve comportarsi come se non lo fosse, visto che la causa della sua afflizione è transitoria; ciò che conta è il fine ultimo dell’esistenza, ossia l’eterno godimento di Dio, e il discernimento delle scelte necessarie per meritarlo. Alle pene di quaggiù, sopportate per amore Suo, è riservata una ricompensa non paragonabile ad esse (cf. Rm 8, 18).

I limiti della pazienza

Ogni autentica virtù si colloca nel mezzo tra due estremi. La pazienza, che ci fa sostenere i mali presenti, deve rimanere equidistante dalla collera dell’insofferente e dall’acquiescenza dell’ignavo. È la prudenza la virtù che ci consente di riconoscere fin dove è opportuno sopportare e a qual punto occorre invece intervenire. Dato che tutte le virtù cristiane sono radicate nella carità e da essa legate e animate, il criterio che regola la prudenza è lo zelo per l’onore divino e la ricerca del vero bene del prossimo. Dobbiamo perciò esaminare in che misura la sopportazione delle situazione avverse torni a gloria di Dio e a vantaggio degli altri, in modo che, a dispetto delle buone intenzioni, essa non finisca con l’essere dannosa, riuscendo contraddittoria.

È indubbio che mantenere un completo silenzio su errori e misfatti di coloro che guidano la Chiesa sia nocivo; al tempo stesso è pericoloso insistervi troppo, cosa che provocherebbe lo scandalo dei semplici. Su queste pagine si è sempre cercato di mantenere, a questo proposito, il giusto equilibrio, rifuggendo dagli eccessi e mirando al progresso spirituale dei lettori; ciò non implica che ci si sia sempre riusciti, dato che siamo tutti fallibili e bisognosi di luce dall’alto, mentre nessuno è esente da oscillazioni dovute alle circostanze. L’importante è essere disposti a rivedere, integrare o correggere le proprie posizioni senza assolutizzarle, ma conformandole sempre più alla verità: la norma della conoscenza è l’adaequatio mentis ad rem, l’adeguamento dell’intelletto alla realtà.

Anche nella Chiesa, purtroppo, si sconta l’effetto della penetrazione nella cultura contemporanea dell’agnosticismo e del liberalismo, severamente condannati dal Magistero, soprattutto con il Sillabo del beato Pio IX. Anche quando il primo non è formulato in modo sistematico, uno scetticismo di fondo pervade le menti degli individui, mentre la mentalità democraticista ha roso i fondamenti di ogni autorità. Così ognuno è spinto a darsi risposte da solo e a prender decisioni del tutto autonome, salvo poi sottomettersi ciecamente a qualsiasi abuso di potere, a torto legittimato come espressione della volontà popolare. Il risultato è che si obbedisce a ordini cui si deve disobbedire e ci si ribella ai superiori in ciò che, invece, è obbligatorio.

Inversione dell’ordine

Il punto estremo di questa deriva tipicamente moderna è il rifiuto dell’obbedienza legittima in nome della difesa della fede o, addirittura, la pretesa di negare la legittimità dell’autorità costituita sulla base di disquisizioni formalistiche e di un’inesistente facoltà di dirimere questioni del genere. Tale risultato è perfettamente consequenziale a false premesse e a un modo di procedere capzioso che trae conclusioni forzate in vista di un obiettivo prestabilito: partendo dalla presunzione di dover intervenire in ambiti che superano le attribuzioni del soggetto, si piega il discorso in funzione di ciò che si vuol dimostrare, con deduzioni deboli e indebiti concatenamenti. Questo modo di procedere non è rispettoso né della verità né della coscienza di chi ascolta.

Non ci si può attribuire da sé una potestà che non sia stata legittimamente conferita; senza questo principio, tanto fondamentale quanto evidente, salta ogni ordine, civile ed ecclesiastico, e si cade nell’anarchia. Gli attuali fomentatori di divisione – che ne siano consapevoli o meno – soffrono di quell’anarchismo individualistico che abbiamo ereditato dal Sessantotto, ma che è diametralmente opposto allo spirito cristiano; il suo marchio di fabbrica è tipicamente satanico: Non serviam (Ger 2, 20). Lo stesso termine che, riferito a uomini, designa il rapporto di schiavitù, riferito a Dio indica il culto che Gli è dovuto e il cui rifiuto è la radice della ribellione di Lucifero come di ogni ribellione, da lui istigata, all’ordine stabilito dal Creatore.

Correggere chi detiene l’autorità, con il dovuto rispetto e la scienza necessaria, è certamente lecito, ma non equivale a demolirla. L’ossequio dovuto all’autorità, all’opposto, non esige l’ottemperanza di qualunque comando, qualora sia contrario alla legge o esuli dalle sue competenze. Intimare un trattamento sanitario non rientra nelle attribuzioni di un superiore ecclesiastico, fosse pure il Papa; il farlo costituisce un grave abuso di potere e, se il farmaco è stato ottenuto in modo immorale, è contrario alla legge morale. Se poi ad essere imposta – o anche solo raccomandata – è l’assunzione di un ritrovato sperimentale spacciato per vaccino di cui si ignorano la reale efficacia e gli effetti avversi, siamo in presenza di un vero e proprio crimine.

Poiché la campagna pubblicitaria messa in atto da Jorge Mario Bergoglio a favore della cosiddetta vaccinazione ha influenzato miliardi di persone, convincendole a rovinarsi la salute con un liquame altamente tossico che sta causando uno sterminio senza precedenti, è evidente che la sua coscienza si è caricata di una colpa di dimensioni gigantesche che reclama una pena proporzionata. Finché però non sia stato dichiarato dalla competente autorità che non detiene legittimamente la sua carica, nessun tribunale umano lo può giudicare, dato che, lo voglia o no, è il Vicario di Gesù Cristo sulla terra. Chi ha la fede sa tuttavia che neppure lui potrà sfuggire all’infallibile giustizia divina; anzi, un giudizio più severo attende chi sta più in alto (cf. Sap 6, 5-6).

Saper aspettare

Vivere con fede non significa aver la testa zeppa di convinzioni astratte e comportarsi poi secondo la modalità mondana, a colpi di petizioni, dichiarazioni e appelli alla rivolta, bensì contemplare le situazioni contingenti dal punto di osservazione dell’eternità. Ogni prova, prima o poi, ha termine; ogni realtà umana è destinata a passare. Chi si affligge da cristiano non lo fa come se la causa della sua afflizione dovesse permanere per sempre: piange, sì, ma come chi non piange. In altre parole, non è insensibile al male, ma sa che esso non ha sostanza e non è affatto eterno; di più, è sicuro che la Provvidenza ne trarrà un bene maggiore, in vista del quale lo ha permesso. Perciò non si tormenta fino a perder la pace interiore, ma la custodisce gelosamente dalle tentazioni sotto apparenza di bene.

Questo non è un invito all’indifferenza o all’indolenza, come più volte già asserito; è piuttosto un richiamo – l’ennesimo – ad adempiere la volontà di Dio nella presente congiuntura, stando ognuno al suo posto, pregando con fiducia e perseveranza, onorando i doveri del proprio stato di vita e, in tutto ciò, offrendosi al Padre in unione alla Vittima santa e immacolata, che ogni giorno si immola sugli altari. Per poter efficacemente realizzare questo compito, bisogna tappare gli orecchi ad ogni discorso che, esplicitamente o implicitamente, neghi l’indefettibilità della Chiesa e l’onnipotente guida del suo Sposo, che non dorme mai e il cui braccio non si è accorciato. Se davvero vogliamo difendere la fede, applichiamola anzitutto a noi stessi, piuttosto che esporci al pericolo prossimo di perderla col metterci al di sopra dell'autorità divina.


sabato 16 novembre 2024


Non fare il gioco

della mafia finanziaria

 

 

Ci sono singolari concomitanze storiche che inducono a intravedere, anche senza indulgere troppo a ipotesi artificiose, connessioni nascoste tra eventi apparentemente slegati. Negli Stati Uniti torna al potere il campione del giudaismo chassidico di marca lubavitcher, nonostante tutti i media di regime si fossero affannati a dichiararlo perdente in anticipo a favore di una figura demoniaca che, nei piani dell’apolide finanza talmudica, avrebbe dovuto sostituire il fantoccio imposto con la frode nel 2020. Nella Chiesa Cattolica, parallelamente, il papa dei Rothschild, profeta del capitalismo inclusivo, è sempre più apertamente contestato da gruppi, di entità non trascurabile, sulle cui risorse non è dato sapere nulla, malgrado le ampie capacità logistiche e organizzative.

Lotta tra bande?

Si direbbe che la lotta tra le due principali cosche mafiose del giudaismo finanziario fosse giunta ad una svolta, dopo la scomparsa dell’anziano patriarca della famiglia dello Scudo rosso: dall’egemonia del messianismo economico transnazionale, promosso da quest’ultima su base americana, si starebbe forse passando a quella del messianismo politico-religioso, perseguito su base israeliana dalla setta Chabad Lubavitch (quella che usa cadaveri per praticare la stregoneria nei sotterranei della sinagoga di New York)? Sembrerebbe di sì, tenuto conto dell’entusiasmo con cui rabbini ad essa afferenti hanno a più riprese salutato il signor Trump come l’atteso Messia che, a Gerusalemme, dovrebbe ricostruire il tempio sulla Spianata delle Moschee (al netto del bagno di sangue che ciò comporterebbe, del resto già in atto nel Libano e a Gaza).

Che legame può avere tutto ciò con le contestazioni della legittimità di papa Francesco? Abbiamo finora sospettato che esse servissero a demolire ogni possibilità di analizzare seriamente la rinuncia del predecessore e, quindi, a rafforzare la posizione di colui che vien denunciato come usurpatore. È difficile trattenersi dal pensarlo, visto come la sua legittimità venga difesa non dai suoi scherani, che ostentano indifferenza per la questione, ma da varie correnti di conservatori e tradizionalisti, proprio quelle che più ne criticano le parole e le azioni. Qualora i nuovi movimenti sedevacantisti fossero istigati proprio da chi ha il potere per screditare, rendendolo monopolio di personaggi impresentabili, un discorso che potrebbe minacciarlo, sarebbe una trovata davvero machiavellica.

La realtà, però, è forse più semplice e banale, soprattutto se si considera che nell’area bergogliana non ci sono persone così colte e intellettualmente acute: si può anche ipotizzare che i contestatori, a cominciare dal giornalista incaricato di accalappiare sacerdoti e fedeli, siano effettivamente pagati per diffondere avversione verso il Papa regnante e spingere le masse al rifiuto della sua autorità; sarebbe una sorta di rivoluzione colorata in senso inverso. I metodi mafiosi, in fondo, si assomigliano nella sostanza, a prescindere dagli scopi per cui ogni banda ne fa uso. Vien da domandarsi se anche qui, come accade per i politici, gli agitatori ecclesiastici non vengano reclutati per mezzo di ricatti, dopo averli intrappolati in situazioni imbarazzanti e averle debitamente documentate.

Poli politico-religiosi

Ciò che appare probabile, sul versante geopolitico, è che dovrebbe presto cessare la carneficina in corso nell’Europa orientale, come vogliamo sperare pure circa il genocidio in atto in Medio Oriente. L’inaspettata reazione dell’Iran, la quale, autorizzata dalla Russia, ha fortemente danneggiato le infrastrutture militari israeliane e impietosamente mostrato le falle della loro difesa antiaerea, con tanto di precipitosa fuga del Primo Ministro, ha rintuzzato le inaccettabili pretese di uno Stato terrorista per il quale non hanno alcun valore né le norme morali né i trattati internazionali. Per la prima volta, in quasi ottant’anni, quella perversa entità politica ha trovato un’opposizione consistente, capace di indurla a più miti consigli, almeno controvoglia.

È intollerabile che un esercito bombardi indiscriminatamente i civili facendone interminabile strage e aggredisca un Paese neutrale senza risparmiare nemmeno le forze di pace delle Nazioni Unite, mentre i suoi servizi segreti, mediante cariche esplosive inserite nei cellulari, eliminano gli avversari in mezzo ad altra gente, con un una moltiplicazione di vittime innocenti. Condannare tali crimini contro l’umanità non significa affatto esprimere sentimenti antisemiti; eppure pochi osano farlo, quasi che una certa etnia, a motivo di quanto subìto dai nazisti, avesse acquisito una licenza assoluta di commettere impunemente qualsiasi atrocità (a parte l’effettiva consistenza storica di quella vicenda, ingigantita da una vergognosa propaganda reiterata di anno in anno).

Il cosiddetto olocausto fu voluto dai banchieri luciferiani come immenso sacrificio propiziatorio per la fondazione dello Stato d’Isnaele (come lo abbiamo ribattezzato l’anno scorso) e per convincere i benestanti giudei d’Europa a trasferirsi in una terra, abitata da altri, che andava colonizzata da capo in una situazione di estrema tensione. Quanti però si sono colà installati, secondo studi di questi ultimi decenni, non sono di origine israelitica, dato che il loro patrimonio genetico è per il quaranta per cento di origine turca e per un altro quaranta di origine mongola: essi discendono dunque dai famosi cazari dell’attuale Ucraina (dove non a caso si è sognata la fondazione di un secondo Stato ebraico), che nell’VIII secolo si convertirono al giudaismo e furono poi investiti dall’invasione tatara.

Inaspettate connessioni

I palestinesi di oggi, invece, hanno per l’ottanta per cento sangue israelitico. Non ci troviamo perciò di fronte a una questione di natura etnica, bensì a quel disegno criminale di dominio del mondo che richiese la morte del vero Messia. Qui il discorso si congiunge con l’attualità ecclesiale: il pontefice voluto dalla finanza aschenazista (non è un refuso) ha il compito di instaurare quell’unica religione universale che faccia da puntello “spirituale” al nuovo ordine mondiale di marca rothschildiana e rockefelleriana. Sembra però, come ipotizzato in apertura, che la banda lubavitcher, almeno per il momento, stia prendendo il controllo della situazione e che, al posto di Abu Dhabi, intenda imporre Gerusalemme come centro religioso dell’umanità sottomessa.

Ecco allora una possibile spiegazione della sempre più potente contestazione di Bergoglio, la quale, malgrado l’apparente disinteresse dei suoi pretoriani, sta dilagando nella Chiesa. Ciò che ci preme, qui, è il danno delle anime che, per ignoranza indotta, non si rendono conto della gravità di scelte che rompono l’unità della Chiesa. Ai giudei (di razza o di cultura) questo può solo far piacere, ma per noi, che amiamo il Signore, è causa di profonda sofferenza. Se quelli si fregano le mani per gli immensi profitti ricavati dalla vendita di armamenti, noi pensiamo a coloro che le guerre uccidono nel corpo e a coloro che le divisioni uccidono nell’anima. Quelli poi che dilaniano il Corpo di Cristo, come osserva sant’Agostino, non hanno la carità e, di conseguenza, rischiano di dannarsi.

La conclusione di questa cervellotica analisi ecclesiogeopolitica è squisitamente spirituale, ispirata com’è dalla divina Parola: «Tu li nascondi nel segreto del tuo volto all’agitazione degli uomini; li proteggi nella tua dimora dalla ridda delle lingue» (Sal 30, 21). Un intelletto contemplativo scorge a volte cose che i comuni mortali non colgono ma, sapendo che si trova altrove ciò che serve alla salvezza, non attribuisce un’importanza eccessiva né ad esse né a se stesso, preservandosi così dalla tentazione di lasciarsi trascinare in dispute senza fine che distruggono la vita interiore e non hanno alcun effetto vantaggioso. Immaginarsi di poter consegnare il Cristo ai Suoi nemici è pura follia; non voler consegnare ad alcun costo il tesoro dell’anima è sublime sapienza.


sabato 9 novembre 2024


Dove preferisci naufragare?

 

 

La via della notorietà è irta di tentazioni e di insidie sottili che il diavolo camuffa in modo magistrale per catturare coloro che gli si oppongono e ridurli, consapevoli o meno, al suo servizio. Quando uno gode di un ampio seguito e, a torto o a ragione, si è guadagnata una certa autorevolezza, comincia a scivolare impercettibilmente verso il culto di sé e, di conseguenza, a darsi un’importanza eccessiva. Tuttavia «chi si prende troppo sul serio – celiava l’arguto Chesterton – non è una persona seria». Il peggio è che tale inturgidimento dell’ego espone l’individuo a pericoli non indifferenti; qualora si lanci in imprese superiori alle sue forze, infatti, può andare incontro a catastrofici effetti, tirandosi spesso dietro, a motivo della sua popolarità, turbe di scontenti e di sprovveduti.

Quale dolore nell’assistere al triste spettacolo di anime sacerdotali che, vittime del proprio smodato orgoglio, si precipitano nel baratro della perdizione senza avvedersi delle flagranti contraddizioni in cui sono cadute! C’è chi dice: «È lecito sollevare dubbi sulla legittimità del Papa», nel momento in cui proclama in proposito una certezza e pretende addirittura di farla valere sul piano giuridico; «Toccherà ad un futuro Papa stabilire se era lecito o no celebrare in comunione con Bergoglio», pur avendo già deciso da sé che non lo è e istigando i fedeli a frequentare le sue Messe clandestine; «Io rimango nella Chiesa», ma rifiutandosi di riconoscerne il capo visibile…

Come peggiorare la situazione

Che vicende del genere accadano nella Chiesa e abbiano per protagonisti chierici e religiosi è una vera e propria calamità, in quanto la divide ulteriormente e trascina tante anime sulla via dell’eterna perdizione. Chi però ha imboccato la via della ribellione aperta non se ne accorge, accecato com’è dalla propria presunzione e arroganza, che lo rende estremamente suscettibile e aggressivo con tutti. Intendiamoci: questi difetti non spuntano da un giorno all’altro ma, a ben vedere, risalgono a molto prima del rovinoso atto di rottura; non individuati ed estirpati per tempo, si sono silenziosamente e incessantemente sviluppati fino ad esplodere con forte virulenza. Quando ciò accade è troppo tardi per porvi rimedio e la tragedia si compie come un destino già scritto, benché voluto.

In qualunque ambiente – ma soprattutto in quello ecclesiastico – l’aggressiva pretesa di indicare ai superiori quel che dovrebbero fare oppure ciò in cui sbagliano è un’arma che si mette loro in mano per essere uccisi. Chiunque (che sia un giornalista o un semplice mestatore) istighi un ministro di Dio a comportarsi così dovrà risponderne a Lui e sarà punito in modo severissimo, non solo nell’altra vita, ma anche già in questa. A nessuna persona sana di mente, a meno che non sia molto disonesta, verrebbe in mente di lanciare una petizione per fare pressione sui cardinali affinché riesaminino la legittimità del Papa. A parte il fatto che tale modo di procedere è del tutto estraneo alla vita ecclesiale, non si vede proprio quale cardinale sarebbe così folle da caricarsi di una tale responsabilità.

Non è questione di paura, come facilmente si insinua da chi non ha nulla da perdere e non sa niente del funzionamento della Chiesa: compiere un passo come quello comporterebbe quasi certamente uno scisma e sarebbe comunque iniziativa di una piccola minoranza di cardinali, che passerebbero alla storia come colpevoli di uno dei delitti più gravi e darebbero ragione agli attuali detentori del potere. Nessun vero cattolico è disposto, non dico a volere, ma neppure solo a immaginare di rendersi responsabile di una siffatta sciagura. A parte le ragioni di coscienza, poi, sotto questo regime basta molto meno per vedersi, nel migliore dei casi, rimossi dal proprio ufficio e, nel peggiore, annientati nella propria reputazione (come avvenuto all’Arcivescovo di Parigi).

Come trovare e diffondere pace

Certi discorsi e prese di posizione non sono altro che un frutto della superbia, non certo dell’amore per Cristo e per la Chiesa. Chi invece è mosso da quest’ultimo movente è lieto di soffrire adempiendo il proprio dovere nel silenzio e nel nascondimento, in un martirio bianco che, al momento fissato da Dio, porterà immancabilmente i suoi benefici frutti. L’umiltà e la mansuetudine, inoltre, disarmano i superiori ostili e li lasciano senza parole; garantito dall’esperienza. Non è mera tattica, bensì reale effetto di una sincera volontà di servire il Signore nella verità; l’affettazione, del resto, si fa scoprire facilmente e non arriva lontano. Chi predica il Vangelo deve pur decidersi, presto o tardi, a imitare effettivamente Gesù nella condotta tenuta durante il ministero pubblico.

Spesso si citano, a questo proposito, la cacciata dei mercanti dal Tempio e le dispute con i farisei, dimenticando che, nel primo caso, la santa ira presuppone una purezza di intenzione che non hanno se non i Santi e che, nel secondo, era la Sapienza incarnata a parlare. Se noi sacerdoti meditassimo di più la Sua parola e perdessimo meno tempo in diatribe che non ci competono, riusciremmo forse ad acquistarne una scintilla che illuminerebbe le nostre menti e quelle dei fedeli orientandole verso il bene reale della Chiesa, anziché verso azioni dalle tragiche conseguenze. Sembra però che la Sacra Scrittura non sia più attuale e che vada sostituita da un’inflazione di pretese rivelazioni che non danno alcuna garanzia di provenire dal Cielo.

Chi ascolta il Signore nel silenzio e nel raccoglimento potrà comprendere senza difficoltà l’umile implorazione di san Barsanufio: «Prego giorno e notte per essere purificato dalle passioni visibili e da quelle che sono nascoste. […] Beato colui che, purificato dall’ira e dalle altre passioni, osserva tutti i Comandamenti e dice: “Sono un servo inutile” (cf. Lc 17, 10)» (Epistola 65). Sul terreno delle passioni disordinate allignano le tentazioni. Ora, ci sono tentazioni gravi ma evidenti; ci sono però tentazioni ancora più gravi e non evidenti. Che un chierico o religioso ceda ad una tentazione della carne, è cosa gravissima; che ceda alle tentazioni dell’orgoglio spirituale lo è, tuttavia, ancor di più. Della prima, infatti, può agevolmente rendersi conto; le seconde lo accecano completamente.

Chi si riconosce servo inutile non corre questo rischio; anzi, gode di una beatitudine segreta che non è nota se non a chi la sperimenta, ma traspare nel volto, nel parlare e nell’agire. Possono pure levargli l’incarico, il sostentamento e l’alloggio; non potranno mai portargli via l’intimo gaudio di servire il Signore per puro amore. Egli stesso è quel tesoro nel quale, secondo la sublime elevazione di san Bonaventura, la mente e il cuore del discepolo stanno fissi, saldi e irremovibilmente radicati. Tale stato genera quella profondissima quiete che il Leopardi poté soltanto presagire, mentre chiunque, anche analfabeta, preghi con fede semplice e viva la può gustare nella contemplazione. Davvero ’l naufragar m’è dolce in questo mare

Chi cerca umilmente la verità ed è disposto ad abbracciarla a qualunque prezzo troverà nondimeno opposizioni esterne da parte di quanti sono pronti a sacrificare tutto a un’idea o a un partito preso. C’è una radicale differenza tra il politicante che cerca di compiacere l’elettorato e il Pastore che si sforza di procurare il vero bene del suo gregge: per il primo, il bene comune è un’etichetta variabile da appiccicare a interessi coperti; per il secondo, esso consiste in una costante conformazione alla volontà di Dio, costi quel che costi. Il primo si industria a non scontentare nessuno; il secondo si fa nemici ovunque e, malgrado la sua aspirazione ad essere in pace con tutti, è costretto ad andare sempre contro corrente: ieri con i modernisti, oggi con i tradizionalisti, gli uni e gli altri prigionieri del nominalismo. Che Dio ci guardi dall’affogare nelle farneticazioni e ci mantenga uniti a Sé nell’unità del Corpo Mistico, fuori del quale non c’è salvezza.


sabato 2 novembre 2024


Multiverso e multichiesa?

No, grazie!

 

 

Una delle favole della moderna “scienza” ci narra dell’esistenza di infiniti mondi paralleli che si distinguerebbero in base a diversi stati della materia. Senza entrare in una valutazione della teoria nota come fisica quantistica, sulla quale si fonda tale assunto, ci limitiamo a rilevare come molte delle sue conclusioni pretendano di essere accettate per “fede” in quanto non desunte dall’osservazione e non verificabili con esperimenti riproducibili in laboratorio. La credenza nell’esistenza di molteplici universi, peraltro, sa molto di gnosi, cioè di una pretesa conoscenza superiore, non dimostrabile, che andrebbe acriticamente accolta quale strumento di redenzione e di salvezza. Tenuto conto del carattere prettamente materialistico di questa visione, però, non si vede in cosa essa possa consistere, se non in un mitico ritorno alla felicità originaria, raggiunta mediante l’accesso a un’altra “dimensione”.

L’attuale panorama ecclesiale sembra riproporre quest’idea malsana sul piano spirituale, complice il nominalismo esasperato del pensiero dominante, che ha impregnato pure le menti di molti cattolici. La necessità dell’aderenza al reale non pare più percepita, a scapito della realtà oggettiva e a vantaggio di elucubrazioni in cui sono le idee e le parole a farla da padrone. In questo gioco perverso si perde di vista la concretezza dell’Essere, il quale, precedendo e superando la conoscenza, non è manipolabile a piacere. Come tanti postulano un multiverso e, col forte rischio di esporsi a interventi demoniaci, si trastullano in esperimenti di contatto con supposti abitanti di altre dimensioni, così molti sognano una sorta di multichiesa in cui ogni velleità abbia diritto di cittadinanza, oppure si inventano “chiese” parallele dotate di propri capi, maestri e riti sacri.

L’universo sinodale

Uno dei fantastici mondi paralleli che si impongono all’attenzione, nell’odierno panorama ecclesiale, è quello che si presenta sotto il sibillino neologismo sinodalità: è l’ultima trovata con cui si tenta di inventare una Chiesa che esista in un’altra dimensione (quella dell’utopia). Il metodo, però, è vecchio, dato che risale agli anni Settanta: imporre un programma elaborato da un ristretto gruppo di ideologi come se fosse il risultato di una libera discussione in cui tutti, apparentemente, hanno voce. Di fatto i partecipanti sono stati selezionati in funzione del risultato da ottenere e il dibattito è stato orientato in una direzione predefinita; il documento finale, in realtà, era già sostanzialmente scritto, anche se è presentato come frutto della riflessione comune, così che abbia la forza persuasiva delle richieste provenienti dalla “base” anziché dal vertice.

Avevamo vent’anni quando scoprimmo questo trucco, accorgendoci che le posizioni contrarie erano semplicemente lasciate cadere nel vuoto. Quelli che allora erano dei contestatori, oggi hanno preso la barra, ma non sono cambiati: la sinodalità è la trasposizione ecclesiastica dell’inganno marxista con cui il peggiore centralismo viene mascherato da partecipazione popolare alla gestione del potere. Un esempio lampante è la ristrutturazione della diocesi di Roma, piombata senza preavviso sulle teste di sacerdoti e fedeli, ma dopo anni di un cammino sinodale che si è rivelato – per chi non lo aveva già intuito – un mero fumogeno, l’ennesimo diversivo per attuare cambiamenti senza tener conto del parere di alcuno: nomine e rimozioni sono state effettuate, senza la minima trasparenza, in vista dell’assorbimento del patrimonio immobiliare della diocesi da parte del Vaticano.

A parte questo, anche la proposta (di fatto già attuata in molte diocesi e dicasteri) di collocare laici e donne in posti di comando non è altro che uno stratagemma per imporre mutamenti, provenienti dall’alto, che il clero non accetterebbe – con buona pace della costituzione divina della Chiesa, in forza della quale la potestà è legata all’Ordine sacro… ma che importa a chi non ci crede? Pure il sinodo sulla sinodalità ha brillato per mancanza di trasparenza, con un documento finale spuntato come un fungo dopo quasi un mese di silenzio pressoché assoluto e immediatamente approvato dal Papa senza aspettare la stesura della consueta esortazione apostolica. Questi colpi di mano, fin troppo scoperti, si rivelano però del tutto vani: non basta certo una firma pontificia per conferire carattere magisteriale a un testo che non rientra in una delle forme del Magistero e proviene da un’assemblea illegittima di chierici e laici aventi pari diritto di voto.

In questo “universo” fluido e in continuo divenire, tutto può sempre cambiare: non solo le strutture di governo, ma perfino il culto e la dottrina, che devono del resto legittimare la sovversione. Quegli individui concepiscono la Chiesa come un organismo puramente umano e totalmente condizionato dalla storia: ciò che poteva andar bene ieri, secondo loro, oggi non è più adeguato ai tempi nuovi, i quali sono definiti – manco a dirlo – dalle loro idee e dai loro programmi. Gli scopi che si prefiggono fan loro apparire lecito qualunque mezzo, compresa la falsità e la simulazione, come si vide in modo inequivocabile durante il cosiddetto sinodo per la famiglia, che servì in realtà a demolirla mediante la legittimazione dell’erotismo, della sodomia e dell’adulterio permanente. Ciò che più sta a cuore a quei vecchi depravati, di fatto, è sdoganare i loro immondi vizi.

Altri mondi del multiverso chiesastico

Se non ti piace quell’universo cangiante e variopinto, ne puoi preferire un altro: c’è solo l’imbarazzo della scelta; la reazione al pontificato dissolutore, anzi, ne ha fatto emergere di nuovi. C’è quello in cui puoi scoprire ogni giorno un altro codice criptato e assistere a un colpo di scena da telenovela. C’è quello, collegato, in cui la Messa una cum non è valida e quindi la Domenica, per non commettere peccato mortale, non si va più in chiesa. C’è quello in cui la Messa una cum è valida ma non lecita e quindi, la Domenica, si cerca quella celebrata clandestinamente da un frate scomunicato. C’è quello in cui un prete girovago si è introdotto in una diocesi cui non appartiene e, in nome della Tradizione, si è messo a fare il parroco senza alcun mandato (interdetto a parte). C’è poi quello in cui un vescovo a riposo, a forza di contestare il Papa, ha pensato alla fine di farlo lui e si è messo ad amministrare ordinazioni senza alcun discernimento.

Arrivati qui, pare già di esser capitati in un manicomio… ma non è mica finita. C’è l’universo in cui – teoricamente – si riconosce il Papa e quindi si celebra una cum ma, a motivo di un preteso stato di necessità, gli si rifiuta l’obbedienza in toto. C’è quello, distaccatosi dal precedente, in cui si va alla deriva col pretesto della resistenza, ordinando preti e vescovi alla cieca, come il vescovo a riposo. C’è quello in cui, invece, non c’è più papa da quasi settant’anni e, di conseguenza, ci si arrangia a farne a meno in attesa che la Chiesa rinasca da un ristrettissimo numero di chierici e fedeli. C’è poi quello in cui il solo modo per rimaner cattolici è diventare ortodossi e farsi crescere il codino, con tutti i vantaggi della Divina Liturgia in greco o paleoslavo (altro che latino!). C’è ancora quello… ma quando finisce questa storia?

Ritorno al reale

In realtà non può finire, perché la multichiesa è una Chiesa a infinite dimensioni; non si smette mai di scoprirne. Se così non fosse, la teoria crollerebbe di colpo e tutto tornerebbe tranquillamente alla normalità… alla serena, benefica, confortante normalità! Sembrerebbe un sogno, ma sappiamo per fede che nulla è impossibile a Dio. I germogli della vera rinascita già si intravedono, benché siano insidiati dalle manovre manipolatorie di varie istituzioni che si spacciano per cattoliche (e magari pure per tradizionaliste e fatimite) ma applicano i metodi di controllo mentale del Mussad… Sono anche quelli piccoli universi paralleli, dove uno spietato capitalismo sionista si sposa senza difficoltà con un devozionalismo puritano dall’aria molto perbene. Attenzione a non cascarci!

È di grande conforto, malgrado tutto, l’unanimità della preghiera e del canto che ha contraddistinto l’ultimo Pellegrinaggio Summorum Pontificum, le cui fila, benché assottigliate dalle defezioni verso altri mondi, si sono rivelate ancora compatte e affiatate. Quale emozione nel vedersi aprire davanti la porta centrale della basilica di San Pietro all’arrivo della processione! Al canto del Christus vincit, nello stupore di turisti e visitatori, è stato quasi un pregustare l’ingresso nella Gerusalemme celeste. Il silenzio e il raccoglimento, creatisi poi al momento dell’esposizione eucaristica, hanno proclamato senza parole la risposta di san Pietro a Gesù risorto, riportata sul cornicione del transetto: «Signore, che tutto conosci, tu sai che ti amo». Ognuno può aver ripetuto quelle parole davanti a Lui nel cuore; i sacerdoti si son sentiti ripetere: «Pasci le mie pecorelle».

Domine, qui omnia nosti, tu scis quia diligo te. Pasce oves meas (cf. Gv 21, 19).


sabato 26 ottobre 2024


Non perdete il senno

(e non dannatevi)

 

 

La Chiesa di Gesù Cristo è costituita come una vera e perfetta società; ed in essa, come in una persona morale, possiamo distinguere l’anima e il corpo. Fuori della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana nessuno può salvarsi, come niuno poté salvarsi dal diluvio fuori dell’Arca di Noè, che era figura di questa Chiesa (san Pio X, Catechismo maggiore, 163.169).

Non è un puntiglio vanitoso né – come molti, temerariamente, sospettano – un interesse personale a farci tornare sulla questione, bensì la sollecitudine per il bene di tante anime che, spinte a separarsi dalla Chiesa, rischiano di dannarsi oppure, nella ridda di accese discussioni, si sentono sempre più smarrite e confuse. La prima raccomandazione è quella di smettere una volta per tutte di occuparsi di problemi che non si è in grado di trattare e non rientrano nell’ambito delle proprie responsabilità: ognuno è moralmente tenuto ad esercitare l’umiltà e il buon senso di chi sta al suo posto e si sforza di adempiere i doveri derivanti dal suo stato. Pretendere di sbrogliare un intricatissimo dilemma di diritto canonico e storia ecclesiastica che non è stato risolto dagli specialisti in quasi un millennio di studi e dibattiti è semplicemente insensato.

Il Signore, nel Giudizio, ci chiederà conto di quello che avremo fatto in conformità o meno alla Sua legge, non dell’aver chiarito se uno è papa o no né di qualunque altra causa che superi le possibilità di un soggetto. Vi scongiuro nel nome di Dio: lasciate perdere questo discorso e non ascoltate più nulla. Se qualcuno, con l’insistenza ossessiva tipica di chi ha subìto una manipolazione mentale, vi sollecita a riaprirlo, negatevi garbatamente ma con fermezza, in modo tale che capisca di non poter ulteriormente proseguire. Pensate piuttosto a condurre una buona vita cristiana in vista della vostra santificazione, cosa che non può impedirvi di fare nessuno al mondo, nemmeno un cattivo papa o un antipapa. Non permettete più ad alcuno di togliervi la pace interiore: tale effetto dimostra che si tratta di un’opera non di Dio, ma del diavolo.

Criptoprotestantesimo

Coloro che, senza averne né l’autorità né la competenza, presumono di risolvere un problema sulla base di ricerche e riflessioni individuali, per poi trarne conclusioni di ordine giuridico e morale in forza delle quali prendere decisioni, tradiscono un atteggiamento intellettuale prettamente protestante. La Chiesa Cattolica non funziona così: una delle sue note fondamentali è l’apostolicità, in virtù della quale Gesù Cristo la governa mediante i successori degli Apostoli con a capo il successore di Pietro. Stabilire se un Suo rappresentante è legittimo o no, evidentemente, non è facoltà dei sudditi, bensì di un’autorità superiore al prelato in questione; è un principio valido per qualunque società, senza il quale essa si dissolverebbe. Nel caso del Papa, non essendoci sulla terra autorità superiore, si può solo pregare perché la Provvidenza ne conceda uno migliore, qualora non svolga bene il suo compito.

Quanti perciò, nell’intento di difendere la fede, si affannano a dimostrare l’invalidità del pontificato in corso non fanno altro, in realtà, che ribaltare l’ordine divinamente stabilito dal Fondatore e minare l’unità della società visibile, con gravissimo danno per le anime. È stupefacente che chi rivendica il  primato della Tradizione non capisca un dato così elementare. La Chiesa, per analogia con l’essere umano, è un composto di anima e corpo: l’anima è costituita da tutti i beni invisibili di cui Cristo la ha dotata (le virtù teologali, la grazia, i doni dello Spirito Santo, i meriti Suoi e dei Santi); il corpo dalle strutture visibili di culto, governo e insegnamento. Attentare a una di queste ultime equivale ad attentare alla sua vita; benché non sia possibile porle termine, data la sua essenza soprannaturale, si possono tuttavia condurre i singoli suoi membri verso la morte eterna.

Reagire agli abusi nell’ambito del culto, del governo e dell’insegnamento è non solo legittimo, ma anche doveroso, purché lo si faccia senza escludersi dalla comunione gerarchica, poiché fuori di essa non c’è salvezza. In termini pratici, ciò significa che agli ordini legittimi si obbedisce, a quelli illegittimi si resiste nei modi consentiti; non è lecito, invece, negare l’obbedienza ai superiori in toto o perché, a torto, li si dichiara illegittimi o perché, pur riconoscendoli, li si considera indegni. Quest’ultima opzione, a prescindere dalle motivazioni, è per sua stessa natura un atto scismatico. Inutile ricorrere a contorsioni intellettuali per giustificarla: sono sterili esercizi di un razionalismo tipicamente moderno che fa rivoltare san Tommaso nella tomba. Che sia chiaro una volta per tutte: negare l’evidenza del reale non è cattolico (e neppure ragionevole).

Basta con le sciocchezze

Dovrebbe ormai esser chiaro a chiunque abbia ancora l’uso di ragione che tesi sostenute da vescovi scismatici, preti scomunicati o sul punto di esserlo e giornalisti che affermano di non poter dichiarare se sono cattolici o no (magari perché affiliati alla massoneria?) non solo provengono da fonti del tutto illegittime, ma sono completamente aberranti. Come abbiamo già osservato, la sede impedita non è una condizione che un vescovo scelga di sua sponte, ma una situazione che subisce suo malgrado. Qualora sia indetto un conclave col Papa vivo e regnante, ciò non dà luogo alla sede impedita, bensì a uno scisma. Il computo dell’ora romana anticipava la datazione anziché posticiparla, dato che esso partiva dal tramonto del giorno precedente (cosa che spiega perché, nel Breviario in vigore fino al 1960, le feste dei Santi comincino con i Primi Vespri).

Come vedete, quella sgangherata teoria poggia interamente su un puntello che non regge. Più sensato, invece, sarebbe il rilevare le anomalie giuridiche della rinuncia di Benedetto XVI, ma tale strada è stata resa impraticabile proprio da quell’assurda teoria, cosa che induce a ritenere che il suo autore e propagandista sia stato incaricato esattamente di questo, onde sabotare qualsiasi tentativo ragionevole di esaminarle. Con un’ulteriore deduzione si potrebbe addirittura sospettare che gli odierni detentori del potere supremo siano consapevoli di non averlo ottenuto in modo legittimo, se davvero han dato a qualcuno il compito di screditare ogni possibile analisi in proposito. Anche la lentezza con cui si decidono ad applicare le sanzioni previste fa pensare che i contestatori facciano loro comodo, visto che portano i dissidenti fuori della Chiesa, così che lascino loro campo libero.

Che un sacerdote o religioso, con le proprie dichiarazioni, si estrometta da sé da ogni incarico ma si tiri dietro numerosi fedeli, in definitiva, fa il gioco di chi comanda. Se non ci fosse da piangere, sarebbe ridicolo – per alludere a un caso recente – che un parroco credesse di poter interpretare la rimozione come un caso di sede impedita: un vescovo ha il pieno diritto e dovere di rimuovere un presbitero a lui soggetto che rifiuti pubblicamente la sottomissione al Romano Pontefice, come pure di richiedere l’intervento della forza pubblica in caso di inottemperanza. Chi non riconosce tali ovvietà dà segno di aver l’intelletto offuscato dalla presunzione e va dritto verso la perdizione con quanti lo seguono, poiché esclude volontariamente ogni possibilità di ravvedimento. La misericordia di Dio ci può preservare da simile sciagura, a condizione che ci manteniamo umili e obbedienti in ciò che è legittimo, pronti a soffrire, con l’aiuto della grazia, l’eventuale persecuzione.

Massima vigilanza

Nel nostro tempo abbondano agitatori, gruppi e istituzioni che circuiscono i sacerdoti e i vescovi che godono di un certo seguito o per neutralizzarli ingaggiandoli in una falsa opposizione o per spingerli a bruciarsi da sé con atti e dichiarazioni imprudenti. Da una parte ci si affanna, pur contestandolo in apparenza, a legittimare l’attuale pontificato; dall’altra si istiga alla ribellione aperta. In entrambi i casi ci si illude (o si finge di illudersi) di poter condurre con i rappresentanti del regime un dibattito basato su argomenti di ragione, quando invece è fin troppo chiaro che, sull’altra sponda, nessuno ha la minima disponibilità a far ciò e si procede piuttosto a colpi di sentenze ideologiche e interventi repressivi. L’unica strategia possibile, in un contesto del genere, è tirare dritto per la propria strada senza farsi troppo notare, tappandosi le orecchie per non udire gli ammaliatori e contando non sugli uomini, ma sulla Provvidenza e sugli amici del Cielo.

Non seguite chi, pur avendo compiuto un atto per sua natura scismatico, ingannevolmente afferma di non essersi posto in stato di scisma. Come scrive un lettore con cristallina chiarezza, «il chierico in questione falsamente si giustifica protestando di avere solo un dubbio: egli, di fatto, ha già raggiunto la sua certezza e, senza vergognarsi del ridicolo di cui si è rivestito, la proclama come dato di fatto giuridicamente vincolante, usurpando un potere che non ha». Chi ammette la contraddizione e si arroga una funzione che non gli compete non fa alcun bene alla Chiesa, ma la frammenta ancora di più e complica ulteriormente il lavoro a chi – potendolo – volesse esaminare in modo serio l’enigma della rinuncia di Benedetto XVI. A questo punto si può solo attendere che vengano fuori eventuali documenti inediti scritti di suo pugno o che un papa del futuro dirima la questione in forza della sua autorità suprema.