Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 1 febbraio 2025


Chi è guarito guarisce

 

 

Rinfranchiamo ancora l’anima alle sorgenti della divina Parola.

Dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Romani (12, 16-21)

Fratelli, non siate sapienti secondo voi stessi; non rendete a nessuno male per male; abbiate cura di fare il bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, siate in pace con tutti; non difendetevi da soli, carissimi, ma lasciate spazio all’ira – sta scritto infatti: «A me il castigo; io retribuirò» (Dt 32, 35), dice il Signore – ma «se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sul suo capo» (Pr 25, 21-22). Non esser vinto dal male, ma vinci il male con il bene.

 

Dal Vangelo secondo Matteo (8, 1-13)

In quel tempo, essendo Gesù disceso dal monte, lo seguirono grandi folle. Ed ecco che un lebbroso, accostatosi, lo adorava dicendo: «Signore, se vuoi, mi puoi purificare». Gesù, stesa la mano, lo toccò e disse: «Lo voglio: sii purificato». Subito la sua lebbra fu purificata e Gesù gli disse: «Bada di non dirlo a nessuno, ma va’, mostrati al sacerdote e offri il dono che Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». Quando fu entrato in Cafarnao, gli si accostò un centurione pregandolo e dicendo: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre moltissimo». Gesù gli disse: «Io verrò e lo curerò». Il centurione, rispondendo, disse: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma soltanto di’ con la parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io, infatti, sono costituito sotto l’autorità, ma ho sotto di me dei soldati e dico a uno: “Vai” ed egli va; a un altro: “Vieni” ed egli viene; al mio servo: “Fa’ questo” ed egli lo fa». Udito ciò, Gesù ne restò ammirato e disse a coloro che lo seguivano: «In verità vi dico: in Israele non ho trovato fede così grande. Vi dico anzi che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. Invece i figli del regno saranno gettati fuori, nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti». Gesù disse al centurione: «Va’ e, come hai creduto, ti sia fatto» – e il servo guarì in quell’istante.

 

Colui che, poco dopo la Sua nascita, è stato indicato ai Magi da una stella, sulle rive del Giordano ha ricevuto la testimonianza del Padre e, in occasione delle nozze di Cana, ha rivelato il proprio potere soprannaturale trasformando l’acqua in vino, continua a manifestare la sua gloria divina con due miracoli avvenuti per effetto della sola Sua volontà. Un lebbroso, che Gli si avvicina esprimendo la propria fede in Lui, si sente dire semplicemente: «Io voglio che tu sia guarito» e questo accade. L’altro caso è quello del servo del centurione romano di Cafarnao, che viene guarito a distanza, semplicemente perché il Salvatore dispone che avvenga ciò che il centurione desidera.

Abbiamo così due guarigioni miracolose che non sono effetto di particolari atti compiuti da Gesù, ma risultano un semplice adempimento del Suo volere. Quello che rende possibile il dispiegamento del potere di Gesù, però, è la fede di coloro che si rivolgono a Lui. Il lebbroso dice: «Se vuoi, tu puoi purificarmi»; con grande semplicità, Gesù si limita a rispondere: «Lo voglio: sii purificato» (Mt 8, 2-3). La fede del lebbroso conosce la potenza del Salvatore, ma si abbandona al Suo volere, senza pretendere il miracolo. Gesù risponde a quella fede manifestando che essa è vera, fondata, ma in più rivela la Sua bontà: non c’è soltanto un potere assoluto che agisce in modo incontrastato, ma questo potere è messo a servizio della bontà, è un potere indirizzato al bene dell’uomo. La fede del lebbroso arriva così alla carità, poiché la bontà di Gesù suscita in lui l’amore per Dio; perciò quella fede si compie conducendolo all’unione con Lui.

Nel caso del centurione abbiamo qualcuno che intercede a favore di un altro, di un subalterno, che tuttavia aveva con lui una relazione profonda sul piano umano: era un uomo obbediente sul quale il padrone contava. Anche qui la fede incondizionata ottiene il miracolo, ma è una fede particolarmente umile. Pure quella del lebbroso lo era, dato che lo aveva spinto a prostrarsi davanti a Gesù, ma il centurione vuole addirittura evitare che Gesù entri in casa sua. In realtà non è necessario, visto che a Gesù basta pronunciare una parola. Ora, questa umiltà denota un alto livello di perfezione, poiché è l’umiltà di chi riconosce non solo di non poter pretendere nulla (come già il lebbroso), ma neppure di poter far venire il Signore presso di sé, neppure di poterlo accogliere; è l’umiltà di chi riconosce la propria assoluta indegnità.

Eppure, anche in questo caso, la bontà del Signore valica quella distanza così grande. Se il Figlio di Dio, quando si è incarnato, ha varcato l’abisso che separava il Creatore dalla creatura, a maggior ragione va incontro a coloro che non avrebbero potuto avere contatti con Lui: il lebbroso non poteva avvicinarsi a nessuno; il centurione era un pagano – ed è per questo che non voleva costringere il Maestro a entrare in casa sua, sapendo che, secondo la legge mosaica, si sarebbe contaminato. Ora, è proprio di Dio poter varcare il duplice abisso che c’è tra Lui e la creatura, l’abisso che riguarda il piano dell’essere (Dio e la creatura esistono in due ordini, su due piani diversi) e l’abisso che separa l’infinitamente Santo dai peccatori; e il Signore lo fa. Questa è la nostra salvezza: per noi, esseri umani peccatori, non ci sarebbe stata alcuna speranza, se non fosse stato il Figlio di Dio a prendere l’iniziativa di scendere tra noi e a venirci incontro.

È questo fatto che suscita la fede di coloro che si rivolgono al Cristo: è proprio questa immensa degnazione, questa condiscendenza senza limiti che dà fiducia agli uomini, ai peccatori, ai pagani, a coloro che sarebbero naturalmente esclusi; è questo che accende la speranza nei cuori di coloro che desiderano salvezza e non si sono rassegnati alla propria condizione decaduta e condannata. Ora, il Vangelo sprona anche noi ad avere la stessa fede, a riconoscere la bontà del Signore, che si è chinato su di noi per darci prima di tutto la grazia di conoscerlo, la grazia della Sua amicizia, la grazia della comunione con Lui, ma poi anche i benefici temporali di cui abbiamo bisogno, quelli che possiamo legittimamente chiedergli, purché la nostra intenzione sia retta, purché, cioè, desideriamo quegli aiuti materiali allo scopo di servirlo meglio, di compiere la Sua volontà e di dimostrargli il nostro amore in risposta all’amore che ha avuto per noi.

Comprendiamo bene, a questo punto, le raccomandazioni di san Paolo. Chi ha questa fede umile e incondizionata, evidentemente, non si considera sapiente da se stesso, secondo le proprie opinioni e concezioni, ma riconosce di aver ricevuto tutto da Dio e che deve a Lui anche ciò che sa. Chi ha questa fede umile e desidera rispondere all’amore di Dio si rende conto di non dover rendere al prossimo male per male e capisce di non aver bisogno di difendersi da sé in modo conflittuale, ma che può contare sull’intervento di Dio e sulla Sua provvidenza, sui Suoi doni multiformi e variegati. Chi ha questa fede umile si sforza di essere in pace con tutti, per quanto dipende da lui, poiché la bontà di Dio, quando raggiunge un cuore umano, se quel cuore non è completamente freddo, duro ed estraneo, gli fa sentire il bisogno spontaneo di farle eco, di trasmetterla ad altri, di comunicarla. La bontà di Dio, infatti, colma il cuore umano di una gioia e di una pace che non possono rimanere racchiusi nel cuore stesso.

Chi ha questa fede umile cerca di fare del bene per rendere testimonianza al Signore, per far sapere ad altri quanto Dio è buono e fino a che punto possono contare su di Lui. Chi ha questa fede umile, anche se subisce dei torti, si rimette con fiducia e tranquillità al giudizio di Dio e, a chi gli ha fatto del male, fa del bene, affinché l’amore disinteressato lo rimetta in discussione: «Se il tuo nemico ha fame, dàgli da mangiare; se ha sete, dàgli da bere; così facendo, accumulerai carboni ardenti sul suo capo» (Rm 12, 20), ossia lo riempirai di una sana inquietudine. In tal modo, tu non sarai vinto dal male, ma vincerai il male con il bene. Chiediamo dunque al Signore la grazia di poter accogliere, senza frapporre ostacoli, la Sua bontà, che si manifesta in mille modi, e quella di potere, a nostra volta, donare la stessa bontà, così che tanti altri possano conoscere l’amore di Dio.


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