Come il chicco di grano
«Che
cosa credete che facevamo in seminario?». Questa volta, nonostante le
apparenze, non è una vergognosa ammissione. È la candida “confessione” di un
giovane sacerdote cui il vescovo ha minacciato la sospensione a divinis qualora si azzardi a celebrare
in rito antico. «Lei sa celebrare la Messa tradizionale, Padre?», è stata la
spontanea reazione. «Certo, ho imparato durante gli studi. Che cosa credete che
facevamo in seminario?». Grandioso. C’è tutto un movimento sotterraneo che sta
crescendo silenziosamente fra seminaristi e giovani preti, sotto il naso di
quella nomenklatura al potere che
come una banderuola, quattro anni fa, ha repentinamente quanto radicalmente
cambiato orientamento. Non ci si può opporre a Dio. Ecco i veri segni dei tempi di cui si riempiono la
bocca nei loro stanchi ritornelli, che nessuno vuol più sentire. Poi si rompono
il capo per capire come mai i ragazzi scappino dalle parrocchie appena ricevuti
i sacramenti…
Ci
avevano confezionato un nuovo “cristianesimo” facile e piacevole, al passo coi
tempi, sensibile ai temi del mondo moderno e alle attese dell’uomo contemporaneo,
senza regole, sacrifici, rinunce, penitenze, retaggio di un oscuro Medioevo in
totale contraddizione con il Vangelo, quel lieto annunzio di liberazione, pace,
gioia, amore e fraternità universale rimasto disatteso per quasi due millenni…
Finalmente l’utopia diventava realtà; la Chiesa ritrovava la sua vera identità
di rete informale di piccole comunità autarchiche, la liturgia rifioriva nella
creatività dell’improvvisazione, Gesù poteva di nuovo passare fra la gente con
la sua parola liberatrice e tutti, ortodossi, protestanti, ebrei, musulmani,
buddhisti, indù, atei o animisti – che lo gradissero o meno – erano promossi a
nostri fratelli. L’attesa escatologica si era miracolosamente compiuta: il
“regno” era ormai fra noi, bastava convincersene e farlo sapere agli altri.
Su
ciò che non andava, nella Chiesa o nel mondo, bisognava solo chiudere gli occhi;
se proprio non era possibile, la soluzione era derubricare a debolezza o
anomalia quanto fino allora considerato peccato, aggiornando l’arretrata morale
cattolica alla luce degli ultimi dati della psicologia e della sociologia. Chi,
nonostante l’arrivo dei tempi messianici, commetteva ancora crimini
assolutamente inammissibili andava paternalisticamente compatito come qualcuno
che non aveva capito la verità e a cui, di conseguenza, si sarebbe dovuto
spiegare perché sbagliava. La fede coincideva con le giuste idee che
assicuravano la salvezza – una salvezza del tutto terrena che si riassumeva in
un vago benessere psichico conseguente al superamento delle alienazioni
contemporanee. Nessuno, a quanto pare, s’era avveduto che quelle alienazioni
derivavano proprio dall’abbandono della fede ricevuta e dei suoi modi
tradizionali di esprimersi e nutrirsi.
Come
meravigliarsi che questo “cristianesimo” nuova versione non dica più niente a
nessuno? Come stupirsi che questo suo surrogato artificiale e posticcio risulti
sempre più irritante e noioso, se non quando è oggetto di irrisione o di
disprezzo? Abbiamo usato il nome di Dio invano, in modo da farlo bestemmiare e
da rendere la fede irrilevante. Ciò che non costa nulla, ciò che dovrebbe
venire spontaneo non appena se ne parli… non riveste il minimo interesse,
eccetto per quelli che scelgono deliberatamente di vivere nell’illusione e di
sostituire la realtà con l’immaginario della loro fantasia di persone immature.
Tolti pochi individui di buona volontà sinceramente impegnati, ma spesso
irretiti dall’ideologia loro inculcata, le parrocchie rigurgitano di gente che
si agita per farsi notare sul miserabile palcoscenico della “pastorale
creativa” o per realizzare improbabili progetti partoriti da una mente contorta
in una curia diocesana.
Ma
ecco che proprio quanto era stato irreversibilmente bandito come espressione di
una religione crudele, retrograda, alienante e oscurantista ritorna a poco a
poco a galla, senza far rumore. Non sono nostalgici o fondamentalisti a
riesumarlo, ma adolescenti e giovani che scoprono che esiste qualcosa di serio
per cui valga la pena vivere ed eventualmente consacrarsi. Ciò che costa sforzo
e sacrificio deve aver valore – e la vita va pur spesa per qualcosa che abbia
valore. Il soffocante nichilismo attuale non è imputabile esclusivamente agli
indirizzi filosofici della modernità, ma anche al fatto che tutta una
generazione di preti e religiosi gli ha spalancato le porte della Chiesa. Si
può pure comprendere, con l’occhio dello storico, il loro personale disagio
esistenziale in un’epoca segnata da profondi stravolgimenti politici, culturali
ed economici, ma visti i risultati non si può certo dire che le loro scelte
siano state vincenti. Sarebbe tempo di ammetterlo…
«Che
non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio» (At 5, 39). Perché i grandi
esperti della Parola fanno così fatica ad attualizzare ciò che li concerne?
Forse perché questo li obbligherebbe a convertirsi? Eppure «tutti dobbiamo
comparire dinanzi al tribunale di Cristo» (2 Cor 5, 10)… e non vengano a
raccontarci che questa è soltanto un’espressione pedagogica da demitizzare. È
consolante costatare che, per molti seminaristi attuali, Bultmann, Rahner,
Teilhard de Chardin e compagnia sono illustri sconosciuti o tutt’al più oscuri
nomi che trovano giusto nei libri. Il vento autunnale porta via le foglie
secche; poi, sotto la soffice coltre di neve, il frumento gettato nel terreno
germoglia e cresce di nascosto, ma deve necessariamente spuntare e svilupparsi
fino alla messe. «Guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv
4, 35).
Per
vederli, basta avere occhi non bendati dall’ideologia, ma rischiarati dallo
Spirito. I giovani amanti della Tradizione non sono rigidi o insicuri, ma persone
che si stanno realmente liberando dalle alienazioni indotte da una cultura
perversa cui la “nuova chiesa” ha fatto da cassa di risonanza. Quando le
deficienze inerenti alla natura umana decaduta o – peggio – le patologie di una
società malata, sotto l’influsso della psicanalisi, sono considerate parte
integrante dell’ordinario (e quindi inevitabile) funzionamento dell’uomo, si
rischia davvero di alienarsi di brutto. Se uno si sente dire, in seminario o in convento, che non solo non si può fare a meno di un’attività sessuale, ma che
l’impurità e le perversioni sono comuni a tutti, non potrà mai coltivare la
castità, a meno che, per una grazia singolare, non si accorga dell’inganno.
Rifiutarsi di essere manipolati non è indice di rigidità mentale, ma segno di
libertà interiore e di consapevolezza del pericolo.
Avanti,
dunque, senza paura! Sono lor signori che temono giovani svegli che non
abboccano più. Sanno benissimo che, se si applicasse realmente il Summorum
Pontificum, la situazione sfuggirebbe loro di mano:
l’assiduità alla vera Messa dissolve la soggezione a un sistema totalitario
impostosi con una colossale manipolazione collettiva di cui il novus
ordo
è il principale strumento. Chi celebra o assiste al divin Sacrificio nella
forma che ci è stata consegnata, piuttosto che in quella inventata a tavolino
per compiacere protestanti e massoni, comincia a sentirsi come un re che ha
ricuperato i suoi domini. Più questa partecipazione è gravosa o rischiosa, più
abbondante ne è il frutto spirituale. Lancio dunque un appello ai seminaristi e
ai giovani sacerdoti: fatelo sempre di più – magari di nascosto, ma fatelo. È
paradossale doversi esprimere così, ma che volete: è tutto capovolto.
Soprattutto consacrate voi stessi e le vostre comunità al Cuore immacolato di
Maria: sarà Lei a far crollare il sistema (come ha già fatto con l’impero
sovietico), ma vuole servirsi di voi.
vorrei fosse vero... ma ho tanta paura che l'infatuazione per il rito antico sia spesso una sorta di "moda", i preti giovani l amano perché è una sorta di trasgressione, come lo erano negli anni 70 le messe schitarrate. Non è qiestione di rito, ma di formazione spirituale. e i padri vari mancano.
RispondiEliminaCertamente una buona formazione spirituale è indispensabile e i buoni maestri sono rarissimi. Tuttavia, dai contatti avuti, mi risulta che sia qualcosa di più di un'infatuazione: chi oggi si fa prete, se ha un minimo di spessore, non lo diventa in funzione delle pagliacciate, ma aspira a dedicare la propria vita a un fine nobile e duraturo.
RispondiEliminaCarissimo Don Elia , in un suo precedente articolo avevo chiesto cosa ne pensasse sull ' attendibilità delle notizie sul successore di Gregorio diciassettesimo, ma non ho avuto risposta . La saluto cordialmente in Cristo e Maria
RispondiEliminaMi scuso se talvolta mi sfugge qualche richiesta.
EliminaSe Lei si riferisce all'elezione del cardinal Siri e a un suo "successore", mi pare evidente che il problema sia del tutto surreale, dato che se Siri, come si vocifera, fu realmente eletto nel '58 o nel '78, sarebbe necessariamente diventato papa, se non avesse rinunciato; ma di fatto, come tutti sappiamo, papa non lo fu mai.
Il Sacrificio Eucaristico e' fonte e culmine della vita cristiana. Anche io credo che siamo ad una svolta decisiva (centenario di Fatima). Bisogna continuare a pregare, riparare, convertirci, consacrarci e... sperare.
RispondiEliminahttp://www.ilgiornale.it/news/cronache/lora-religione-e-miracolo-i-banchi-1353186.html
RispondiEliminaGrazie per la risposta Don Elia. Una preghiera per me con i miei cari
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