Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

venerdì 29 giugno 2018


Il Papa della Provvidenza



Deus, in sancto via tua (Sal 76, 14).

Autentico uomo di Dio non è colui che pretende di costringere la realtà divina nei suoi astratti schemi intellettuali, ma colui che, mediante un amoroso studio della verità rivelata illuminato dalla preghiera, acquista una sempre maggiore familiarità con Lui. Il primo esclude progressivamente, con orgogliosa sufficienza, tutto ciò che non rientra nel suo rigido sistema di pensiero, che rischia di diventare una forma di gnosi di segno contrario; il secondo riconosce con gioia e gratitudine, dovunque ne trovi, le tracce della presenza e dell’azione del Creatore. Questo non è un cedimento al sincretismo o all’indifferentismo, ma un principio prettamente cattolico: il vero uomo di Dio, nel cogliere i semi del Verbo, sa bene che non bastano ad assicurare la salvezza e che hanno bisogno di esser liberati da un intrico di errori prima di poter essere sviluppati e completati dalla Rivelazione. Egli, però, non obbliga per questo i suoi simili a un lavaggio del cervello che deve sostituire le loro idee con un carapace dottrinale bell’e fatto, ma, facendo leva sulla sincerità del loro desiderio di verità e di bene, li guida verso la piena conoscenza in un attento rispetto dei loro tempi di crescita, in modo che la conversione sia un processo di reale cambiamento interiore, piuttosto che una piatta asfaltatura della mente.

Che oggi si abusi di questo metodo per insinuare l’eresia nella Chiesa non significa che esso sia cattivo, ma che non è retta l’intenzione con cui è applicato da chi vuole scardinare la fede e la morale. Viceversa, le facili scorciatoie di chi usa le formule da mandare a memoria come punto di partenza, anziché come punto d’arrivo, non producono credenti che saranno in grado di attirarne a loro volta altri, ma fanatici appassionati della caccia all’eretico e all’errore. Con questo andazzo si finisce col mettere sullo stesso piano tutti i papi successivi al Concilio Vaticano II. Non si possono sicuramente negare certe tare filosofiche e culturali che hanno gravato sulla formazione di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI, ma il fondamento del loro pensiero è innegabilmente cattolico. Anche il sincero sforzo di dialogare con la cultura contemporanea ha lasciato delle ombre su alcuni aspetti del loro magistero; forse è stata un’illusione quella di poter trovare un punto d’incontro intellettuale con chi propugna una razionalità in cui non c’è posto per Dio, la cui esistenza non è semplicemente l’ipotesi migliore, ma è raggiungibile con la ragione. Tuttavia la grazia di stato ha potuto fare la sua parte in uomini di retta coscienza portatori della missione più alta; il giudizio definitivo su atti che possono apparire temerari o scandalosi, peraltro, spetta unicamente a Dio.

Altro è il discorso, invece, qualora uno rifiuti espressamente gli elementi fondamentali della fede cristiana, sostituiti da idee di stampo marxista indebitamente ricondotte al Vangelo. Qui non è più questione di (de)formazione culturale, ma di adesione puramente nominale alla Rivelazione divina. Quest’ultima serve a coprire una visione gnostica ed evolutiva della divinità che, nel XX secolo, ha profondamente contagiato il glorioso ordine dei gesuiti, corrompendolo profondamente. Tre nomi hanno particolarmente determinato tale deriva: Pierre Teilhard de Chardin, un folle probabilmente posseduto fin dall’infanzia, i cui libri, nonostante la rimozione dall’insegnamento, hanno avuto una diffusione e un influsso enormi; Karl Rahner, autore di una “rilettura” del cristianesimo in chiave immanentistica e principale responsabile della sua perversione in senso antropocentrico; Hans Urs von Balthasar (che poi uscì dall’Ordine), lodato costruttore di una cattedrale speculativa poggiante sull’impossibile tentativo dialettico di riconciliare l’eresia luterana con la fede cattolica.

Qui la forma mentis non è più cattolica, ma idealistica: non è più l’intelletto ad adeguarsi alla realtà (in questo caso, quella divina), ma la realtà che è oggetto della Rivelazione ad essere coartata in uno schema culturale incompatibile in quanto erroneo. Un conto, allora, è che una genuina fede cattolica si sia sviluppata in una certa atmosfera intellettuale e l’abbia in parte respirata; un conto è che una visione del tutto estranea ad essa se ne sia impossessata per trasformarla in qualcos’altro. Questo è quanto è accaduto con buona parte della nouvelle théologie francese e tedesca e, in modo ancor più evidente, con la “teologia” della liberazione, che in fin dei conti ne è un sottoprodotto. La teologia italiana, con l’estinzione della Scuola romana, è per lo più andata a rimorchio: in generale, salvo qualche raro autore che osa ancora studiare san Tommaso o san Bonaventura, tutti sono più o meno prigionieri della cultura filosofico-teologica di matrice germanica.

In questo quadro, lascia quantomeno perplessi che, in certi settori della resistenza, si continui ad accanirsi contro Benedetto XVI. A parte la sua veneranda età e il fatto che non svolge più alcuna funzione ufficiale, equipararlo al successore è un’evidente forzatura. Che i suoi scritti, per forma e contenuto, non si possano incastrare nel letto di Procuste di un tomismo così rigido che sarebbe rigettato dallo stesso san Tommaso – il quale, dopo una visione, diede ordine di bruciare la Summa! – non significa che siano da cestinare in toto; negare poi per principio che si sia verificata in lui un’evoluzione (nonostante il convinto attaccamento a un Concilio a cui, a suo tempo, ha contribuito in modo decisivo, ma che col senno di poi, a prescindere dalla sua ermeneutica, ha fatto più danno che bene) equivale a misconoscere l’azione della grazia in un uomo limpido e retto che è stato elevato al supremo pontificato. Se la Provvidenza si è saggiamente servita di lui per ridare piena cittadinanza alla Tradizione, innescando così un irreversibile processo di recupero, non è stato certo per indurre in inganno i suoi cultori attirandoli in una trappola modernista camuffata da incenso e merletti. Vorremmo farci più sapienti di Dio stesso, finendo così con l’imitare i nostri avversari?

Anche qui si rischia di voler cacciare la realtà in uno schema ideologico che taglia fuori tutto ciò che non corrisponde perfettamente a un modello preconfezionato, anziché riconoscere con umile gratitudine quanto il Signore ha realizzato, sebbene per mezzo di strumenti imperfetti. C’è forse qualcuno, del resto, che possa vantare la perfezione in statu viatoris? Solo la Chiesa nella sua totalità è infallibile, e il suo Capo a determinate condizioni. Il richiamo letterale del Magistero di sempre, per alcuni, pare servire a troncare nell’argomentazione ogni sottigliezza, sia pur necessaria, rischiando così di diventare una clava da usare in tutte le situazioni, anche quando ci vorrebbe un bisturi. Solo chi ha perso il contatto con lo stato reale della società e della gioventù può illudersi che basti uno sbrigativo indottrinamento per rimediare allo sfacelo intellettuale e morale di tanta gente che, molto spesso, è divenuta incapace del benché minimo ragionamento e va presa pazientemente per mano – sempre che accetti – per risalire a poco a poco la china di un abisso in cui, oltretutto, è convinta di star benissimo e di non aver bisogno di nient’altro.

I pericoli più gravi che si nascondono dietro un’indiscreta setacciatura di errori, tuttavia, colpiscono al cuore il mistero stesso della Chiesa, unica arca di salvezza. Questa cavillosa tricotomia rischia di avvalorare, suo malgrado, la tesi dei novatori sulla rottura della continuità, che è incompatibile con una corretta visione ecclesiologica: di questo passo, infatti, uno sguardo prevalentemente storicistico finisce col prevalere su quello soprannaturale dell’indefettibile società fondata dal Verbo incarnato. C’è un modo di guardare alla Tradizione che sembra considerarla interrotta (cosa che non è affatto possibile) e che tiene le persone rivolte all’indietro, come se il Signore avesse smesso di guidare la propria Sposa verso il compimento promesso. Di conseguenza, i vari – e divergenti – tentativi di preservarla autonomamente ergendosi ad autorità di sé stessi tendono a frantumare la Chiesa in molteplici correnti e aggregazioni, convinte ognuna di possedere la ricetta giusta, ma operanti di fatto come tante schegge impazzite. Non è certo questo il miglior servizio che si possa rendere al Corpo di Cristo, per non parlare del fatto che, molto spesso, si trascura in modo lampante la carità verso quel prossimo che, in buona fede, è su posizioni diverse.

Non da ultimo, l’ostinato accanimento di chi investe le migliori energie a stanare scritti e persone per esporli alla pubblica gogna nel proprio piccolo circolo di eletti – a parte la forte tentazione di superbia – rischia di distoglierne l’attenzione dalla propria personale correzione e santificazione. Non le interminabili diatribe che inaridiscono gli animi, ma soltanto la carità di nuovi santi potrà ottenere il miracolo di risuscitare la fede in cuori così induriti da non esser più nemmeno umani. L’unica vera soluzione è la santità, che presuppone ovviamente la sana dottrina, ma nondimeno tanta preghiera, penitenza e pratica delle virtù. «La fede, se non ha le opere, è morta in se stessa» (Gc 2, 17): non era forse proprio un certo Lutero che non sopportava questa parola della Scrittura? Vogliamo ritrovarci, per altra via, in sua compagnia o dargli ragione coi fatti, pur combattendolo a parole? Dobbiamo farci santi, cari fratelli: così potremo sviluppare al massimo grado quel senso soprannaturale della verità che ci permetterà di distinguere spontaneamente ciò che è buono, per tenerlo, da ciò che non lo è, per tralasciarlo; così renderemo giusto onore a Dio e giustizia ai Suoi strumenti, nonché l’amore dovuto al prossimo.

sabato 23 giugno 2018


Tre punti alla modernità



La modernità, intesa come rovesciamento dell’ordine naturale (in cui Dio è principio e fine, mentre l’uomo è ordinato a Lui e il cosmo è al suo servizio), è indubbiamente la causa della crisi radicale che attanaglia la civiltà occidentale. L’essere umano, creato per conoscere, amare e servire Dio in questa vita e goderlo eternamente nell’altra, è stato dapprima collocato al centro di un mondo in cui tutto – compresa la religione – è funzionale al suo benessere terreno; poi l’uomo stesso, declassato ad animale più evoluto, ha finito con l’essere a sua volta subordinato alla salvaguardia della natura. L’artefice della propria fortuna è diventato una minaccia per l’ecosistema; la sua proliferazione, di conseguenza, è ora considerata un fenomeno dannoso da combattere e frenare in ogni modo.

Se questo è l’esito, è evidente che la modernità sia un orientamento che vada radicalmente invertito nell’interesse stesso dell’umanità, messo a repentaglio da simili idee. Sarebbe tuttavia quantomeno imprudente respingere in blocco con un giudizio indiscriminato di condanna tutto ciò che si è prodotto dopo il Medioevo, quasi non ci fosse stato più nulla di utile, ma soltanto esiziali errori e deviazioni. Che ci piaccia o no, siamo anche noi figli del nostro tempo, influenzati, malgrado le migliori intenzioni, dal suo spirito individualista, egocentrico e insubordinato, che scorrazza beffardo tanto nell’ambiente progressista che in quello tradizionalista. Cerchiamo allora di cogliere gli elementi positivi della cultura attuale tralasciandone al contempo quelli negativi, da cui dobbiamo progressivamente disintossicarci con la luce dello Spirito Santo e l’aiuto della grazia, ottenuti per mezzo del Cuore immacolato di Maria.

Mi vengono in mente almeno tre aspetti della cultura moderna che, pur senza costituire acquisizioni nuove in assoluto, sono irrinunciabili incrementi della coscienza collettiva. Il primo è una più esatta valutazione della parte del soggetto individuale nella conoscenza, sia in quella basata sulla ragione che in quella fornita dalla fede. Con ciò non intendo certo aprire un varco al soggettivismo, ma riconosco semplicemente che ognuno di noi si accosta alla verità oggettiva (naturale o rivelata) a partire da una storia particolare e con una personalità diversa, cogliendola con sfumature che posson diventare contraddittorie solo se assolutizzate, ma che altrimenti si rivelano preziose sfaccettature che arricchiscono la comprensione della realtà, la quale non è mai esaurita dalla conoscenza umana. La doverosa reazione al relativismo che dilaga purtroppo anche nella Chiesa non deve trasformarci in gladiatori che vibrano colpi di maglio a destra e a manca, privi di ogni sensibilità e delicatezza per quei lucignoli di verità e di bene che il Signore non vuole siano spenti.

Una maggiore attenzione al soggetto mette in evidenza, poi, il necessario ruolo dell’esperienza personale nel processo di conversione e di crescita nella fede. Non si tratta, neanche questa volta, di pagare un tributo al modernismo, che pretende di rintracciare nell’esperienza umana l’origine di ogni religione (compresa quella rivelata, la quale nasce invece da una serie di interventi divini nella storia), bensì di riconoscere che l’irruzione della grazia è ben qualcosa di sperimentabile, sebbene la sua essenza soprannaturale rimanga al di là di qualsiasi effetto sensibile. Nessuno si converte a Cristo a forza di mero studio o di puro ragionamento, ma perché, in qualche modo, sperimenta l’incontro con Lui e ne scopre la presenza nella propria vita. La fede non è frutto di un’adesione asettica a un teorema o a un sillogismo, ma deve avere un significato per l’esistenza. Anche qui una giusta opposizione all’esistenzialismo – almeno a quello che si è rivelato uno scivolo verso l’ateismo – non va spinta fino a relegare l’esperienza quotidiana in un limbo escluso dalla pace e dalla gioia che, già nello stato di viatore, colmano l’anima del vero credente.

E veniamo al terzo punto. L’autenticità della fede richiede un’adesione interiore – non soltanto convinta, ma pure amorosa – alla verità udita nella predicazione, che deve perciò essere tale non solo da illuminare la mente, ma anche da infiammare il cuore. Nemmeno in questo caso sarebbe giusto denunciare una larvata condiscendenza al sentimentalismo, a meno che non si voglia ridurre ad esso anche l’appassionata scoperta della verità da parte di un sant’Agostino. La bellezza tanto antica e sempre nuova non può certo lasciare freddo e distaccato chi ne è fulminato e rapito: ciò che è vero, buono e bello attira e conquista per virtù propria, purché ci si arrenda beati a Colui che lo realizza totalmente in Sé in modo personale, come un Tu di insuperabile fascino alla cui rivelazione crolla spontaneamente qualsiasi barriera, in un gioco paradossale (che la ragione non riesce a scandagliare fino in fondo) tra libera accoglienza e irresistibile trionfo della grazia.

Da questo punto di vista, se vogliamo, la modernità non ha apportato nulla che non fosse già noto grazie alle Confessioni dell’Ipponate, ma ce l’ha fatto forse riscoprire e apprezzare in modo nuovo. Non è un vantaggio da poco. Non lo sarebbe stato quando, sessant’anni fa, una vita di fede ridotta a un certo numero di pratiche e precetti esteriori era già entrata in profonda crisi; se una totalità di vescovi formatisi alla vecchia scuola avesse interiorizzato un po’ di più quanto ricevuto dal passato, probabilmente, non avrebbero lasciato correre né certe ambiguità del Vaticano II, né la scandalosa ribellione all’Humanae vitae, né quella distruzione della liturgia che fu imposta come “riforma”. Non è un vantaggio da poco neanche oggi, dopo che un illusorio rinnovamento, centrato ancora sulle forme esterne, ha lasciato dietro di sé cumuli di macerie spirituali o, quando va bene, una misera vita cristiana che non può decollare per inconsistenza interna. Nel caso dell’appartenenza a movimenti, poi, il fatto di seguire una prassi determinata, valida per tutti, dispensa generalmente gli aderenti dallo sforzo individuale necessario per progredire nelle virtù e crescere nella santità; di solito non si ha la minima idea del paziente lavorio personale richiesto dalla correzione di vizi e difetti, che in un clima di esaltata autoconferma appare del tutto superflua. Spesso, soprattutto nei gruppi giovanili, norma e valore supremo è un becero spontaneismo che calpesta perfino le esigenze più elementari della carità, quali il rispetto per gli altri e la buona educazione.

La soluzione non è un indottrinamento forzato che nasconda le carenze di umanità gracili e ferite sotto strati di nozioni nominali, né un attivismo indiscreto che soffi sul fuoco di squilibri interiori, esasperando sofferenze inconfessate o conflitti non ammessi. Per l’ennesima volta, tener conto delle moderne acquisizioni della psicologia non significa sconfinare in quello psicologismo che mette al bando l’elemento soprannaturale dell’esistenza cristiana, bensì riconoscere, in perfetta continuità con la Tradizione, che la grazia suppone la natura – e che quest’ultima può avere talvolta dei problemi che influiscono sulla vita di grazia e che, ignorati, finiranno col farla deviare verso una religiosità compulsiva o verso alienanti pseudomisticismi. È troppo comodo buttare indistintamente a mare tutto ciò che può salutarmente rimetterci in discussione, fornendoci la chiave per aprire le sbarre della prigione in cui, sia pure con le migliori intenzioni, potremmo esserci rinchiusi da soli. Non serve andare a caccia di scandali e misfatti su cui sfogare il proprio malessere, se la sua radice è all’interno: più materiale si trova, in questo caso, più se ne vuol trovare per giustificare un disagio che, per quanto acuito dalle circostanze esterne, nasce da dentro.

Un vero cristiano non è un attivista che, fasciando di nominalistiche bende le piaghe lasciate da cinquant’anni di devastazione, si illude di vincere con la sua agitazione lo scontento per sé e per il mondo in cui vive, ma una persona cui una fede viva, nata da un reale incontro con Cristo, ha permesso di riconciliarsi anzitutto con la propria storia, poi di guardare alla realtà (per atroce che sia) con la luce della speranza che viene da Lui, così da potervi immettere, quale Suo strumento, dei germi di bene che la trasformeranno a poco a poco, irrorati dalla preghiera e dal sacrificio fecondato dalla Sua grazia. Chi preferisce la rabbia e la frustrazione – pur di non ammettere il proprio errore – si imbestialirà per queste riflessioni appiccicando ad esse etichette infamanti; chi invece ha davvero conosciuto il Signore sarà più indulgente e, con l’aiuto di Dio, sentirà attenuarsi la sofferenza e accrescersi la pace. Al di là dell’uso-abuso della misericordia nella Chiesa attuale, possiamo pure concederci il lusso di prenderla sul serio, dapprima ciascuno per sé e poi per gli altri. Gesù non la concede ad astratte entità senza volto, ma a soggetti viventi nella storia che ne facciano un’esperienza personale e corrispondano ad essa con un’adesione libera, intima e amorosa.

sabato 16 giugno 2018


Missione impossibile?



Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus (Sal 63, 7-8).

Una delle ultime trovate di curiali e “teologi” per derubricare i peccati gravi è quella che li dichiara, a determinate condizioni, non imputabili. A parte il caso della totale infermità mentale, in realtà, le circostanze che annullano la responsabilità individuale – come abbiamo già ricordato altre volte – si riducono a quattro: errore o ignoranza invincibili, violenza e timore grave; ad esse si possono aggiungere casi eccezionali come la possessione diabolica o un alto grado di compulsione. A prescindere dal grado di imputabilità soggettiva di un singolo atto, in ogni caso, gli atti intrinsecamente cattivi sono pur sempre offese oggettive a Dio e, quindi, vanno comunque evitati in tutti i modi, senza riguardo al motivo o alla situazione. Che dire, poi, se si tratta di un peccato mortale continuato, come quello di un divorziato che si è risposato civilmente, o se, anche senza porsi in stato di adulterio permanente, una persona viene deliberatamente meno, abbandonando il coniuge e la famiglia, agli obblighi che si è assunti con il matrimonio? La si giustificherà con un criterio imponderabile e totalmente alieno dalla fede nella grazia del sacramento, del tipo: «Il rapporto non funzionava»?

Di fronte a tale deriva apostatica di certa gerarchia cattolica, anche ai massimi livelli, tutti ci stiamo chiedendo come reagire, ma nell’urgenza dei tempi rischiamo di cadere in trappole ben nascoste. Da una carenza di visione soprannaturale, che si manifesta in uno sguardo essenzialmente secolarizzato sulla Chiesa, nasce o la tentazione di trovare illusorie soluzioni rapide che, risparmiandoci la fatica della lotta e dell’attesa, ci assicurino una salvezza a buon mercato in false spiritualità alienanti o, al contrario, quella di ergerci a “salvatori della patria” in aperta ribellione all’autorità costituita, anche a costo di finire scomunicati. Al di là dei gravissimi mali che affliggono la Chiesa militante, però, la sua origine divina e l’onnipotente volontà del Fondatore ne escludono a priori l’estinzione, pur senza impedirne un temporaneo oscuramento da Lui permesso; il Salvatore, d’altra parte, sollecita la nostra collaborazione attiva, purché sia umile, paziente e fiduciosa.

Una delle più insidiose tattiche del diavolo (oltre a quella di logorare la nostra fede nella completa signoria di Cristo sulla storia umana, portandoci allo scoraggiamento e alla confusione) è quella di farci concentrare su noi stessi e sulla nostra azione come se la salvezza dipendesse principalmente da essa, distogliendo così le nostre anime dal loro centro vitale, l’unione con Dio. A lungo andare, pur nella sincera convinzione di lavorare per Lui e per la Sua gloria, si può finire in questo caso col lasciarlo completamente fuori, fino al punto di non nominarlo nemmeno più o di inserirlo d’ufficio nel discorso come un concetto astratto o una presenza ingombrante. La conversione non può fissarsi a uno stadio imperfetto come se fosse quello definitivo, ma deve progredire sempre più verso la santità, che non è certo fatta di parole. Lo Spirito Santo – se lo ascoltiamo davvero – ci sospinge a penetrare nel cuore profondo, perché solo così Dio sarà veramente esaltato.

Questo non significa gettare la spugna e ritirarsi dall’agone per cercare un comodo rifugio in un alienante intimismo; bisogna invece procedere di pari passo su entrambe le coordinate: la profondità dell’unione con Dio, un’azione ispirata e sostenuta dalla Sua grazia. Pochi sanno che la spiritualità di santa Teresa d’Avila, che rappresenta una vetta della mistica cattolica, ha un’anima ardentemente apostolica: con la preghiera e il lavoro, le sue suore dovevano prender parte alla battaglia contro il flagello luterano per il trionfo della vera fede, di concerto con i guerrieri attivi sul campo, come gesuiti e cappuccini. La straordinaria rifioritura della Chiesa al tempo della riforma tridentina fu dovuta, oltre all’attuazione dei suoi decreti, a uomini e donne che, come lei, avevano fatto una decisiva esperienza di Dio e vivevano in continua orazione: san Giovanni della Croce, sant’Ignazio di Loyola, san Filippo Neri, san Carlo Borromeo, san Francesco di Sales, san Gregorio Barbarigo… per non parlare dei tanti altri santi vescovi e fondatori della medesima epoca.

Quando non se ne può proprio più, allora, bisogna anche esprimere, sia pure in modo controllato, la propria rabbia e il proprio dolore; ma poi occorre rientrare in sé stessi, per non ritrovarsi a fare il gioco del demonio lasciandosi da lui disperdere all’esterno con pretesti apparentemente buoni e dimenticando la propria missione primaria: quella di fare, con una costante offerta, riparazione e preghiera, da sbarramento alla bocca dell’Inferno. Questo deve avvenire nei due sensi: per impedire ai diavoli di uscirne, per trattenere le anime dal precipitarvi. A sguardo umano potrà sembrare una missione decisamente impossibile, ma se, con l’aiuto della grazia, la accettiamo con fede risoluta e in essa perseveriamo sino alla fine, un giorno ci sbigottiremo nel vedere i frutti che avrà portato e scoppieremo di gioia nell’incontrare quanti, anche grazie ad essa, si saranno salvati.

Già san Pietro, ai cristiani provati nella fede dall’apparente ritardo nell’adempimento delle promesse divine, doveva ricordare, tenendo desta la loro mente con le sue esortazioni, di rimanere aggrappati alle predizioni dei Profeti, alla dottrina degli Apostoli e ai precetti del Signore. Agli ingannatori che negli ultimi tempi avrebbero beffardamente rinfacciato ai credenti che dall’inizio della creazione nulla era cambiato, bisognava rammentare che il mondo già una volta era stato punito con il diluvio e che, quando meno se lo sarebbero aspettati, sarebbe stato purificato col fuoco. Dio non misura il tempo come gli uomini, ma usa pazienza per dare a tutti la possibilità di convertirsi. Quale non dev’essere allora, in questa prospettiva, la condotta e la pietà dei cristiani che attendono e affrettano la venuta del Signore? Se andiamo verso nuovi cieli e terra nuova in cui abiterà la giustizia, dobbiamo fare in modo di esser da Lui trovati integri e immacolati, considerando la Sua longanimità un’occasione di salvezza (cf. 2 Pt 3, 1-15).

Cinquant’anni di desistenza della Chiesa Cattolica e cinque di positiva cooperazione con le agenzie della rivoluzione hanno dato ai loro sgherri un’arroganza sfrontata che non ammette più limiti e non risparmia più nulla. Tra artisti, studiosi, attori, cantanti, giornalisti, conduttori, politici, attivisti, preti e pastori protestanti è una vera e propria gara di indecenze, bestemmie e dissacrazioni. Chi permette al diavolo di impadronirsi della sua mente per mezzo di idee sballate e della sua volontà con abitudini perverse è da lui trascinato sempre più lontano. Finché la Chiesa faceva da argine al dilagare di tale demenza sovvertitrice, tuttavia, gli agenti dell’Inferno sulla terra non osavano alzare il capo più di tanto e operavano nell’ombra. Se ora son venuti allo scoperto, è perché vedono che nessuno li sta più contrastando efficacemente e che la gente, inebetita dal circo mediatico, assuefatta a volgarità di ogni genere, è pronta a qualsiasi esperimento.

Per poter resistere al ributtante spettacolo che è appena all’inizio, dobbiamo compiere scelte ben precise. Tempo ed energie vanno spesi soprattutto a contemplare e assorbire ciò che è vero, buono e bello, piuttosto che a fissarsi sul marcio. Nel secondo caso rischiamo di fare, nostro malgrado, il gioco del nemico, consumandoci nella rabbia e nella frustrazione, dando rilievo e risonanza alle sue manovre ed esponendoci anzi al pericolo di essere da lui insensibilmente contagiati. La potenza e la perfidia della macchina infernale che ci troviamo a combattere è ben oltre la nostra immaginazione; di conseguenza è imperativo cercare guida in Dio e sostegno nella Sua grazia. Chi non è radicato nella vita dello Spirito, in questa battaglia, si farà bruciare senza neanche accorgersene. Questo – lo ribadisco ancora una volta – non significa andare a caccia di presunti veggenti, messaggi, segreti e apparizioni: tutto ciò, oltre a costituire un vero e proprio business, fa parte di una strategia mirante a fuorviare chi è sulla retta via e non si lascia sedurre con i mezzi ordinari.

Le nostre armi principali, oltre ai Sacramenti, devono essere la recita del Rosario, la meditazione della Sacra Scrittura, la lettura di vite e scritti dei Santi, senza dimenticare un umile, discreto e costante esercizio della carità, specie quando ci è più molesto. Esiste una virtù eroica che si pratica nel grigiore e nell’anonimato della quotidianità, ma che è tanto più fruttuosa e meritevole quanto più è solo Dio a vederla: è un dono esclusivo e nascosto che Gli facciamo per puro amore e che può esser visto da un altro unicamente se serve alla sua conversione ed edificazione. Se ne abbiamo la possibilità, rifugiamoci il più spesso possibile davanti al Tabernacolo o, i più fortunati, davanti al Santissimo esposto sull’altare (purché lo sia in modo degno, senza esser lasciato all’irriverenza o all’indifferenza). Nella misura delle nostre forze facciamo penitenza, offrendo in più tutto ciò che ci tocca sopportare, anche in chiesa e a Messa, con la compunta umiltà di chi sa bene che se Qualcuno, per pura grazia, non lo avesse scelto e tirato fuori dal marasma, ci starebbe dentro pure lui fino al collo.

«Chi mi condurrà nella città fortificata […]? Non forse tu, o Dio, che ci hai respinti […]? Portaci soccorso dalla tribolazione, perché vana è la salvezza dell’uomo. In Dio compiremo un atto di potenza ed egli stesso ridurrà a nulla i nostri nemici» (Sal 107, 11-14). Vedete come la Parola divina ci descrive la sinergia tra natura e grazia? L’azione decisiva è quella del Signore, ma Egli si serve di noi – che da soli saremmo spacciati – e con immensa degnazione ci coinvolge nella Sua santa opera. Per questo dobbiamo essere continuamente connessi a Lui, più che alla Rete, così da poter ascoltare la voce di Gesù e captare il segnale dello Spirito Santo. Far da barriera all’Inferno è un compito arduo, ma inderogabile: se l’argine all’alluvione di fango è saltato, bisogna costruirne uno sul piano spirituale, in attesa che il Cielo si degni, se lo avremo meritato, di riedificare quello istituzionale, che pure è necessario.

Gesù, Maria, vi amo: salvate anime (Serva di Dio suor Maria Consolata Betrone).

sabato 9 giugno 2018


La nuova Sion (sul futuro della Chiesa)



A quanto pare, purtroppo, pecunia non olet, specie se proviene dalle tasche di un “filantropo” come Soros, il quale, vista in Europa la rapida ascesa di partiti sovranisti mandati al governo da popolazioni esasperate, nel momento cruciale della formazione del nuovo governo ha lanciato un messaggio astutamente conciliante circa l’euro e l’immigrazione, poi, con uninaudita ingerenza, lo ha attaccato per un presunto finanziamento di Putin. Sarebbe interessante sapere piuttosto quanti presuli e politici italiani sono sul suo, di libro-paga. Si attendono sviluppi… magari una bella interdizione dall’Italia – dietro l’esempio della nativa Ungheria – nonché una sonora confisca in risarcimento della speculazione sulla lira che nel 1992 (con la complicità della buon’anima di Ciampi) ci portò a un passo dalla bancarotta. Se poi qualcuno non avesse ancora capito per chi effettivamente lavora la Chiesa povera per i poveri, lo chieda al cardinal Parolin, che proprio in questi giorni partecipa, a Torino, ai lavori del rockefelleriano Gruppo Bilderberg, mentre il suo principale, direttamente in Vaticano, riceve i vertici delle “sette sorelle” per provvedere con loro a clima, inquinamento e ambiente…

«Saggiami, Signore, e mettimi alla prova; bruciami le reni e il cuore. Poiché la tua misericordia è davanti ai miei occhi e ho posto il mio compiacimento nella tua verità. Non mi sono seduto con il vano conciliabolo e non entrerò con quanti compiono iniquità. Odio l’adunanza dei malvagi e con gli empi non sederò mai». Guardandoci bene dal montare in superbia per reazione alla deriva dei mercenari travestiti da pastori, dobbiamo anzitutto chiedere insistentemente a Dio di verificare la qualità del nostro zelo e di purificarci interiormente con il fuoco della Sua carità. Consapevoli del nostro bisogno permanente di perdono, teniamo fisso lo sguardo sulla Sua grazia, cercando gioia e sicurezza nella verità perenne del Suo insegnamento. Poi prendiamo le distanze una volta per tutte dalla rivoluzione conciliare e tagliamo i rapporti con quanti operano contro la santità della dottrina e della vita cristiane. Rigettiamo l’ignobile caricatura di Chiesa disegnata da questi traditori e teniamoci pronti a escluderli dalla comunione con noi in quanto eretici, rifiutandoci di frequentarne le chiese e di ricevere i Sacramenti da loro.

In quei pochi versetti c’è tutto un programma mirante a radicarci profondamente in Dio, cosa che si rivelerà ben presto indispensabile per poter resistere alla prova che stiamo per affrontare. Chiunque non accetti l’imposizione dell’omoeresia, osi reagire all’invasione pianificata o abbia qualcosa da obiettare alla svendita di cose sante ha già cominciato a subire gli effetti di una riedita inquisizione al contrario; bisogna quindi intensificare la ricerca di sacerdoti e religiosi di provata ortodossia per avere fin d’ora validi punti di riferimento. I cattivi Pastori si riconoscono subito dal modo in cui dissacrano la dignità dei battezzati considerandoli in modo puramente sociologico, la santità dello stato sacerdotale esercitandolo come una mera funzione di dirigenza e il carattere soprannaturale dei Sacramenti trattandoli come se ne fossero i padroni piuttosto che i ministri. Da questo snaturamento di ciò che è sacro, perché opera di Dio, discende tutto il resto dello scandaloso degrado della Chiesa militante, che è sotto occupazione ed è stata eclissata.

Noi formiamo ciò che resta della vera Sposa di Cristo, che sta per attraversare fiamme purificatrici per poter tornare a splendere e apparire infine come la nuova Sion, la Città di Dio in cui vige il Suo mirabile ordine, fondato sull’eterna Sua verità e regolato dalla Sua carità inesausta, la quale è ad un tempo misericordia infinita e suprema giustizia. A questa attesa e speranza si contrappone il falso messianismo sionista, che serve Lucifero e dal cui seno uscirà l’Anticristo. La prima fase di questo satanico e cabalistico progetto ha portato alla rinascita di Israele, il cui regime è puro terrorismo elevato a Stato e che tiene asservite a sé le potenze occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti. La seconda prevede la riedificazione del tempio salomonico sulla spianata delle moschee, bagni di sangue a parte; con la coniatura di una medaglia in cui Trump e Ciro appaiono sovrapposti, certi rabbini la considerano ormai vicina, dopo il riconoscimento yankee di Gerusalemme capitale: sarà il luogo di culto centrale dell’unica religione mondiale, braccio spirituale del governo planetario unificato dalla finanza ebraica. Infine – terza tappa – comparirà l’uomo iniquo, che additerà se stesso come Dio fino a farsi adorare nel suddetto edificio (cf. 2 Ts 2, 3-4).

A più d’uno sembreranno fantasie deliranti. Eppure le potentissime – e ricchissime – organizzazioni religiose americane di stampo pentecostale e fondamentalista, accese sioniste al punto d’esser più realiste del re, considerano proprio la restaurazione del biblico tempio uno snodo essenziale per l’avvento del Regno di Dio. La loro mistica templare è in singolare consonanza con quella del giudaismo estremista, il quale, analogamente all’integralismo islamico, è tale soltanto agli occhi di analisti occidentali formattati dalle fole illuministiche: di fatto, esso è il risultato di un’applicazione letterale di certi passi dell’Antico Testamento, così come il suo fratellastro maomettano non è altro che una pedissequa attuazione del Corano. La differenza tra i due testi sta nel fatto che il primo, essendo ispirato da Dio, va interpretato sul piano spirituale, come di fatto è avvenuto nella Chiesa; il secondo è una mera composizione umana esprimente un’ideologia di conquista e sottomissione del mondo. I cosiddetti “moderati”, di conseguenza, sono semplicemente musulmani non praticanti, così come gli ebrei aperti e dialoganti non credono generalmente in nulla – se non, eventualmente, in sé stessi e nella propria presunta superiorità etnico-culturale.

Dietro la spaventosa decadenza della Chiesa Cattolica, come dietro il modernismo vecchio e nuovo, la rivoluzione conciliare e altre malattie mortali che ne sono la causa, c’è il giudaismo talmudico con i suoi banchieri, che ne mettono fedelmente in pratica i precetti allo scopo di chiudere i conti con il Galileo. Non è certo un caso che già sotto Giuliano l’Apostata iniziassero – ben presto interrotti – i lavori per la ricostruzione del tempio gerosolimitano o che, appena quindici anni dopo l’Egira, nascita ufficiale dell’Islam, la Città santa fosse sottratta ai cristiani e i giudei potessero rientrarvi dopo avervi già chiamato, poco tempo prima, i Sassanidi della Persia, che avevan raso al suolo il Santo Sepolcro e tutte le chiese, ad eccezione della Basilica della Natività. Le molteplici e instancabili trame con cui, lungo tutta la storia, hanno combattuto il nuovo Israele, vero erede delle promesse divine, hanno infine permesso loro sia di reimpadronirsi della Gerusalemme terrena che di occupare i vertici della Città di Dio.

Ancora una volta la loro vittoria sembra a portata di mano; ma Dio ha altri progetti – e la Sua verità rimane in eterno. Anch’essi si convertiranno a Cristo (cf. Rm 11, 1-32): dapprima i comuni cittadini di Israele (che con i palestinesi sono le vittime più dirette dei sionisti, costretti come sono a vivere nell’incubo di uno stato d’assedio permanente), poi gli ebrei sparsi nel mondo (quando finalmente si renderanno conto di aver sostenuto un mostro politico-economico). Infine potranno salvarsi anche capi, speculatori e banchieri, se riconosceranno di essersi messi al servizio di uno sconfitto e di star per essere con lui risucchiati nell’abisso, dove esser puniti in eterno in proporzione dei loro misfatti. Se son davvero intelligenti, la smettano di correre al massacro e riconoscano una buona volta da che parte sta il vincitore: la nostra, ovviamente – se il Signore ci conserva umili e operosi come la Madre immacolata.

Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum. Quoniam misericordia tua ante oculos meos est, et complacui in veritate tua. Non sedi cum concilio vanitatis, et cum iniqua gerentibus non introibo. Odivi ecclesiam malignantium, et cum impiis non sedebo (Sal 25, 2-5).

sabato 2 giugno 2018


La vecchia Sion (sul futuro dell’Italia)



Le agenzie di rating fanno il loro mestiere; non c’è nessun complotto giudaico-massonico, fanno semplicemente le loro considerazioni quando vedono l’ipotesi di un governo sovranista e populista (Carlo De Benedetti, 26 maggio 2018).

Excusatio non petita, accusatio manifesta… Un esempio da manuale. Ormai anche i bambini sanno che le agenzie di rating sono armi di distruzione di massa capaci di annientare le economie di interi Paesi, oltre che grandi imprese e multinazionali. Le loro valutazioni possono innescare in un attimo crolli giganteschi, orientando gli investimenti e provocando rovinosi quanto imprevisti fallimenti. A livello politico, esse sono temibili strumenti di pressione sui governi, che possono cadere per un cattivo “voto”. Da noi è successo nel 2011, con il colpo di Stato che ha rimosso l’ultimo Presidente del Consiglio eletto per portare al potere un uomo della Trilaterale; sette anni dopo, il medesimo espediente è servito da mezzo di intimidazione mafiosa per una formazione politica potenzialmente ribelle, bollata in partenza come governo sovranista e populista, quasi questo fosse il male assoluto. Tutto sommato, però, fin qui non c’è nulla di sostanzialmente nuovo; ma perché mai tirar fuori il fantomatico complotto giudaico-massonico?

Forse perché la cosa è semplicemente vera, ma, per neutralizzare in anticipo anche la sola ipotesi, è appena evocata come un’idea pittoresca da non prendere nemmeno in considerazione. Siamo grati a De Benedetti, comunque, per l’inattesa conferma dei nostri sospetti; anche la propaganda nemica, a volte, finisce suo malgrado col fornire informazioni interessanti. Il succitato ha lanciato una fatwa sul professor Savona perché sarebbe contro la Germania; ma che essa sia infine riuscita a stabilire la propria egemonia in Europa – non più per via militare, ma economica – è perfettamente evidente. I suoi diktat hanno stritolato la Grecia, ormai ridotta ad una miseria paurosa di cui nessuno parla, e ora minacciano il Bel Paese, i cui politici, con oltraggioso disprezzo, sono stati definiti dalla stampa teutonica barboni… Nessuno ci dice però che la Deutsche Bank rischia di fallire o che la “virtuosa” Germania rasenta il collasso per un debito pubblico che è il più alto d’Europa.

Nella Chiesa Cattolica, inoltre, la pseudoteologia tedesca, insieme a quella francese, ha sparso il contagio responsabile di quell’apostasia strisciante che ne ha trasformato le guide in propagandisti del sistema. Ma sarebbe ingiusto prendersela unicamente con la nobile terra tra l’Oder e il Reno: come già negli eventi che portarono alle due guerre mondiali, neanche all’attuale congiuntura pare estranea l’alta finanza ebraica, trasferitasi oltreoceano per controllare di lì un’Europa occupata dagli Stati Uniti con la scusa, prima, di liberarla dall’aggressione nazista, poi di difenderla dalla minaccia sovietica, entrambe orchestrate dalla stessa entità. Ancora una volta i tedeschi – con il rigore logico e la ferrea disciplina, venati di sentimentalismo, con cui obbediscono ciecamente agli ordini di chi li trascina nella catastrofe illudendoli di condurli al trionfo – si lasciano usare per scopi occulti e del tutto alieni dai loro giusti interessi. Certo, si può sempre accusare quel Paese di esser stato la culla degli Illuminati di Baviera, che formano una sorta di cupola della massoneria mondiale; ma anche quella volta (1776) chi finanziò l’impresa si chiamava – guarda caso – Rothschild.

Così, una dopo l’altra, infiliamo tutte le perline a formare una curiosa collanina: crollo della natalità provocato dai dogmi neomalthusiani, attuati per mezzo di aborto, contraccezione, sterilizzazione e omosessualismo; massicce migrazioni artificiali miranti a sostituire le forze vive di popolazioni in rapido invecchiamento e a creare un meticciato senza identità né storia, più facilmente dominabile che nazioni di antica origine e altamente civilizzate; terrorismo ambientalista basato sul mito dei cambiamenti climatici causati dall’attività umana (quando invece, nella misura in cui sono reali, son dovuti al consumismo e alle scie chimiche); progressiva relativizzazione delle dottrine religiose, presentate come causa di conflitti e divisioni, in vista di un’unica religione universale, fedele ancella del potere, centrata sull’uomo e sul suo presunto benessere terreno; occulta colonizzazione politico-finanziaria degli Stati e annientamento economico di quelli che resistono all’attuazione del progetto… e così via verso l’instaurazione del nuovo ordine mondiale.

I nostri peggiori nemici, oggi, sono le istituzioni pubbliche statali ed europee, le quali, anziché fare gli interessi dei loro cittadini, li trattano come pericolosi sovversivi da reprimere. Nel frattempo, orde di giovanotti africani sbarcati illegalmente sul nostro suolo e profumatamente sovvenzionati da contribuenti che tirano la cinghia, sono libere di darsi a furti, rapine e stupri in un clima di assoluta impunità. Nell’affermare questa semplice evidenza non temo affatto di esser bollato come fascista, razzista, populista e quant’altro, perché in realtà siamo noi le vere vittime di quegli atteggiamenti che il potere ci rinfaccia. Questo regime totalitario mascherato da democrazia, finora, non è stato altro che uno strumento dello spietato impero del denaro, del quale i cosiddetti progressisti, laici o clericali, sono i propagandisti prezzolati, cioè gente pagata per vomitare assurdità tese a imporre alle menti e ai cuori il giogo mondialista. Ora che si son presi una solenne legnata sui denti, come faranno a ingraziarsi quelli che, fino all’altro ieri, hanno vituperato in tutti i modi? A chiusura del mese di maggio, il Segretario di Stato ha molto opportunamente partecipato al Rosario nei giardini vaticani, poco prima che fosse annunciato il nuovo governo italiano…

Scherzi a parte, è comunque prematuro cantar vittoria. Serve a poco prendersela con un Presidente che, come già il predecessore, ha agito come un burattino manovrato dall’alta finanza: altro che impeachment, bisognava sollevarsi in massa e occupare i palazzi del potere realizzando una sorta di rivoluzione d’ottobre in senso inverso, ma dubito che sarebbero stati in molti a passare dalle parole ai fatti. In realtà, fra quelli che giocano a Monopoly sulla pelle altrui, pare proprio che abbiano deciso di annientare la nostra amata Patria, già abbondantemente saccheggiata da francesi, tedeschi, americani, arabi e cinesi, i quali, con la complicità di ben quattro “governi tecnici”, si sono tuffati a pesce sulla svendita delle eccellenze di quella che, fino a pochissimi anni fa, era la quinta potenza industriale al mondo. Detto fra noi, il nostro popolo si merita questo e di peggio per la sua infedeltà al Signore; un po’ di austerità è l’unico mezzo rimasto (prima di una catastrofe) per farlo ravvedere dall’apostasia sacrilega di chi, rigettata la fede e la morale, è di fatto ateo, ma continua a pretendere i riti religiosi. Decidetevi, belli.

È proprio nel senso di un’ulteriore spoliazione che è sembrata andare la bocciatura di un ministro che si era ripromesso – per quanto è dato credere – di rendersi più indipendente dai giochi della finanza internazionale al fine di tutelare, com’è doveroso, gli interessi dei suoi cittadini. Nella medesima direzione si è mosso il fallito incarico (già pronto fin dall’inizio, in totale spregio ai risultati elettorali) di un ex-funzionario del Fondo Monetario Internazionale che ha concorso alla liquidazione della Grecia e, come minimo, avrebbe continuato a ricattarci, a tutto vantaggio degli speculatori stranieri, con lo spauracchio dello spread, la truffa del debito pubblico e il mito del pareggio di bilancio. Anche se l’ennesimo governo non eletto fosse durato solo qualche mese, in ogni caso, avrebbe avuto tutto il tempo di ratificare altri accordi disastrosi e di partecipare a decisivi vertici internazionali, pur senza rappresentare davvero nessuno. Stiamo a vedere, in proposito, come si comporterà il nuovo esecutivo – e quali strategie adotteranno i mercati per “convincerlo” a stare al gioco dei banchieri.