Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 22 marzo 2025


La sola risorsa vincente

 

 

Nel mese di san Giuseppe chiediamo la grazia di poter imitare la Sua umiltà a tutta prova. Il Patriarca visse in un’epoca storica molto tormentata per il Suo popolo. Oggi, con i termini della psicologia, si potrebbe parlare di dissonanza cognitiva. San Giuseppe era il legittimo erede al trono della dinastia di Davide, ma a Gerusalemme, sul trono regale, sedeva un usurpatore che non era neppure ebreo, l’idumeo Erode. San Giuseppe aveva una promessa Sposa divenuta incinta in modo inspiegabile – incinta del Figlio di Dio, che si era incarnato per essere il Messia d’Israele; Egli non ne fu quindi il padre biologico, eppure fu chiamato a svolgere per Lui la funzione di padre.

A Betlemme il Verbo incarnato venne al mondo in condizioni estremamente abiette, in un ricovero per animali; anche questo, indubbiamente, provocò uno straziante disagio nel cuore di un uomo così infiammato dalla carità e dalla speranza. Poco tempo dopo la nascita del Bambino, san Giuseppe fu costretto a fuggire in un Paese straniero per mettere in salvo il Figlio, minacciato dalla violenza di Erode. Quando tornò in Terra Santa, si ritirò in un villaggio sconosciuto della Galilea, dove il Messia sarebbe vissuto per trent’anni nascosto, senza fare nulla di eclatante. Il Giusto morirà senza vedere i tempi messianici, non scosso nella Sua fede purissima, certamente, ma con un’attesa tanto più acuta quanto più era vicino il compiersi degli eventi.

Ora, che cosa consentì a san Giuseppe di sopportare tutta questa serie di dissonanze cognitive così laceranti, nel costatare che la realtà concreta sembrava smentire ciò che egli credeva e che avrebbe dovuto essere? Fu appunto la Sua umiltà a tutta prova, un’umiltà così profonda che Gli permise di abbandonarsi completamente alle disposizioni della Provvidenza e, al tempo stesso, di immolare il proprio io al compimento dei piani divini. Ora, nella Chiesa Cattolica, noi ci troviamo da dodici anni a vivere in una profonda dissonanza cognitiva. Che cosa possiamo fare? Come abbiamo potuto resistere fino a questo momento?

Tanti, purtroppo, non ci sono riusciti e hanno abbandonato la Chiesa, dato che, evidentemente, l’orgoglio non ha consentito loro di sopportare la prova, ma li ha spinti a dire: «No, io non posso (o non voglio) tollerare una situazione del genere». La superbia, poi, li ha portati a credere di poter risolvere il problema con le proprie forze – cosa, ovviamente, assurda, ma la superbia acceca il cuore; così hanno fatto la scelta catastrofica di porsi fuori della Chiesa, con grave pericolo per la salvezza delle loro anime.

Che cosa dobbiamo dunque fare per continuare a resistere in questa situazione? Dobbiamo imitare l’umiltà di san Giuseppe, quest’umiltà a tutta prova che Gli permise di rimettersi completamente alle disposizioni della Provvidenza, riconosciute negli avvenimenti, e di immolare il proprio io alla causa dei disegni divini. Egli trasse la forza di custodire e alimentare questa umiltà dalla presenza del Figlio di Dio, ma Cristo è qui, anche con noi, in ogni tabernacolo; con Lui tutto è possibile.

Rispetto a san Giuseppe, d’altra parte, noi non siamo certamente in pericolo di vita. A noi non è ancora capitato di essere arrestati perché possediamo una Bibbia, come avviene in Cina. A noi non è ancora capitato di vedere le nostre case distrutte dalle bombe, come in Libano. A noi non è ancora capitato di essere massacrati come in Siria, in Congo, in Nigeria…

La prova che stiamo sopportando è certamente intensa, ma è una prova interiore. Chiediamo allora al Signore di donarci l’umiltà di san Giuseppe, quell’umiltà a tutta prova che ci consentirà di sottometterci completamente alle disposizioni della Provvidenza e di immolare il nostro io alla realizzazione dei piani di Dio in un’obbedienza perfetta, capace di crocifiggerlo una volta per tutte.


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