Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 5 luglio 2025


Educazione, non presunzione

 

 

San Giovanni Battista, chiamato a essere Precursore del Messia, lo fu fin da quando era nel grembo della madre: lo annunciò sussultando di gioia nell’utero di Elisabetta, quando la Vergine Maria la salutò portando in Sé il Figlio di Dio fatto uomo. Egli, quindi, precorse realmente il Signore ancor prima di nascere e nella sua nascita stessa, accompagnata dal prodigio della ritrovata loquela del padre Zaccaria, il quale era rimasto muto dopo aver ricevuto dall’arcangelo Gabriele l’annuncio della nascita del figlio, al quale non aveva creduto.

Questa nascita ci fa già intravedere, in prospettiva, quale sarà la missione del Precursore. L’Angelo lo aveva affermato chiaramente: «Tuo figlio – aveva detto a Zaccaria – sarà ricolmo di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre e riporterà al Signore molti figli di Israele. Egli precederà il Signore con lo spirito e la potenza di Elia per riportare i cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla saggezza dei giusti, così da preparare al Signore un popolo perfetto» (cf. Lc 1, 15-17). Una missione, questa, di capitale importanza ma, come stiamo per vedere, ancora attuale, anzi estremamente urgente e necessaria nel nostro tempo: il compito di san Giovanni Battista non si è esaurito.

Un compito più che mai stringente

Ciò che doveva fare durante la vita terrena, certamente, lo portò a compimento: preparò il popolo di Israele a ricevere il Messia e indicò il Messia stesso quando disse: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29), cioè elimina ciò che separa l’uomo da Dio e ristabilisce l’alleanza tra Dio e l’uomo. Questo compito, evidentemente, fu realizzato – lo ripetiamo – durante la vita terrena del Battista, ma dal cielo il più grande fra i nati di donna, come lo chiamerà Gesù (cf. Mt 11, 11), continua ad esercitare una funzione provvidenziale nei confronti della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, di quella parte della Chiesa che ancora cammina e combatte sulla terra.

Era il compito enunciato da Dio stesso mediante l’Arcangelo: il figlio di Zaccaria avrebbe dovuto riportare molti figli di Israele al Signore loro Dio. Quanti cattolici si sono allontanati da Dio! Quanti cattolici vivono come se Dio non esistesse! Quanti cattolici disonorano ogni giorno il loro Battesimo con i loro peccati, le loro abitudini, il loro stile di vita contrario al Vangelo! Anche oggi san Giovanni Battista deve riportare al Signore tanti Suoi figli che Lo hanno dimenticato e vivono come chi non Lo conosce affatto.

Il Battista dovrà dunque riportare i cuori dei padri verso i figli e gli increduli alla saggezza dei giusti, in modo da preparare al Signore un popolo perfetto. Di solito si traduce un popolo ben disposto, ma il testo latino utilizza un termine inequivocabile: perfectam. La perfezione non consiste nell’essere semplicemente ben disposti: questa è la premessa, ma non basta. Bisogna che la premessa porti dei frutti: occorre che la grazia, trovando gli uomini ben disposti, si realizzi nelle loro vite plasmando la loro condotta. A questo scopo è necessario riportare i cuori dei padri verso i figli.

Da ormai due generazioni è venuta meno la vera educazione cristiana e, con essa, è inevitabilmente venuta meno anche l’educazione umana. Nessuno educa più nessuno: né i genitori i figli, né i sacerdoti i fedeli, né il Magistero il popolo cristiano nella sua interezza. L’educazione umana e cristiana è ormai assente nelle famiglie, nelle parrocchie e anche nei seminari e nei conventi. Occorre perciò riportare i cuori dei padri verso i figli, non con quel sentimentalismo melenso che oggi va tanto di moda e che guasta i ragazzi e le ragazze, bensì con quell’amorevole cura, piena di attenzione e di rigore (nonché di severità, quando è necessario), che aiuta i piccoli a crescere, a diventare persone, non a vivere come animali.

Diagnosi del male

Perché è successo questo? – possiamo domandarci. Come mai è venuta meno l’educazione umana e cristiana? La risposta è che viviamo, ormai da decenni, in un clima culturale tipicamente gnostico: ciò che conta sono le idee; ciò che conta sono i discorsi; ciò che conta sono i dibattiti. Quanto siamo propensi a nutrirci di idee, di parole, di dibattiti! Tutte cose che, tuttavia, rimangono sterili, perché non incidono positivamente né sulla nostra mente, né sul nostro cuore, né sulla nostra vita. Se ci si ferma alle idee, alle parole e ai dibattiti, ci si crede a posto perché si è perso il contatto con la realtà, con la propria realtà: con la propria realtà interiore, anzitutto, e poi con quella esteriore, cioè con i propri comportamenti.

In questa degenerazione, purtroppo, un ruolo decisivo è stato svolto dai movimenti, che non soltanto non hanno educato umanamente e cristianamente i loro membri ma, anzi, li hanno illusi di essere perfetti, di essere al di sopra degli altri, di essere i migliori cattolici, secondo quel vano sentimento di eccellenza che è tipico del giudaismo; eppure, nella realtà, non c’è un vero progresso. Ora, che si tratti di acquisire conoscenze esclusive o di imparare a scrutare la Parola o di esercitare presunti carismi o di praticare una supposta unità e così via… si tratta di idee, ma di idee che non hanno una ricaduta pratica, poiché contemporaneamente, nella vita individuale, si trova il turpiloquio, si trova la maldicenza, si trovano i peccati sessuali, si trovano tante forme di superbia, di invidia, di gelosia, di competizione…

Bisogna allora porsi qualche domanda: qual è il frutto di quella pretesa eccellenza? In che cosa si manifesta l’effetto di ciò che il movimento propone? Dov’è la reale differenza rispetto agli altri? Certo, non si commetteranno magari i peccati peggiori (come l’aborto, le perversioni sessuali e tante altre forme di disprezzo della persona umana) ma, nonostante l’assenza di questi peccati gravissimi, sono comunque presenti mancanze in materia grave che non sono più percepite come tali, proprio perché tutta l’attenzione è assorbita da ciò che il movimento propone come fattore di eccellenza, come elemento che renderebbe i membri cristiani migliori degli altri.

Il problema è molto serio, poiché in una situazione del genere l’occhio interiore della coscienza si oscura e uno non coglie più la contraddizione lampante tra ciò che pensa e professa, da una parte, e ciò che fa, dall’altra. La coscienza, forse, percepisce ancora la contraddizione intellettualmente, sa che certe cose non vanno bene, ma trova poi un motivo per giustificarsi, scende quindi a patti col peccato e si fa una ragione – falsa, evidentemente – per non combattere più e giacere abitualmente nel peccato mortale.

Terapia improcrastinabile

Ora, come fare a riaprire l’occhio interiore della coscienza? Una volta che la coscienza ha cessato di funzionare, ci vuole un miracolo. Perciò bisogna intervenire il prima possibile: occorre (se ci si riesce, con la grazia di Dio) rianimare la coscienza che sta morendo e, a poco a poco, cessa di funzionare. Bisogna quindi esser molto vigilanti, senza illudersi che la soluzione venga da fuori, che basti seguire un determinato percorso e ascoltare tante catechesi, tante omelie, tanti insegnamenti… No: c’è un lavoro che ognuno deve fare su se stesso, in modo da poterlo poi proporre anche ad altri. Nessuno può educare qualcun altro se prima non ha educato se stesso con l’aiuto della grazia.

Ecco allora la grande attualità della missione di san Giovanni Battista: preparare al Signore un popolo perfetto, cioè un popolo che viva effettivamente secondo il Vangelo, un popolo composto di persone che si siano lasciate illuminare ad una ad una. Ognuno di noi ha il compito di ravvedersi, di purificarsi e di correggersi; non possiamo aspettare che lo faccia qualcun altro. Abbiamo certamente l’aiuto della grazia di Dio, ma la grazia – non dimentichiamolo mai – presuppone la natura, cioè il nostro sforzo.

La grazia eleva ciò che facciamo noi; se non facciamo niente, non eleva niente, perché non trova niente da elevare. Che san Giovanni Battista ci aiuti dunque a riaprire l’occhio della coscienza, a ridestarci interiormente e a metterci seriamente a lavorare su noi stessi, così da poter diventare membri di questo popolo perfetto, di un popolo che sia cioè capace di vivere effettivamente secondo l’insegnamento del Signore e di seguirlo effettivamente sulla via della Croce, non con le idee, non a parole, ma nei fatti.


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