Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

venerdì 21 febbraio 2025


Sei cattolico? Prega per il Papa.

 

 

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Pare ancora opportuno riprendere quanto scritto, in occasione della Pasqua, a proposito del modo in cui, da un estremo all’altro del ventaglio ecclesiale, si abusa della sacra parola del Vangelo. Se i progressisti la distorcono applicandole dall’esterno significati di stampo socio-politico ad essa del tutto estranei, i tradizionalisti ne fanno di solito una clava per giudicare inesorabilmente chiunque non accolga ciecamente le loro interpretazioni tendenziose e strumentali. In un caso come nell’altro, si finisce col porsi al di sopra dell’autorità divina, la quale è riconosciuta soltanto nella misura in cui sembri confermare tesi elaborate da uomini per giustificare le proprie scelte indipendenti. Inutile dire che la traiettoria è perfettamente inversa a quella dell’autentica fede.

Possibili ragioni di un successo immeritato

Indizi infallibili per individuare i discorsi falsamente religiosi sono la mancanza di vera carità e il tono tipicamente mondano. Una certa veemenza è comprensibile quando lo scandalo è grave, ma l’astiosità e il disprezzo denunciano una sorgente tutt’altro che pura. Molti cattolici, come si deduce dai loro comportamenti, vivono completamente estroflessi nell’estrinseco e totalmente dimentichi del primato dell’interiorità, dalla quale procedono le buone e le cattive intenzioni (cf. Mc 7, 21-22). Così non si accorgono di proiettare su bersagli esterni il malessere che hanno dentro e che solo in parte può eventualmente esser causato da essi; la ragione principale, infatti, è nelle loro disposizioni interiori, che non sono conformi a quelle proprie di chi coltiva le tre virtù teologali.

Un religioso straniero che insegna filosofia speculativa e celebra esclusivamente la Messa antica, sollecitato a esprimere un parere sul tumultuoso ambiente nostrano che si ispira alla Tradizione, osservava con divertito ma benevolo umorismo: «Voi italiani siete pazzi!». All’estero, in effetti, non si registra l’agitazione che impera qui da noi. Un motivo di ordine storico-culturale, con buona probabilità, è la nostra inclinazione per la passione politica, che già all’epoca dei Comuni dilaniava la popolazione della penisola, all’interno delle città e tra di esse, con odi fratricidi. La disillusione e disaffezione, che giunge fino al disgusto, per il pietoso scenario della vita pubblica può aver spinto tanti cattolici a trasferire il contagio di quella febbre nell’ambito ecclesiale.

La propensione a schierarsi con un capo e intrupparsi nel suo partito, tuttavia, non è una spiegazione sufficiente, quando si tratta di persone che, almeno a parole, affermano di credere e di voler seguire il Signore. Ci sono in giro troppi maestri candidatisi da sé a guide della vera Chiesa ed essi hanno troppi seguaci perché basti una causa di natura socio-psicologica. Certo, è comprensibile che l’animo di chi si sente profondamente frustrato a più livelli si attacchi a chi dà voce ai suoi sentimenti e gli instilli l’impressione di potersi far sentire in alto; tuttavia l’invincibile ostinazione che ciò produce, fino all’accecamento, fa pensare che siano entrate in gioco forze preternaturali che offuschino la mente dei malcapitati e riducano la loro libertà di scelta.

Dimensione spirituale del problema

Il mondo demoniaco, del resto, non può essere estraneo a un processo patologico che spacca l’unica Chiesa in mille rivoli, col rischio di atomizzarla. Tale conclusione è confermata dall’osservazione di comportamenti che solo una satanica superbia può ispirare, diametralmente opposti a quelli di chi realmente obbedisce al Vangelo e, con l’aiuto della grazia, si sforza di tradurre in atto la sua fede. Come può agire lo Spirito Santo, d’altronde, in guide che si sono separate dal Corpo Mistico con la propria aperta insubordinazione e per effetto dell’inevitabile scomunica? Se non è Lui ad abitare l’anima perché scacciato da peccati direttamente a Lui contrari, è un altro spirito che ne prende possesso e non ne sarà espulso finché essa non si ravveda… ma come può farlo, se accecata?

Come vedete, è di vitale importanza coltivare un’umiltà a tutta prova, che ci consenta di rimanere saldamente uniti alla Chiesa gerarchica, malgrado tutti i suoi mali, e di operare beneficamente al suo interno, senza uscirne. Non è in gioco il solo bene della Chiesa, infatti, ma la salvezza stessa dell’anima. Poiché gli invasati sono frammisti alle comunità ancora sane e cercano di trarne nuovi adepti alla loro setta, siate molto vigilanti per non lasciarvi irretire dalle loro false argomentazioni, che si tradiscono sia per l’atteggiamento astioso e discriminatorio, sia per l’esito negativo, ossia lo sprone a separarsi dalla falsa Chiesa. Guardateli con pietà, ma allontanateli con fermezza, pur senza mancare di carità nei loro confronti: è l’unica cosa che la carità stessa permette in questi casi.

Ciò che è più desolante, peraltro, è lo spettacolo di un apparente zelo per la verità e per la fede che non si astiene dall’usare modalità e mezzi in totale contraddizione con quel Vangelo che pretende di difendere. I “salvatori” della Chiesa sono dominati dal medesimo spirito mondano di coloro che si accaniscono a stigmatizzare, con in più la presunzione di essere gli unici veri cattolici e infallibili custodi del depositum fidei. Chi invece è davvero unito a Dio soffre molto, indubbiamente, per i continui attacchi che quest’ultimo subisce, per le torsioni inflitte alla struttura gerarchica costituita, per le gravi ingiustizie subite dagli innocenti, per l’inadeguatezza e l’immoralità di tanti prelati… ma ciò che lo angoscia è la prospettiva che un’anima si danni, vicina com’è al rendiconto.

Un compito urgentissimo

Invocando il Signore perché ci doni un papa degno, non omettiamo perciò un’intensa supplica per la conversione di colui che, formalmente o solo materialmente, esercita il supremo pontificato. Quel che conta, alla fine, non è stabilire – casomai ne avessimo facoltà – se detiene legittimamente il suo ufficio o no, bensì ottenere da Dio un cambiamento in meglio senza escludere, se possibile, l’esito positivo di un’esistenza che si è caricata, sì, di colpe gravissime e innumerevoli, ma che l’onnipotente misericordia può ancora salvare. Chi non ha questa speranza non è cattolico; chi è davvero cattolico, invece, desidera che la carità divina trionfi sempre, soprattutto nei casi che appaiono più disperati. È ciò che hanno voluto i Santi – ed è la sola medicina che possa guarire la Chiesa terrena.

Rallegrarsi che un uomo stia morendo è prova di un agghiacciante cinismo che scandalizza i semplici, dà ragione ai nemici della Tradizione e nulla ha a che vedere con i veri cristiani, i quali non si congratulano certo per una vittoria del demonio. Chi ha un minimo di umanità soffre per qualcuno che è in fin di vita; chi, in più, ha la fede, di fronte alla morte imminente rimette ogni cosa al giudizio divino, piuttosto che accanirsi spietatamente contro il moribondo con odio e livore. Sappiamo bene, del resto, che fino all’ultimo istante ogni anima, per quanto appaia irremovibile, può accogliere la grazia se, grazie all’intercessione di tanti, decide di arrendersi ad essa, così che sia Cristo a vincere anziché l’avversario. Dedichiamo perciò alla malattia di papa Francesco la recitazione dell’Anima Christi, tanto cara al fondatore dell’Ordine cui appartiene.

Non abbiamo assolutamente l’ardire di emettere sentenze sul mistero insondabile di una coscienza umana, che Dio solo scruta e conosce. Tantissime azioni di Jorge Mario Bergoglio sono certamente indifendibili, ma sulla bilancia bisogna deporre anche le telefonate quotidiane al parroco di Gaza, raggiunto perfino dal letto d’ospedale. Se il Signore volesse, ci sarebbe di grande conforto una parola di ritrattazione di tutti gli errori da lui propalati e un gesto di riparazione di tutte le ingiustizie da lui perpetrate, ma ci basta che egli eviti l’Inferno. Come uomo, come cattolico e come sacerdote non posso rassegnarmi all’idea che muoia senza essersi riconciliato con Dio mediante un pentimento sincero e l’offerta delle proprie sofferenze in penitenza.


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