Sacro accecamento
Errore,
ignoranza, plagio, ideologia, malizia, presunzione… possono essere tutte cause
di cecità intellettuale e spirituale. Gli esempi concreti, oggi, abbondano a
dismisura, purtroppo. Uno non si immaginerebbe certo però, di primo acchito,
che essa potesse esser provocata anche da una vasta cultura e da idee molto
chiare, di per sé ben fondate. Difficile a credersi, anche in ambito teologico si
può essere accecati dalle proprie stesse certezze, se queste ultime formano un
sapere chiuso, una dottrina sclerotizzata, un sistema perfetto in cui ogni
quesito ha una risposta immediata, definitiva, indiscutibile… In fin dei conti,
si ricade nella fattispecie dell’ideologia, ammantata tuttavia di un alone
soprannaturale che la rende incontestabile, soprattutto per il fedele non
iniziato che, come il povero Renzo nei Promessi
sposi, non può obiettare nulla al dotto latinorum
di don Abbondio, pur avvertendo nella propria coscienza di uomo semplice e
retto, per quanto ignorante, che qualcosa non va nelle sconnesse ragioni del voltafaccia
pretesco.
Quando
un sistema teologico che si vuole perfetto circoscrive in modo selettivo i
propri riferimenti a una data epoca o a un singolo autore quasi ci si potesse
trovare tutto lo scibile, escludendo quanto non è riconducibile ad essi e
proibendo qualsiasi possibile sviluppo, accusa già solo per questo un errore
epistemologico di fondo. Le singole affermazioni saranno anche di per sé vere,
ma, incastrate in quella visione rigida e fissa, perderanno buona parte della
loro profondità ed efficacia. Il piatto letteralismo con cui sono lette le
riduce a mere proposizioni da mandare a memoria senza alcun incentivo a
meditarle, approfondirle e aprirle a ulteriori sviluppi. Questo, anzi, sarà
severamente scoraggiato come pericolo di deviazione dottrinale; ciò che conta è
il teorema (o il complesso di teoremi) con il quale si fonda la propria
autorità dispotica e si condanna inesorabilmente chiunque si discosti anche
solo leggermente dal sentiero tracciato, magari per ampliarlo semplicemente un
po’ onde permettere di percorrerlo a qualcuno in più, che altrimenti ne rimarrebbe
escluso.
Il
sistema di pensiero è così serrato che sembra inattaccabile, ma certe sue
conclusioni, essendo del tutto inaccettabili, ripugnano sia al buon senso umano
che al sensus fidei soprannaturale,
tradendo così le debolezze logiche nascoste nei singoli passaggi argomentativi.
Può allora accadere che proprio coloro che si ritengono maestri imbattibili
nello scoprire e denunciare i paralogismi altrui vi cadano regolarmente senza
accorgersene o, se ne sono consapevoli, li nascondano deliberatamente per non
ammettere i propri errori; in quest’ultimo caso, oltre all’attitudine
ideologica, c’è pure la malizia. Senza ardire giudicare la coscienza di
nessuno, ci sono comunque degli indizi che fanno perlomeno sospettare una
mancanza di rettitudine. Il primo e più evidente è che questi detentori del
sapere, con le loro nozioni e le loro sottigliezze, riescono a giustificare
tutto e il contrario di tutto: di fronte allo stesso caso morale, per esempio,
uno trae con assoluto rigore una conclusione, un altro una conclusione diametralmente
opposta. Anche un bambino capirebbe che qualcosa non funziona: in questo modo
uno può fare quello che gli pare e autorizzare altri a farlo, coperti da
un’autorità presentata come divina e, quindi, inappellabile.
Nell’antica
Grecia, un modo simile di argomentare costituiva per certi sedicenti filosofi
un’attività estremamente redditizia: le folle accorrevano appassionate alle
conferenze di questi oratori, capaci di dimostrare un assunto e, subito dopo,
l’esatto contrario. Socrate si oppose energicamente a questa prassi di
distorsione del ragionamento… e fu condannato a morte. Quando i sofisti
ecclesiastici avevano, oltre al sapere, anche il potere, si poteva rischiare
una fine analoga (almeno sul piano morale), pur senza essere affatto modernisti.
Non è ragionevole né onesto far di ogni erba un fascio: possibile che lo
Spirito Santo non abbia ispirato ai teologi più nulla di buono, dopo il XIII
secolo? Si può forse ridurre il mistero di Dio a sentenze teologiche
stereotipate e immodificabili? Il dogma stesso, pur tracciando una linea
invalicabile alla fede del popolo cristiano, non vieta un’ulteriore
approfondimento della verità rivelata, purché non lo contraddica nella sostanza. Pretendere di rinchiudere l’Altissimo in formule di scuola (per quanto
in sé utili e perfino necessarie) sconfina nell’empietà e nell’idolatria.
Dobbiamo ammettere che nella fede non finiremo mai di scavare e che ci sono
comunque elementi che ci sfuggono, o perché non rivelati o perché non ancora
chiariti in modo soddisfacente.
L’altro
indizio di malizia è che, in certi ambienti tradizionalisti, le vere posizioni
riguardo a punti scottanti non sono manifestate a tutti, ma solo a chi si lega
ad essi e a mano a mano che si lascia influenzare; se le manifestassero subito,
la maggior parte scapperebbe. Questo comportamento – ahimé – è tipico dei
metodi di reclutamento propri delle sètte, nonché di organizzazioni analoghe
che oggi spopolano nella Chiesa Cattolica sotto la veste di “cammini” o di
opere di Dio… C’è un volto pubblico, costruito per il volgo e i principianti, e
un volto nascosto per gli iniziati. Gira e rigira, si ricade sempre nella
stessa sottile tentazione con cui il demonio ha fuorviato fin dall’inizio
innumerevoli cristiani: la gnosi. A un certo punto, quando il candidato ne è
giudicato degno, gli son svelati gli arcani di una dottrina esoterica che, in
definitiva, contraddice in molti punti fondamentali alla dottrina comune, la
sola vera e quindi l’unica, in realtà, mediante la quale ci si possa salvare (la
stessa contraddizione di cui si accusano gli avversari in quanto eretici…).
Com’è
possibile che, a partire dalla difesa della fede tradizionale, si finisca per
negarla o svuotarla sul piano pratico, cadendo in un procedimento settario,
iniziatico e gnostico? A tanto pericolo ci si espone ogniqualvolta ci si ponga
fuori della comunione gerarchica della Chiesa. Non è questione puramente
giuridica, bensì sostanziale: la comunione ecclesiale assicura la circolazione
dei beni soprannaturali nelle membra del Corpo mistico. È innegabile che sia
diventato estremamente arduo e penoso permanere in comunione con Pastori dalle
posizioni ambigue; ma qualora essi affermino o comandino qualcosa di
chiaramente contrario all’insegnamento di Cristo, non bisogna ascoltarli e
l’obbedienza va rifiutata. Il problema si pone più per i sacerdoti che per i
fedeli, i quali sono relativamente liberi di scegliere dove curare la propria
fede. Per quei ministri per i quali non c’è più posto nelle ordinarie strutture
pastorali e che, dall’altra parte, hanno fiutato il pericolo nascosto, l’unica
soluzione praticabile sembra quella della vita eremitica, visto che tutte le
porte si sbarrano al loro passaggio; ma intorno a loro possono inaspettatamente
fiorire opere nuove, le vere sorprese
dello Spirito.