Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 18 luglio 2015


Il medico e la medicina


È un’esperienza comune: quando una persona cara è colpita da grave malattia, si cerca il migliore specialista e ci si affida alla sua scienza e perizia. Anch’egli è un essere umano, ma in casi come questo la sua figura appare soffusa di un’aura quasi sacrale e ci si mette totalmente nelle sue mani. È naturale, d’altronde, dare fiducia a chi possiede le conoscenze e i mezzi per ottenere la guarigione; è perfino logico, purché si tenga conto dei suoi limiti di uomo fallibile e non se ne faccia una specie di divinità: qualsiasi capacità umana conserva pur sempre un carattere limitato e provvisorio, data la sua natura derivata e la necessità di progredire continuamente.
 
Nella vita spirituale – cioè per quanto riguarda la salute della nostra anima – queste dinamiche sono di solito molto meno evidenti e, di conseguenza, ancor meno impellenti. Non solo, quindi, ci esponiamo sconsideratamente agli “agenti patogeni”, ma siamo pure estremamente inerti e indolenti nel diagnosticare i nostri mali e nel cercare aiuto per porvi rimedio. È pur vero che non è affatto facile, nel nostro tempo, trovare un buon medico dell’anima che possa realmente aiutarci, anziché peggiorare la situazione; è capitato a molti di noi di allontanarsi dal confessionale con il fermo proposito di non tener conto di quanto detto dal confessore perché contrario alla sana dottrina. Ma non bisogna per questo smettere di domandare a Dio una valida guida spirituale.

Uno scopo precipuo della parrocchia virtuale è appunto quello di mettere i fedeli a contatto con sacerdoti affidabili. Un vero padre nello Spirito è un ministro che non mette se stesso al centro dell’attenzione e non crea perciò dipendenze psicologiche o affettive, ma, riconoscendosi semplice strumento della grazia, orienta la persona che gli chiede consiglio verso l’Unico in grado di darle ciò di cui ha bisogno la sua anima, le insegna come ascoltarlo e riceverne le cure, si fa canale della Sua terapia. Quel Medico, infatti, è al tempo stesso la medicina e compendia in sé la guarigione. Non c’è nient’altro da cercare o da scoprire all’infuori di Lui; al tempo stesso, non si finisce mai di conoscerlo né di attingere alle profondità della Sua sapienza: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36 [35], 10).

Cominciamo dunque con il contemplarlo nel santo Vangelo, bevendo avidamente le Sue parole vivificanti, osservandone con religioso stupore le azioni salvifiche, ponendoci al Suo séguito fra i discepoli e le donne pie. Chiediamo loro di raccontarci in qual modo Lo hanno conosciuto, che cosa hanno provato in quel primo incontro, come da quel momento è cambiata la loro esistenza, che cosa hanno fatto per ricambiare l’intervento del Suo amore, così inaspettato e al di là di qualsiasi attesa. Nella Comunione dei Santi ce li troveremo tutti intorno ed essi scambieranno con noi, come un bene comune, i doni della grazia da loro ricevuti: Andrea, Pietro, Giovanni, Matteo, la Maddalena, i discepoli di Emmaus… Quanti compagni, a partire da loro, possono insegnarci ad entrare nella Sua amicizia e a penetrarne le insondabili ricchezze! Ognuno di noi può scegliere l’amico che sente più affine per lanciarsi in questa meravigliosa avventura.

Al di sopra di chiunque altri, ecco venirci incontro Colei che Gli ha fornito carne e sangue, dando così, all’eterna Sapienza, la possibilità di intrattenersi con i figli dell’uomo come uno di loro e di offrirsi in sacrificio per la loro redenzione; a noi, quella di vederla con i nostri occhi, udirla con le nostre orecchie, toccarla con le nostre mani. Chi potrà mai sondare l’abisso di quel Cuore immacolato che l’ha accolta in sé prima ancora del grembo? Chi potrà meglio iniziarci all’amore di quella medesima Sapienza divina che in Lei si è incarnata e fatta come noi? Ma dobbiamo dapprima lasciarci iniziare al mistero di questa Donna singolare che concepì il Verbo del Padre e non se ne lasciò sfuggire nemmeno una parola, già pronunciata nella Scrittura o da pronunciare a viva voce: dobbiamo conoscere Lei, che è un tutt’uno con il Figlio, per poter veramente conoscere Lui come desidera esser conosciuto.

Chi ancora non lo possiede, acquisti dunque il Trattato della vera devozione alla Vergine Maria. San Luigi Maria Grignion de Montfort, nostro patrono, è uno dei Suoi migliori conoscitori e araldi, come già san Bernardo di Chiaravalle nei suoi sermoni mariani e, subito dopo, sant’Alfonso Maria de’ Liguori nelle Glorie di Maria. Gli Orientali, dal canto loro, non si lasciano certo battere nel rendere onore alla Panaghía: chi ha confidenza con il loro linguaggio può procurarsi le splendide omelie mariane del bizantino Nicola Cabásilas. Fra i moderni, per chi legge il francese, spicca padre Louis Bouyer con il suo Le trône de la Sagesse, vigorosa sintesi speculativa composta da un luterano convertitosi alla fede cattolica (poi profondamente deluso dal “rinnovamento” conciliare). Ma non attingete a fonti inquinate che declassano la santissima Vergine a ragazzetta comune: pur essendo, quanto alla natura umana, una donna come tutte le altre, ella è, quanto all’elezione divina, l’immacolata Madre di Dio.

Chi meglio di Lei potrebbe accostarci al Medico celeste, da Lei stessa partorito nella natura umana, e disporci a riceverne le cure? In nessun’altra terapia la collaborazione del paziente è tanto necessaria quanto in quella dello spirito; da questo punto di vista, nessuno può meglio formarci di Colei che, nella Sua stessa persona, è paradigma perfetto e insuperabile di tale cooperazione. Ci siamo consacrati al Suo Cuore immacolato: oltre a rinnovare spesso tale atto, soprattutto nelle feste mariane, prendiamo allora l’abitudine di offrire ogni mattina la nostra giornata al Padre per le Sue mani purissime, uniti a Cristo e mossi dallo Spirito: perché Gli sia gradita, ella saprà purificare e perfezionare la nostra oblazione per unirla al Sacrificio del Calvario – cui, prima fra tutti, si è associata in modo strettissimo – nel suo rinnovarsi sull’altare. È evidente che questa offerta ci impegna a portare pazientemente la croce come strumento di autodonazione e a fare in modo che ogni gesto e parola, nel corso del giorno e della notte, siano accetti a Dio.

È pur vero che, quanto più si affina la percezione dell’infinita santità di Lui, tanto più si scava la consapevolezza della propria radicale indegnità e incapacità: potremmo mai fare qualcosa che sia degno del tre volte Santo? Anche in questa presa di coscienza, tuttavia, può celarsi una terribile insidia; più si ascende nella vita mistica, infatti, più diventa sottile l’alternativa – quasi si camminasse lungo una cresta – tra l’essere rapiti dalle braccia paterne e il precipitare in un crepaccio senza fondo. Non alludo al rozzo fraintendimento protestante che, per salvaguardare l’assoluto primato divino, nega ogni spazio alla partecipazione dell’uomo alla propria salvezza, riducendo così la grazia a puro nome e sottraendole, in linea di principio, qualsiasi appiglio nella natura. Mi riferisco a quel tipo di visione che immagina Dio così irraggiungibile da rendere irrilevante qualsiasi iniziativa umana che non sia negazione di sé e dissoluzione dell’io; è quell’atteggiamento della mente che va sotto il nome di gnosi, la più diffusa e pericolosa trappola della cultura contemporanea, anche in campo teologico.

L’abisso invalicabile che certo esiste tra il Creatore e la creatura, per giunta peccatrice, è stato varcato da Dio stesso nella Persona del Verbo incarnato. Una volta compiutosi il mistero della nostra Redenzione, la grazia del Battesimo ci abilita a vivere in perpetuo stato di oblazione perché si sviluppi in noi la vita del Figlio e possiamo partecipare a quell’eterna circolazione d’amore che costituisce la Trinità santissima. Questa esistenza oblativa – specie in circostanze penose e in situazioni indesiderate che non possiamo evitare – si articola però in deliberati e ripetuti atti di offerta che compiamo per mezzo di Colei che personifica la Chiesa-Sposa. Ecco dunque la terapia spirituale che, a poco a poco, ci guarisce dall’innata tendenza egocentrica e accaparratrice della natura decaduta e ci rivolge dolcemente al Padre, dilatando sempre più il nostro cuore alle misure del Suo amore senza misura. È sottinteso che, in questo processo, la grazia di Cristo è all’inizio, al centro e alla fine; senza di essa non potremmo nemmeno pensarlo.

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale (Rm 12, 1).

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