Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 30 dicembre 2017


Papaveri e papere



L’anno politico si è concluso con un altro spaventoso attacco all’inviolabilità della vita umana, che apre a crimini ancora peggiori. Chi avrà dichiarato di non voler essere curato, quando qualcun altro deciderà al suo posto che non bisogna insistere, potrà essere soppresso. In un futuro non lontano sarà il turno di quelli che già oggi non possono esprimersi: dementi, disabili e persone in coma. La mentalità nazista ha ormai conquistato non solo i politicanti, miserabili burattini in mano ai poteri occulti, ma anche la maggioranza della popolazione e i dirigenti della “neochiesa”, che non hanno battuto un colpo. Una strategia mediatica a medio termine, soprattutto mediante popolari serie televisive, ha ipnotizzato le menti e intorpidito i cuori: nonostante i dilemmi emotivi dei personaggi, tutte le storie si concludono con un’ineluttabile sentenza di morte. E poi, per la povera Eluana e il piccolo Charlie, lasciati morire in modo disumano, quanti ancora sono stati in grado di distinguere tra una fiction e la realtà reale?

La morale cattolica non ha mai prescritto l’accanimento terapeutico, ma esige – come già la retta ragione – che si mettano in atto tutte le cure possibili (purché siano proporzionate all’effetto che ci si può ragionevolmente attendere) e che ogni malato venga assistito fino all’ultimo. Morire di fame e di sete non è certo un modo più umano o dignitoso di concludere l’esistenza, specie se non ci si può più esprimere né far rispettare. Ma questo è un altro di quei “progressi” che sono stati decretati da quegli stessi satanisti che hanno imposto i nuovi vaccini, veri e propri veleni capaci di provocare, in certi casi, autismo, ritardi nella crescita e deficit immunitari; sembra che in alcuni di essi ci siano anche sostanze prelevate dai feti abortiti. Vien da chiedersi per qual motivo se ne siano felicitati tanto Vincenzo e Francesco.

Naturalmente ogni operatore sanitario, cattolico o no, è obbligato dalla coscienza a rifiutarsi di applicare l’iniqua legge, che contraddice radicalmente la missione e la deontologia medica. Una disposizione umana che violi palesemente la legge naturale e quella rivelata non ha forza di obbligare nessuno; al contrario, è un obbligo morale opporle resistenza, costi quel che costi. Se la maggioranza del personale pubblico e privato si rifiuta di applicarla, non possono licenziarli tutti, salvo chiudere cliniche e ospedali. Bisogna prendere coscienza del potere che può acquisire un numero crescente di persone che vadano in senso contrario a quello imposto dal totalitarismo massonico che governa il mondo: i movimenti per la vita americani insegnano. Anche nella Chiesa, grazie a Dio, la loro voce si è provvidenzialmente alzata e non la si potrà ignorare. Gridate, ribellatevi, rifiutate l’obbedienza a chi va fuori strada e vuol condurvi fuori strada.

Non vorremmo montarci la testa, ma dobbiamo prendere atto che, dopo la consacrazione della Santa Sede al Cuore Immacolato di Maria, hanno cominciato a levarsi delle ventate che stanno facendo tremare più d’un papavero vaticano. Il primo è stato il fabbriciere di San Pietro, di cui si è venuto a sapere, a metà novembre, che ha insabbiato uno scandalo di pedofilia che supera l’immaginazione, semplice punta di un gigantesco iceberg cresciuto per decenni proprio sotto i suoi occhi. A sua difesa ha affermato che l’accurata “inchiesta” interna, da lui promossa a suo tempo, non avrebbe appurato se non puerili dicerie e calunnie; ciononostante – già che c’era – ha totalmente rinnovato l’équipe del seminario coinvolto: come mai, se filava tutto liscio? Ma la credibilità (e il pudore), a quanto pare, non è in cima alle sue preoccupazioni. E poi, suo malgrado, c’è santa Teresa di Calcutta a fargli da sponsor, oltre ai finanzieri dell’Urbe e dell’orbe.

Il secondo, a stretto giro, è il brillante biblista meneghino che gira il mondo per cortili di pagani e relativi riti animisti, degno epigono di quel suo maestro in grembiulino che metteva in cattedra gli atei e pose giustamente termine alla sua vita con un’iniezione letale, immolandosi così alla causa del “progresso”. Il porporato (Vanda, per le amiche) presiede uno di quei tanti dicasteri inutili – o, meglio, dannosi – che costano alla Santa Sede una vera e propria emorragia di denaro che finisce nelle tasche di solerti funzionari, faccendieri e gigolo. A quanto pare, la sua passione per la cultura non ha confini, tanto è vero che un suo usciere si è fatto beccare dai Carabinieri in possesso di parecchie dosi di cocaina e di cinque pennette zeppe di materiale pedopornografico, che secondo gli inquirenti doveva consegnare a qualcun altro. Il poveretto, in prigione da quattro mesi, non si è ancora fatto sfuggire un fiato: meglio qualche annetto di galera che un pilastro di cemento come tomba.

È poi la volta – udite, udite – di colui che è il braccio destro del Dittatore nella “riforma” della Curia, l’avvocato dei poveri e delle periferie, quello che ha dato del pover’uomo frustrato nella scalata al potere a un suo collega cardinale che si era permesso di esprimere dei dubia. È saltato fuori che, in qualità di gran cancelliere dell’università cattolica dell’arcidiocesi da lui diretta in America Centrale, il pover’uomo (lui, sì) riceveva come rimborso-spese la modica cifra di 35000 (trentacinquemila) euro… all’anno? macché, al mese: che diamine, con tutti i viaggi che deve fare per “lavoro”… Il suo ausiliare, non meno ben pagato, ha potuto provvedere di automobile, nonché di appartamento in centro, l’amico messicano che, fino a quel momento, aveva ospitato sotto il proprio tetto: questa sì che è accoglienza dei migranti! Non è ben chiaro, invece, che fine abbia fatto il fiume di soldi che lo Stato honduregno ha versato per anni a fantomatiche fondazioni diocesane che si occupano di formazione e sviluppo (leggi: cortine fumogene).

Forse son solo avvertimenti mafiosi o regolamenti di conti per mezzo di giornalisti prezzolati, ma se l’Immacolata vuol rovinare quegli ipocriti lasciando che si sbranino fra loro, ben venga. Ora ci auguriamo che anche Vincenzo e Marcelito, se non altro per par condicio, abbiano il loro momento di gloria. Certo, i due sono già abbastanza noti al pubblico: il primo (che ha lasciato in diocesi una voragine finanziaria) per l’intima amicizia con il fu Giacinto detto Marco; il secondo per le conferenze di altissimo livello, opportunamente ospitate nel Casino di Pio IV, cui invita i più zelanti apostoli della riduzione della popolazione mondiale (perseguìta mediante aborto, contraccezione, sterilizzazione, omosessualismo, eutanasia e vaccini di ultima generazione). Intanto le case farmaceutiche, vere responsabili dell’accanimento terapeutico e di tante altre mostruosità, esultano, visto che la Chiesa Cattolica, da nemica, è diventata la loro migliore alleata. Presto anche da noi, oltre a tutto il resto, il servizio sanitario nazionale fornirà simpatiche fialette per “sedare” il nonno che soffre, o magari un’opportuna cura ormonale per frenare lo sviluppo del bambino in attesa che decida se si sente maschio o femmina…

Viva il progresso! Finalmente anche la Chiesa ha ricuperato il ritardo di ben duecento anni che l’aveva esclusa da quell’irresistibile sviluppo che porta il mondo verso il suo compimento, culmine di un’evoluzione immanentistica che il cardinale suicida, in alcune notturne conversazioni gerosolimitane, identificava nientemeno che con… Dio! Ecco qual era la sua vera “fede” (e qual è quella dei discepoli di lui che, nelle medesime conversazioni, si era umilmente definito antepapa): una fede massonica in piena regola, tanto di cappello! I frutti del paziente lavorio preparatorio stanno finalmente maturando; non c’è nemmeno voluto un Vaticano III, è bastato un Bergoglio con qualche altro squinternato della stessa risma. Elementare, Watson, elementare… Ma tutti quei papaveri, se arriva un colpo di vento, rischiano di rimanere senza petali. Noi saremo pure papere, ma il vento e l’acqua ci scivolano sulle piume; ci siamo abituati.

Deus meus, pone illos ut rotam et sicut stipulam ante faciem venti (Mio Dio, rendili come turbine e come pula di fronte al vento; Sal 82, 14).

sabato 23 dicembre 2017




















Profezia di Natale



Aperite portas, et ingrediatur gens iusta, custodiens veritatem. Vetus error abiit: servabis pacem; pacem, quia in te speravimus (Is 26, 2-3).

Ciò che consente al cristiano di attraversare le prove più dure è la certezza del trionfo finale della verità e del bene. Lo sguardo profetico, al di là del tempo presente, scorge in anticipo il compimento dei piani divini. Nella Città di Dio le porte sono già spalancate all’ingresso del popolo giusto, quello che custodisce la verità, ovvero la crede e la osserva. Il profeta vede già realizzato ciò che quel popolo attende: il vecchio errore s’è dileguato e il Signore concede la pace – quella pace, tuttavia, di cui non può godere se non chi l’ha desiderata, attesa e preparata sperando attivamente in Lui e rendendosene degno con una fedeltà a tutta prova.

Qualsiasi errore è già vecchio nel suo stesso sorgere, in quanto frutto di un regresso alle opinioni umane e di una chiusura all’eterna novità della verità rivelata. L’unica eresia veramente originale è quella di Lutero, che in questo si distingue effettivamente dagli altri eresiarchi. Essa non soltanto è all’origine dello storicismo, del soggettivismo e del relativismo moderni, ma distrugge pure il nocciolo della vita cristiana e, portata alle estreme conseguenze, scardina i misteri principali della fede, tanto l’unità e trinità di Dio che l’Incarnazione redentrice. Altri sedicenti “riformatori”, invece, riprendono idee vecchissime rivestendole di un abito “cristiano” e rendendole così ancora più perniciose, come fa Calvino con la predestinazione: se l’Eterno concede la grazia solo agli eletti, tutti gli altri devono inevitabilmente peccare (e sono, in fin dei conti, scusati).

Sulla scia del frate rinnegato, nel vano tentativo di ricuperarlo, un teologo “cattolico” considerato – supremo inganno! – paladino dei conservatori è giunto a sostenere addirittura un conflitto tra le Persone divine: secondo Hars Urs von Balthasar, non sarebbe stato il povero Giuda a tradire Cristo, ma il Padre stesso, che lo avrebbe abbandonato alla condanna… È molto peggio delle rozze sparate dell’inquilino di Santa Marta: è una bestemmia che attribuisce il male a Dio. Altri pseudoteologi contemporanei (che sarebbero già caduti nell’oblio, se non fossero i manuali delle facoltà a riesumarli) arrivano a presentare l’uomo come un essere costitutivamente viziato e incline al peccato, al quale solo una divinità sadica, vera responsabile del male, può imporre norme morali assolute che non è in grado di osservare: di qui il proclama di un’epicheia universale e permanente, cioè di una totale e definitiva sospensione dell’etica. Di nuovo, sotto il sole, ci sono soltanto assurdità del genere – sempre che non si tratti di reviviscenze del manicheismo.

Perfino la “nuova” Messa, strumento privilegiato della rivoluzione conciliare, era già vecchia quando fu illegalmente imposta, visto che non è altro che una riedizione della “messa” protestante di Lutero e di Cranmer. Facendo astrazione dalla fondamentale opposizione tra sacrificio e riunione fraterna, secondo le icastiche osservazioni di due monaci tradizionali le differenze tra il vetus e il novus ordo si possono sintetizzare nel fatto che il primo è rivolto a Dio, il secondo all’uomo; il primo sostiene la fede, il secondo dev’essere sostenuto dalla fede; il primo – mi permetto di aggiungere – comunica al sacerdote i sentimenti di un sovrano invincibile che esce in battaglia con la certezza assoluta di riportare vittoria, il secondo ingenera in lui il disagio di un attore costretto a recitare una parte scadente e per nulla convincente.

Chi non ha la possibilità di frequentare la Messa di sempre, ovviamente, deve fare del suo meglio con ciò che è a sua disposizione: cerchi una celebrazione che sia per lo meno decorosa o, se non c’è altro, sopporti e offra con fede, guardando profeticamente alla fine dell’errore come a cosa già avvenuta. Il Signore ricompensa largamente la pazienza umile, fiduciosa e perseverante; a volte, per incoraggiarci, ci fa persino pregustare per un istante il premio che ci tiene in serbo nella Sua città, le cui porte sono fin d’ora aperte alla contemplazione e all’amore. Tante amarezze non potranno sommergerci, se il nostro cuore è fisso là dov’è la vera pace, fondata sulla giustizia e sulla fedeltà (anzitutto quella di Dio verso di noi, ma anche, per Sua grazia, la nostra verso di Lui).

La nave della Chiesa, certo, sembra andare alla deriva, in mano a cattivi nocchieri che ne hanno preso i comandi per schiantarla sugli scogli del mondo facendo credere – come ho dovuto sentire con le mie stesse orecchie da due diversi penitenzieri pontifici – che le cose non siano mai andate meglio e che le nuove indicazioni riguardo ai divorziati risposati non contengano nulla di contrario alla dottrina. D’accordo, ammettiamo pure che nelle istituzioni romane ci sia stato un totale ricambio di personale, come nelle peggiori dittature; ma almeno un po’ di pudore me lo aspettavo ancora, in anziani religiosi che fino a pochissimi anni fa davano una garanzia di ortodossia. L’allineamento, comunque, non è completo, come dimostra il coraggioso manifesto dei movimenti per la vita, che rappresenta un’efficace forma di resistenza.

So bene, cari fratelli, quanto vorreste vedere i vostri sacerdoti uscire allo scoperto, ma non avete idea delle ritorsioni cui ci esporremmo, che ci neutralizzerebbero completamente. D’altra parte (almeno finché non sarà inevitabile) non intendo cedere alla tentazione di pormi in una situazione irregolare: non è per codardia né per ossequio ai cattivi Pastori, ma per fedeltà alla costituzione divina della Chiesa e, quindi, per obbedienza a Dio. Non si tratta di cavilli formali, ma di una questione fra le più sostanziali: essere membro vivo della Chiesa visibile significa appartenere pienamente al Corpo mistico di Cristo e comunicare a tutti i beni soprannaturali che circolano al suo interno. Se ci sono Pastori che, di fatto, ne sono separati dall’eterodossia o dalla disobbedienza a Colui che rappresentano, è un problema anzitutto per loro, ma questo non deve portarci a rifiutare il loro ruolo in se stesso: noi, continuando a riconoscere l’autorità apostolica (sebbene sia da alcuni detenuta in modo illegittimo), rimaniamo nel Corpo a tutti gli effetti.

La barca – come potete vedere nell’affresco sopra riprodotto – non è abbandonata a se stessa: al timone c’è san Pietro, a prua ci sono gli angeli e, al centro, la Madre del Signore. Stando tra le Sue braccia, il Bambino riconsegna le chiavi al Pescatore: anche questa è una profezia. Quel potere che, in questo momento, nessuno esercita nel modo e per il fine stabiliti da Cristo sarà di nuovo trasmesso a qualcuno che, con l’aiuto della fede e della grazia, ne sia all’altezza. Coraggio, dunque: il Cielo è con noi, seppure invisibilmente. La Madre di Dio e della Chiesa sta per intervenire. Non è Lei, ovviamente, a detenere il potere delle chiavi, ma è per Suo mezzo che il Figlio vuol conferirlo a un prediletto della Regina, a un apostolo degli ultimi tempi.

Rinunciamo a pronostici, messaggi e segreti (di cui c’è un’inflazione quanto meno sospetta) e lasciamo a Lei la scelta. Non ci è chiesto di prevedere i dettagli o di conoscere in anticipo quanto non è necessario alla nostra santificazione, ma solo di nutrire fede, speranza e carità – senza trascurare alcuna delle tre. Rimaniamo con fiducia nella barca, respingendo ogni subdola tentazione di fabbricarci illusorie scialuppe: la Chiesa è una, quella di Cristo; non ce n’è una vera e una falsa, bensì l’unica Chiesa è in stato di occupazione. Si avvicina però il momento in cui quanti ne sono a capo solo in apparenza, in quanto apostati o eretici, saranno buttati a mare, se non si saranno convertiti. Per noi, invece, valga il luminoso auspicio di san Paolo: «La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4, 7; leggere con calma tutto il capitolo). Auguro a tutti voi un Natale gioioso e benedetto.

N.B. A scanso di equivoci, il luogo in cui si trova l’affresco non è un indizio utile a individuarmi: ho visitato la chiesa, ma non sono fra i sacerdoti che la servono.

sabato 16 dicembre 2017


Corone d’Avvento



In un’epoca in cui si relativizzano anche le norme cultuali più sacre, spuntano spontaneamente (scusate l’allitterazione) nuove osservanze che in breve tempo diventano obbligatorie. Tale è il caso delle cosiddette corone d’Avvento, che sono ormai immancabili in chiese, oratori, refettori e sale di rappresentanza; manca solo che si elabori un rito per l’accensione e lo spegnimento dei ceri. Qua e là, in qualche convento, potrebbe esserci chi ha lodevolmente provveduto a questa intollerabile carenza, ma in ogni caso la nuova usanza è seguita con uno zelo e una precisione straordinari. È proprio vero: l’uomo ha bisogno di rituali; se le “riforme liturgiche” glieli riducono al di sotto del minimo vitale, se ne inventa di nuovi.

Naturalmente non mancherà chi, sulla scorta della visione orizzontalistica che è invalsa anche nella Chiesa, sentenzierà prontamente che si tratta di un bisogno puramente psicologico di sicurezza. Moltiplicare i rituali è certamente un sintomo di nevrosi, ma la presenza di un numero contenuto di essi è caratteristica della vita di tutti. La ritualità, in effetti, è un fatto antropologico: essa è una dimensione della vita umana – e non solo nelle culture antiche o in quelle primitive. La società postmoderna non celebra più il Natale cristiano, ma lo ha trasformato in una “festa d’inverno” con tutte le sue imprescindibili osservanze. Oggi ci sono “comandamenti” sociali che non si possono assolutamente disattendere, per la gioia di mercanti e operatori turistici.

La ritualità – quella seria – è un modo in cui l’uomo dà un significato superiore alle attività utili o necessarie alla sua esistenza, o meglio riconosce ed esprime il significato che esse hanno già di per sé in quanto compiute da un essere dotato di coscienza e libero arbitrio. Gli stessi atti legati alla nutrizione e alla riproduzione, che l’uomo ha in comune con gli animali, portano in sé ben altro valore e manifestano la sua natura relazionale. Non a caso si mangia intorno a un tavolo; l’uomo e la donna, unendosi secondo natura, si guardano necessariamente in volto, a differenza delle bestie. Tutto ciò che riguarda la conservazione e la trasmissione della vita, lungi dal rimanere confinato al piano meramente fisico, è elevato dalla dignità umana a un grado superiore.

Gli etologi insorgeranno affermando che la realtà dei rituali non è esclusiva all’uomo, essendo riscontrabile anche nel regno animale. Di fatto, però, nessun’altra creatura è consapevole di ciò che fa o può scegliere liberamente tempi, modi e circostanze per farlo. L’uomo non è totalmente determinato dall’istinto né da leggi naturali; la stessa conservazione della vita e della specie può essere posposta a valori di ordine superiore all’esistenza terrestre, perfino nel paganesimo. Fra gli animali i rituali sono indizi del fatto che il Creatore ha ordinato l’universo in vista e in funzione dell’uomo, Suo capolavoro, disponendo un’ascesa graduale dalla vita vegetativa a quella sensitiva a quella razionale. Qualcosa di ciò che è caratteristico ed esclusivo della creatura dotata di anima spirituale è in qualche modo abbozzato nelle creature inferiori.

È la dignità stessa della persona umana – oltre al rispetto degli altri – che esige il pudore nel modo di presentarsi e nelle manifestazioni affettive più intense, che è naturale riservare a tempi e luoghi di intimità; è proprio su questo punto, fra gli altri, che i poteri occulti ci violentano da decenni con mode, spettacoli e usanze indecorose cui tanti si sono assuefatti, degradandosi a bestie. Ma ci sono anche abitudini apparentemente meno nocive, sebbene non poco diseducative, come quelle legate ai pasti. Per esempio, è gravemente sbagliato permettere ai bambini e agli adolescenti di abbandonare la tavola prima che tutti abbiano finito di mangiare e che il pasto si sia concluso: è come dire che si è lì unicamente per rifocillarsi ed è come se le altre persone non ci fossero.

L’essere umano, per sua stessa natura, riconosce una gerarchia di valori fondata sulla sua dignità intrinseca, che a sua volta dipende dalla sua origine. L’uomo riconosce tale gerarchia dall’interno della sua coscienza, prima ancora che in virtù di norme positive. La legge naturale è inscritta nella sua ragione quale evidenza di una legge immutabile, quella divina, che la Rivelazione, accolta mediante la fede, completa e perfeziona. Ogni suo gesto, dal più piccolo al più grande, deve essere regolato e plasmato dalla volontà del Creatore, la sola che possa condurlo al suo pieno compimento. Abituare i piccoli a trascurarla nei comportamenti ordinari significa renderli incapaci di riconoscerla e osservarla in quelli decisivi e nelle grandi scelte della vita.

La natura spirituale dell’uomo nobilita dunque, già di per sé, le attività che ha in comune con gli animali; la grazia, poi, le eleva ulteriormente in quanto sono proprie di un essere che non solo è immagine di Dio, ma è anche Suo figlio adottivo, partecipe della Sua vita soprannaturale. Per questo l’unione sessuale può avvenire lecitamente soltanto all’interno del matrimonio, che è già indissolubile per diritto naturale e, per i battezzati, è un sacramento, cioè un atto compiuto da Cristo stesso mediante i ministri umani (quindi un atto su cui nessuna autorità terrena ha potere). Per questo i cristiani pregano prima e dopo i pasti, chiedendo la benedizione del Creatore e rendendogli grazie per i Suoi doni, che sono loro concessi per aiutarli a pervenire alla mèta eterna.

Oggi, nella confusione metafisica in cui è immersa, la gente tende a considerare persone anche gli animali, ma credo proprio che nessuno accetterebbe, non dico di mangiare nella ciotola del cane, ma nemmeno di lavarla con le stoviglie. Tante donne che non hanno prole e ricorrono a tutti i mezzi per non averne, accoppiandosi magari come capita, trattano poi i loro cagnolini come fossero figli, ma non hanno affatto l’aria di donne felici e realizzate. Viceversa, provate a dare del cane al figlio di qualcuno… D’altro canto, c’è chi insegna nelle scuole che la bestialità è un’opzione sessuale fra le tante. Vedete dove ha portato la “libertà di coscienza”, basata su una falsa esaltazione della dignità umana? Tanti sventurati hanno perso non solo la fede, ma anche la ragione e la dignità stessa.

Il Verbo divino si è incarnato, certo, per svelare all’uomo l’altissima sua vocazione, elevandone al contempo la dignità in modo impensabile, come recita un testo della Gaudium et spes diventato un “tormentone” della teologia postconciliare. C’è tuttavia un piccolo dettaglio che, forse, è rimasto un tantino in ombra: che l’uomo, cioè, era separato da Dio a causa del peccato originale nonché di tutti i peccati susseguenti e doveva quindi esser liberato dal potere del diavolo mediante il sacrificio del Figlio, nato nella carne per poter soffrire e morire sulla croce al posto dei peccatori e in espiazione delle loro colpe. L’ottimismo rimane, sì, ma più prudente, umile, vigilante; meglio giustificato, ma conscio dell’inevitabile battaglia: la salvezza ottenuta deve estendersi a tutta l’esistenza e la si può ancora perdere, specie se la si considera solo una bella sverniciata che nasconde la ruggine, facendoci apparire giusti anche se continuiamo tranquillamente a peccare in materia grave…

Alla fin fine, norme e osservanze (quelle importanti) sono proprio necessarie. In tanti campi, però, la “neochiesa” dirotta l’attenzione sulle stupidaggini, quasi che certe pratiche avessero il potere di sanare automaticamente adultèri, fornicazioni, sodomie e impurità varie, per non parlare delle tremende ingiustizie su cui prospera l’attuale sistema socio-economico… Ma perché guastarvi le feste con questo genere di considerazioni? Perché ormai nessuno vi rimane estraneo, nemmeno i bambini. Quali raccapriccianti violenze, per esempio, è costata l’estrazione della lega indispensabile alla fabbricazione dello smartphone o del tablet che è sotto l’albero? Sarebbe interessante parlarne, ma vi toglierebbe l’appetito; magari un’altra volta. Partendo dalle corone d’Avvento, sono andato un po’ troppo lontano. Nella misura del possibile, prepariamoci a un santo e sereno Natale.

sabato 9 dicembre 2017


Festina tempus



Excita furorem, et effunde iram. Tolle adversarium, et afflige inimicum. Festina tempus, et memento finis, ut enarrent mirabilia tua (Sir 36, 8-10).

Ecco un’altra preghiera da ripetere spesso; il buon Dio capisce il latino. «Eccita il (tuo) furore ed effondi la (tua) ira. Togli di mezzo l’avversario e punisci il nemico. Affretta il tempo e ricordati della fine, perché (i fedeli) narrino le tue meraviglie». Non è cristiano pregare così? E chi l’ha stabilito? Quelli che hanno purgato perfino la Sacra Scrittura, togliendo queste parole dall’Ufficio divino? Quelli che si sono inventati un nuovo culto conforme alle loro idee eterodosse e velleità puerili, rigettando al contempo quello trasmessoci in continuità fin dall’epoca apostolica? Lutero e gli altri sedicenti “riformatori”, in fin dei conti, han fatto esattamente la stessa cosa: hanno espunto dalla Bibbia i testi scomodi alle loro opinioni eretiche e fabbricato ex novo riti e preghiere corrispondenti. E mano male che l’uomo – a dir loro – non ha alcun ruolo nella propria salvazione né deve averlo: sarebbe un errore tipicamente papista, una volgare bestemmia che oscurerebbe il primato di Dio…

Ci vuol poco a comprendere che non siamo noi a giudicare la Parola divina, ma è quella che giudica noi. Tutti i libri accolti nel canone della Scrittura sono interamente ispirati dallo Spirito Santo, hanno cioè per autore principale Dio stesso, che si è servito di autori umani perché scrivessero tutto e soltanto ciò che voleva Lui. Certamente non li ha usati come strumenti inerti: la Bibbia non è stata dettata (come i musulmani pretendono per il Corano), ma, per quanto la sua composizione – soprattutto per l’Antico Testamento – sia stata complessa e risenta delle culture antiche, ogni sua parola è sacra perché proveniente dal Verbo, che dopo essersi espresso in parole umane per mezzo di Mosè e dei profeti, ha assunto la nostra natura per poterci parlare a faccia a faccia con la Sua stessa bocca. Ciò che dell’antica alleanza risulta caduco o transitorio va letto alla luce della piena rivelazione avvenuta in Cristo.

Se poi un testo è entrato nella preghiera pubblica della Chiesa, ciò è segno inequivocabile del fatto che la Chiesa non solo ne accetta la validità permanente, ma vi riconosce la voce del suo Sposo che intercede per essa e parla al Padre a nome del Suo Corpo mistico. Vorrebbero correggere anche il Suo pregare, ritenendosi migliori di Lui? Pare proprio di sì, visto come si stanno affannando a modificare le traduzioni del Pater e di altri testi biblici. Naturalmente vi assicureranno che stanno unicamente cercando di adeguare il linguaggio alla mentalità contemporanea. Il fatto è che tutti questi “adattamenti”, in realtà, dopo aver protestantizzato buona parte dei cattolici, ora proseguono verso la piena trasformazione della fede cristiana in gnosi panteista: quel “dio” con cui ognuno si identifica non può esprimersi in modo così fastidioso per la sua sensibilità…

Molti chierici, oggi, sembrano voler apparire più misericordiosi del Signore. Forse non hanno compreso che l’ira e il furore di cui parla la Scrittura non vanno assimilati a quelli di noi peccatori, ma esprimono la giustizia e, al contempo, la misericordia di Colui che è infinitamente santo, buono ed equanime: egli punisce necessariamente i peccati, ma corregge parimenti chi li commette, per il suo ravvedimento e la sua salvezza. I nemici della Chiesa, poi, devono necessariamente essere neutralizzati, per il bene dei fedeli, ma pure come opportunità di conversione per loro. Gesù stesso ha promesso che il tempo di prova sarebbe stato abbreviato dalle preghiere degli eletti, altrimenti nessuno si salverebbe (cf. Mt 24, 22). Vedete come il Nuovo Testamento illumina l’Antico e rende pienamente comprensibile anche ciò che, di primo acchito, ci mette a disagio?

La tragedia dell’età moderna e contemporanea è cominciata con Lutero e con il suo libero esame. L’uomo ha preteso così di appropriarsi della Parola di Dio e di riformularne le esigenze in base ai suoi bisogni soggettivi di peccatore impenitente e refrattario alla grazia (ciò che, storicamente, fu il cattivo frate che poi si dannò). Quando, nella Chiesa Cattolica, si è smesso di giudicare il ribelle per quello che realmente è stato, i germi pestiferi del suo “pensiero” sono penetrati al suo interno e vi hanno proliferato, finché un “papa” non è arrivato al punto, non dico di riabilitarlo, ma praticamente di canonizzarlo. L’interesse della manovra è più che evidente: bisogna spezzare la continuità del Magistero e cancellare l’idea stessa che ci siano giudizi irreformabili della Chiesa in materia di fede e di morale. Tutto si può modificare: riti, prassi, dottrine… Bisognava che l’eretico per antonomasia diventasse profeta perché si potesse portare a termine la rivoluzione.

Così ormai non esistono più norme morali universalmente vincolanti; la loro applicazione varia a seconda dei casi e delle situazioni, che vanno fatte oggetto di discernimento; gli individui possono anche non essere responsabili della condizione irregolare in cui si sono liberamente posti. È vero, purtroppo, che ci sono storie molto dolorose e vicende talvolta insolubili a sguardo umano; ma la ragione ci mostra che gli assunti appena menzionati sono semplicemente assurdi, mentre la fede ci insegna che i Comandamenti non obbligano perché uno comprende il valore di cui sono portatori, bensì perché sono stati dati da Dio, al quale si deve semplicemente obbedire sotto la guida della Chiesa. Che un “libero pensatore”, nei suoi aberranti vaneggiamenti, rifiuti questi princìpi non fa alcuna meraviglia, sebbene sia una grave offesa al Creatore; ma che lo faccia un cattolico – o addirittura un Pastore – è uno scandalo accecante.

Alla fine l’uomo non è in grado, nemmeno nel regime della grazia, di osservare la legge morale, che diventa un ideale da raggiungere; la vita cristiana non mira più alla santificazione, ma ad una fallace autogiustificazione; la Chiesa si trasforma in un ospedale in cui, anziché curare i malati, li si “aiuta a morire”… ma della morte eterna. Questo è l’effetto della “medicina” offerta dal pastore insensato profetizzato da Zaccaria, «che non avrà cura delle pecore che si  perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate» (Zc 11, 16). Ora sono giunti a pubblicare nell’organo ufficiale della Santa Sede, gli Acta Apostolicae Sedis, un insegnamento eretico da lui approvato: la nota pastorale dei vescovi della sua regione di origine (con la relativa lettera papale di conferma) che ammette alla comunione eucaristica persone in stato di peccato grave manifesto e continuato. Secondo il rescritto pontificio firmato dal cardinal Parolin, si tratterebbe di magistero autentico, che non è infallibile, ma esige il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà. Per inciso: qual è la competenza del Segretario di Stato in materia di dottrina?

Per il nostro religioso ossequio, comunque, possono star freschi. Possiamo anzi affermare, a questo punto, che siamo di fronte alla formalizzazione di un’eresia già pubblicamente denunciata da più parti, quindi non più implicita o nascosta; eresia che, seppure indirettamente, nega l’indissolubilità del matrimonio e costituisce altresì un principio con cui si può annullare qualsiasi norma morale e, di conseguenza, l’intera dottrina cattolica. Il capovolgimento totale rispetto al Magistero precedente non può essere più evidente; di fatto lo era già prima, ma ora è stato ufficializzato a tutti gli effetti. La pubblicazione di un testo applicativo sugli Acta Apostolicae Sedis ha valore di promulgazione legislativa per tutta la Chiesa Cattolica: in altre parole, il documento dei vescovi argentini acquista valore di legge universale. Tuttavia una legge meramente ecclesiastica che contraddica palesemente la Sacra Scrittura e la Tradizione è di per se stessa nulla e, quindi, non obbliga nessuno. D’altra parte, è lecito rifiutare l’assenso anche all’insegnamento erroneo su cui essa si fonda, il quale rende colpevole di eresia chi la promulga (eresia che non può più essere dissimulata proprio a motivo di questo carattere di ufficialità).

Evidentemente il Signore ascolta le preghiere, accorciando i tempi della risoluzione del dramma. Il precipitare della situazione risponde in realtà a scadenze ben ponderate da parte dei rivoluzionari, che credono di poter gabbare tutti con la tecnica della “rana bollita”, ovvero con la strategia dei “piccoli passi” o dei “processi” da mettere in moto… Ma i cattolici fedeli non si lasciano certo incantare da queste ridicole manfrine e devono ormai tenersi pronti a dichiarare decaduto l’eretico. Secondo san Roberto Bellarmino, dottore della Chiesa, in questo caso non c’è alcun bisogno di un procedimento di deposizione dall’ufficio (del resto impossibile, non essendoci sulla terra un’autorità superiore): basta che il papa si trovi di fatto in eresia perché decada ipso facto dalla sua carica, in quanto cessa di essere membro della Chiesa visibile. Ora, oltretutto, l’eresia – pur essendo già notoria – si è resa ufficialmente manifesta e abbiamo quindi il diritto di dichiararla, reclamando contestualmente l’allontanamento dell’usurpatore.

Excita furorem, et effunde iram. Tolle adversarium, et afflige inimicum. Festina tempus, et memento finis, ut enarrent mirabilia tua… et liberentur dilecti tui (Sal 107, 7).

sabato 2 dicembre 2017


Senza rete



«Tu sei qui; va tutto bene. Tutto è nelle tue mani; al momento giusto interverrai. Nell’economia della grazia, un solo atto di obbedienza perfetta è più efficace di mille battaglie». Stampatevi nella mente queste parole e ripetetele spesso davanti al tabernacolo, ogni volta che potete. Da una parte, esse vi impediranno di sprofondare nello sconforto a causa dell’attuale situazione della società e della Chiesa; dall’altra, potranno preservarvi dalla trappola della volontà propria, che può finire col dettar legge anche nelle cose di Dio, con il risultato – in realtà – di distaccare da Lui i Suoi stessi zelatori. I nostri modelli di eroica obbedienza siano Padre Pio e don Dolindo Ruotolo. Al contrario la disobbedienza, sia pure in nome di Dio, finisce sempre, alla lunga, col separare l’anima dal suo Sposo e col provocare sciagurate divisioni, a meno che non si tratti di resistere, com’è doveroso, a ordini palesemente contrari alla Legge divina.

Melius est mihi incidere in manus hominum, quam derelinquere legem Dei mei: per me è meglio cadere nelle mani degli uomini, piuttosto che abbandonare la legge del mio Dio. Così l’Ufficio divino parafrasa il gemito della casta Susanna, posta dai due vecchi lussuriosi nell’alternativa tra cedere al doppio adulterio e la condanna a morte per lapidazione (cf. Dn 13, 23). Ci sono casi in cui la fedeltà al Signore può richiedere il martirio, come avvenne a migliaia di sacerdoti e religiosi che non accettarono lo scisma di Enrico VIII e per più di un secolo subirono una delle persecuzioni più feroci della storia, con supplizi, torture e modalità di esecuzione di una crudeltà belluina. La novità dell’ora presente è che la persecuzione viene non da eretici e scismatici come luterani, anglicani e calvinisti, ma dall’interno della Chiesa Cattolica, dai suoi stessi vertici, che hanno invece il compito di guidarci e confermarci nella fede.

Oculos suos statuerunt declinare in terram (Sal 16, 11): hanno deciso di abbassare gli occhi a terra. Ecco il dramma che viviamo nella Chiesa da ormai più di mezzo secolo: i suoi Pastori, in buona parte, hanno distolto gli occhi dal Cielo per puntarli sul mondo, stabilendo al contempo che tutti – suprema forma del più perverso clericalismo – dovessero fare altrettanto e bollando con i termini più infamanti, escludendolo dalla vita ecclesiale, chiunque si rifiutasse di seguirli. A un certo punto una situazione prolungata di isolamento e di ingiustizia, unita a un sentimento di impotenza, può far sprofondare un’anima, dal punto di vista psicologico, nello sconforto più nero. Ecco allora che la Madre celeste, per il ministero degli angeli, suggerisce la risposta giusta a chi frequenta il santo tabernacolo e dinanzi ad esso effonde il suo cuore: «Tu sei qui; va tutto bene. Sei tu che salverai la Chiesa». Sperate in eo, omnis congregatio populi, effundite coram illo corda vestra: Deus adiutor noster in æternum (Sal 61, 9).

La fede, ci vuole la fede: una fede nuda, pura e semplice, affinata come oro nel crogiuolo della tribolazione, non solo esterna, ma soprattutto interiore: quella sofferenza straziante di chi, dopo aver dato la vita per la Sposa di Cristo prendendola, in Lui, come propria sposa, la vede, in buona parte della sua componente terrena, prostituirsi in modo indegno a questo mondo di tenebre e ai suoi signori, come li chiama l’esorcismo maggiore riprendendo le parole di san Paolo (cf. Ef 6, 12). La fede, questa nuda e incrollabile fede, si esprime nella preghiera che vi ho (e mi è stata) suggerita; quella fede pura che, prolungandosi nella speranza e alimentando la carità, si manifesta poi in un’inalterabile mitezza e benevolenza, specie verso i più piccoli. Stiamo attenti a non perderla proprio nello sforzo di difenderla: sarebbe la peggiore delle sciagure.

Alla terribile tentazione dello scoraggiamento dobbiamo opporre il ricordo frequente dei benefici di Dio, in particolare di tre grazie inestimabili che sono fondamentali: l’aver potuto conservare, in tutta questa spaventosa confusione, nonostante tutti i nostri peccati e debolezze, il triplice tesoro di una fede sana, di una coscienza retta e della sanità mentale. Ovviamente non bisogna per questo adagiarsi sugli allori; occorre al contrario continuare, senza stancarsi, a custodirle e coltivarle con buone letture che educhino l’anima e la mente, insegnando al tempo stesso a trasformare in vita quanto compreso nello studio. Solo così la nostra fiducia in Dio sarà preservata dalla temerarietà di chi confida in Lui senza fare la propria indispensabile parte: gratia non tollit naturam, sed perficit! La grazia non elimina la natura (cioè il nostro sforzo umano), ma la perfeziona.

Soltanto così potremo librarci nel vuoto senza rete, come un acrobata che è sicuro di trovare una mano che lo afferri. Anche se tutto, intorno a noi, sta crollando e ci sembra di non avere più appigli, sappiamo che la mano di Dio è a un palmo da chi confida rettamente in Lui. Se la nostra fede raggiunge questa qualità, potremo a nostra volta tendere la mano, se così Dio vuole, a quanti nella Chiesa si lanciano senza rete nel baratro del peccato e della perversione trascinandovi tanti altri con la loro malizia e il loro pessimo esempio, purché essi, aprendo gli occhi sull’abisso infernale in cui stanno precipitando, accettino di convertirsi e di cambiare vita. Missione impossibile? No, se si ha quella fede di cui parlavo. Ma, prima di dare la propria disponibilità con la preghiera, l’offerta ed eventualmente l’azione, bisogna rendersi ben consapevoli dell’entità della battaglia: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?» (Lc 14, 31).

La depravazione di certi chierici, infatti, non è disgiunta dal culto del diavolo. Certamente i peccati impuri di chi profana la propria persona consacrata e celebra sacrilegamente la Messa sono già di per sé un onore reso al demonio, a lui quanto mai gradito; ma alle perversioni sessuali si associano spesso vere e proprie pratiche sataniche. Com’è possibile – vi domanderete sgomenti – che questo avvenga con chi si è posto al servizio di Dio? È per questo che vi ho preparati mostrandovi la necessità di una fede d’acciaio. In Vaticano sono presenti diverse logge massoniche clericali, di cui una alle dirette dipendenze della loggia-madre d’Inghilterra; ma pure in molte curie diocesane ci sono massoni infiltrati e collegati con le prime, che assicurano appoggio e protezione per qualsiasi evenienza. Chi (all’inizio per lo più ignaro) cade in quella terribile trappola con l’allettamento di una brillante carriera è poi ricattato per i suoi peccati sessuali e tenuto in pugno con spaventose minacce. Questo non elimina completamente la sua responsabilità, certo, ma può eventualmente attenuarla. Che fare per strapparlo alla dannazione eterna?

Per quanto mi riguarda, l’altare è diventato la mia dimora spirituale e nell’Eucaristia ho tutto. Quando elevo l’Ostia consacrata e il sacro Calice, accedendo al Santo dei Santi con la Vittima immacolata, imploro l’Altissimo di salvare la Sua Chiesa della terra. In tal modo acquisto una certezza incrollabile di aver compiuto l’atto in assoluto più vitale e necessario, percependo interiormente, pur tra un assalto di sconforto e l’altro, una forza sovrumana. Quand’anche mi scoprissero, dunque, quest’unica cosa mi basterebbe: poter celebrare, anche da solo, la santa Messa tradizionale. Se però devo continuare a far qualcosa di buono direttamente, è indispensabile, evidentemente, che io rimanga nell’anonimato. Il giorno in cui avessi la certezza morale di dover uscire allo scoperto, obbedirei immediatamente, così come farei, inversamente, nel caso in cui il Signore mi chiedesse, mediante mezzi inequivocabili, di chiudere il sito. In un caso o nell’altro, la consapevolezza di obbedire a Lui mi darebbe la pace celestiale di chi è sicuro di aver ottenuto un risultato ben più efficace, sul piano soprannaturale, di quelli raggiungibili con qualunque battaglia condotta per volontà umana. Dovunque e in qualsiasi circostanza, la Sua mano è pronta ad afferrarmi. Prego che ciascuno di voi abbia la medesima certezza.

Con lorazione porrai la spada in mano a Dio, perché combatta e vinca per te (Lorenzo Scupoli).

sabato 25 novembre 2017


Storia di pedofili, iene e prelati



Ego in innocentia mea ingressus sum (Sal 25, 1).

Nei primi anni del nostro secolo, un giovanissimo adolescente arriva a Roma per essere avviato al sacerdozio in un esclusivo vivaio di vocazioni: all’ombra del Cupolone, gli innocenti virgulti vengono iniziati all’amore della liturgia cattolica servendo come chierichetti al Santo Padre, oltre che a cardinali, vescovi e monsignori di curia. Il nostro eroe, tuttavia, ha già fatto una precoce e terribile scelta di campo per il vizio più turpe e ripugnante: ha infatti la curiosa abitudine di infilarsi nei letti dei compagni per costringerli ad atti contro natura. A mano a mano che avanza negli studi, comincia ad assumere ruoli direttivi che gli permettono di esercitare sui più piccoli pressioni e ricatti al fine di soddisfare la sua insaziabile quanto ignobile voglia. Al tempo stesso, senza il benché minimo imbarazzo, continua a comparire nelle liturgie papali in ruoli di evidenza, ricevendo perfino la santa Comunione dalla mano dei successivi pontefici.

Un compagno di studi, testimone oculare dei ricorrenti misfatti, decide allora di rivolgersi a diverse autorità, fino al responsabile più alto della gestione pastorale della Cittadella, il Vicario di Sua Santità. Quest’ultimo deve la sua notorietà ad un abile sfruttamento dell’amicizia con Madre Teresa di Calcutta, mentre la sua fulminante carriera sembra piuttosto dovuta a forti legami con l’ambiente dell’alta finanza romana. Con una loquela e una mimica sapientemente costruite, da far concorrenza al Predicatore della Casa Pontificia, egli incanta le folle con ispirate meditazioni sui Santi e sulla Vergine, pubblicate in volumi di sublime spiritualità. Il porporato promette all’angustiato seminarista il dovuto intervento del caso, ma l’unico effetto sortito dalla denuncia è l’allontanamento del “delatore”, il quale, visto l’esito dei suoi tentativi, si rassegnerà infine a rivolgersi ad un giornalista, ben felice di trovar materia per un nuovo libro-scandalo.

Ufficialmente, tre “inchieste” interne non accertano alcun crimine e tutto viene messo a tacere. È così che, pochi mesi fa, il seminarista corrotto e corruttore è solennemente ordinato sacerdote e un paio di settimane dopo destinato ad una “comunità pastorale” come responsabile dell’oratorio… Ma, proprio quando la brutta storia sembra ormai acqua passata, ecco spuntare una troupe televisiva che, fedele al nome preso da un animale che si nutre di carogne, vuol gettarla in pasto al pubblico del circo, assetato di sangue e di putredine. I fatti riferiti dal giornalista di cui sopra vengono quindi confermati con interviste ricche di dettagli tanto realistici quanto vergognosi. I diversi ecclesiastici coinvolti (rettore del seminario, vescovo emerito, vescovo in carica), pure interpellati, rispondono senza batter ciglio che le inchieste, a suo tempo, non hanno fornito alcun elemento a carico del predatore in tonaca e che, quindi, si tratta di pure calunnie.

Ancora una volta tutto parrebbe rimesso in ordine, con buona pace dei bambini deflorati nel fior dell’innocenza nonché delle loro ignare famiglie, che li avevano fiduciosamente affidati alle cure materne di Santa Romana Chiesa. Ecco invece che una di quelle odiose bestie della savana, fiutato il sangue di un’altra vittima, riesce a scovare l’ex-giudice della curia vescovile coinvolta, professore di diritto canonico. Quest’ultimo, già all’inizio del nuovo pontificato, era stato incaricato di indagare sulla sporca vicenda per fornire un parere in vista della rimozione del rettore del seminario (che proteggeva il giovane depravato), parere che era stato però clamorosamente disatteso dal vescovo precedente, inducendo il canonista a dar le dimissioni dal suo ruolo di curia. Il successore, nonostante questo, lo costringe a riprendere in mano il caso, ma nemmeno lui, inspiegabilmente, ne accetta il responso e decide di procedere ugualmente all’ordinazione sacerdotale del candidato indegno. Forse che, tirando via un verme dal buco, si rischiava di far venir fuori tutta una catena di vermi molto più grossi?

A questo punto l’onesto quanto esasperato docente cade nella trappola tesagli dallo spregiudicato giornalista e si lascia sfuggire la verità, coperta da segreto istruttorio: il Vicario del Papa e il vescovo di allora sapevano, ma hanno insabbiato tutto. Apriti cielo: a causa non certo del secondo, che si gode la sua pantofolaia pensione, ma del primo, vero pezzo da novanta che amministra con proverbiale larghezza milioni di euro, alla faccia della “Chiesa povera per i poveri”. In realtà pare che anche il buon papa Francesco – quello della tolleranza zero nei confronti dei preti pedofili – fosse al corrente di tutto fin dall’inizio, informato dal Vicario. Come mai nessuno è intervenuto? Qui entrano in scena i soliti complottisti, fra cui chi scrive: non per il gusto di rimestare nel torbido o di amplificare gli scandali, ma anzitutto per un insopprimibile senso di giustizia nei riguardi di un confratello retto e coscienzioso che, per aver fatto semplicemente il suo dovere, rischia ora di ritrovarsi in mezzo alla strada, qualora non ritratti le sue dichiarazioni.

Le nostre supposizioni guardano però più lontano: certi scandali sembrano bombe a orologeria confezionate per scoppiare in un momento preciso con un determinato effetto. Un gravissimo caso di pedofilia che si è protratto per anni, nel cuore della cristianità, sotto lo sguardo di superiori che hanno chiuso entrambi gli occhi, fino al livello più alto possibile, viene inspiegabilmente tollerato fino all’ordinazione di un pervertito, ma esplode – guarda caso – proprio mentre si sta preparando un sinodo sul ministero sacerdotale che, come si vocifera, dovrà rimettere in discussione il celibato dei preti. D’altronde già nel giugno del 2015 padre Hans Zollner, vice-rettore dell’Università Gregoriana e presidente del Centro per la protezione dei minori, aveva dichiarato che la crisi degli abusi da parte di membri del clero esige una «risposta teologica e spirituale» che sia un’«occasione di ripensare la teologia del sacerdozio» (1). Curiosa come risposta… Il buon senso si aspetterebbe piuttosto un bel repulisti all’interno della gerarchia.

Secondo il nostro zelante gesuita, «papa Francesco veramente prende sul serio questa tragedia» e «vuole veramente combattere con tutta la sua forza questo, con tutto il suo impegno personale». Avevamo già legittimi dubbi in proposito, visto quanti sodomiti clericali continuano a impazzare impunemente oltre Tevere, ma quest’ultima squallida vicenda ce li ha tolti in modo definitivo, nel senso che li ha trasformati in certezze. Cinquant’anni fa le “nuove idee” hanno fatto saltare la disciplina dei seminari, diventati covi di pervertiti, e disintegrato l’identità sacerdotale, ridotta a maschera intercambiabile. Ora vediamo i frutti più “maturi” della svolta, che è stata attentamente pianificata e attuata dalla massoneria per mezzo dei suoi infiltrati nella Chiesa. Il risultato finale perseguito, tuttavia, non è semplicemente il pervertimento del clero, ma la distruzione dello stesso sacerdozio cattolico, che Satana ha in odio sopra ogni cosa, insieme alla Messa.

Che si tratti di un “papa” che per anni lascia violentare i bambini a pochi metri dalla sua residenza o di un cardinale dalla mistica eloquenza e dall’altrettanto viscida ipocrisia che copre i viziosi ed è forse a capo di un’intera cordata di quei ributtanti soggetti, che siano ignavi superiori di seminario o vescovi compiacenti che obbediscono a iniqui ordini vaticani perché crimini orrendi proseguano indisturbati in uno dei luoghi più sacri al mondo, sono tutti burattini di un disegno ben più vasto che vuol minare la Chiesa Cattolica come strumento di redenzione e via di salvezza. Dobbiamo forse pregare perché la terra si apra sotto i loro piedi e l’Inferno li inghiotta per sempre? Ne saremmo tentati, ma dobbiamo soprattutto mobilitarci perché questo articolo raggiunga onesti e influenti giornalisti che possano intervenire con le loro penne.

Bisogna salvare i ragazzini del seminario (considerato da certi monsignori una “riserva di caccia”), i quali sono sistematicamente violati non solo nel corpo, ma anche nell’anima, dato che la loro fede ingenua è stravolta dall’intreccio di potere e perversione di cui diventano testimoni e, talvolta, complici. Ma bisogna salvare pure l’unico sacerdote – dopo il padre spirituale del seminario, a suo tempo prontamente rispedito sui monti – che in rapporto a questo caso abbia tentato di fare qualcosa per loro e, scontratosi con l’immonda piovra che ha allignato tra le mura leonine, si è per questo bruciato. Se mai qualcuno, nelle stanze del potere ecclesiastico, ha ancora un barlume di coscienza che non si sia spento del tutto, faccia qualcosa per aiutarlo: nella Chiesa non possiamo continuare a contare soltanto sui giornalisti.

N.B. A scanso di equivoci, sia ben chiaro che “don Elia”, nonostante quel che si potrebbe credere, non appartiene alla diocesi in questione e non ha ricevuto informazioni dal sacerdote coinvolto, il quale non sa nulla di questo articolo, ma che incoraggio caldamente a rivolgersi alla magistratura civile in modo che non sia lui, innocente, a pagare, ma i colpevoli, se esiste una possibilità di intervento giudiziario nonostante il fatto che i crimini siano stati commessi in un altro Stato. Quanto al celebre Vicario dalla faccia di… bronzo, è pur vero che è protetto dall’immunità diplomatica, ma una giusta campagna mediatica potrebbe costringerlo a dimettersi lasciando un vuoto al vertice della cordata. Questo caso ha messo in luce il “tallone d’Achille” di quel laido sistema di potere che ha occupato la Santa Sede e potrebbe quindi rappresentare l’inizio del suo crollo, tanto agognato dai veri credenti per il bene della Sposa di Cristo, purché non si risolva nell’ennesimo attacco alla Chiesa Cattolica e in un’ulteriore pubblicità per il suo “salvatore” argentino.

Al giovane giornalista televisivo, poi, mi permetto di offrire un consiglio paterno: corri a fare una buona confessione, perché con il tuo stratagemma hai rovinato un sacerdote limpido e buono, che tu stesso hai riconosciuto tale prima di tendergli il tuo spregevole tranello. Ammesso che tu stia davvero lavorando per la verità, il fine non giustifica i mezzi – dovresti saperlo. Se accogli sinceramente la grazia, ti potrebbe anche capitare di convertirti, come è già successo a un tuo collega; così potrai riparare le tue colpe mettendo il tuo talento al servizio del campo giusto (quello che alla fine trionferà), piuttosto che di quello che ti sta usando per fare del male e ti getterà via quando non gli servirai più, prima di essere a sua volta distrutto. Visto che vieni dalla cattolica Sicilia, forse in te c’è ancora qualcosa di buono. Leggiti la meditazione di sant’Ignazio sulle due bandiere. Pensaci. L’Inferno esiste.

(1) http://it.radiovaticana.va/news/2015/06/22/p_zollner_papa_sempre_pi%C3%B9_impegnato_nella_lotta_a_abusi_/1153287

sabato 18 novembre 2017


Maskirovka



È un termine russo che si traduce alla lettera camuffamento, occultamento o simili, ma designa una tattica militare, praticata fin dall’antichità, con la quale si trae il nemico in inganno riguardo alle manovre belliche, alle intenzioni o all’effettiva consistenza dell’esercito avversario. Gli strateghi sovietici lo battezzarono così e, proprio grazie ad un massiccio impiego della maskirovka e ad altre nefandezze, vinsero quell’orrenda carneficina che fu la guerra civile provocata dal colpo di Stato, di cui ricorreva in questi giorni il centenario, perpetrato da quel demonio incarnato di Lenin. Anche quel pugno di manigoldi di formazione e mentalità marxista che ha occupato il Vaticano, a quanto pare, questa lezione l’ha imparata bene e continua a menarci per il naso su vari fronti, distogliendo la nostra attenzione dalle vere questioni di fondo e dalle manovre occulte con cui stanno realizzando la loro esecrabile agenda.

Le insistenti indiscrezioni su un’ulteriore modifica del rito della Messa, per esempio, continuano ad attizzare fiammate di sdegno e riprovazione, quando di fatto nulla, a questo riguardo, è ancora effettivamente successo, a parte la sostanziale abolizione del doveroso controllo a livello centrale delle traduzioni e degli adattamenti dei libri liturgici realizzati dalle conferenze episcopali – fatto indubbiamente gravido di conseguenze disastrose per la liturgia romana, la cui unità rischia di frantumarsi, ma non tale da indurre necessariamente modifiche decisive nella forma sacramentale dell’Eucaristia. Potrei anche sbagliarmi in proposito, ma in ogni caso questo allarmismo precoce distrae molti cattolici fedeli dalle manovre con cui in diverse diocesi italiane si è cominciato a indottrinare il clero perché si convinca ad ammettere alla comunione i divorziati risposati. Questo solo fatto è capace di distruggere definitivamente quel poco che rimane della fede nella Parola di Dio, nella grazia soprannaturale, nei Sacramenti e nell’autorità della Chiesa… cioè della fede tout court, sostituita dal sentimentalismo e dall’attivismo buonisti.

Per quelli che desiderano “concelebrare” con i protestanti, d’altronde, il rito attuale già si presta benissimo all’uopo, essendo stato confezionato proprio in questa prospettiva. Se poi le nuove “preghiere eucaristiche” sono ancora troppo cattoliche, si possono sempre prendere quelle svizzere, in cui si parla di santa cena. Peccato che il messale “riformato” sia in se stesso illegittimo e abusivo, dato che la sua pubblicazione è in diretto contrasto con l’irrevocabilità del messale tridentino, sancita dalla Costituzione apostolica Quo primum tempore di san Pio V. Al di là di tutto, comunque, è ormai ampiamente scomparsa la percezione del vero valore e significato della Messa, trasformata molto spesso in intrattenimento di bassa lega o in comizio socio-politico. I confessionali (dove ancora non sono stati rimossi) sono quasi sempre vuoti e, quando qualcuno vi entra, non è affatto sicuro che, da un lato, ci sia la sana dottrina e, dall’altro, un pentimento sufficiente per ricevere un’assoluzione valida. I giovani, in buona parte, non si sposano più, ma si accoppiano e scoppiano con una mentalità da poligamia successiva ricevuta magari dai genitori stessi, che hanno già in conto diverse “unioni”…

Anche la Correctio filialis, per quanto doverosa, potrebbe essere stata incoraggiata da qualcuno, dietro le quinte, per far scoppiare la bomba fuori tempo e in modo meno dannoso, così che fosse scambiata per l’annunciata correzione formale, di ben maggior peso, da parte di membri della gerarchia e ne fosse smorzato l’effetto. In questa maniera, oltretutto, si son fatti venire allo scoperto, per poterli colpire, i dissidenti che l’hanno firmata, mentre la stampa di regime ha avuto agio di neutralizzare in anticipo le giuste istanze di qualsiasi futuro intervento in quel senso. Se è così, il nemico ha preso almeno tre piccioni con una fava, a meno che non si sia trattato effettivamente dell’ultima chance per sollevare il necessario dibattito, visto che la correzione formale non è ancora arrivata e, forse, non arriverà più. In ogni caso, bisogna evitare di farsi catturare da una singola battaglia, per quanto importante, lasciando all’avversario campo libero in questioni di più ampia e profonda portata: la maggior parte dei “cattolici impegnati”, oggi, ha una mentalità tipicamente protestante. Senza angosciarci più di tanto, però, abbandoniamoci alla Provvidenza, che volge in bene anche gli eventuali errori tattici di chi serve sinceramente Dio.

La vittoria in questa guerra, in realtà, non è alla portata delle sole forze umane. Siamo arrivati allo scontro decisivo tra la luce e le tenebre, le cui forze sono penetrate nella Città santa con il cavallo di Troia (altro tipo di maskirovka) dell’aggiornamento e vi hanno fatto strage, occupandone i centri di potere. Umanamente parlando, la situazione è disperata; soltanto un intervento dall’alto la può rovesciare. I nemici di Dio sono riusciti perfino a creare la situazione del tutto anomala della compresenza di due papi, dei quali uno ha probabilmente abdicato in modo invalido e l’altro era manifestamente privo della fede cattolica già prima dell’elezione. A parte l’irregolarità della quinta votazione nello stesso giorno e gli accordi preelettorali che hanno fatto incorrere nella scomunica i sedicenti mafiosi di San Gallo (i cui voti sono di conseguenza nulli e irrilevanti per la richiesta maggioranza dei due terzi), c’è la bolla Cum ex apostolatus officio di papa Paolo IV, che esclude in perpetuo dal soglio pontificio chi in precedenza si sia dimostrato eretico. San Roberto Bellarmino, per altro verso, sostiene che un papa che cada in eresia anche successivamente alla sua elezione decade ipso facto dall’ufficio.

Mi rendo perfettamente conto della gravissima responsabilità che mi assumo con dichiarazioni di tal tenore, per me stesso e per chi mi legge: pensieri del genere ci possono porre fuori della comunione ecclesiastica, con serio pregiudizio della nostra salvezza eterna. Tuttavia non si tratta di convinzioni irreformabili né di asserzioni perentorie, bensì di forti dubbi legittimati non da semplici dettagli di scarsa importanza, ma da un cumulo di elementi sostanziali che sono sotto gli occhi di tutti. Che dire poi delle dimissioni di Benedetto XVI? Il difetto più evidente è l’assenza di una dichiarazione (analoga a quella emessa davanti ai cardinali da san Celestino V o a quella fatta leggere da Gregorio XII al Concilio di Costanza) pronunciata nel momento stesso della cessazione dell’ufficio come attuazione formale dell’annunciata decisione di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, ovvero di rinunciare all’esercizio attivo del ministero (Udienza del 27 febbraio 2013). Il nuovo Codice di Diritto Canonico, nella sua vaghezza, si limita ad affermare che la rinuncia, ai fini della sua validità, deve essere debitamente manifestata (rite manifestetur, canone 332, § 2).

La procedura seguita sembra in realtà abbastanza irrituale, per non parlare del fatto che, se il teologo Ratzinger ha effettivamente inteso scindere aspetti diversi del munus petrinum, il suo atto potrebbe risultare nullo ipso iure per errore sostanziale circa il proprio oggetto (oltre che, eventualmente, per timore grave ingiustamente incusso; cf. Codice di Diritto Canonico, canone 188). Infatti l’ufficio di Sommo Pontefice consiste nella «potestà piena e suprema sulla Chiesa» (canone 332) e si perde automaticamente con la rinuncia all’esercizio di essa, il quale non può essere se non attivo. Non esistono quindi – se non, eventualmente, nella mente di chi intendeva dimettersi – altre forme di esercizio di tale ufficio che giustifichino il mantenimento di nome, abito e stemma dopo la rinuncia. Il pensiero deve adeguarsi alla realtà, non il contrario, come avviene nell’idealismo tedesco (e nella teologia da esso influenzata). Se dunque le sue dimissioni sono state viziate da un errore sostanziale circa l’oggetto della rinuncia, il nostro amato Benedetto è ancora papa e la successiva elezione è necessariamente nulla, perché non si può eleggere validamente un papa mentre il predecessore è ancora in carica.

Ovviamente io non sono nessuno per dirimere la questione, ma, se fra i lettori ci fosse qualcuno che avesse competenza e potere per farlo, penso che non sarei il solo a supplicarlo di muoversi, in un modo o in un altro, per sventare quello che già un anno e mezzo fa denunciavo come tentativo di praticare sulla Chiesa terrena una sorta di eutanasia (https://lascuredielia.blogspot.ch/2016/04/la-dolce-morte-della-chiesa-geniale.html). Non vorrei certo contribuire, mio malgrado, ad ampliare la maskirovka dirottando l’attenzione su discussioni inconcludenti o, in ogni caso, al di fuori della portata dei comuni mortali; ma, poiché la speranza ci rende audaci, non è mai detto che queste riflessioni non possano indurre qualcuno, più in alto di noi, a prendere delle iniziative con cui preparare quell’intervento dall’alto che è comunque indispensabile. Vi immaginate se l’ipotesi poc’anzi avanzata risultasse vera? Si annullerebbero in un colpo solo quattro anni e mezzo di assurdità allucinanti (anche se non immediatamente i loro effetti deleteri) e usciremmo da un incubo apparentemente senza fine.

sabato 11 novembre 2017


Kit di sopravvivenza per pecore senza pastore



Cum scorpionibus habitas (Ez 2, 6).

I tradizionalisti puri e duri mi sospettano di eresia. I sedicenti conservatori mi danno addosso per la comunione sulla lingua. I progressisti mi farebbero la pelle non fosse che per la talare. C’è proprio di che stare allegri, in un Paese dove anche le pugnalate alle spalle si danno in modo cortese, pulito e ordinato. Ma, lungi dal cadere in quella misera forma di egocentrismo che è l’autocommiserazione vittimistica, faccio tesoro dell’esperienza per dare qualche indicazione che possa risultare utile alla sopravvivenza in tempi tanto calamitosi. La confusione è tale che non basta guardarsi da un tipo di nemico, ma bisogna vigilare su fronti diversi. Soprattutto, per evitare un sentiero pericoloso, non buttatevi a occhi chiusi su quello opposto. Il nemico dell’umana natura ha infatti inventato tutto un ventaglio di proposte contrastanti per attirare il maggior numero di pecorelle nelle sue trappole, scegliendo la rete da usare a seconda dei gusti e dell’inclinazione di ciascuna.

C’è chi difende a spada tratta un fossile di “Tradizione” senza vita che genera fanatici di un mondo scomparso; abbiamo ormai imparato a riconoscerli. C’è invece chi si presenta come paladino della conservazione rispetto a una versione già adulterata del cattolicesimo; siamo nel campo dei diversi movimenti. C’è chi irretisce la gente nel labirinto di presunte rivelazioni tutte definitive (non si sa bene in quale ordine), presentate come indispensabili alla salvezza individuale e collettiva, ma di fatto inefficaci per la crescita nella grazia; è il regno di veggenti e santoni. C’è poi chi sbandiera le acquisizioni della nuova teologia, di cui lo Spirito Santo avrebbe tenuto all’oscuro la Chiesa per due millenni, ma che ora avrebbe finalmente svelato con l’effetto di una revisione completa di dogma e morale e della piena riabilitazione dei peggiori eretici della storia; è l’appannaggio delle facoltà teologiche, delle curie diocesane e degli uffici delle conferenze episcopali. Sullo sfondo, la vexata quaestio dell’interpretazione del Vaticano II, dalla quale sembra di non poter uscire.

Quali sono, in concreto, gli agenti patogeni da cui bisogna immunizzarsi per non contrarre qualche grave morbo dell’anima? Non pretendo certo di offrirne una rassegna completa, ma provo lo stesso a individuarne almeno i più comuni. Il primo che mi viene alla mente sono quelle pretese evidenze indiscutibili che in realtà non lo sono affatto, ma vengono imposte come tali al fine di puntellare prassi e teorie inaccettabili; un esempio a caso: appellarsi a un autoproclamato stato di necessità per legittimare un ministero illegittimo e creare una Chiesa a parte. Solo apparentemente più credibile è quell’acribia puntigliosa con cui, sulla scorta di canoni e definizioni, si cerca di giustificare quanto è oggettivamente ingiustificabile; per esempio, che un testo del magistero pontificio derubrichi il peccato grave manifesto e incoraggi di fatto a perseverarvi in quanto sarebbe volontà di Dio in una particolare situazione. A ciò si allea spesso il ricorso a ragionamenti contorti o capziosi miranti a dimostrare un asserto prestabilito, ma evidentemente falso o ripugnante alla retta ragione: sono i classici sofismi, come quelli di chi tenta di equiparare un concubinaggio adulterino al sacramento del matrimonio.

Dalla spudorata arroganza dei rivoluzionari in abito clericale non si discosta poi più di tanto, nella pratica, il lealismo ottuso dei conservatori di facciata, che vanifica l’essenziale della Legge divina in nome di norme puramente umane che dovrebbero garantirne l’osservanza e si risolvono invece nel suo svuotamento; basti pensare, fra tanti casi di ordinaria incoerenza, alla severità apodittica con cui si prescrive la comunione sulla mano sulla fragilissima base di un indulto concesso in risposta all’istanza, non dei vescovi né dei fedeli, ma di ignoti burocrati delle conferenze episcopali. La debolezza di questa e altre impostazioni simili è spesso camuffata, su vari versanti, con la cortina fumogena di una sterile erudizione funzionale alla dimostrazione di tesi controverse: che si tratti di sdoganare il doppio papato come una situazione normalissima (quando invece è innegabilmente del tutto inedita) o, per altro verso, di negare la sacramentalità dell’episcopato dandosi curiosamente la zappa sui piedi o, ancora, di legittimare una visione troppo elastica dello sviluppo della dottrina o dell’evoluzione della prassi sacramentale, è sempre la stessa propensione ai fuochi d’artificio che accomuna obiettivi e tendenze anche diametralmente opposti.

Di fronte a tutte queste complicazioni, è abbastanza comprensibile – anche se non ammissibile – che molti saltino a piè pari, con grande fervore, in trappole micidiali da cui non si viene più fuori, se non per miracolo. Una è quel semplicismo fondamentalistico che scavalca distinzioni pur necessarie nel discernere i fatti, arroccandosi in un certo numero di rozze certezze assolute e lanciando a destra e a manca, dall’alto di questa “torre d’avorio”, anatemi e patenti di eresia. Un’altra è rappresentata da quel dedalo multiforme delle nuove correnti di spiritualità apparentemente cattolicissime, ma in realtà profondamente alienanti, in quanto rinchiudono gli adepti in un mondo parallelo distogliendoli dal compimento dei loro doveri di stato e dal bene che potrebbero fare, ma illudendoli di compiere la volontà divina con esercizi puramente mentali che non migliorano minimamente la condotta pratica né tanto meno contribuiscono alla correzione di peccati e difetti.

A questo proposito tenete presente che non esistono “ere definitive” cui darebbe accesso una pretesa rivelazione finale: la Rivelazione pubblica si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo, mentre la pienezza dei tempi, iniziata con l’Incarnazione, si protrae fino alla Parusia, la quale soltanto ci introdurrà nel compimento preannunciato dal Signore. In definitiva, bisogna diffidare a priori di tutti i fenomeni che non abbiano ottenuto una chiara e incontestabile approvazione (se non del fenomeno stesso, almeno del culto che ne è scaturito) da parte dell’autorità ecclesiastica competente. Il fideismo e la credulità in una soprannaturalità a buon mercato sono perfettamente funzionali agli scopi di chi nega il soprannaturale, perché creano miti che possono poi essere facilmente irrisi e sconfessati; è la stessa tattica di chi inventa falsi complotti per screditare i cosiddetti complottisti e le loro denunce, che portano in genere su fatti reali.

Per il resto, occorre curare molto la propria formazione nella dottrina perenne della Chiesa, senza ottuse rigidità mentali né, d’altro canto, interessate ambiguità o subdoli equivoci. Fuggite i ragionamenti contorti, le costruzioni intellettuali artificiose, le sottigliezze troppo ardite e le saccenti distinzioni senza fine, come pure le arrampicate sui vetri e i sezionamenti dei capelli. Chiedete invece senza sosta la grazia di ottenere o conservare una mente limpida e lineare, una coscienza lucida e retta, la purezza d’intenzione e l’onestà dei costumi. Lo Spirito Santo non suole negarsi a chi cura le giuste disposizioni interiori e si sforza sinceramente di correggere le proprie storture, nel pensiero e nell’azione, aborrendo i sofismi, le acrobazie cerebrali e le forzature ideologiche con cui si erigono cattedrali immaginarie che si reggono sugli stecchini. Questo è qualcosa che possiamo fare tutti; a ciò che non è in nostro potere provvederà il Signore.

Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente. Siano diritte le mie vie nel custodire i tuoi decreti. Ai mentitori verrà chiusa la bocca (Sal 118, 4-5; 62, 12).