Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 2 agosto 2025


Quinto comandamento: abolito

 

 

Arrossiscano gli empi e siano condotti agli inferi; ammutoliscano le labbra ingannatrici. Il Signore ricercherà la verità e retribuirà abbondantemente quanti praticano la superbia (Sal 30, 18-19.24).

Dobbiamo correggere quanto affermato in calce all’ultimo articolo circa l’assordante silenzio della Santa Sede nel dibattito circa la legge con cui si intende legalizzare l’aiuto al suicidio. In realtà si sono registrati diversi interventi, non però di monito né tanto meno di condanna, bensì a favore. Il primo è stato quello dell’eminentissimo Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, che nel Giugno scorso, a margine della commemorazione di don Oreste Benzi, nel rispondere a un giornalista ha “diplomaticamente” liquidato la questione augurandosi che «qualunque decisione venga presa sia a salvaguardia della dignità umana». Alla legge di Dio neanche un vago rimando, ma pure la ragione ne esce malconcia: legalizzare in qualunque modo l’omicidio del consenziente è di per sé contrario alla dignità umana.

Oltre a questo luminoso responso, subito sdoganato dalla stampa come un via libera della Santa Sede al cosiddetto suicidio assistito, bisogna registrare le disinvolte spiegazioni del nuovo presidente della Pontificia Accademia per la Vita, di nomina prevostiana, secondo cui la vita umana va difesa, sì, ma non si può fare a meno di varare una legge che regoli gli interventi volti a porre fine all’esistenza dei malati. Il problema, in realtà, è già definito dagli articoli 579 e 580 del codice penale, benché l’insindacabile Corte Costituzionale abbia di fatto abolito il secondo ponendo le condizioni alle quali non andrebbe applicato. Il fatto è che le norme che tutelano la vita dell’uomo hanno valore assoluto e non possono quindi essere sottoposte a condizioni; monsignor Pegoraro, tuttavia, sembra ritenere che le delibere di un tribunale statale valgano più della legge divina.

Necessarie precisazioni

Non dimentichiamo però che il Segretario di Stato vaticano non è soggetto di Magistero, ma svolge un compito di natura politico-diplomatica; dovrebbe perciò astenersi dall’entrare nel merito con dichiarazioni non solo inopportune, ma tanto ambigue da poter essere tranquillamente interpretate nel senso voluto dagli uditori. Nemmeno la Pontificia Accademia per la Vita è soggetto di Magistero, bensì è un organo di studio e consultazione; nessuno tuttavia – a cominciare dai giornalisti – opera questo genere di distinzioni, ma cataloga ogni dichiarazione (fosse pure una semplice intervista) come posizione ufficiale della Santa Sede, considerata oltretutto un’opinione fra le tante e non più il giudizio inappellabile di Gesù Cristo. Neanche la direzione della Conferenza Episcopale Italiana è soggetto di Magistero; eppure il suo quotidiano promuove da mesi una sfacciata propaganda a favore.

Nella “civiltà” delle parole e dell’immagine basta molto meno per convincere la gente che la Chiesa stia approvando il disegno di legge sull’aiuto al suicidio; in realtà, però, Parolin e Pegoraro non sono la Chiesa Cattolica… e neppure la cei. Le conferenze dei vescovi sono organismi di diritto meramente ecclesiastico istituiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta per coordinare e rappresentare gli episcopati dei vari Stati; a parte l’instabilità di tante entità politiche, che si ripercuote inevitabilmente su tali organismi (come nel caso della Jugoslavia), essi non hanno nulla a che fare con l’organizzazione della Chiesa antica (dove le diocesi erano raggruppate intorno alle metropolie), ma si sono di fatto rivelati strumenti di pressione e controllo dei singoli vescovi, la cui autorità apostolica, sancita dal diritto divino, è seriamente compromessa e menomata.

Segreteria di Stato, pontificie accademie, conferenze episcopali… tutto ciò non è affatto intrinseco all’essenza della Chiesa così come voluta dal Fondatore; la Chiesa non si definisce a partire da tali strutture, bensì dalla fede, dai Sacramenti e dalla comunione gerarchica. Chi rigetta la dottrina della Chiesa anche in un solo punto (in questo caso, il quinto comandamento) si pone al di fuori di essa e decade per ciò stesso da qualsiasi carica; poiché, tuttavia, i sudditi non hanno facoltà di giudicare i superiori in foro esterno, questi ultimi mantengono la giurisdizione fino a che non siano deposti da un’autorità superiore. Perciò, pur considerando in coscienza apostati i superiori che han rinnegato la fede, continueremo a obbedire ai loro ordini legittimi, ma per il resto, d’ora in poi, faremo come se non esistessero, così da salvaguardare al contempo la fede e l’appartenenza alla Chiesa visibile.

Falsi profeti

Quando Gesù, nel Vangelo (Mt 7, 15ss), parla dei falsi profeti che vengono a noi in vesti di pecore ma dentro son lupi rapaci allude a tutti coloro che apparentemente insegnano nel Suo nome ma, in realtà, non fanno altro che propalare le proprie opinioni. Come riconoscerli? Dai loro frutti, dice il Signore. Un primo indizio è certamente che, se una presa di posizione non corrisponde alla verità che la Chiesa ha sempre insegnato in modo costante, essa non può venire da Dio e va pertanto rigettata in quanto falsa. Un altro indizio: se uno prova a contraddire questi personaggi, che hanno l’apparenza degli agnelli ma dentro sono dei lupi, essi diventano delle belve; la loro mitezza si rivela così pura simulazione. Il criterio decisivo è però costituito dai frutti più consistenti, che sono le azioni: è facilissimo parlare dicendo cose molto belle e incantando gli uditori, ma contraddicendo poi ciò che si è detto con il proprio comportamento.

Oggi, purtroppo, si vive di ciò che si vede e si dice nei mezzi comunicazione: tante parole – anche seducenti – a cui però non corrisponde ciò che esprimono. Sono decenni che si sentono discorsi che non solo non portano il frutto che ci si aspetterebbe, ma sono anzi clamorosamente smentiti dalla realtà dei fatti. Ciò fa sì che le parole perdano progressivamente il loro significato e diventino vuote, oppure assumano un significato diverso da quello proprio, se non contraddittorio. In tal modo si arriva a giustificare anche comportamenti illeciti con argomentazioni apparentemente buone; ci sono tuttavia atti che sono intrinsecamente cattivi (intrinsece malum) in quanto lo è il loro oggetto, a prescindere dal fine e dalle circostanze, e di conseguenza non sono mai leciti, in nessun caso: uno di questi è il togliere la vita a un innocente o aiutarlo a farlo.

Nessun Parlamento o corte costituzionale ha competenza sulla vita e sulla morte, poiché la vita umana è un bene di cui non si può disporre autonomamente come si vuole, nemmeno se è la vita di un malato terminale o affetto da malattia incurabile; ogni vita umana va rispettata fino al termine naturale. Chi parla di aiuto a morire copre con parole seducenti una realtà orribile: l’omicidio di persone sofferenti, che rimane un omicidio anche se la vittima è consenziente ed è quindi proibito sia dalla legge morale che dal codice penale. Non è ragionevole riconoscere questo e postulare poi un preteso diritto all’autodeterminazione dell’individuo riguardo al termine della vita: nessun uomo ha facoltà di decidere circa la fine della sua esistenza; nessuno può determinare quando concluderla, in quanto essa appartiene a Dio, che l’ha data ed è quindi l’unico che possa stabilire in quale momento ognuno lascerà questo mondo.

Sguardo di verità

«Il delitto della loro bocca è la parola delle loro labbra; siano perciò catturati con la loro superbia» (Sal 58, 13). Il pensiero moderno, che con il suo antropocentrismo e con l’esclusione del Creatore si è fissato sui diritti degli individui, ha perso di vista la realtà essenziale: diritto, in senso soggettivo, è la facoltà di accedere a un bene; l’uccidersi o essere uccisi non è un bene, perciò non può essere oggetto di un diritto. Parlare dunque di diritto all’autodeterminazione nel porre termine alla propria vita è un non-senso: in quanto locuzione contraddittoria, non ha giustificazione razionale. Se però si persiste per decenni a inventarsi diritti inesistenti, alla fine si giunge a postulare un presunto diritto di ammazzarsi o farsi ammazzare: ciò è completamente aberrante, poiché offende in modo gravissimo il Creatore e calpesta la dignità umana in modo inaccettabile.

Chi si fa uccidere, oltretutto, va sicuramente all’Inferno, poiché la sua volontà di togliersi la vita perdura fino all’ultimo. In altri casi si può sperare nella salvezza di un suicida, se, per esempio, non aveva il pieno uso della ragione oppure, prima di morire, ha avuto il tempo di pentirsi e chiedere perdono a Dio. In questo caso, invece, chi si fa iniettare una sostanza letale è lucido e permane in questa volontà cattiva fino all’ultimo istante; ciò si presume perché, se si pentisse, potrebbe ancora arrestare il proprio atto o quello di chi lo sta “aiutando”. Quest’ultima opzione, per il momento, da noi non è ancora legale ma potrebbe diventarlo. In altri Paesi, purtroppo, l’omicidio del (presunto) consenziente lo è da diversi anni; succede così che persone sofferenti (anche solo dal punto di vita psichico) o meno abbienti vengano istigate a togliersi di mezzo. Ciò supera di molto gli orrori del regime nazista e di quelli comunisti, ma passa per una conquista.

Con le parole suadenti dei falsi profeti anche tanti cattolici si son lasciati convincere che sopprimere gli ammalati sia un atto di compassione: ciò che è orribile si riveste di un’apparenza di pietà. Come già avvenuto con l’aborto, il varco aperto con l’ipocrita intento di limitare, legalizzandolo, un crimine finora vietato diventerà rapidamente una voragine. Che il Signore aiuti noi a mantenere la lucidità mentale, così da non esser trascinati fuori strada fino ad approvare azioni gravemente contrarie alla volontà di Dio e alla dignità della persona umana; che maledica invece quanti, a cominciare dagli ecclesiastici, promuovono la legalizzazione dell’omicidio, specie gli opinionisti che la propagandano e i parlamentari che voteranno a favore. Nel nome del Signore Gesù Cristo, li consegniamo tutti a Satana per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Giudizio (cf. 1 Cor 5, 5).

Morte a chi vuole morte

Per molti di loro, purtroppo, nemmeno l’esser colpiti nel fisico servirà a farli rinsavire e convertire: come già il loro capo-scuola, Carlo Maria Martini, a una morte santa preferiranno la siringa mortale e si danneranno. L’oscuramento della ragione e il tradimento della verità son giunti a un livello così demoniaco che i colpevoli si puniscono da sé. Di fronte a un così ostinato rifiuto di dargli ascolto, Dio smette di correggere i peccatori e li abbandona agli effetti della loro perversità; ciò vale sia per i cattivi maestri, sia per la società nel suo insieme, che li segue in spregio della legge divina. Tutti costoro si infliggeranno da sé la sentenza capitale, eseguendo così il giudizio, fin d’ora manifesto, che si meritano. Lo Stato è morto, come pure la gerarchia apostata e collaborazionista. La Chiesa, invece, non potrà mai morire, ma vivrà sempre in tutti quei vescovi, sacerdoti e laici fedeli che, con la loro corrispondenza alla grazia, rimarranno uniti al Corpo Mistico.

«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Lc 9, 60). Che la Chiesa istituzionale si adoperi per la legalizzazione dell’omicidio è un fatto di gravità apocalittica che ci causa inesprimibile sgomento e dolore, ma non dobbiamo lasciarci andare allo sconforto: tutti quegli spiritualmente morti di cui parliamo si seppelliranno a vicenda, mentre i veri cattolici, con l’aiuto della grazia, continueranno a vivere sereni testimoniando senza timore l’amore di Dio e la Sua chiamata alla vita eterna, con le condizioni per ottenerla. I cadaveri ambulanti che si vestono di porpora e di viola, ma puzzano in modo insopportabile come carogne in avanzato stato di decomposizione, non meritano la nostra sofferenza. In alto i cuori, dunque! cuori colmi di gratitudine per l’immeritata sorte di esser stati preservati dal generale naufragio di coloro che han rinnegato la fede.


sabato 26 luglio 2025


Licenza di uccidere

 

 

Il mondo – e in particolare il Vaticano – si è giustamente indignato per l’attacco alla parrocchia cattolica di Gaza: un carro armato ha intenzionalmente colpito la croce di metallo che si ergeva in cima alla facciata e che, cadendo, ha ucciso tre persone e ferito una ventina di astanti, fra cui un giovane seminarista. Tale atto di evidente odio contro i cristiani e il cristianesimo, compiuto da membri dell’esercito sanguinario di uno Stato abusivo che sta compiendo un genocidio senza che nessuno lo fermi, è stato “casualmente” consumato proprio nei giorni in cui, in Italia, è iniziato il dibattito parlamentare su un disegno di legge con cui si intende legalizzare l’omicidio di ammalati in fase terminale.

Osservazioni preliminari

Occorre anzitutto rilevare che nessuna istituzione politica è legittimata a legiferare sulla vita umana, se non per tutelarla: si tratta infatti di un bene indisponibile (o, secondo l’espressione invalsa in ambito cattolico, di un valore non negoziabile). Lo Stato non può in alcun modo disporre della vita dei cittadini se non nel caso della pena di morte, la quale, per reati molto gravi e ben individuati, è moralmente giustificata dal perseguimento del bene comune. Qui, però, non si tratta di criminali la cui stessa esistenza nuoccia alla società civile ma di pazienti, cioè di persone che hanno l’inviolabile diritto di essere curate e assistite fino a che non intervenga la morte naturale, esclusa ogni forma di accanimento terapeutico.

Non è pertanto di spettanza di alcuna corte costituzionale decidere in materia dichiarando legali atti criminosi di soppressione di pazienti o autorizzando l’iter parlamentare di una proposta legislativa contraria alle norme morali. Un tribunale umano non ha facoltà di modificare ciò che è regolato dalla legge naturale; se interviene in questo ambito, commette un intollerabile abuso che va esecrato e denunciato senza esitazione, soprattutto se operato da giudici di nomina politica che sentenziano sulla base di valutazioni puramente ideologiche. Tanto meno può entrare nel merito un’assemblea parlamentare composta di individui eletti senza alcun merito né competenza, facilmente corrompibili e sottomessi a ordini di scuderia.

Non è qui il luogo per riprendere il discorso sulla cosiddetta democrazia né sulle modalità, per il nostro Paese, dell’instaurazione del regime repubblicano, attuatasi grazie ai brogli elettorali del 2 Giugno 1946. Quel che ci preme, in questo momento, è registrare l’ennesima forzatura dell’ordine stabilito da Dio, che, come le precedenti (divorzio, aborto, fecondazione artificiale), sta per compiersi per mezzo di una legge che, non avendo per fine un bene, sarà priva di ogni vigore legale e morale, ma sarà applicata coercitivamente da istituzioni ridotte a esecutrici di un programma di morte e distruzione elaborato altrove. Esecutore delle nuove, illegittime norme sarà quello stesso governo che sta vendendo armamenti ai genocidi e sprecando enormi risorse dei contribuenti per sostenere uno Stato in guerra verso il quale non ha alcun obbligo né legame.

Multiforme ipocrisia

Quel che è più disgustoso è la posizione dei “moderati” della cosiddetta destra, come pure di certi ambienti “cattolici” progrediti, secondo la quale una legge in materia sarebbe necessaria; poiché, a detta loro, non sarebbe possibile ottenere il meglio, bisognerebbe accontentarsi del male minore, ossia di una norma che autorizzasse sì l’omicidio, ma con qualche opportuno paletto. Occorre prima di tutto osservare che il principio del male minore vale unicamente nel caso in cui si sia costretti a scegliere tra due mali entrambi inevitabili: se, per esempio, stanno contemporaneamente naufragando due navi ed è impossibile soccorrerle ambedue, la guardia costiera deciderà di intervenire là dove c’è il maggior numero di passeggeri. Non è questo, evidentemente, il nostro caso.

Altro principio invocato è quello della riduzione del danno, sancito dall’enciclica Evangelium vitae nel paragrafo 73. È il principio cui ci siamo appellati per sostenere la campagna Un cuore che batte, visto che essa soddisfaceva i requisiti richiesti: nell’impossibilità, a breve e medio termine, di ottenere l’abrogazione della Legge 194, si mirava a limitarne gli effetti negativi, senza che ciò comportasse in alcun modo un’implicita approvazione di una legge iniqua che, anzi, si intendeva contrastare. Là si tratta di una legge già promulgata ma che si può correggere; qui, invece, di una legge non ancora promulgata che si può fermare; in caso contrario, come avvenuto con l’aborto, avrà inizio una strage senza fine di innocenti (almeno a livello civile).

Se si ha dunque la possibilità reale di evitare un grave danno, non ha senso adoperarsi per ridurlo, anche perché questa strategia si è già rivelata fallimentare con la Legge 40, i cui paletti (posti con il pio intento di limitarne gli effetti cattivi, per quanto voluti) sono saltati uno dopo l’altro a colpi di sentenze giudiziarie, rivelandosi così perfettamente inutili. Siccome gli addetti ai lavori, compresi gli “esperti” della conferenza episcopale, non possono ignorare questi fatti, le loro argomentazioni risultano insopportabilmente ipocrite; sarebbe tempo, perciò, che ci sbarazzassimo pure di quell’altro apparato parassitario che usa i soldi dei fedeli per portare avanti agende decise altrove, sfruttando il proprio potere per inculcare idee e comportamenti in perfetta contraddizione con il Magistero cattolico, che dovrebbe invece insegnare e applicare.

La vera necessità

Se c’è un intervento decisamente urgente e doveroso a livello legislativo, è una norma che sanzioni adeguatamente la prassi inaccettabile che la nuova legge si limiterebbe semplicemente a legalizzare: sono ormai decenni che i malati terminali vengono soppressi, con o senza il consenso loro o dei familiari. Di fatto, l’unica norma assolutamente inderogabile è che il paziente non soffra e concluda la sua esistenza nel minor tempo possibile. Mentre le cure palliative, entro limiti ben definiti, sono un trattamento lecito e opportuno a cui tutti devono avere accesso, la sedazione profonda priva il malato della possibilità di vivere coscientemente le ultime ore di vita, che sono decisive per la sua salvezza eterna. Un simile danno spirituale non è compensato dal beneficio dell’eliminazione totale del dolore, cosa ben diversa dalla sua attenuazione.

Tuttavia il personale sanitario, con l’ausilio di psicologi appositamente istruiti, fa leva sui sensi di colpa dei familiari che eventualmente si oppongano alla sedazione profonda oppure la sospende bruscamente, anziché gradatamente, causando nel paziente spasmi insopportabili che impressionano fortemente i presenti. Avendo nel frattempo acquisito sui parenti un notevole potere manipolatorio, li convincono che il bene del loro caro richieda la sospensione dei sostegni vitali (alimentazione e idratazione), facendolo così morire di fame e di sete. Ciò può avvenire tanto in ospedale quanto a casa, con la differenza che, nel primo caso, è molto più difficile controllare l’operato dei sanitari e intervenire per tempo. Se, finora, si poteva ancora sporgere denuncia, con la nuova legge non lo sarà più; se le pressioni per anticipare il decesso erano già fortissime, presto saranno irresistibili. Il crimine diventerà così non solo legale, ma anche obbligatorio.

N.B.: l’espressione suicidio assistito è un non-senso, perché è contraddittoria. Il suicidio, infatti, è l’atto di chi si toglie la vita da sé; nella presente fattispecie, invece, si tratta di togliere la vita a chi ne fa richiesta, atto che costituisce comunque un omicidio. Dato che nessuno può disporre neppure della propria vita, chi chiede di essere assassinato commette peccato mortale e muore in quello stato senza pentimento, cosa di cui consta la certezza in quanto, in caso di pentimento, chiederebbe la sospensione della procedura, che impiega pochi secondi ad ottenere l’effetto. Quell’anima è perciò sicuramente destinata all’Inferno, cosa che non sembra preoccupare né la direzione della conferenza episcopale con il suo favoreggiamento di un crimine né la Santa Sede con il suo assordante silenzio.

AGGIORNAMENTO

Nella giornata di ieri la Corte Costituzionale ha sentenziato che, qualora un paziente si trovi nelle condizioni da essa stessa indicate (!) dell’accesso al suicidio medicalmente assistito ma non sia in grado di assumere autonomamente il “farmaco”, quest’ultimo non può essergli somministrato da un altro, costituendo ciò reato di omicidio del consenziente. Questo è un raggio di speranza, sia pure in un quadro totalmente aberrante: si parla infatti di un inesistente diritto di autodeterminazione in materia di fine-vita; la questione è inoltre dichiarata inammissibile solo perché il tribunale che l’ha sollevata non avrebbe «motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti». Se si trova un macchinario che sostituisca il medico, in parole povere, il malato può senz’altro procedere a togliersi la vita. I giornalisti fanno la loro parte, ovviamente, per suscitare “compassione” verso i sofferenti a cui la legge impedisce di uccidersi.


sabato 19 luglio 2025


Consummatum est

 

 

C’è una traiettoria che parte dal 4 Dicembre 1963 (promulgazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II sulla Liturgia) e giunge fino al 9 Luglio 2025 (celebrazione della Messa Pro custodia creationis da parte di Leone XIV nei giardini di Castel Gandolfo): è una linea continua e coerente lungo la quale la Messa ha progressivamente perso – se non nell’essenza, almeno nella percezione di sacerdoti e fedeli – la sua identità di ripresentazione incruenta del Sacrificio redentore di Cristo e assunto la fisionomia di riunione fraterna volta a propagandare contenuti predeterminati con cui plasmare la mentalità e la condotta dei partecipanti. Nulla di più alieno, dunque, dalla vera natura e dal vero significato del culto cattolico, col quale la Chiesa rende a Dio l’adorazione che Gli è dovuta, Gli rende grazie di tutti i Suoi benefici, Lo rende propizio ai peccatori e ottiene i benefici di cui ha bisogno a vantaggio di tutti gli uomini.

Una rivoluzione ben studiata…

La Sacrosanctum Concilium (§ 36) aveva prescritto il mantenimento della lingua latina; attesa però la grande utilità per il popolo di un uso più ampio della lingua nazionale, aveva concesso la facoltà di introdurla in alcune parti della Liturgia. Il 7 Marzo 1965 (cioè poco più di un anno dopo) Paolo VI celebrava con grande enfasi, nella parrocchia romana di Ognissanti, la prima Messa tradotta in italiano in misura ben maggiore: l’intero rito, eccettuato il Canone. Il Messale pubblicato quell’anno applicava già molto generosamente le indicazioni conciliari, che potevano quindi considerarsi più che attuate. Invece l’attività dell’apposito Consiglio proseguì senza ragione fino alla primavera del 1969, quando fu pubblicato un Messale interamente nuovo che non costituiva una semplice riforma e traduzione di quello del 1570, bensì un rito completamente inedito nel quale la dottrina cattolica sulla Messa non era più adeguatamente espressa, come autorevolmente rilevato dai cardinali Bacci e Ottaviani nel loro Breve esame critico del Novus Ordo Missae.

I lavori del numerosissimo Consiglio (del quale facevano parte ben sei pastori protestanti) erano stati svolti con una fretta forsennata che aveva portato, come testimoniato da alcuni membri, a trattare questioni delicatissime con impressionante superficialità. Per imporre i cambiamenti il regista dello stravolgimento, monsignor Annibale Bugnini, aveva sistematicamente ingannato il Papa dicendogli che così voleva la commissione e i membri della commissione dicendo loro che così voleva il Papa. Il nuovo rito, confezionato appositamente perché anche gli eretici potessero utilizzarlo per la loro Santa Cena, fu presentato con una costituzione apostolica che definiva la Messa sinassi (= raduno) del popolo di Dio. In realtà la bolla Quo primum tempore, con cui san Pio V aveva promulgato il Messale da lui riformato (1570), proibiva in modo irrevocabile di modificarlo; perciò fu inventato di sana pianta un altro rito, molto simile a quello elaborato da Cranmer (1549).

… e imposta dall’alto

Se in Inghilterra il regime anglicano aveva sradicato la vera Messa eliminando con pene disumane i sacerdoti e vescovi che continuavano a celebrarla, i collaboratori di Montini li ghettizzarono in ogni modo, essendo probabilmente consapevoli del fatto che la costituzione Missale Romanum (1969) era priva di valore giuridico e che, in virtù della bolla di san Pio V, nessun sacerdote poteva essere obbligato a offrire il Santo Sacrificio in modo diverso da quello da lui stabilito. L’unico modo di far celebrare col nuovo Messale, in altre parole, era l’imposizione de facto, non potendosi sancire alcun obbligo de iure. La cosiddetta riforma liturgica, dunque, nacque come una truffa e si poté affermare soltanto con un enorme abuso di potere che fece leva sull’obbedienza al Papa, quasi che il Vicario di Cristo avesse una potestà assoluta e non fosse invece vincolato dal rispetto della Tradizione, che deve fedelmente custodire e trasmettere.

Ciò che ora ci interessa è la traiettoria che, obliterando il carattere sacrificale della Messa, le ha conferito quello di celebrazione della natura di sapore panteistico. È una vera e propria rivoluzione, ossia inversione del senso di marcia: se prima gli elementi della creazione erano usati dall’uomo per rendere culto a Dio, ora la religione è messa a servizio della creazione. Un indizio chiarissimo, nel rito bugniniano, è la rimozione totale delle preghiere che accompagnano l’Offertorio esprimendo in modo inequivocabile il significato della Messa. Al loro posto è stata collocata una formula ebraica di benedizione del pasto (!), oltretutto modificata: il Re dell’universo dell’originale è diventato il Dio dell’universo, formula cabalistica che identifica la divinità col mondo visibile. Con un colpo solo si è trasformato il sacrificio in mero banchetto e si è sostituito il destinatario del culto con lo spirito ribelle. Non solo, ma è pure scomparsa la transustanziazione: i frutti della terra e del lavoro dell’uomo devono diventare per noi (non in sé stessi?) cibo di vita eterna e bevanda di salvezza.

Venendo all’oggi

Così si eclissa altresì la Presenza reale proprio nel momento in cui si apre la parte sacrificale della Messa, ormai denominata liturgia eucaristica, ossia ringraziamento a Dio (?) per i doni della natura. Ciò non significa che ogni sacerdote metta questa intenzione escludendo positivamente quella giusta: la fede genuina, in chi l’ha conservata, consente infatti di eseguire il rito con una visione cattolica, malgrado le sue storture e carenze. La prospettiva dei legislatori, nondimeno, appare radicalmente diversa, come risulta dall’analisi del nuovo formulario (come usa dire) Pro custodia creationis. La straordinaria enfasi conferita alla sua pubblicazione fa sospettare che gli intenti dei promotori vadano ben più lontano di quelli dichiarati: col pretesto di chiedere al Creatore di aiutarci a preservare la Sua opera, infatti, si insinua l’idea che il mondo di quaggiù sia il fine ultimo dell’uomo e di se stesso, essendo del tutto assente la dimensione della trascendenza.

I testi, con un po’ di sforzo, si possono pure interpretare in senso cattolico, secondo la collaudata tecnica della formulazione ambigua. Il fatto è che troppi elementi spingono verso una lettura di tipo immanentistico, a cominciare dal fatto che, nella Colletta, Cristo è chiamato non Figlio di Dio o Verbo creatore, bensì primogenito di tutta la creazione. L’espressione è incontestabilmente paolina (cf. Col 1, 15), ma l’Apostolo la inserisce in un contesto in cui afferma senza ombra di dubbio la Sua natura divina e la funzione di principio dell’azione creatrice, mentre qui essa rischia di farlo apparire allo stesso livello del creato. Si dice oltretutto che in Lui il Padre ha chiamato tutte le cose alla sola esistenza, col completo oblio del fine soprannaturale della Sua opera; l’oggetto della domanda, poi, è che noi la custodiamo nella carità docili al soffio di vita del suo Spirito: lo Spirito Santo sembra ridotto a mero principio della vita fisica, mentre pare che la carità vada rivolta alle creature.

In questa prospettiva invertita, cosa significa chiedere al Padre (come recita l’Orazione sulle offerte) di portare a compimento l’opera della sua creazione nei frutti della terra e delle nostre mani perché, trasformati dallo Spirito Santo, diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna? Il pane e il vino non sono più doni della Provvidenza che conserva e regola il mondo a nostro beneficio, ma appaiono come risultati naturali dell’autonoma attività della terra e dell’uomo, il quale sembra ergersi a rivale del Creatore, come suggerito dalla menzione parallela delle mani di Dio e delle nostre. Cos’è, in tale contesto, la vita eterna assicurata da cibo e bevanda? Cosa sono i cieli nuovi e la terra nuova che, secondo l’Orazione dopo la comunione, stiamo aspettando? In che consiste l’unità, effetto del Sacramento, e la comunione con Dio e con i fratelli di cui si chiede l’accrescimento? La chiusa è inequivocabile: che impariamo a vivere convenientemente con tutte le creature

Conclusione

In parole povere, si sta chiedendo al Creatore di realizzare il Paradiso in terra, visto che, a quanto pare, quello del cielo non interessa più – ammesso che questi signori ci credano. Lo snaturamento del culto cattolico (definito da Leone XIV, nell’omelia, rappresentazione della vita) e la conseguente erosione della fede toccano qui l’apice di quella parabola il cui punto di partenza ufficiale è il 1963: le sciocchezze ideologiche (che in realtà camuffano una visione cabalistica) hanno ormai cancellato, nella coscienza di tantissimi cattolici, non solo il carattere sacrificale della Messa ma, con esso, anche le nozioni stesse di peccato e di redenzione, nonché la consapevolezza di dover necessariamente cambiare vita e conformarla ai Comandamenti divini. L’unica vera religione è stata così ricondotta nell’alveo del giudaismo spurio, che fin dall'inizio ha perseguitato i cristiani e oggi sta operando un genocidio. Siamo certi che il nuovo formulario della Messa qui esaminato sia stato accolto con grande sollievo dai cattolici di Gaza.


sabato 12 luglio 2025


Fermiamo

il “giubileo” dei sodomiti

 

 

Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357).

Con poche, inequivocabili frasi, il Catechismo della Chiesa Cattolica dichiara l’assoluta illiceità di tutti gli atti omoerotici (come è più corretto designarli) a motivo del loro carattere intrinsecamente disordinato, cioè non conforme al fine naturale dei rapporti sessuali, i quali sono peraltro possibili solo tra due soggetti fisicamente e psicologicamente complementari, l’uomo e la donna. Il Catechismo maggiore di san Pio X colloca perentoriamente il peccato impuro contro l’ordine della natura fra i peccati che si dicono gridare vendetta nel cospetto di Dio (§ 966), spiegando che son così chiamati perché «lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punirli con più severi castighi» (§ 967).

Alla luce dell’insegnamento costante della Chiesa appare dunque mistificatorio e vano ogni tentativo di legittimare le varie forme di sodomia (come la chiama la Scrittura), già spontaneamente rigettate dal senso comune, prima che una massiccia e invasiva propaganda modificasse, nell’arco di qualche decennio, il normale sentire dei popoli. Malgrado le parole, però, la realtà delle cose continua a imporsi impietosa a chiunque la consideri in modo obiettivo, libero da paraocchi ideologici: l’omoerotismo costituisce oggettivamente una delle più gravi offese al Creatore e delle peggiori forme di degradazione della persona umana, la cui dignità viene calpestata in modalità ripugnanti. Riconoscere ciò non è affatto un’odiosa discriminazione, bensì una semplice costatazione.

Associazioni cattoliche di sodomiti?

Queste semplici considerazioni mostrano all’evidenza quanto sia falso e fuorviante parlare di cattolici omosessuali: è un ossimoro, poiché l’aggettivo è incompatibile col sostantivo al quale è associato. Ogni cristiano è tenuto a combattere i vizi ed evitare i peccati, pena la perdita dello stato di grazia e il rischio della dannazione eterna. Coloro che si adoperano perché la sodomia sia accettata all’interno della Chiesa commettono oltretutto un peccato contro lo Spirito Santo: impugnare la verità conosciuta (Catechismo maggiore, § 964). Tali attività propagandistiche si oppongono apertamente al Magistero, ingannano i fedeli e – ciò che è peggio – convincono le persone affette da tendenze omoaffettive che la loro condizione sia normale, con il gravissimo effetto di indurle ad abominevoli pratiche di manipolazione sessuale.

La vera carità consiste nel diagnosticare il male con precisione e nell’indicare a chi ne è afflitto vie efficaci per guarirne, quale la terapia riparativa di Joseph Nicolosi. Come dimostrato dall’evidenza scientifica, l’attrazione verso persone del medesimo sesso non è né genetica né nativa, ma insorge in seguito a traumi dell’infanzia o a precoci esperienze sessuali indotte da pervertiti. Non esiste una pretesa identità omosessuale distinta da quella eterosessuale: è pura frode linguistica e concettuale. Il massiccio indottrinamento avviato nelle scuole si basa su inconsistenti menzogne; a monte di una semplice analisi, tuttavia, basta il suo carattere aggressivo e grottesco a denunciarne la totale falsità e la completa illegittimità, che aggira spesso il consenso dei genitori.

Quale giubileo per chi propugna il peccato?

Sulla base di quanto fin qui asserito risulta per lo meno inopportuno inserire nei pellegrinaggi giubilari quello dell’associazione La tenda di Gionata, che si propone di accogliere e formare persone che soffrono di disturbi di identità e orientamento sessuale incoraggiandole non solo a permanere nella loro patologia, ma addirittura a coltivarla. Non è un mistero, d’altronde, che tale associazione sia collegata ad altre affini (finanziate da Soros) che non hanno affatto la sua facciata “cristiana”, anzi attaccano la Chiesa in modo virulento e blasfemo, promuovendo manifestazioni che, col pretesto della rivendicazione di inesistenti diritti, rigurgitano di oscenità e bestemmie. La cooperazione formale e diretta con quelle aggregazioni e la partecipazione a cortei sconci e obbrobriosi si aggiungono ai già gravissimi peccati, sopra menzionati, contro la verità e la carità.

Ora, lo scopo di un giubileo è il riconoscimento delle colpe e la loro emendazione, cui si aggiunge, alle condizioni richieste, la remissione totale della pena del Purgatorio, ottenuta con l’indulgenza. È perciò evidente che il pellegrinaggio dell’associazione sopra menzionata non ha senso; al contrario, è un atto sacrilego di sfida al Creatore e di contestazione del Magistero, nonché una grave offesa a tutti i veri cattolici e uomini di retta coscienza. Dato che l’assoluzione di chi non è pentito né deciso a evitare le occasioni prossime è nulla e che l’indulgenza plenaria esige un perfetto distacco dal peccato, anche veniale, mancano del tutto le condizioni necessarie per lucrarla. Evidentemente i promotori di quell’evento non credono né nei Novissimi né nella pratica stessa delle indulgenze, ma strumentalizzano l’Anno Santo per portare avanti la loro strategia di pressione.

Balletti diplomatici per paura?

Ovviamente non si tratta di un appuntamento espressamente dedicato a una particolare categoria di persone, come quelli previsti nel programma ufficiale, bensì del pellegrinaggio di un’associazione che, come tante altre, ha utilizzato l’apposito sito per registrare la propria partecipazione e, una volta ricevuta la conferma automatica dell’iscrizione, ha strombazzato ai quattro venti l’indizione di un presunto giubileo degli omosessuali. Tale meschina manovra, che tradisce innegabile malafede, è stata compiuta con l’appoggio dei gesuiti e della conferenza episcopale. L’imbarazzo provocato alla Santa Sede ha portato a rimuovere la notizia dal sito del Vaticano, ma l’iscrizione non è stata affatto annullata, poiché il potente cardinale della Sant’Egidio ha convinto i responsabili a non farlo per via del clamore mediatico che ciò avrebbe suscitato.

Sono decenni che l’agenda della perversione procede praticamente indisturbata grazie a inesauribili fiumi di denaro e a fortissime pressioni socio-politico-culturali. La Santa Sede si è arresa a quegli oscuri gruppi di potere? oppure ne è complice? Cosa ne pensa papa Leone XIV? Non ha pensato al clamore mediatico che provocheranno gli eventi che avranno luogo nella Basilica di San Pietro e nella Chiesa del Gesù tra il 5 e il 6 Settembre prossimi? Come ne uscirà l’immagine della Chiesa Cattolica e del suo stesso pontificato? L’amore per la Chiesa e per il Papato ci spinge a far udire in alto la nostra voce. Perciò siete tutti esortati a stampare il documento indicato in calce e a spedirlo agli indirizzi sotto indicati. Così le nostre coscienze potranno pacificarsi al pensiero di aver fatto almeno il possibile per evitare quell’abominio.

 

APPELLO AI RESPONSABILI:

https://crociatasangiuseppe.blogspot.com/p/appello-ai-responsabili-dio-creo-luomo.html


Si prega di stampare e spedire a:

 

Sua Santità Papa Leone XIV

00120 Città del Vaticano

 

S.E.R. Mons. Rino Fisichella

Dicastero per l’Evangelizzazione

Via della Conciliazione, 5 – 00193 Roma

 

S.E.R. Mons. Francesco Savino

Curia Diocesana

Piazza Sant’Eusebio da Cassano, 1 – 87011 Cassano allo Ionio (CS)

 

Rev.mo P. Claudio Pera

Rettore della Chiesa del Ss.mo Nome di Gesù

Piazza del Gesù – 00186 Roma



sabato 5 luglio 2025


Educazione, non presunzione

 

 

San Giovanni Battista, chiamato a essere Precursore del Messia, lo fu fin da quando era nel grembo della madre: lo annunciò sussultando di gioia nell’utero di Elisabetta, quando la Vergine Maria la salutò portando in Sé il Figlio di Dio fatto uomo. Egli, quindi, precorse realmente il Signore ancor prima di nascere e nella sua nascita stessa, accompagnata dal prodigio della ritrovata loquela del padre Zaccaria, il quale era rimasto muto dopo aver ricevuto dall’arcangelo Gabriele l’annuncio della nascita del figlio, al quale non aveva creduto.

Questa nascita ci fa già intravedere, in prospettiva, quale sarà la missione del Precursore. L’Angelo lo aveva affermato chiaramente: «Tuo figlio – aveva detto a Zaccaria – sarà ricolmo di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre e riporterà al Signore molti figli di Israele. Egli precederà il Signore con lo spirito e la potenza di Elia per riportare i cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla saggezza dei giusti, così da preparare al Signore un popolo perfetto» (cf. Lc 1, 15-17). Una missione, questa, di capitale importanza ma, come stiamo per vedere, ancora attuale, anzi estremamente urgente e necessaria nel nostro tempo: il compito di san Giovanni Battista non si è esaurito.

Un compito più che mai stringente

Ciò che doveva fare durante la vita terrena, certamente, lo portò a compimento: preparò il popolo di Israele a ricevere il Messia e indicò il Messia stesso quando disse: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29), cioè elimina ciò che separa l’uomo da Dio e ristabilisce l’alleanza tra Dio e l’uomo. Questo compito, evidentemente, fu realizzato – lo ripetiamo – durante la vita terrena del Battista, ma dal cielo il più grande fra i nati di donna, come lo chiamerà Gesù (cf. Mt 11, 11), continua ad esercitare una funzione provvidenziale nei confronti della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, di quella parte della Chiesa che ancora cammina e combatte sulla terra.

Era il compito enunciato da Dio stesso mediante l’Arcangelo: il figlio di Zaccaria avrebbe dovuto riportare molti figli di Israele al Signore loro Dio. Quanti cattolici si sono allontanati da Dio! Quanti cattolici vivono come se Dio non esistesse! Quanti cattolici disonorano ogni giorno il loro Battesimo con i loro peccati, le loro abitudini, il loro stile di vita contrario al Vangelo! Anche oggi san Giovanni Battista deve riportare al Signore tanti Suoi figli che Lo hanno dimenticato e vivono come chi non Lo conosce affatto.

Il Battista dovrà dunque riportare i cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla saggezza dei giusti, in modo da preparare al Signore un popolo perfetto. Di solito si traduce un popolo ben disposto, ma il testo latino utilizza un termine inequivocabile: perfectam. La perfezione non consiste nell’essere semplicemente ben disposti: questa è la premessa, ma non basta. Bisogna che la premessa porti dei frutti: occorre che la grazia, trovando gli uomini ben disposti, si realizzi nelle loro vite plasmando la loro condotta. A questo scopo è necessario riportare i cuori dei padri verso i figli.

Da ormai due generazioni è venuta meno la vera educazione cristiana e, con essa, è inevitabilmente venuta meno anche l’educazione umana. Nessuno educa più nessuno: né i genitori i figli, né i sacerdoti i fedeli, né il Magistero il popolo cristiano nella sua interezza. L’educazione umana e cristiana è ormai assente nelle famiglie, nelle parrocchie e anche nei seminari e nei conventi. Occorre perciò riportare i cuori dei padri verso i figli, non con quel sentimentalismo melenso che oggi va tanto di moda e che guasta i ragazzi e le ragazze, bensì con quell’amorevole cura, piena di attenzione e di rigore (nonché di severità, quando è necessario), che aiuta i piccoli a crescere, a diventare persone, non a vivere come animali.

Diagnosi del male

Perché è successo questo? – possiamo domandarci. Come mai è venuta meno l’educazione umana e cristiana? La risposta è che viviamo, ormai da decenni, in un clima culturale tipicamente gnostico: ciò che conta sono le idee; ciò che conta sono i discorsi; ciò che conta sono i dibattiti. Quanto siamo propensi a nutrirci di idee, di parole, di dibattiti! Tutte cose che, tuttavia, rimangono sterili, perché non incidono positivamente né sulla nostra mente, né sul nostro cuore, né sulla nostra vita. Se ci si ferma alle idee, alle parole e ai dibattiti, ci si crede a posto perché si è perso il contatto con la realtà, con la propria realtà: con la propria realtà interiore, anzitutto, e poi con quella esteriore, cioè con i propri comportamenti.

In questa degenerazione, purtroppo, un ruolo decisivo è stato svolto dai movimenti, che non soltanto non hanno educato umanamente e cristianamente i loro membri ma, anzi, li hanno illusi di essere perfetti, di essere al di sopra degli altri, di essere i migliori cattolici, secondo quel vano sentimento di eccellenza che è tipico del giudaismo; eppure, nella realtà, non c’è un vero progresso. Ora, che si tratti di acquisire conoscenze esclusive o di imparare a scrutare la Parola o di esercitare presunti carismi o di praticare una supposta unità e così via… si tratta di idee, ma di idee che non hanno una ricaduta pratica, poiché contemporaneamente, nella vita individuale, si trova il turpiloquio, si trova la maldicenza, si trovano i peccati sessuali, si trovano tante forme di superbia, di invidia, di gelosia, di competizione…

Bisogna allora porsi qualche domanda: qual è il frutto di quella pretesa eccellenza? In che cosa si manifesta l’effetto di ciò che il movimento propone? Dov’è la reale differenza rispetto agli altri? Certo, non si commetteranno magari i peccati peggiori (come l’aborto, le perversioni sessuali e tante altre forme di disprezzo della persona umana) ma, nonostante l’assenza di questi peccati gravissimi, sono comunque presenti mancanze in materia grave che non sono più percepite come tali, proprio perché tutta l’attenzione è assorbita da ciò che il movimento propone come fattore di eccellenza, come elemento che renderebbe i membri cristiani migliori degli altri.

Il problema è molto serio, poiché in una situazione del genere l’occhio interiore della coscienza si oscura e uno non coglie più la contraddizione lampante tra ciò che pensa e professa, da una parte, e ciò che fa, dall’altra. La coscienza, forse, percepisce ancora la contraddizione intellettualmente, sa che certe cose non vanno bene, ma trova poi un motivo per giustificarsi, scende quindi a patti col peccato e si fa una ragione – falsa, evidentemente – per non combattere più e giacere abitualmente nel peccato mortale.

Terapia improcrastinabile

Ora, come fare a riaprire l’occhio interiore della coscienza? Una volta che la coscienza ha cessato di funzionare, ci vuole un miracolo. Perciò bisogna intervenire il prima possibile: occorre (se ci si riesce, con la grazia di Dio) rianimare la coscienza che sta morendo e, a poco a poco, cessa di funzionare. Bisogna quindi esser molto vigilanti, senza illudersi che la soluzione venga da fuori, che basti seguire un determinato percorso e ascoltare tante catechesi, tante omelie, tanti insegnamenti… No: c’è un lavoro che ognuno deve fare su se stesso, in modo da poterlo poi proporre anche ad altri. Nessuno può educare qualcun altro se prima non ha educato se stesso con l’aiuto della grazia.

Ecco allora la grande attualità della missione di san Giovanni Battista: preparare al Signore un popolo perfetto, cioè un popolo che viva effettivamente secondo il Vangelo, un popolo composto di persone che si siano lasciate illuminare ad una ad una. Ognuno di noi ha il compito di ravvedersi, di purificarsi e di correggersi; non possiamo aspettare che lo faccia qualcun altro. Abbiamo certamente l’aiuto della grazia di Dio, ma la grazia – non dimentichiamolo mai – presuppone la natura, cioè il nostro sforzo.

La grazia eleva ciò che facciamo noi; se non facciamo niente, non eleva niente, perché non trova niente da elevare. Che san Giovanni Battista ci aiuti dunque a riaprire l’occhio della coscienza, a ridestarci interiormente e a metterci seriamente a lavorare su noi stessi, così da poter diventare membri di questo popolo perfetto, di un popolo che sia cioè capace di vivere effettivamente secondo l’insegnamento del Signore e di seguirlo effettivamente sulla via della Croce, non con le idee, non a parole, ma nei fatti.