Educazione, non presunzione
San Giovanni Battista, chiamato a
essere Precursore del Messia, lo fu fin da quando era nel grembo della madre:
lo annunciò sussultando di gioia nell’utero di Elisabetta, quando la Vergine
Maria la salutò portando in Sé il Figlio di Dio fatto uomo. Egli, quindi,
precorse realmente il Signore ancor prima di nascere e nella sua nascita stessa,
accompagnata dal prodigio della ritrovata loquela del padre Zaccaria, il quale
era rimasto muto dopo aver ricevuto dall’arcangelo Gabriele l’annuncio della
nascita del figlio, al quale non aveva creduto.
Questa nascita ci fa già intravedere,
in prospettiva, quale sarà la missione del Precursore. L’Angelo
lo aveva affermato chiaramente: «Tuo figlio – aveva detto a Zaccaria – sarà
ricolmo di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre e riporterà al Signore
molti figli di Israele. Egli precederà il Signore con lo spirito e la potenza
di Elia per riportare i cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla
saggezza dei giusti, così da preparare al Signore un popolo perfetto» (cf. Lc
1, 15-17). Una missione, questa, di capitale importanza ma,
come stiamo per vedere, ancora attuale, anzi estremamente urgente e necessaria
nel nostro tempo: il compito di san Giovanni Battista non si è esaurito.
Un compito più che mai stringente
Ciò che doveva fare durante la vita
terrena, certamente, lo portò a compimento: preparò il popolo di Israele a ricevere
il Messia e indicò il Messia stesso quando disse: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco
Colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29), cioè elimina ciò che separa
l’uomo da Dio e ristabilisce l’alleanza tra Dio e l’uomo. Questo
compito, evidentemente, fu realizzato – lo ripetiamo – durante la vita terrena
del Battista, ma dal cielo il più grande fra i nati di donna, come lo
chiamerà Gesù (cf. Mt 11, 11), continua ad esercitare una funzione
provvidenziale nei confronti della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, di quella
parte della Chiesa che ancora cammina e combatte sulla terra.
Era il compito enunciato da Dio
stesso mediante l’Arcangelo: il figlio di Zaccaria avrebbe dovuto riportare
molti figli di Israele al Signore loro Dio. Quanti cattolici si sono
allontanati da Dio! Quanti cattolici vivono come se Dio non esistesse! Quanti
cattolici disonorano ogni giorno il loro Battesimo con i loro peccati, le loro
abitudini, il loro stile di vita contrario al Vangelo! Anche
oggi san Giovanni Battista deve riportare al Signore tanti Suoi figli che Lo
hanno dimenticato e vivono come chi non Lo conosce affatto.
Il Battista dovrà dunque riportare i
cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla saggezza dei giusti, in modo
da preparare al Signore un popolo perfetto. Di solito si traduce un popolo
ben disposto, ma il testo latino utilizza un termine inequivocabile: perfectam. La perfezione non consiste nell’essere
semplicemente ben disposti: questa è la premessa, ma non basta. Bisogna
che la premessa porti dei frutti: occorre che la grazia, trovando gli uomini
ben disposti, si realizzi nelle loro vite plasmando la loro condotta. A questo
scopo è necessario riportare i cuori dei padri verso i figli.
Da ormai due generazioni è venuta meno
la vera educazione cristiana e, con essa, è inevitabilmente venuta meno anche
l’educazione umana. Nessuno educa più nessuno: né i genitori i figli, né i sacerdoti
i fedeli, né il Magistero il popolo cristiano nella sua interezza. L’educazione
umana e cristiana è ormai assente nelle famiglie, nelle parrocchie e anche nei
seminari e nei conventi. Occorre perciò riportare i cuori dei
padri verso i figli, non con quel sentimentalismo melenso che oggi va tanto di
moda e che guasta i ragazzi e le ragazze, bensì con quell’amorevole cura, piena
di attenzione e di rigore (nonché di severità, quando è necessario), che aiuta
i piccoli a crescere, a diventare persone, non a vivere come animali.
Diagnosi del male
Perché è successo questo? – possiamo
domandarci. Come mai è venuta meno l’educazione umana e cristiana? La risposta
è che viviamo, ormai da decenni, in un clima culturale tipicamente gnostico:
ciò che conta sono le idee; ciò che conta sono i discorsi; ciò che conta sono i
dibattiti. Quanto siamo propensi a nutrirci di idee, di parole, di dibattiti!
Tutte cose che, tuttavia, rimangono sterili, perché non incidono positivamente né
sulla nostra mente, né sul nostro cuore, né sulla nostra vita. Se ci si ferma
alle idee, alle parole e ai dibattiti, ci si crede a posto perché si è perso il
contatto con la realtà, con la propria realtà: con la propria realtà
interiore, anzitutto, e poi con quella esteriore, cioè con i propri
comportamenti.
In questa degenerazione, purtroppo,
un ruolo decisivo è stato svolto dai movimenti, che non soltanto non hanno educato
umanamente e cristianamente i loro membri ma, anzi, li hanno illusi di essere
perfetti, di essere al di sopra degli altri, di essere i migliori cattolici,
secondo quel vano sentimento di eccellenza che è tipico del giudaismo; eppure,
nella realtà, non c’è un vero progresso. Ora, che si tratti di acquisire
conoscenze esclusive o di imparare a scrutare la Parola o di esercitare
presunti carismi o di praticare una supposta unità e così via… si tratta di
idee, ma di idee che non hanno una ricaduta pratica, poiché contemporaneamente,
nella vita individuale, si trova il turpiloquio, si trova la maldicenza, si
trovano i peccati sessuali, si trovano tante forme di superbia, di invidia, di
gelosia, di competizione…
Bisogna allora porsi qualche domanda:
qual è il frutto di quella pretesa eccellenza? In che cosa si manifesta l’effetto
di ciò che il movimento propone? Dov’è la reale differenza rispetto agli altri?
Certo, non si commetteranno magari i peccati peggiori (come l’aborto, le
perversioni sessuali e tante altre forme di disprezzo della persona umana) ma,
nonostante l’assenza di questi peccati gravissimi, sono comunque presenti
mancanze in materia grave che non sono più percepite come tali, proprio perché
tutta l’attenzione è assorbita da ciò che il movimento propone come fattore di eccellenza,
come elemento che renderebbe i membri cristiani migliori degli altri.
Il problema è molto serio, poiché in
una situazione del genere l’occhio interiore della coscienza si oscura e uno
non coglie più la contraddizione lampante tra ciò che pensa e professa, da una
parte, e ciò che fa, dall’altra. La coscienza, forse, percepisce ancora la
contraddizione intellettualmente, sa che certe cose non vanno bene, ma trova
poi un motivo per giustificarsi, scende quindi a patti col peccato e si fa una
ragione – falsa, evidentemente – per non combattere più e giacere abitualmente
nel peccato mortale.
Terapia improcrastinabile
Ora, come fare a riaprire l’occhio
interiore della coscienza? Una volta che la coscienza ha cessato di funzionare,
ci vuole un miracolo. Perciò bisogna intervenire il prima possibile: occorre (se
ci si riesce, con la grazia di Dio) rianimare la coscienza che sta morendo e, a
poco a poco, cessa di funzionare. Bisogna quindi esser molto vigilanti, senza
illudersi che la soluzione venga da fuori, che basti seguire un determinato
percorso e ascoltare tante catechesi, tante omelie, tanti insegnamenti… No: c’è
un lavoro che ognuno deve fare su se stesso, in modo da poterlo poi proporre
anche ad altri. Nessuno può educare qualcun altro se prima non ha educato se
stesso con l’aiuto della grazia.
Ecco allora la grande attualità
della missione di san Giovanni Battista: preparare al Signore un popolo
perfetto, cioè un popolo che viva effettivamente secondo il Vangelo, un popolo composto
di persone che si siano lasciate illuminare ad una ad una. Ognuno di noi ha il
compito di ravvedersi, di purificarsi e di correggersi; non possiamo aspettare
che lo faccia qualcun altro. Abbiamo certamente l’aiuto della grazia di Dio, ma
la grazia – non dimentichiamolo mai – presuppone la natura, cioè il nostro
sforzo.
La grazia eleva ciò che facciamo noi; se non facciamo niente, non eleva niente, perché non trova niente da elevare. Che san Giovanni Battista ci aiuti dunque a riaprire l’occhio della coscienza, a ridestarci interiormente e a metterci seriamente a lavorare su noi stessi, così da poter diventare membri di questo popolo perfetto, di un popolo che sia cioè capace di vivere effettivamente secondo l’insegnamento del Signore e di seguirlo effettivamente sulla via della Croce, non con le idee, non a parole, ma nei fatti.
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