Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 6 settembre 2025


Isnael delendum est


Percutiat te Dominus amentia et caecitate ac furore mentis (Dt 28, 28).

Come già spiegato a suo tempo, Isnaele non è un refuso, bensì il vero nome dell’entità politica che illegittimamente occupa la Terra Santa fin dal 1948: esso significa infatti odia Dio. Coloro che l’hanno voluta e cercano di perpetuarla, ostinandosi nel loro rifiuto di Gesù Cristo, hanno portato tale odio fino alle estreme conseguenze: i loro servizi segreti, dopo aver suscitato e armato un nemico per giustificare uno stato di guerra permanente, il 7 Ottobre 2023 gli hanno permesso di violare il confine più sorvegliato al mondo e di commettere un’orribile strage con la copertura dell’esercito regolare, che vi ha pure pesantemente contribuito. Questo pretesto ha dato il via al genocidio dei palestinesi di Gaza, giunto in questi giorni al culmine con l’assedio e l’ordine di evacuazione, il quale ha raggiunto anche i sacerdoti e le religiose, cattolici e ortodossi, che operano in quel territorio, ma si sono rifiutati di abbandonare i fedeli (tra cui bambini, anziani e disabili) di cui si prendono cura. Dobbiamo pregare intensamente per la protezione dei nostri fratelli che stanno sotto le bombe, ma anche per la fine di quella guerra insensata.

Il giudizio di Dio

Per non far prevalere i nostri sentimenti umani, però, facciamo parlare la Sacra Scrittura e ascoltiamo come il Signore stesso giudica la situazione. È proprio una frase della Torah: «Il Signore ti colpisca di demenza, cecità e delirio» (Dt 28, 28). Nella serie di terribili maledizioni che Mosè, a nome di Dio, scaglia contro il popolo d’Israele come effetto della sua infedeltà all’Alleanza divina – maledizioni che si sono più volte avverate nel corso della storia – questa si attaglia particolarmente bene a quanti oggi, a torto o a ragione, si considerano discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe: l’accecamento morale e il conseguente furore operativo contraddistinguono non soltanto i capi politici e militari di quello Stato criminale, ma pure tutti coloro che, là come in ogni parte del mondo, li appoggiano con la loro approvazione, il sostegno economico o la semplice ignavia di chi si astiene dal dire e fare ciò che potrebbe per fermare la carneficina che è in corso e, ora, sta coinvolgendo anche i cristiani. Se questa maledizione si è ancora una volta compiuta, presto si realizzeranno anche le altre, contenute nel capitolo 28 del Deuteronomio.

Uno Stato fondato sulla discriminazione e sull’ingiustizia, del resto, non può durare a lungo: prima o poi tutto si paga – e il prezzo è tanto più caro quanto più la pazienza divina ha indugiato. «Dio delle vendette è il Signore; il Dio delle vendette liberamente agisce. Innàlzati, tu che giudichi la terra: rendi ai superbi quel che si meritano» (Sal 93, 1-2). L’entità politica che, in base all’impostura sionista, si considera abusivamente erede delle antiche promesse si è votata all’autodistruzione: il male ricade infatti su chi lo commette; perciò invochiamo su di essa la maledizione del Cielo, in modo tale che sia annientata una volta per sempre e cessi di infliggere immani sofferenze a chi non ne ha colpa. Sulla popolazione, invece, invochiamo la grazia della conversione a Gesù Cristo: per quanto non ne sia degna a causa dell’ostinato rifiuto del vero Messia, tale grazia costituisce la sua unica possibilità di preservazione sia dalla rovina temporale che dal castigo eterno; essa rappresenta altresì l’unica via d’uscita dalla subdola schiavitù indotta dall’osservanza dei precetti rabbinici, che sono un vero e proprio sistema di controllo mentale e operativo.

La preghiera dei cristiani

Nessuno di noi, d’altra parte, ha meritato la grazia prima, quella che gli ha consentito di convertirsi e di cambiare vita; sappiamo bene che il Signore può concederla a chiunque, purché sia disposto ad accoglierla. Finché ciò non avviene, è del tutto lecito – come insegna san Tommaso d’Aquino – chiedere a Dio di colpire un empio in vista di un bene (per esempio, perché diventi migliore e smetta di nuocere ad altri). I testi della Missa contra paganos sono quanto mai illuminanti: propriamente pagani sono coloro che, nelle società segrete, rendono culto a Lucifero e hanno elaborato l’infame progetto sionista, causa dell’attuale genocidio. La Colletta supplica l’Onnipotente, nelle cui mani sono le potestà e i diritti di ogni regno sulla terra, di volgersi in aiuto dei cristiani affinché le genti pagane, che confidano nella propria ferocia, siano schiacciate dalla potenza della Sua destra. Questa non è una questione meramente politica: a chiunque abbia gli occhi aperti è ormai chiaro che si tratta di un momento cruciale nel millenario scontro tra la Chiesa di Cristo e la Sinagoga di Satana, tra il Regno di Dio e la tirannia del diavolo.

Per questo, immensamente riconoscenti dell’impagabile grazia di essere stati ammessi nel campo del vero Re e sotto il Suo stendardo, usiamo le armi che ci ha consegnato, la preghiera e la penitenza, con la fiducia insegnata da Gesù stesso nel Vangelo: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto» (Lc 11, 9). Come consacrati a Maria, afferriamo la corona per affidare a Lei i nostri fratelli che soffrono in Terra Santa e rischiano di essere assassinati. Come membri del vero Israele, facciamo nostra, a nome loro, l’accorata supplica di Mardocheo (Est 13, 8-17). Con incrollabile fede ripetiamo le parole dei Salmi: «Sorgi! Perché dormi, Signore? Sorgi e non respingerci per sempre! Perché distogli il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e tribolazione? L’anima nostra è prostrata nella polvere, il nostro ventre è incollato a terra. Sorgi, Signore, aiutaci e liberaci per amore del tuo nome (Sal 43, 23-26). Tu salverai il popolo umile e abbasserai gli occhi dei superbi, poiché chi è Dio oltre a te, Signore? (cf. Sal 17, 28.32). Mio Dio, rendili come turbine e come paglia di fronte al vento (Sal 82, 14)».

Con queste disposizioni ispirate dalla Sacra Scrittura, recitiamo il Santo Rosario sapendo di avere in mano un’arma formidabile per ottenere grazie e arrestare il male. Chiediamo al Signore di riversare il Suo amore onnipotente e la Sua infinita tenerezza sui nostri fratelli che stanno soffrendo, sapendo che tutto ciò che Dio permette è per il bene di chi soffre, ma anche di quanti rischiano di dannarsi. Con questa fiducia, chiediamogli perciò di salvare tante anime grazie ai patimenti dei cristiani e degli altri uomini retti che in questo momento stanno lottando per sopravvivere; chiediamogli la grazia di trasformare quelle sofferenze in conversioni e benefici celesti, così che i loro aguzzini possano scoprire il Suo volto e, anziché incorrere nei Suoi terribili castighi per la propria durezza di cuore, si lascino riconciliare con Lui. Questo è il segreto dell’ammirabile fecondità della Croce, alla quale il Salvatore si degna di associare i Suoi servi fedeli per estendere nel mondo gli effetti della Redenzione e procurare loro un più alto grado di gloria in Paradiso. Il Signore ripagherà al centuplo le nostre suppliche, che al momento attuale sono l’unico modo in cui possiamo aiutarli, ma anche il più efficace.


Il vero scopo della guerra e l’ipocrisia di tutti gli attori coinvolti:

https://tg24.sky.it/mondo/approfondimenti/trump-gaza-riviera

https://tg24.sky.it/mondo/2025/08/31/piano-usa-gaza-riviera

https://tg24.sky.it/mondo/2025/09/04/papa-leone-isaac-herzog-incontro


sabato 30 agosto 2025


Infiltrati



Guai a voi che chiamate male il bene e bene il male! (Is 5, 20).

Se qualcuno temeva di annoiarsi dopo la scomparsa di Bergoglio, deve decisamente ricredersi: tutto va avanti tranquillamente come da copione. A parte lo stile più dignitoso e i bei discorsi rassicuranti, gli atti del nuovo Papa non mostrano alcuna sostanziale discontinuità con l’azione del predecessore: le nomine episcopali, la Messa per il creato, l’illegale inserimento di un’altra donna al vertice del dicastero per i religiosi, il permesso accordato ai sodomiti di trasformare la basilica di San Pietro in palcoscenico per la loro propaganda, il favore espresso a un raduno di scismatici ed eretici che ha incluso psicopatiche mascherate da preti e vescovi, così come tante altre scelte più o meno visibili non ci lasciano alcuna illusione, da cui, peraltro, ci siamo ben guardati fin dal giorno dell’elezione. Neanche le allocuzioni giubilari rivolte a varie categorie di persone valgono a dissipare la fitta nebbia di quell’antropocentrismo che da sessant’anni impregna la Chiesa.

Basta prenderci in giro

A voler essere onesti, non è un semplice problema di tendenze o accentuazioni diverse che, in un artificioso gioco dialettico, oppongano conservatori e progressisti, come se la vita della Chiesa fosse assimilabile al dibattito politico: qui si tratta di un’altra religione che, in virtù di una pretesa nuova Pentecoste, ha sostituito il Sacrificio redentore – e la conseguente necessità di associarvisi con la conversione e la penitenza – con una confusa ideologia umanitaria che, negando di fatto il dogma del peccato originale, considera tutti gli uomini naturalmente buoni, ma bisognosi soltanto di essere istruiti con buone idee di tipo socioculturale. La tensione (peraltro apparente) è tra due visioni della stessa rivoluzione, la quale, facendo dell’uomo Dio, fa del libero esame e della volontà propria, al posto dell’obbedienza a Lui e a chi legittimamente Lo rappresenta, il criterio ultimo e definitivo di discernimento e di azione.

Il movimento ecumenico, nato nel 1925 ad opera di un luterano e prontamente condannato da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos, partì proprio dall’idea che i cristiani dovessero metter da parte le divergenze dottrinali e unirsi nell’impegno a favore dei poveri e della pace. Tale idea, che rende superflua l’adesione alla verità rivelata e punta unicamente sull’attività umana avulsa dalla grazia, ha poi trionfato in casa cattolica dopo l’ultimo concilio e, nella lettera inviata da Prevost al convegno commemorativo di Stoccolma, è consacrata a chiare lettere. Smettiamola dunque, una buona volta, di prenderci in giro: i tradizionalisti entusiasti del nuovo pontificato non sanno forse leggere? o cosa sperano di ottenere dal presunto nuovo corso? una gabbietta un po’ più larga allo zoo? Chi ha invitato il presidente della cei a presiedere i Vespri solenni del pellegrinaggio di Ottobre non è al corrente del suo sfegatato appoggio allo sdoganamento della sodomia e alla legalizzazione dell’omicidio?

Un sospetto sta diventando sempre più una certezza: tante realtà e iniziative legate alla Tradizione sono strumenti di controllo e manipolazione di quella frangia che nella Chiesa non si rassegna ad abbandonare la vera religione per speciose ragioni di “unità” e “comunione”. Non è affatto una questione di mera sensibilità: è l’irriducibile volontà di rimanere cattolici a qualunque costo, per la salvezza propria e dell’umanità. Chi si lascia catalogare come tradizionalista e rinchiudere in una casella ideologica ha perso la battaglia in partenza; noi rivendichiamo invece il puro e semplice diritto di essere cattolici come lo sono stati i nostri padri e i Santi di ogni epoca. Lo sforzo di conciliare gli opposti è un tipico esercizio della gnosi hegeliana, che ci è del tutto aliena e che respingiamo con tutte le forze, quand’anche si presenti paludata di pizzi e avvolta da nubi di incenso; perciò non cediamo di un passo, in cambio di qualche nocciolina, a chi promuove l’indifferentismo e l’immoralità.

Esempi concreti

C’è chi, dopo aver inveito per anni contro Bergoglio, ci sta ora consegnando al successore come pecore avviate al macello, ma felici e giulive perché finalmente «la Chiesa sta ripartendo», così da farci ingoiare col sorriso cose che, prima, mai avremmo accettato. C’è il monsignore pugliese che da un decennio raduna preti per incantarli con vuote promesse d’azione, soffocando così ogni iniziativa efficace. C’è il professore di storia che, avventuratosi arditamente nel campo della teologia e della morale, influenza chierici e fedeli spacciandosi per paladino della Tradizione cattolica ma lavora per l’alta finanza aschenazista, come dimostra la vergognosa campagna propagandistica a favore di quegli intrugli che stan facendo migliaia di invalidi e di morti. C’è il sito dei fustigatori di costumi che non possono tacere e, al contempo, portano avanti una scandalosa apologia della sodomia. Si potrebbe continuare a lungo, ma non vogliamo fermarci ai singoli casi.

Un grande contenitore (da cui proviene il primo elemento citato, così come molti sacerdoti di stampo conservatore o tradizionalista) è il movimento dei liberati in comunione, che si è rivelato – e, nei giorni scorsi, confermato – emanazione della mafia finanziaria. L’idea che si sia pervertito per colpa di chi è succeduto al fondatore alla sua guida è probabilmente una manovra mirante a scagionare il secondo, che diede alla sua creatura un’impronta indelebile e il cui pensiero non è affatto cattolico, è bensì un’ideologia esistenzialista che in seno alla Chiesa, certo, ha arginato quella socialista, ma è solo – come già accennato – l’altra faccia della medesima medaglia. Il movimento, ad ogni modo, sostiene sfacciatamente quel criminale che, a colpi di decreto, ha rovinato la salute della popolazione italiana: esso rischia così di incorrere a sua volta nella maledizione pubblicamente scagliata contro di lui il 6 Gennaio 2022; i bene informati conoscono il suo attuale stato di salute.

Reazione degna di cattolici

San Tommaso insegna che è lecito chiedere a Dio la rovina temporale di qualcuno in vista di un bene (sub ratione boni; S. Th., II-II, q. 76, art.1, resp.), come la sua conversione o la protezione di altri; non pare però che, finora, il soggetto in questione abbia recepito la lezione, visto che, pur essendosi ritirato da ogni carica pubblica, continua a divulgare, almeno in quelle rare occasioni in cui ricompare come l’ombra di se stesso, le indicazioni dei banchieri per cui ha lavorato. A sua discolpa occorre osservare che non sono stati certo i gesuiti, dai quali ha studiato, a insegnargli la sana dottrina cattolica, ma all’appressarsi della morte bisogna pur decidersi a impararla, se si vuole evitare l’Inferno. Come ci ha spinto a pregare per la salvezza dell’anima di Bergoglio, la carità ci spinge a pregare anche per la salvezza della sua, dato che, per grazia di Dio, conosciamo il rischio spaventoso cui si espone chi si è messo a servizio del nemico.

Con le medesime disposizioni raccomandiamo alla misericordia del Signore tutti coloro che si sono incistati nell’ambiente della Tradizione per inquinarlo, dividerlo e renderlo inoffensivo. Un’ulteriore convergenza consiste nel loro assoluto silenzio circa il genocidio che è in corso a Gaza, silenzio che corrisponde a quello, inspiegabile (ma fino a che punto?), del supremo Pastore. Una vistosa eccezione è rappresentata dall’editore, già membro della setta neocatecumenale, che un bel giorno si è “scoperto” tradizionalista, come pure dalla dottoressa resasi famosa per l’opposizione ai “vaccini”: in questo caso, però, si tratta di un incondizionato appoggio allo Stato terrorista che occupa la Terra Santa, appoggio spinto fino a grottesche dichiarazioni miranti a giustificare a tutti i costi le atrocità che commette. Anche questi criptosionisti infiltrati rischiano di farsi maledire – per il loro bene eterno, ovviamente – a motivo della loro doppiezza; per ora, tuttavia, ci limitiamo a boicottarli.

 

AGUZZA LA VISTA E L’INGEGNO:

trova gli errori di questo disegno e prova a darne una spiegazione.

sabato 23 agosto 2025


Qualche punto fermo sulla sodomia

 

 

Un promemoria per capire perché non ha senso e non è lecito celebrare un “giubileo” dedicato a una categoria di persone che vivono stabilmente e convintamente in stato di peccato mortale.

1) La cosiddetta omosessualità non esiste, in quanto l’esercizio della sessualità (che è un’espressione esclusiva della persona umana) presuppone per sua stessa natura due soggetti morfologicamente e psicologicamente complementari, cioè un uomo e una donna. Negli animali irragionevoli non c’è sessualità, ma solo rapporti riproduttivi regolati dalla fisiologia e dall’istinto. Tra esseri umani dello stesso sesso la sessualità è impossibile; con essa non ha nulla a che fare l’omoerotismo (pratiche di manipolazione degli organi genitali e di altre parti del corpo avulse dal loro fine proprio).

2) La sodomia – come, sulla scorta della Sacra Scrittura (cf. Gen 18,16-19, 29), è più corretto chiamare la cosiddetta omosessualità – è un insieme di atti gravemente disordinati, in quanto non finalizzati all’uso naturale degli organi della procreazione e profondamente contrari alla dignità della persona umana. Essi sono estremamente degradanti e comportano sempre materia grave; compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, costituiscono perciò peccato mortale e privano l’anima dei battezzati della vita di grazia con tutti i suoi benefici, esponendola così alla dannazione eterna.

3) Affermare che esiste un’altra identità sessuale (detta omosessuale in contrapposizione a quella detta eterosessuale) significa negare una verità di ragione (livello naturale della conoscenza) e una verità rivelata (livello soprannaturale della conoscenza). La Sacra Scrittura (Gen 1, 27; 3, 24), con la quale concorda la scienza, riconosce solo due sessi, complementari tra loro; la trasmissione della vita umana richiede necessariamente un gamete maschile (prodotto dall’uomo) e un gamete femminile (prodotto dalla donna). Chi nega questo dato, di per sé evidente ma confermato dalla Rivelazione divina, è al contempo: a) un malato mentale; b) un eretico.

4) In certi casi – come quello qui considerato – uno può essere simultaneamente eretico e malato di mente, poiché la permanente distorsione cognitiva (delirio) è frutto di volontario assenso all’errore, pervicacemente reiterato nonostante tutti i richiami della coscienza, della grazia e dell’autorità; il soggetto – a meno che non sia stato plagiato – è perciò pienamente responsabile della sua patologia e merita condanna finché, se possibile, non si ravveda. Pur non avendo in ciò la potestà di emettere sentenze che abbiano valore giuridico, abbiamo il diritto e il dovere della pubblica esecrazione.

5) Nella Chiesa Cattolica il potere è stato preso da una mafia di eretici e pervertiti; quello che finora sembrava un problema temporaneo si sta invece rivelando una situazione di più lunga durata. Perciò bisogna proclamare senza timore che chiunque sostenga l’omoeresia, a qualunque livello, in questo non va ascoltato e che quanto dice in proposito non richiede affatto il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà, dato che non possiede l’autorità del Magistero autentico. Il foro interno (coscienza) non può essere violato da nessuno, fosse pure il Papa.

6) Perché un eretico perda la giurisdizione, tuttavia, è necessaria una sentenza giudiziaria emessa da un’istanza superiore, non certo da inferiori. Finché ciò non avviene, pertanto, siamo tenuti a prestare obbedienza, in ciò che è legittimo, ai legittimi superiori. Questo non è formalismo farisaico, poiché la comunione gerarchica non è una mera idea o un vago sentimento né un legame puramente spirituale, bensì, prima di tutto, un vincolo giuridico la cui sussistenza assicura l’unione organica con il Corpo Mistico e che esige la sottomissione in ciò che non contraddice la legge divina e il diritto canonico.

7) Per tali ragioni, qualunque cosa accada, restiamo saldamente all’interno di quella società visibile che è la Chiesa Cattolica. Scegliersi autonomamente una guida che rivendichi un’autorità di cui non è dotata significa sottomettersi a un potere illegittimo che si regge sugli abusi di coscienza (e, spesso, anche di altro genere); in altre parole, finire in una setta da cui sarà molto difficile uscire a causa del profondo oscuramento dell’intelletto, indotto da sistematiche manipolazioni cognitive ed emotive.

8) A quanti praticano l’omoerotismo in modo ostinato e convinto è dovuta la riprovazione sociale e l’esclusione dai Sacramenti. Chi è invece afflitto da tendenze omoaffettive, se ha buona volontà, va aiutato a guarire da quella patologia; esistono a tal fine terapie riparative efficaci e sperimentate, che occorre conoscere e applicare per il bene di tante persone che soffrono di quel disordine a causa di traumi infantili o di un precoce avviamento al vizio seguito all’adescamento da parte di pederasti. I tribunali civili devono punire questi ultimi con la massima severità e metterli in condizione di non nuocere più, poiché questa è un’esigenza fondamentale della giustizia.

9) Alla luce di quanto sopra esposto, i neologismi omofobia e omotransfobia sono privi di senso: condannare atti e comportamenti gravemente contrari alla legge divina e alla dignità umana non è una patologia, bensì una logica applicazione della retta ragione e della verità rivelata. Le subdole manipolazioni linguistiche e concettuali cui, per legittimare l’abominio, ricorre il sistema di potere che domina la società civile e la Chiesa terrena non sono altro che inconsistenti giochi di parole con i quali è impossibile nascondere la realtà e, tantomeno, modificarla.

10) La carità di Cristo ci spinge a proclamare la verità con chiarezza e fermezza per il bene di tante anime che rischiano di dannarsi per tutta l’eternità; illuderle con vuoti artifici dialettici significa condannarle all’infelicità anche in questa vita. Pertanto, nella speranza di vincere la sordità di chi si è lasciato irretire dall’errore e dalla menzogna, gridiamo senza timore queste semplici certezze di fede e di ragione, consapevoli che non c’è per l’errante altra via per sfuggire al fuoco eterno che la resipiscenza e la conversione a Gesù Cristo, via, verità e vita.

Sulla base delle ragioni suesposte, chiediamo a papa Leone XIV di annullare le iniziative previste per il 5 e 6 Settembre 2025 nella Basilica di San Pietro e nella Chiesa del Gesù in Roma. Un abominio del genere sarebbe altamente offensivo di Dio e di tutti i cattolici, nonché di chiunque sia sano di mente. Esso contrassegnerebbe altresì negativamente tutto il pontificato e scuoterebbe fortemente la fiducia di moltissimi fedeli.


DA INCORNICIARE:

https://quotidianoweb.it/cultura-e-societa/il-paradosso-ecclesiale-di-un-pellegrinaggio-identitario-nellanno-giubilare-tra-equivoco-pastorale-e-distorsione-dottrinale/


sabato 16 agosto 2025


Che non succeda a noi come a loro

 

 

Chi ritiene di stare in piedi badi di non cadere (1 Cor 10, 12).

Il Signore ci ammonisce riguardo al fatto che l’essere membri della Chiesa, che è certamente una grazia immensa, non è tuttavia sufficiente per garantirsi la salvezza definitiva, in quanto è necessario perseverare sino alla fine. Per questo san Paolo ricorda gli esempi storici della peregrinazione di Israele nel deserto: erano stati liberati dall’Egitto, sì, ma non erano ancora giunti alla Terra promessa. Gran parte di loro non vi arrivò, proprio perché non perseverò nella fede e cedette alle tentazioni (cf. 1 Cor 10, 5ss). La tentazione, quasi sempre, fa leva sulle concupiscenze, sui bisogni più immediati, che però non sono più volti al loro fine (il sostentamento e la trasmissione della vita), bensì sono deviati verso il piacere preso come fine a se stesso. Così – dice l’Apostolo – la maggior parte degli Israeliti perì nel deserto perché non era rimasta fedele al Signore e, non avendo apprezzato la grazia inestimabile della liberazione, non aveva avuto la pazienza di sostenere la prova fino in fondo.

Nel Vangelo il Signore, avvicinandosi a Gerusalemme per il Suo ingresso trionfale, quando vede la città dall’alto del Monte degli Olivi, scoppia in pianto (cf. Lc 19, 41). Qui si vede la carità di Gesù, il suo amore per gli uomini, in particolare per il Suo popolo. Egli sospira: «In questo giorno, che era il tuo (cioè nel giorno della tua salvezza), tu non hai riconosciuto ciò che ti conduce alla pace. Ormai questa grazia è nascosta ai tuoi occhi, perché l’hai rifiutata. Verranno giorni in cui i nemici ti circonderanno, ti assedieranno e poi, dopo averti presa, ti raderanno al suolo e uccideranno tutti i tuoi figli (cf. Lc 19, 42-44). Questa storia deve istruirci: ciò che è accaduto nelle vicende bibliche, evidentemente, è un ammonimento per noi oggi.

La durezza di cuore dell’antico Israele fu causa della sua rovina, non solo di quella di Gerusalemme e della Nazione, che sarà poi dispersa, ma soprattutto della sua rovina spirituale: nell’ostinato rifiuto del Messia questo popolo – o almeno quello che ne rimane – continua ad opporsi ai piani divini nel vano tentativo di realizzare le promesse fatte ai padri, dalle quali, però, è decaduto. Le promesse di Dio sono certamente irrevocabili ma l’uomo può decaderne, se non rimane fedele alle condizioni che Dio ha posto perché si possa godere di ciò che ha promesso. Sul piano spirituale, perciò, il giudaismo è sì sopravvissuto, ma in una forma deviata, in quanto si è perpetuato come religione avversa al Cristianesimo, come causa di opposizione perenne all’unica vera religione, che è quella dell’Antico Testamento, giunta con il Nuovo alla perfezione.

È ovvio che, nel momento in cui, con il Sacrificio del Figlio di Dio, è stata instaurata la Nuova Alleanza, quella antica ha cessato di essere in vigore. Tuttavia il giudaismo continua ancora ad essere praticato, benché non ci sia più alcun motivo per la sua sussistenza, in quanto ciò che c’era all’inizio come premessa e preparazione ha trovato compimento nel Cristianesimo. Ora, questa è una rovina spirituale di gravità inimmaginabile, perché significa chiudersi completamente alla luce di Dio, respingere ostinatamente i Suoi richiami, continuare a opporsi all’avvento del Suo Regno, che nessun essere umano può fermare.

Questa rovina spirituale ha inevitabili ripercussioni anche sul piano politico: perciò a un certo punto è stato concepito il nefasto progetto di ricostituire uno Stato ebraico, che però non ha alcuna legittimità né sul piano giuridico né su quello teologico. Sul piano giuridico è ridicolo avanzare motivazioni di tipo religioso rivendicando un diritto che risale a più di tre millenni fa, diritto che, come appena accennato, è stato comunque perso a causa delle continue ribellioni del popolo, delle sue infedeltà, dei suoi cedimenti all’idolatria, che lo hanno fatto decadere dall’Alleanza. Ciò avvenne già nel 586 a.C., quando i Babilonesi espugnarono Gerusalemme per la prima volta; poi successe di nuovo con Tito nel 70 d.C. Per imporre tale falso messianismo, tutto un popolo è stato scacciato dalla sua terra e costretto a vivere in un regime di apartheid, prima che si procedesse chiaramente al suo sterminio, che sta avvenendo sotto i nostri occhi senza che nessuno faccia nulla per fermarlo. L’annuncio del castigo è perentorio: «Non lasceranno in te pietra su pietra» (Lc 19, 44).

Sul piano teologico questa pretesa è ancora più infondata, proprio perché tutte le promesse di Dio si sono compiute per noi, che siamo il nuovo Israele, la Chiesa Cattolica. Ciò che Dio aveva promesso nell’Antico Testamento è stato realizzato nel Nuovo; siamo quindi noi gli eredi dei beni promessi da Dio, che non sono però un territorio geografico né uno Stato inteso in senso politico, bensì i beni del Regno di Dio, che abbraccia l’umanità intera, chiamata a convertirsi aderendo a Gesù Cristo con la fede e venendo rigenerata da Lui col Battesimo. Sono questi i beni messianici: sono quelli della grazia di cui godiamo nella Chiesa; sono quelli della gloria di cui, con tutti i Santi, gode l’Assunta in Paradiso in un tripudio di carità e di gioia.

A questo punto veniamo a noi. Come dicevamo, i fatti della storia sacra sono lezioni. Se stiamo in piedi per grazia di Dio, perché il Signore ci ha risollevati, badiamo di non cadere, cioè facciamo in modo che non capiti anche a noi ciò che è successo all’antico Israele: non decadiamo da questo stato benedetto e privilegiato in cui il Signore ci ha collocati per pura benevolenza. Prima di tutto dobbiamo vivere in una gratitudine continua, ringraziare ininterrottamente il Signore per la dignità di cristiani che ci ha dato nel Battesimo: è la dignità di figli di Dio, creature partecipi della Sua vita; poi, evidentemente, dobbiamo conformare la nostra esistenza a ciò che siamo.

A questo scopo, bisogna non soltanto respingere le tentazioni più grossolane con cui il diavolo fa leva sui nostri bisogni primari, ma soprattutto imparare a non mormorare, a non lamentarci di ciò che la Provvidenza dispone per noi, poiché tutto, perfino le prove, ha un fine positivo. Dio ci mette alla prova per affinare la nostra fedeltà a Lui, per rafforzare il nostro attaccamento, per farci progredire nell’unione con la Santissima Trinità. Tutto ciò che Dio dispone o permette è dunque per il nostro bene; il cristiano, di conseguenza, accoglie con serenità e gratitudine tutte le evenienze, sapendo che sono tutti mezzi disposti da Dio per il suo progresso. In questo modo la nostra anima e il nostro corpo saranno un tempio. Noi già lo siamo in virtù del Battesimo, perché lo Spirito Santo abita in noi, ma bisogna che tutte le espressioni del nostro essere manifestino la presenza di Dio in noi.

Quando il Signore purificò il Tempio di Gerusalemme dai venditori, citò i Profeti quando Dio dice: «La mia casa è casa di preghiera; voi, invece, ne avete fatto una spelonca di briganti» (Lc 19, 46; cf. Is 56, 7; Ger 7, 11). Ogni volta che nella nostra anima prevalgono i pensieri cattivi, i sentimenti negativi, le deliberazioni contrarie alla Legge di Dio, essa diventa una spelonca di briganti, un riparo dei demoni. Facciamo allora in modo che essa sia davvero un tempio, che sia una casa di preghiera dove Dio è adorato giorno e notte, dove almeno nell’intimo sale a Lui una lode incessante. Così diverremo sempre più capaci di riconoscere i momenti in cui il Signore ci visita con un’ispirazione intellettuale o con una mozione dello Spirito Santo.

Non possiamo evidentemente pregare sempre in modo espresso anche con la mente, poiché, se siamo occupati in qualche cosa, non possiamo formulare una preghiera esplicita. Tuttavia il movimento del cuore, l’aspirazione dell’anima alla vita eterna e al godimento di Dio non deve mai cessare: al contrario, deve essere sempre presente e alimentare ogni nostro sforzo indirizzandolo verso il suo fine ultimo, in modo che ogni azione acquisti un senso soprannaturale: non rimanga semplicemente un fatto terreno, ma diventi un gradino per avvicinarci al Cielo.


sabato 9 agosto 2025


Il Cristo nascosto

 

 

Ma Gesù taceva (Matteo 26,63).

Fratelli e Sorelle in Cristo,

ci sono momenti in cui il silenzio di Dio sembra risuonare più forte del rumore del mondo. Momenti in cui la sofferenza persiste, in cui le risposte non arrivano e in cui i fedeli - persino il Pastore – deve vegliare nel buio.

Questo è uno di quei momenti.

E oggi non vengo a proporre soluzioni. Vengo a vegliare con voi.

Cristo è ancora in mezzo a noi – non sempre in trionfo, non sempre in modo chiaro – ma spesso in modo nascosto. Nascosto nelle ferite dei malati, nascosto nella confusione della Chiesa attuale, nascosto nella persecuzione di coloro che cercano la Messa tradizionale, nascosto nelle lacrime silenziose di una madre che prega nella notte. Ed è lì, proprio lì, che i fedeli dovrebbero potersi aspettare che il loro Pastore rimanesse.

Perché è in quella quiete, tra le ombre e il silenzio, che viene forgiato il vero coraggio pastorale. La presenza del Pastore non si misura con parole o gesti eclatanti, ma con la fermezza di restare quando tutto sembra tranquillo o addirittura abbandonato. Nella solitudine della guardia, dove le prove incalzano e la speranza si affievolisce, il Pastore è chiamato ad essere un segno vivente dell’amore incrollabile di Dio: una sentinella silenziosa che porta i pesi del gregge condividendo le sue sofferenze e intercedendo davanti al Trono di grazia. In questo caso, la fede non è una rassegnazione passiva, ma una resistenza attiva e orante che abbraccia il mistero dei tempi e della provvidenza di Dio. Restare è testimoniare l’opera nascosta della grazia anche quando è velata alla vista umana.

Un vescovo è chiamato ad essere una sentinella. Non deve abbandonare le porte quando nella città cresce l’agitazione. Non deve ritirarsi dall’altare quando le lacrime riempiono il santuario. Deve vegliare.

«Venne dai suoi discepoli, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Così, non siete stati capaci di vegliare con me un’ora sola?”» (Matteo 26, 40).

Quando Nostro Signore entrò nel Getsemani, non chiese come prima cosa ai Suoi discepoli di agire, ma di vegliare. Di rimanere svegli con Lui nel Suo dolore. Non chiese soluzioni. Chiese la presenza.

È il ruolo del Pastore in una Chiesa sofferente: non risolvere per prima cosa, ma restare.

È qui che sono chiamati i vescovi. Pronti a vegliare mentre gli altri fuggono.

Pronti a custodire il tabernacolo. Pronti a tenere la lampada della fede quando altri la lasciano spegnere.

Papa san Pio X una volta scrisse: «L’ufficio divinamente affidatoci di pascere il gregge del Signore ha soprattutto questo dovere assegnatogli da Cristo, vale a dire di custodire con la massima vigilanza il deposito della fede consegnato ai santi, respingendo le profane novità di parole e le opposizioni di conoscenze falsamente definite tali” (Pascendi Dominici Gregis, 1907).

E quella fedeltà è messa alla prova non solo nella dottrina, ma anche nella compassione, nella pazienza che ha patito a lungo di accompagnare il popolo di Dio nelle sue ore più buie.

Eppure oggi vediamo molti Pastori, molti vescovi, che non sono realmente presenti con il loro gregge. Ma oggi, che il vostro Pastore sia stato presente con voi o meno, voglio dirvi che non siete soli.

In Isaia 53, 2-3 leggiamo: «In Lui non c’è bellezza né avvenenza: e noi Lo abbiamo visto e nulla alla vista c’era che ci facesse desiderare di Lui. Disprezzato, il più abietto tra gli uomini, uomo dei dolori e conoscitore delle infermità…».

Cristo non è estraneo al nascondimento. È nato in un luogo fuori mano. È fuggito in esilio. È stato frainteso dai religiosi, tradito dagli intimi, giudicato in silenzio. E quando è risorto dai morti, non è apparso a tutti, ma solo ai pochi che avevano vegliato.

Oggi c’è la tentazione – anche nella Chiesa – di equiparare Cristo all’approvazione o alla vittoria o allo status quo. Ma i santi sapevano il contrario.

San Giovanni della Croce ha scritto: «La sopportazione delle tenebre è la preparazione alla grande luce».

Santa Gemma Galgani diceva: «Se vuoi veramente amare Gesù, impara prima a soffrire, perché la sofferenza ti insegna ad amare».

E papa Pio XII ha dichiarato: «La Chiesa, seguendo il suo Divino Fondatore, avanza sempre sotto il segno della contraddizione».

Non dobbiamo temere il nascondimento di Cristo. Non dobbiamo affrettarci a risolvere ciò che Dio ci chiede di portare. Il Signore non è assente. È velato, come lo è nel tabernacolo.

Forse tu, caro ascoltatore, sei tra coloro che vegliano per una persona cara in ospedale, per un figlio che ha perso la strada o per una Chiesa che riconosci a malapena. Voglio parlarvi ora:

«Il Signore è buono con quelli che sperano in Lui, con l’anima che Lo cerca. È bene attendere in silenzio la salvezza di Dio» (Lamentazioni 3, 25-26).

Non disprezzate l’attesa. Nel silenzio, Cristo è vicino. Egli non dimentica colui che veglia. Vede le lacrime che nessun altro vede. Si ricorda di coloro che non se ne vanno.

E io, come Pastore, sono qui a vegliare con voi. Non vengo con spiegazioni facili e con una salvezza rapida, ma con la fede in Colui che è nascosto eppure del tutto presente. Ed è qui – soprattutto qui – che dobbiamo guardare verso l’altare, verso quel miracolo velato e silenzioso che ci sostiene. Nel Santissimo Sacramento, infatti, non incontriamo un Dio lontano, ma il Cristo crocifisso e risorto, che rimane con noi nel silenzio, nella sofferenza e nel mistero sacramentale. Ciò che sembra nascosto è, in verità, il luogo della massima vicinanza.

E oggi – voglio che lo ricordiate – ci sono tabernacoli in tutto il mondo – a volte chiusi a chiave, spesso silenziosi – che contengono lo stesso Cristo che ha percorso le strade della Galilea, che ha pianto nel Giardino, che è stato appeso alla Croce.

Cristo – Corpo, Sangue, Anima e Divinità – rimane con noi, aspettando in silenzio, esposto all’indifferenza, adorato da pochi.

«E mentre erano a cena, Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò, lo diede ai Suoi discepoli e disse: Prendete e mangiate. Questo è il mio corpo» (Matteo 26, 26).

Ecco il mistero di Cristo nella sofferenza:

– nascosto;

– incompreso;

– offerto.

San Pietro Giuliano Eymard scrisse: «L’Eucaristia è la prova suprema dell’amore di Gesù. Dopo di essa, non c’è altro che il Paradiso stesso».

Cristo è nascosto nell’Eucaristia. E Cristo è nascosto nella sofferenza. La domanda è: «Ci inginocchieremo?».

Oggi dico a coloro che sono affranti, tranquilli, fedeli: Egli vi aspetta.

A voi che state portando la croce, non visti dagli altri.

A voi che vi sentite lasciati indietro, inascoltati, incompresi.

A voi il cui corpo o la cui anima sono affaticati dall’afflizione.

A voi che vi sentite confusi dai messaggi contrastanti che sentite dalla Chiesa.

Cristo è più vicino di quanto pensiate.

«Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a guarire i contriti di cuore, a proclamare la libertà agli schiavi e la liberazione dei prigionieri; a proclamare l’anno di grazia del Signore e il giorno di vendetta del nostro Dio; a consolare tutti gli afflitti» (Isaia 61, 1-2).

Le vostre ferite non sono inutili. Il vostro silenzio non passa inosservato. Le preghiere che sussurrate nel buio sono raccolte come incenso davanti al trono di Dio.

La Chiesa può essere ferita, ma Cristo è ancora in essa. Voi starete soffrendo, ma Cristo soffre in voi. E questo Pastore vede – e rimane.

Il silenzio della Chiesa non è abbandono. È il silenzio del Getsemani. La sofferenza della Chiesa non è una sconfitta. Sono le doglie del parto della risurrezione.

Non siete soli. Anche se la notte sembra infinita e nessuna voce sembra rispondere, siete accompagnati dalle preghiere silenziose della Chiesa, dall’intercessione dei Santi, dall’amore di coloro che soffrono con voi senza essere visti. Le ferite che portate non passano inosservate in Paradiso. Ogni sospiro, ogni lacrima, ogni silenzioso atto di sopportazione viene catturato in qualcosa di più grande: nel cuore stesso di Cristo, che soffre con voi e per voi. E in questa comunione di sofferenza, la speranza comincia a sorgere – non sempre rapidamente, ma sicuramente, come l’alba che sorge sulle colline.

«Ora il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di essere un’anima sola gli uni verso gli altri, secondo Gesù Cristo, affinché con una sola mente e con una sola bocca glorifichiate Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Romani 15, 5-6).

Rimaniamo insieme:

nella veglia notturna;

nel silenzio dell’Eucaristia;

nella quiete dove Cristo è nascosto…

… e dove, finalmente, Egli sarà rivelato.

Che Dio Onnipotente vi benedica, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen.

Mons. Joseph E. Strickland