Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 4 febbraio 2023

 

Accompagnami

nella via dei tuoi precetti

 

 

Deduc me in semitam mandatorum tuorum, quia ipsam volui (Sal 118, 35).

Deduc me, Domine, in via tua, et ingrediar in veritate tua: laetetur cor meum ut timeat nomen tuum (Sal 85, 11).

«Accompagnami nel sentiero dei tuoi comandamenti, poiché quello ho voluto» (Sal 118, 35). Dalla Sacra Scrittura, letta in sintonia con la Tradizione e il Magistero, sotto l’influsso dello Spirito Santo invocato nella preghiera, riceviamo continuamente luminose indicazioni, capaci di orientare con sicurezza il nostro discernimento. Qui, in un solo versetto, ne sono concentrate diverse di grande importanza: si parla di accompagnamento (termine oggi molto in voga), di sentiero e di adesione della volontà. Troviamo qui, in nuce, il fondamento della dottrina morale e di quella pastorale della Chiesa Cattolica, con un equilibrio e una completezza così mirabili che solo la divina Parola può assicurare, insieme, di riflesso, agli scritti e discorsi da essa ispirati.

L’orante chiede anzitutto a Dio di accompagnarlo. Il credente deve imparare a camminare da sé, poiché nessun altro può sostituirlo, per così dire, nel porre un passo dopo l’altro, discernendo le situazioni e prendendo decisioni al posto suo. Ciò non sarebbe di alcuna utilità per la maturazione spirituale e non apporterebbe alcun merito, ma lascerebbe il fedele in uno stadio interiore puerile oppure ve lo farebbe regredire. Egli non sarebbe in grado di alzare un piede senza che qualcun altro gli dicesse se è giusto o sbagliato, permesso o proibito, cosa buona o cattiva; in assenza di tale guida, rimarrebbe paralizzato. Ogni responsabilità sarebbe così facilmente rigettata sulla guida o su Dio stesso, del quale la guida si è fatta interprete, e ognuno si sentirebbe tranquillamente esonerato dal dovere di comprenderne la volontà nelle concrete circostanze della propria esistenza.

L’accompagnatore si pone al fianco dell’accompagnato per indicargli il cammino, mostrargliene i pericoli, aiutarlo a superarne gli ostacoli, incoraggiarlo nelle difficoltà. Qualora il secondo attraversi un periodo di desolazione o di stanchezza, il primo assumerà un ruolo più direttivo impartendogli precise e stringenti istruzioni, ma non applicherà lo stesso metodo sempre e comunque, bensì regolerà con saggezza i suoi interventi in modo che ottengano il maggior frutto e gli eventuali danni collaterali siano ridotti al minimo. Fatti salvi, poi, i precetti comuni e le leggi ordinarie della vita spirituale, non prescriverà a tutti, indistintamente, gli stessi rimedi, ma li sceglierà a seconda dei diversi caratteri, situazioni e mali da curare. A un’ardente carità dovrà unire un’approfondita conoscenza della teologia morale e di quella ascetico-mistica.

La strada da seguire, evidentemente, non è determinata dalla guida, ma è già tracciata. Qui veniamo al secondo aspetto della questione, inseparabile dal primo: si tratta di camminare insieme – come attualmente si ama ripetere – non verso l’ignoto, bensì verso una destinazione certa (la beatitudine eterna) e lungo una via ben definita (la legge evangelica). Non spetta all’accompagnatore stabilire la mèta, quasi non fosse conosciuta, né decidere come ci si giunga: tutto questo è già stato fissato da Gesù Cristo e non ha bisogno né di aggiornamenti né di completamenti; occorre semmai applicare il Suo insegnamento a quesiti inediti, ma in perfetta coerenza con i princìpi e i criteri già noti. Nel seguire la strada, poi, l’accompagnato non potrà limitarsi a farlo materialmente, ma dovrà aderirvi con la propria volontà, sia pure per effetto di una grazia cui acconsentire e che avrà domandato in precedenza: «Inclina il mio cuore verso le tue testimonianze» (Sal 118, 36).

La sana dottrina e la retta prassi cattoliche sono caratterizzate dal perfetto concerto che stabiliscono tra la grazia e il libero arbitrio: sebbene la prima abbia un ruolo preponderante, il secondo non è affatto negato né coartato ma, al contrario, grazie ad essa si sviluppa fino ad assumere la propria piena statura, quella soprannaturale. Ciò che lo muove, infatti, non è né un freddo calcolo intellettualistico né una rigida norma volontaristica, bensì l’amore che la conoscenza del Verbo incarnato ha fatto divampare nel cuore del credente. Quest’ultimo segue una Persona che lo ha rapito, non una teoria o un’ideologia; perciò, se qualcuno lo incita ad imboccare un cammino diverso da quello che Gesù stesso gli mostra in Sé, non gli darà retta per alcun motivo al mondo, dato che il Cristo non è un’idea, ma il Dio che, nel farsi uomo, si è fatto modello vivente del cristiano, il quale liberamente, con l’aiuto della grazia, si conforma a Lui.

L’armonia prodotta dall’amore nell’agire morale è il migliore antidoto contro le opposte forme di clericalismo con cui ci troviamo alle prese, espressione entrambe di un paternalismo infantilizzante: o si trattano i fedeli alla stregua di ritardati da imbeccare e redarguire nei minimi dettagli, o li si inebetisce con fantasiosi proclami su sogni, sorprese, utopie e nuovi mondi da scoprire. Chi ti guida è incaricato di mostrarti dove mettere il piede, non anche di muoverlo come se tu non ne fossi capace; viceversa, non deve nemmeno annebbiarti la vista incitandoti a posarlo nel vuoto, quasi fosse il tuo passo a creare la strada di volta in volta. In un caso, l’oggetto cui aderire è chiaro, ma manca la libera adesione della volontà; nell’altro, esso è talmente indefinito da renderla impossibile. In entrambi i procedimenti, di conseguenza, si impedisce la cooperazione con la grazia.

«Accompagnami, Signore, nella tua via, così che io cammini nella tua verità; si rallegri il mio cuore di temere il tuo nome» (Sal 85, 11). Ecco la dinamica dell’amore per Dio, che ci preserva dai vicoli ciechi delle semplificazioni umane: l’uomo chiede la grazia che gli è necessaria per poter imboccare la strada giusta e progredire secondo il vero, non però in funzione del proprio autoperfezionamento individuale, bensì a motivo di quel legame filiale che gli fa desiderare di trovare la gioia solo nel Padre celeste e nell’obbedienza a Lui. «Non avete ricevuto lo spirito di schiavitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione filiale, nel quale gridiamo: “Abbà, Padre!”» (Rm 8, 15). Certi cattolici, a giudicare dai loro comportamenti pieni di rabbia furiosa, sembrano purtroppo ancora soggetti a uno spirito da schiavi, malgrado il loro Battesimo. Chi si azzarda a incrinare le certezze con cui nascondono questa triste realtà a sé stessi e agli altri incorre in un’ira cieca e funesta che li rende incapaci di intendere qualunque salutare obiezione.

Chi invece, guidato dallo Spirito Santo, si rivolge a Dio mediante Gesù chiamandolo affettuosamente Papà, come insegna l’Apostolo, riceve da Lui luce e conforto in ogni evenienza e per ogni necessità. Questo, ovviamente, non va considerato motivo di vanto né alimento di un senso di superiorità del tutto alieno dall’intimità divina, bensì è sprone a un umile abbassamento, colmo però di smisurata gratitudine: «Ti renderò lode, Signore, mio Dio, con tutto il mio cuore e glorificherò il tuo nome in eterno, poiché immensa è la tua misericordia su di me e hai strappato l’anima mia dall’Inferno più profondo» (Sal 85, 12-13). Che il Redentore conservi ognuno di noi in questa santa confidenza, tale da preservarlo dalla superbia e mantenerlo fermo nella Sua via, che è Egli stesso; così giungeremo a ringraziarlo e benedirlo per sempre, rendendogli il contraccambio per quanto possibile. A un amore infinito, d’altronde, si potrebbe forse corrispondere con qualcosa di meno di un’eternità di lodi e di ringraziamenti, fusi insieme nel coro degli Angeli e dei Santi?


10 commenti:

  1. Fuori tema:

    https://lascuredielia.blogspot.com/p/contributo-al-dibattito.html

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  2. Don Elia, una curiosità: l'inchiesta ecclesiastica è necessaria solo in caso di presunti messaggi pubblici dal Cielo, o anche in caso di possibili grazie straordinarie? Oppure, quando ci sono presunte grazie o messaggi privati, la persona può parlarne col direttore spirituale, senza che sia coinvolta tutta la macchina ecclesiastica, vista la situazione non felice dell'episcopato?
    Prego per lei.

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    1. Se si tratta di messaggi privati o di grazie straordinarie destinate a un singolo, non c'è bisogno di un'inchiesta canonica; basta parlarne col direttore spirituale, purché sia preparato riguardo ai fenomeni mistici.

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  3. La rabbia brucia anche in me, che perdo forza dietro l'accusa dei foziani, dei tradizionalisti e dei progressisti.
    Perché il Signore benefica chiunque in Loro si rifugia. Non sarà la disattesa dei dogmi canonici, della via all'intimità divina, della theoria o della prassi, della stessa sacra liturgia a farmi uscire dalla Chiesa, peccatore come sono.
    Solo che sinceramente Elia le deviazioni scoperte sono troppo ingenti e vedere gli ipocriti cucirsele a loro uso e consumo è gramo.

    Tutto ciò sono sicuro il Signore abbia disposto affinché io comprenda in fondo la mia avidità che come suggerì il grande Agostino "avido è chiunque DIO solo non basti".
    Anche queste situazioni storiche previste dalla Provvidenza sono un continuo addestramento ed ammaestramento per portarci alla vittoria di cui però non ci fidiamo, almeno io.

    Mi scuso per i precedenti messaggi e ringrazio per la pazienza. Il tre volte Santo ridoni presto alla sua Chiesa unità, unicità , concordia e pace, per compattarsi innanzi alle prossime tribolazioni.

    "Per il tuo nome, Signore, fammi vivere,
    liberami dall'angoscia, per la tua giustizia.
    Per la tua fedeltà disperdi i miei nemici,
    fa' perire chi mi opprime poiché io sono tuo servo"
    (142,11-12)

    "Un anziano disse: -Da qualunque prova tu sia colto, non incriminare se non te solo, dicendo che è accaduto a mia colpa, causa i miei peccati".

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    1. Dobbiamo astenerci da bilanci storici che superano le nostre possibilità e confidare appunto nella Provvidenza, che conduce la Chiesa in modo perfettissimo anche per mezzo degli errori umani delle sue guide.

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  4. “O Misericordioso Gesù, che bruciate di un sì ardente amore per le anime, Vi scongiuro, per l’agonia del Vostro Santissimo Cuore e per i dolori della Vostra Madre Immacolata, di purificare con il Vostro Sangue tutti i peccatori della terra che sono in agonia e che devono morire oggi stesso. Cuore agonizzante di Gesù, abbiate pietà dei morenti”. Tre Ave Maria, oggi in suffragio di tutte quelle persone ancora agonizzanti, sotto le macerie, dopo il terremoto in Turchia e Siria.

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  5. Cuore divino di Gesù convertite i peccatori salvate i moribondi liberate le anime sante del Purgatorio. Tutto per voi Cuore Sacratissimo di Gesù

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  6. Reverendo don Elia, se un cattolico dovesse convertirsi alla Chiesa ortodossa commetterebbe peccato di apostasia oppure "solo" peccato di scisma ( e forse anche di eresia)?

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    1. L'apostasia, secondo il Codice di Diritto Canonico (can. 751), è il "rifiuto totale della fede cristiana". Il passaggio ad una delle Chiese ortodosse è pertanto un peccato di scisma e anche di eresia, dato che comporta la negazione del primato del Vescovo di Roma.

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  7. Can. L. Beaudenom: Pratica dell’umiltà
    L’umiltà! Tutta la tradizione cristiana è unanime nell’esaltarla, tutte le anime pie ne sono affamate; Gesù l’ha elevata all’altezza della redenzione associandola al dolore. Dove essa manca, manca la virtù.

    Baudenom *, Formazione all'umilta'
    https://lacroce.altervista.org/BeaudenomPraticadellUmilta.pdf
    *Léopold Beaudenom
    Scrittore ascetico francese (Tulle 1840-Puteaux 1916). Si dedicò alla compilazione di opere ascetiche, in cui si richiama ai principi di Sant’Ignazio di Loyola e di San Francesco di Sales: Formation à l’humilité et par elle aux autres vertus (1897), Les sources de la pieté (1908), Méditations affectives pratiquées sur l’Evangile (1912-18), Orientation de l’âme vers la perfection (1929).

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