La
sola risorsa vincente
Nel mese di san Giuseppe chiediamo la grazia di poter imitare la
Sua umiltà a tutta prova. Il Patriarca visse in un’epoca storica molto
tormentata per il Suo popolo. Oggi, con i termini della psicologia, si potrebbe
parlare di dissonanza cognitiva. San Giuseppe era il legittimo erede al
trono della dinastia di Davide, ma a Gerusalemme, sul trono regale, sedeva un
usurpatore che non era neppure ebreo, l’idumeo Erode. San Giuseppe aveva una
promessa Sposa divenuta incinta in modo inspiegabile – incinta del Figlio di
Dio, che si era incarnato per essere il Messia d’Israele; Egli non ne fu quindi
il padre biologico, eppure fu chiamato a svolgere per Lui la funzione di padre.
A Betlemme il Verbo incarnato venne al mondo in condizioni
estremamente abiette, in un ricovero per animali; anche questo, indubbiamente,
provocò uno straziante disagio nel cuore di un uomo così infiammato dalla
carità e dalla speranza. Poco tempo dopo la nascita del Bambino, san Giuseppe
fu costretto a fuggire in un Paese straniero per mettere in salvo il Figlio,
minacciato dalla violenza di Erode. Quando tornò in Terra Santa, si ritirò in
un villaggio sconosciuto della Galilea, dove il Messia sarebbe vissuto per
trent’anni nascosto, senza fare nulla di eclatante. Il Giusto morirà senza
vedere i tempi messianici, non scosso nella Sua fede purissima, certamente, ma
con un’attesa tanto più acuta quanto più era vicino il compiersi degli eventi.
Ora, che cosa consentì a san Giuseppe di sopportare tutta questa
serie di dissonanze cognitive così laceranti, nel costatare che la realtà
concreta sembrava smentire ciò che egli credeva e che avrebbe dovuto essere? Fu
appunto la Sua umiltà a tutta prova, un’umiltà così profonda che Gli permise di
abbandonarsi completamente alle disposizioni della Provvidenza e, al tempo
stesso, di immolare il proprio io al compimento dei piani divini. Ora, nella
Chiesa Cattolica, noi ci troviamo da dodici anni a vivere in una profonda
dissonanza cognitiva. Che cosa possiamo fare? Come abbiamo potuto resistere
fino a questo momento?
Tanti, purtroppo, non ci sono riusciti e hanno abbandonato la
Chiesa, dato che, evidentemente, l’orgoglio non ha consentito loro di
sopportare la prova, ma li ha spinti a dire: «No, io non posso (o non voglio) tollerare
una situazione del genere». La superbia, poi, li ha portati a credere di poter
risolvere il problema con le proprie forze – cosa, ovviamente, assurda, ma la
superbia acceca il cuore; così hanno fatto la scelta catastrofica di porsi
fuori della Chiesa, con grave pericolo per la salvezza delle loro anime.
Che cosa dobbiamo dunque fare per continuare a resistere in questa
situazione? Dobbiamo imitare l’umiltà di san Giuseppe, quest’umiltà a tutta
prova che Gli permise di rimettersi completamente alle disposizioni della
Provvidenza, riconosciute negli avvenimenti, e di immolare il proprio io alla
causa dei disegni divini. Egli trasse la forza di custodire e alimentare questa
umiltà dalla presenza del Figlio di Dio, ma Cristo è qui, anche con noi, in
ogni tabernacolo; con Lui tutto è possibile.
Rispetto a san Giuseppe, d’altra parte, noi non siamo certamente in
pericolo di vita. A noi non è ancora capitato di essere arrestati perché possediamo
una Bibbia, come avviene in Cina. A noi non è ancora capitato di vedere le
nostre case distrutte dalle bombe, come in Libano. A noi non è ancora capitato
di essere massacrati come in Siria, in Congo, in Nigeria…
La prova che stiamo sopportando è certamente intensa, ma è una prova interiore. Chiediamo allora al Signore di donarci l’umiltà di san Giuseppe, quell’umiltà a tutta prova che ci consentirà di sottometterci completamente alle disposizioni della Provvidenza e di immolare il nostro io alla realizzazione dei piani di Dio in un’obbedienza perfetta, capace di crocifiggerlo una volta per tutte.
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