Introibo ad altare Dei
È con queste parole sulle labbra che, il 21 febbraio
1794, il canonico Noël Pinot, rivestito dei paramenti sacerdotali, saliva i
gradini della ghigliottina di Angers, iniziando così, in un certo senso, la sua
ultima Messa, quella in cui si sarebbe fisicamente fatto vittima con l’Ostia
pura, santa e immacolata. Nel 1926 papa Pio XI lo avrebbe elevato alla gloria
degli altari come beato; iniziava in tal modo il riconoscimento del martirio di
una schiera di sacerdoti secolari che, dando a Cristo la testimonianza suprema,
avevano composto una pagina particolarmente gloriosa nella storia del
sacerdozio cattolico. Non è certo il sangue dei martiri a redimerci – ricorda
sant’Agostino –, ma esso si mescola a quello del Redentore e ne prolunga nel
tempo la Passione a vantaggio della Chiesa, per la sua estensione e il suo
trionfo mediante la conversione dei peccatori.
È un genere di “rischi”, questo, che corrono i preti
refrattari, non certo il clero costituzionale
e collaborazionista. I primi sanno bene che cos’è la santa Messa; i secondi
l’hanno ridotta a scialba lezione di corso biblico con appendice rievocativa
sostanzialmente superflua, se non fosse per quella processione all’altare a cui
tutti si accodano senza nemmeno pensarci su. Il santo Sacrificio è una nozione
sconosciuta, mentre la Comunione è ormai percepita come mero gesto di
appartenenza dal quale nessuno dovrebbe sentirsi escluso. Visto che il
costrutto posticcio non funziona affatto né interessa più nessuno, ci si sforza
disperatamente di farlo tenere con continui interventi verbali e di renderlo
appetibile con canzonette da balera e allegri battimano da scuola materna. Il
vero dramma, tuttavia, è che mezzo secolo di questa irriverente parodia – che
lo si voglia ammettere o meno – ha spento la fede in buona parte dei cattolici,
mentre infligge un continuato martirio del cuore a quelli che non si rassegnano
a perderla.
Ciò che più colpisce nel rito antico è che al
momento della Consacrazione, sebbene non si odano le parole del sacerdote (o
forse proprio per questo), ci si rende perfettamente conto che l’evento è avvenuto: la salvezza del mondo, la
redenzione dell’umanità è un fatto
che si realizza in quel preciso istante, un avvenimento sovratemporale che, pur
essendosi compiuto una volta per sempre, si rende presente dovunque sulla terra
si celebri la Messa; l’oblazione redentrice del Calvario può così raggiungerci
in qualsiasi punto del tempo e dello spazio per assumerci in sé e consegnarci
al Padre nell’unica Vittima a Lui accetta: il Figlio Suo incarnato e fattosi
obbediente fino alla morte di croce al fine di riparare la primitiva disobbedienza
e rendergli la gloria che Gli è dovuta. Certo, per aver consapevolezza di
questo bisogna almeno esservi istruiti: i nostri padri, per quanto semplici, lo
erano e partecipavano attivamente –
cioè soprattutto con atti interiori ed esteriori di penitenza, di offerta e di
fede accessibili a tutti, compresi i socialmente poveri – alla ripresentazione
del Sacrificio redentore.
Oggi, invece, i poveri vengono defraudati della
ricchezza più preziosa (la grazia che Cristo ha ottenuto per loro) e illusi con
chiacchiere fumose che non cambiano nulla della loro condizione se non in
peggio, facendone dei ribelli e dei disperati. I gesuiti – quelli di un tempo –
furono annientati in omaggio alla massoneria non per aver fatto rivoluzioni,
ma, fra l’altro, per aver creato nelle reducciones
un modello di società cristiana in cui gli Indios venivano iniziati, di pari
passo con la fede, alle arti, ai mestieri e alla convivenza civile: si potrebbe
desiderare di meglio in questa vita? Certo, era solo un’anticipazione dei tempi
escatologici, ma intanto ci ha mostrato un modo realistico di predisporci ad
essi sfuggendo al tritacarne del sistema economico attuale. Non sarà inutile rammentare
che il centro propulsore di quel piccolo mondo nuovo era la santa Messa, nella
quale chiunque – dalle Americhe all’Africa, all’Asia e all’Oceania – poteva
sentirsi a casa propria, in quanto non impedito dalla barriera di una lingua
straniera, e cantare le lodi di Dio in comunione di spirito con i cattolici di
tutto il globo.
Oggi, invece, in questo rito che tutti possono
“capire” verbalmente nei testi senza più comprenderne il significato, l’atto
più sacro ed efficace che si possa compiere sulla terra, il più straordinario
ed eccelso miracolo dell’intera storia umana è percepito come racconto di una
storiella commovente, sempre che non sia tirato via in fretta e furia perché il
“comizio” è durato più del consentito. Siamo in pieno spirito luterano:
l’evento salvifico è ridotto a rievocazione nostalgica, a una santa Cena come appendice del sermone
moralistico che, a partire da qualunque testo biblico, si incaglia ormai
regolarmente sull’ecologia e sulla lotta ambientalistica… Peccato che proprio
nella Bibbia si trovi scritto che, a causa del peccato originale, l’umanità è
irrimediabilmente estromessa dal paradiso terrestre, come pure, d’altronde, che
l’universo intero è nella mano del Creatore, che lo dirige con la Sua
provvidenza nonostante gli innumerevoli peccati degli uomini.
La vera rivoluzione è quella operata da chi osa
ricordare agli altri che la causa prima di ogni male è il peccato, la cui sola
soluzione è il sacrificio del Figlio di Dio, efficace per chiunque si converta
sinceramente a Lui e reso presente in ogni santa Messa in cui il sacerdote
intenda realmente fare ciò che fa la
Chiesa. Certo, anche un rito stravolto è di per sé valido per l’autorità di
chi l’ha legittimamente promulgato; ma se al suo confezionamento – non si sa peraltro
con quale diritto – contribuirono dei pastori protestanti, i quali ne furono
così soddisfatti da dichiararlo accetto alla loro sensibilità, si possono
nutrire legittimi dubbi circa i suoi effetti sulla fede e sulla santità del
Popolo di Dio. La celebrazione dell’Eucaristia non è per la fede cattolica
un’evasione nell’utopia o una rassicurante parentesi di autoesaltazione, bensì
il più potente atto possibile di propiziazione per i peccatori e di
santificazione per i giusti.
La vera rivoluzione è quella realizzata da chi sale
i gradini dell’altare ripetendo: «Introibo
ad altare Dei»: mi accosto con riverenza e timore al luogo del
santo Sacrificio che strappa le anime al diavolo e le restituisce all’eterno
Amore, per il quale sono state create; mi presento, per quanto indegno, per
essere assunto nell’unica oblazione in unione alla Vittima immacolata; mi
accingo a far scaturire la sorgente di tutte le grazie per chiunque voglia
attingervi a beneficio proprio e altrui. Mi offro al Salvatore come strumento e
canale di quella salvezza che fa nascostamente crescere il mondo nuovo del
Regno di Dio: «Così prepari la terra…» (Sal 65 [64], 10). Non il mondo
immaginario di chi sogna un’impossibile trasformazione globale della società in
senso egualitaristico, ma quello reale che si sviluppa grazie ad ogni persona
che abbandona il peccato e imbocca la via della virtù. La santità in questa
vita e il Paradiso nell’altra: non si potrebbe desiderare di meglio.
Ci è stata inflitta una Messa noiosa, una Messa dove dobbiamo "capire". E se vogliamo capire vuol dire che non ci fidiamo.
RispondiEliminaMa la strada del capire è un vicolo cieco di cui non vediamo e non vedremo la fine, giacché si sposta sempre più in là.
Fidarsi è l'unica via, pure ragionevole. E' aggrapparsi alla mano di Cristo che ci accompagna lungo il sentiero difficile da scorgere, impossibile da percorrere con le nostre sole forze.
Fidarsi senza voler a tutti i costi "vedere", credere senza aver la pretesa di capire tutto, il resto è noia protestante, noia mortale.