Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 29 luglio 2017


La sindrome dell’eletto



Non si creda che ce l’abbiamo con qualcuno in particolare: sono semplici osservazioni di vita su un difetto che si riscontra fra militanti di fronti opposti, ma accomunati da atteggiamenti analoghi. Proviamo, per cominciare, a fare una breve lista di sintomi caratteristici (simili nella sostanza e differenziati nell’apparenza), descritti con brevi proposizioni alla prima persona singolare, quasi dando voce ai segreti pensieri di due rappresentanti delle rispettive categorie.

- Mi faccio la legge a modo mio; decido io quali norme osservare e quali no.
- Nel sistema che ho in tal modo costruito, osservo con il massimo scrupolo le più piccole regole, ma il mio cuore può pure essere di ghiaccio verso Dio e verso il prossimo.
- Può anche non importarmi nulla dell’amore, l’importante è che io mi senta a posto.
- Qualsiasi cosa faccia o non faccia, ho sempre una giustificazione.
- Chi non ha esattamente le mie idee, anche in cose secondarie o inessenziali, è eretico, perché mette in discussione il mio sistema.
- Tutto mi è dovuto, mentre io non devo niente a nessuno.

- Mi faccio la legge a modo mio; decido io quali sono i veri valori.
- Nel sistema che ho in tal modo costruito, sono convinto di avere tanto amore per il mondo e per il prossimo quanto più i miei princìpi sono trasgressivi.
- Può anche non importarmi nulla della correttezza, l’importante è che io mi senta a posto.
- Qualsiasi cosa faccia o non faccia, ho sempre una giustificazione.
- Chi non ha esattamente le mie idee, anche in cose secondarie o inessenziali, è reazionario, perché mette in discussione il mio sistema.
- Tutto mi è dovuto, mentre io non devo niente a nessuno.

In poche parole, è il trionfo dell’ego: in due sensi opposti, ma secondo la medesima dinamica di un estremismo soggettivistico. Per questo i due orientamenti si assomigliano molto in profondità e divergono solo in superficie. La coscienza retta, al contrario, si conforma all’ordine oggettivo indipendentemente dal fatto che ciò convenga o meno alle sue preferenze soggettive, che vengono sottomesse a princìpi superiori ancorati alla realtà, piuttosto che determinati da quelle. Ciò richiede indubbiamente un’ascesi dell’intelligenza e del senso morale, ma nessun essere ragionevole ne è esonerato. L’individualismo esasperato, che sia di segno tradizionalista o rivoluzionario, si puntella sempre con sofismi contorti che, a lungo andare, inducono patologie di involuzione mentale più o meno acute, i cui sintomi sono evidenti a chiunque abbia un po’ di buon senso.

Non crediate però di poter ottenere qualche beneficio sforzandovi di curare tali sintomi: vi imbarchereste in discussioni senza via d’uscita che non fornirebbero altro ai vostri interlocutori che un’occasione per rafforzare i propri convincimenti. In molti casi ci vorrebbe un miracolo; il fatto è che certi miracoli (quelli che devono toccare e trasformare la coscienza) richiedono l’assenso dell’individuo, che suppone a sua volta il riconoscimento di aver bisogno di aiuto. Ora, questo tipo di assenso è proprio quello che l’eletto non è disposto a dare perché esige da parte sua l’umile ammissione di esser finito fuori strada, ciò che farebbe inevitabilmente crollare il mito che alimenta di se stesso. La sua salvezza è a un millimetro dal suo cuore, perché gli basterebbe un piccolo atto di umiltà per ottenerla; ma quel millimetro è per lui invalicabile.

La sindrome dell’eletto si riconosce di solito da una malsana autoesaltazione che sconfina spesso in un misticismo macabro e in una visione manichea, i quali denunciano una radicale insoddisfazione di sé stessi, un violento rifiuto della vita e un invincibile sospetto nei riguardi di Dio. L’unico modo di placare queste perenni sorgenti di angoscia consiste nel cercare di corrispondere perfettamente al proprio ideale di sé (che sia l’ineccepibilità farisaica o la sregolatezza anarchica), onde dare un senso alla propria esistenza (anziché accogliere quello che ha già) e assicurarsi l’approvazione o, viceversa, l’affrancamento da quell’Essere supremo che è comunque tenuto a debita distanza (ossequiandolo o bestemmiandolo). In un caso come nell’altro, l’uomo ne teme la prossimità e la presenza, dalle quali sente inevitabilmente schiacciate le pretese del suo ego, nonché smascherata l’inconsistenza del sistema che si è costruito come una torre difensiva.

Una volta ammessa la radice comune dei due atteggiamenti, non fa più meraviglia che lo stesso soggetto possa passare come niente fosse dall’uno all’altro, magari separandone le espressioni – al fine di salvaguardare un minimo di coerenza, almeno apparente – nell’ambito privato e in quello pubblico. È così che, nella vita nascosta di un granitico tradizionalista, si possono scoprire altarini in totale contraddizione con il culto degli altari, mentre un irriducibile anarchico può dar sfogo in famiglia alla sua asfissiante pedanteria. In fondo, sono due facce della stessa medaglia: la volontà di porsi al di sopra di tutto per poter vincere la percezione della propria radicale insufficienza, ovvero la volontaria illusione di possedere in sé il principio del proprio essere, dalla quale consegue la ribellione (di segno ossequioso o trasgressivo) contro l’unico vero Principio.

Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam (1 Pt 5, 5): la trascendente Maestà divina, evidentemente, non si lascia nemmeno scalfire da questi prometeici assalti, mentre effonde gli effluvi della Sua bontà misericordiosa su quanti Le si arrendono in muta adorazione. Il dramma è che il nichilismo contemporaneo, volenti o nolenti, ci ha contagiati tutti in modo più o meno diretto e profondo, inquinando anche le intenzioni e gli sforzi più virtuosi. Il primo fronte sul quale siamo obbligati a combattere la sovversione è quindi il nostro cuore. Non basta indire crociate e sguainare le spade, se il nemico si è infiltrato nell’accampamento o taglia inosservato le retrovie. A lungo andare, paradossalmente, ci si potrebbe svegliare un mattino e accorgersi di non avere più la fede, quella fede per difendere la quale si è combattuto con tanto ardore, ma dimenticando la necessità di una reale adesione personale a quanto affermato a parole, così da trascurare la propria vita spirituale e lasciar inaridire l’intima relazione amorosa con Dio.

Nella nostra battaglia, i burattini manovrati dal sistema per imporre il disordine massonico sono bersagli fin troppo evidenti; se non si lasciano utilizzare per motivi di puro interesse, si considerano probabilmente anch’essi degli eletti chiamati a realizzare quello che, nella loro mente offuscata, è il migliore dei mondi possibili. In un caso come nell’altro, sono degni di compianto in quanto morti nell’anima: morti che parlano e camminano, certo, ma – umanamente parlando – spacciati. Che non ci accada di combatterli mossi dalla stessa superbia che muove loro in senso opposto; sarebbe la peggiore delle disgrazie. Anche per questo si rivela quanto mai urgente ed efficace la consacrazione a quel Cuore immacolato mediante il quale il nostro cuore sconvolto e insidiato può conformarsi al Cuore divino-umano in cui Dio si è unito all’uomo allo scopo di divinizzarlo.

sabato 22 luglio 2017


Il programma di Bergoglio



La caratteristica dei manipolatori di tutte le sponde è la tendenza a sostituirsi alla coscienza delle persone e a limitare la loro autonomia di pensiero. Il risultato finale è che i manipolati non sono più in grado di prendere in considerazione neppure varianti appena divergenti dalla versione unica che è stata loro inculcata e che sanno soltanto ripetere meccanicamente secondo formule fisse mandate a memoria. I malcapitati non colgono più le evidenti distorsioni della sana dottrina, che pur sono convinti di difendere. Essi sono vittime di un procedimento settario, ben più fine – certo – di quello rozzamente praticato, per esempio, dai Testimoni di Geova, ma del tutto analogo nella sostanza. Se a mia volta fossi un manipolatore, per non scontentare gli adepti mi guarderei bene dal denunciare palesemente questi abusi, ma mi manterrei in una fumosa indeterminatezza che non desse fastidio a nessuno. Se invece lo faccio, anche a costo di perdere molti lettori, è perché non ho alcun interesse personale da difendere, ma ho a cuore esclusivamente il bene delle anime.

È la stessa ragione che mi ha spinto a prendere posizione riguardo alle presunte rivelazioni private, che pur so molto seguite, ma con grave pericolo per la vita spirituale di chi si lascia catturare da predizioni catastrofiche fino a farsi completamente assorbire da un malsano bisogno di prevedere il futuro, che è invece nelle mani di Dio. Oltretutto, se l’origine delle rivelazioni non approvate è diabolica, il rischio per l’anima è altissimo; qualora, poi, siano di matrice puramente umana, con quale diritto le si spaccia per messaggi del Cielo? Chi c’è veramente dietro questo fenomeno? e quale fine persegue? Anche riguardo alle recenti illazioni circa imminenti modifiche nella liturgia dobbiamo chiederci da dove provengano: e se fossero state messe in circolazione apposta per metterci preventivamente in subbuglio, così da tranquillizzarci poi con innovazioni apparentemente meno devastanti? In ogni caso, anche nel caso in cui le indiscrezioni fossero vere, non si possono valutare realtà presenti o passate a partire da ipotesi sul futuro.

Nonostante tutti gli innegabili difetti, la Messa di Paolo VI – che non è certo mia intenzione difendere – fu non soltanto approvata dal Papa, ma anche quasi universalmente accettata ed è abitualmente celebrata da Pastori sulla cui ortodossia non c’è nulla da eccepire. Circa eventuali decisioni liturgiche di Bergoglio (la cui ortodossia è invece fortemente incerta), aspettiamo di vederle prima di trarre conclusioni. Questa volta – se effettivamente andassero troppo lontano, fino a rendere dubbia la consacrazione – non è detto che tutti le accettino. C’è da aspettarsi uno scisma? Forse. Ma non fasciamoci la testa prima di averla rotta: a una circostanza del tutto inedita si può reagire solo dopo che si è verificata e si è quindi potuto valutarla. Nel frattempo, vi scongiuro di non rifugiarvi in aggregazioni che, in nome della fedeltà alla dottrina di sempre, la contraddicono nei fatti con un’indipendenza giurisdizionale che tradisce un ripudio dell’autorità legittima e, di conseguenza, un’effettiva rottura della comunione ecclesiastica.

Ci si può pure lambiccare con sofismi contorti ed evidenti forzature dogmatico-canoniche, ma, quando il risultato finale – come ho già ricordato – ripugna al buon senso, bisogna diffidarne. Se poi il sofisma mira a giustificare, sul piano pratico, un esito tipicamente settario, l’inquietudine si trasforma in certezza: bisogna girarne alla larga. Se qualcuno sostiene che persino la Messa di san Pio V celebrata secondo il Summorum Pontificum potrebbe essere infetta, qualora il celebrante accetti il Concilio Vaticano II, l’unica conclusione possibile è che si può partecipare soltanto alla Messa celebrata da lui e dai suoi sodali; questo è ciò chiamo «esito tipicamente settario». Vogliamo parlare del fatto che i soggetti in questione continuano a considerare in vigore il codice del 1917, che non lo è più dal 1983? Andando fino in fondo a partire da premesse del genere, è più coerente diventare sedevacantisti: se vige ancora il vecchio codice di diritto canonico, infatti, quello attuale non ha vigenza; perché ciò sia possibile, bisogna che chi lo ha promulgato non fosse papa (o, come soluzione di riserva per gli arrampicatori su vetro, che abbia commesso un errore procedurale – di cui ovviamente nessuno si sarebbe accorto, se non loro).

Tornando alle paventate, ulteriori e sostanziali innovazioni del novus ordo, sembra proprio – ma potrei sbagliarmi, perché non sono un indovino – che si tratti di un diversivo per distrarre i cattolici fedeli da nuovi picconamenti in ambiti diversi, sebbene correlati. Questo fa pensare l’indiscrezione, di recente diffusa da un sito americano, circa l’ultimo colloquio del cardinal Müller con Bergoglio. Naturalmente non ci sono prove, mentre immediate sono state le prevedibili smentite. Tuttavia, qualcuno che fin dal 1973 conosce il secondo di persona ha dichiarato che il racconto è molto verisimile: si tratta del nipote del cardinal Quarracino, suo predecessore sulla cattedra di Buenos Aires. L’esito stesso del colloquio è rivelatore: il mandato del sessantanovenne cardinale non è stato rinnovato, cosa mai verificatasi negli ultimi decenni. Come se non bastasse, risulta che il povero cardinal Meisner sia morto poche ore dopo una telefonata in cui Müller gli avrebbe raccontato il colloquio: crepacuore, si diceva una volta.

In breve, il prefetto della Suprema sarebbe stato convocato dal Pontefice il 30 giugno e posto di fronte a cinque domande sulla sua posizione rispetto ad altrettanti soggetti: il diaconato femminile; l’abolizione del celibato sacerdotale; il sacerdozio alle donne; il capitolo VIII dell’Amoris laetitia; l’immotivato licenziamento di tre dei suoi più stretti collaboratori. Sull’ultimo punto, è del tutto legittimo che il Cardinale abbia espresso il proprio disagio per essersi visto privato dell’aiuto di tre integerrimi e solerti funzionari, così come è naturale che non abbia nascosto le proprie persistenti perplessità sul penultimo. Sui primi tre punti, invece, egli avrebbe manifestato in modo franco e diretto – com’è giusto che sia – ferma opposizione, specie sul terzo. Circa l’impossibilità di ammettere donne all’Ordine sacro, esiste peraltro una dichiarazione di Giovanni Paolo II che, pur non essendo formalmente una definizione dogmatica, le si avvicina molto nella sostanza: «Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, 22 maggio 1994; corsivi miei).

Bergoglio stesso, interrogato sul tema, si è riferito a questo testo; ma che valore può avere, un richiamo del genere, da parte di chi pensa di aver la missione di mettere in moto dei processi? In un processo, inteso in senso hegeliano, tutto può essere superato in una fase successiva, perché il principio di non-contraddizione non vale più: ciò che è vero oggi potrebbe non esserlo più domani. Ora, per abolire il Sacrificio non è indispensabile mutarne ancora il rito: lo stesso risultato si può ottenere rendendone invalido il ministro, come è successo presso gli anglicani. Un intervento sul rito di ordinazione è molto meno appariscente di una modifica della Messa; una mossa del genere potrebbe essere successiva all’abolizione del celibato e propedeutica all’estensione del sacerdozio alle donne (la cui ordinazione sarebbe comunque nulla).

Tenete conto di due elementi: 1) il nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il gesuita Luís Ladaria, era già presidente della commissione incaricata di esaminare la possibilità del diaconato femminile, la quale – sia detto per inciso – è già stata studiata con esito negativo; 2) il (sempre) gesuita Hans Zollner, personalità di primo piano nello studio della protezione dei minori nella Chiesa Cattolica, nel 2015 ha dichiarato che la crisi degli abusi da parte di membri del clero «è un’occasione per ripensare la teologia del sacerdozio». Dato che quest’ultimo – evidentemente per incarico, ma pur sempre in modo del tutto illogico – è uno degli ecclesiastici che più hanno suonato la grancassa su questo triste fenomeno, è difficile arginare il sospetto che si stia sfruttando tutto (comprese le indicibili sofferenze provocate dai pederasti in clergyman) in vista di un obiettivo ben preciso: modificare il sacerdozio cattolico. Non a caso un altro megafono della pedofilia clericale è monsignor Charles Scicluna, da due anni arcivescovo di Malta, una delle prime Chiese locali a promuovere un “ripensamento” del matrimonio a partire dall’Amoris laetitia.

Ciò che è certo, è che mai l’immoralità è dilagata, entro le mura leonine e nelle fila del clero, in modo così massiccio, sfacciato e indisturbato. Chi stava facendo seriamente pulizia è stato spinto a dimettersi, mentre il suo successore – nonostante la propaganda sulla “tolleranza zero” – ha protetto e promosso chierici indegni. Questi sono fatti, non polemiche. Con tutto ciò, la parola d’ordine rimane invariata: rimanete dentro l’unica Chiesa, senza lasciarvi trascinare fuori da quelli che vi istigano a disertare la Messa domenicale, perché non sarebbe cattolica, per portarvi alla loro, che, almeno di fatto, è scismatica. Chi vuol catturarvi in una cerchia ristretta non può aver a cuore il vostro vero bene, ma difende un principio impazzito e un’opera che, nonostante gli indubbi meriti, è degenerata. Aggrappatevi invece ai sacerdoti fedeli in situazione regolare e rimanete sereni. Non sono le strategie umane che risolveranno la terribile crisi che la Chiesa Cattolica sta attraversando, ma soltanto l’intervento divino. Noi possiamo e dobbiamo attenderlo operosamente, disponendoci ad esso e preparandolo con il nostro impegno di santificazione ed evangelizzazione.

sabato 15 luglio 2017


Tra fanatici e buontemponi



Videte ne quis vos decipiat per philosophiam, et inanem fallaciam secundum traditionem hominum, secundum elementa mundi, et non secundum Christum (Col 2, 8).

«Badate che nessuno vi inganni con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo»: questo ammonimento dell’Apostolo è oggi quanto mai attuale, anzi ancor più che nell’epoca in cui fu formulato. Oggi i seduttori, infatti, ci assediano su ben due fronti: da una parte ci sono i fanatici che, in nome di Dio e della Tradizione, hanno rinnegato sia l’uno che l’altra a vantaggio della loro opera, diventata un fine in sé; dall’altra ci sono i buontemponi che, ormai assuefatti alla banalizzazione e profanazione di ciò che è più sacro, non battono più ciglio nemmeno di fronte ai crimini più disumani perpetrati dalle pubbliche istituzioni. Il buon senso – per chi ancora non l’ha perso – raccomanda di tenersi ugualmente alla larga da questi e da quelli.

Ovviamente non si intende qui in alcun modo svalutare la buona filosofia, casomai qualcuno fosse pronto a levare lo scudo; soprattutto quella classica ha reso un ottimo servizio alla teologia, dato che è normale, per esseri pensanti, cercare di comprendere la verità rivelata con la ragione: è la fides quaerens intellectum, secondo la felice espressione di sant’Anselmo. I problemi sorgono con le cattive filosofie o con il cattivo uso di una buona filosofia. I cervelli dei buontemponi sono stati infettati dai germi di idealismo, marxismo, positivismo, storicismo, esistenzialismo, nichilismo… e sono ormai fuori uso; quelli dei fanatici, invece, si sono ingrippati per un’applicazione distorsiva dell’aristotelismo. A forza di sillogismi apparentemente impeccabili, essi giungono (e portano la gente) a conclusioni semplicemente pazzesche.

Ora, se lo sbocco di un ragionamento, per quanto possa apparire incontrovertibile, suona assurdo al semplice buon senso, c’è sicuramente qualcosa che non va. Il comune fedele però, digiuno com’è di filosofia, si sente sì spiazzato, ma non osa replicare né è in grado di opporre obiezioni, specie se si è inconsapevolmente affidato a una forma di indottrinamento con cui la sua mente è sottoposta a un rullo compressore che deve spianare tutto ciò che c’era prima e ricostruirci sopra daccapo – secondo un metodo tipico delle sètte… Chi invece conosce un po’ la logica aristotelica sa che la conclusione di un sillogismo, per essere vera, deve discendere da due premesse a loro volta vere. Se una delle due premesse (la maggiore o la minore) è falsa, è inevitabilmente falsa anche la conclusione.

Facciamo un esempio “a caso”: non si può partecipare a un rito non cattolico (premessa maggiore); la Messa di Paolo VI non è cattolica (premessa minore); quindi non è lecito partecipare alla Messa di Paolo VI né celebrarla (conclusione). Chiunque ancora ragioni in modo normale riconoscerà, senza particolari difficoltà, che la premessa minore è falsa: non è possibile che un rito promulgato dal Papa non sia cattolico; bisogna chiedersi oltretutto donde mai derivi, a chi così sentenzia senza possibilità di appello, un’autorità così alta da porlo al di sopra del Papa – salvo che un acrobata del diritto canonico non dimostri l’invalidità della promulgazione… Probabilmente questa domanda, nella sua ovvietà, sfugge a chi, a forza di sillogismi difettosi, ha smarrito il famoso buon senso comune nonché perso, a quanto pare, il contatto con la realtà. Questi – e altri – sono però i sintomi inequivocabili di una qualche forma di squilibrio. A questo punto appare superfluo sconsigliare vivamente, a chiunque abbia a cuore la propria fede e salute mentale, di frequentare personaggi del genere.

Sull’altro versante ci sono i moderni imbonitori chiesastici che lanciano sui social dei “referendum” su questioni morali assolutamente indisponibili al libero dibattito, proponendo al contempo, come spunto di riflessione a senso unico, il parere di medici atei e abortisti. Anche in questo caso è il normale buon senso (per chi ancora ne è dotato) a reagire: somministrare a un bambino malato alimentazione e idratazione non è certo accanimento terapeutico, né tanto meno aiutarlo a respirare. La decisione di farlo morire rappresenta semplicemente un esito di quell’esperimento di ingegneria sociale che va sotto il nome di nazismo. Le somiglianze sono ormai troppe per non sospettare che il signor Hitler non sia stato altro che una pedina nelle mani dei poteri occulti per lanciare una sperimentazione inconfessabile: per fare certe cose, all’inizio, ci voleva un “mostro”; una volta avviato, però, il lavoro è continuato in modo più o meno sotterraneo, in attesa che l’opinione pubblica fosse abbastanza manipolata per accettarne i risultati.

L’idea della “razza pura”, d’altronde, è di origine incontestabilmente britannica: causa remota ne è il concetto di selezione naturale di Charles Darwin, causa prossima la sua applicazione alla razza umana, operata da Francis Galton (non a caso il genero del primo). Una domanda sorge spontanea: con quali capitali Hitler riuscì a trasformare in una delle maggiori potenze militari al mondo una Germania ridotta sul lastrico da uno schiacciante debito di guerra? Con quelli, per caso, con cui si stava finanziando anche il regime bolscevico in Russia? Dove compare per la prima volta, in realtà, l’idea di un popolo puro separato dagli altri? Metteteci dentro un po’ di cabala ebraica e di ideologia massonica e otterrete il risultato attuale: in nome dei “diritti dell’uomo” le istituzioni decidono chi può vivere e chi no, la patria potestà è abolita a favore dello Stato e coloro che dovrebbero curare la vita sono posti al servizio della morte… a meno che uno non rientri nel numero degli “eletti”.

Ma “dal basso” (come piace ai modernisti) c’è stato un sussulto che rappresenta un bel segno di speranza: visto che la suprema autorità della Chiesa Cattolica si era rinchiusa in un ostinato silenzio, il centralino del Vaticano e quello di Santa Marta sono stati letteralmente sommersi dalla massa di telefonate di semplici fedeli che hanno conservato il senso comune: siamo molti di più di quanto non sembri! A parte il cinguettio diplomatico con cui si è cercato di salvare la faccia senza dar troppo fastidio ai “padroni”, la risposta più seria è stata la disponibilità dell’Ospedale Bambino Gesù ad accogliere il piccolo Charlie. Questi sono interventi utili alla causa – casomai qualcuno si fosse convinto che io sia uno spiritualista per principio contrario all’azione… Su questo genere di questioni, poi, è del tutto lecito criticare i Pastori e spingerli ad agire, fosse pure il Papa. Non insistono forse da cinquant’anni sulla partecipazione dei laici alla conduzione della Chiesa?

Alla fine, ognuno tragga liberamente le conclusioni e si regoli di conseguenza. Dio mi guardi dal diventare un guru o alcunché di simile. Tuttavia, se un compito mi ha dato, pare proprio sia quello di mettere in guardia i miei fratelli. Se da una parte c’è il marcio e non ne sopportate più la puzza, non buttatevi a corpo morto dall’altra, dove ci sono trappole mortali ben nascoste da un’apparenza scintillante. Sul valore intrinseco della Messa antica e sui limiti della nuova non ci sono dubbi, ma il buon senso illuminato dalla fede suggerisce che, quando possibile, si partecipi alla prima rendendo grazie, altrimenti si vada alla seconda là dove è celebrata in modo degno. Nel caso in cui, vostro malgrado, vi troviate ad assistere in chiesa a comportamenti irriverenti, scandalosi o blasfemi, chiedete luce per comprendere se è meglio uscire o sopportare offrendo in riparazione. È una via stretta e dolorosa, ma il nostro Maestro non ne ha percorso un’altra, né ci ha incoraggiato a prenderne una comoda e larga.

Nessuno ha il monopolio della verità e della Tradizione, tanto meno chi attenta all’unità della Chiesa. La via della superbia è facile, ma non finisce bene; quella su cui conduce lo Spirito Santo sembra incerta, è poco confortevole, ma porta in Paradiso. Per seguire la seconda non si può aver tutto chiaro in partenza, ma bisogna lasciarsi umilmente guidare passo passo. Per quanto riguarda poi lo stato della Chiesa, abbiamo ormai tutti gli elementi necessari per una diagnosi corretta; continuare a girare il coltello nella piaga non produce altro che frustrazione e scoraggiamento. Quindi la consegna che ribadisco (per chi fosse duro d’orecchi) è: preghiamo, facciamo penitenza e santifichiamoci; così il Signore potrà servirsi di noi come vuole Lui – e non come pensiamo noi. Sta a Lui indicarci le azioni e i passi da compiere. Ci sono forme di impegno in cui gli uomini si illudono di servirlo, ma senza ascoltarlo, perché la loro vita interiore si è inaridita per falso zelo. «Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto miracoli nel tuo nome?”. Io però dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità”» (Mt 7, 22-23). Che non ci accada di ritrovarci fra quei molti per aver dimenticato il Vangelo in nome della Tradizione.

sabato 8 luglio 2017


Apologia pro via sua



Quando si combatte un nemico dalla forza (umanamente) schiacciante, non lo si affronta in campo aperto, ma si conduce un’azione di guerriglia. Quando si naviga nella tempesta tra opposti scogli, il timoniere che li evita non sta tentennando, ma impedendo alla nave di sfracellarsi. Quando si ha a che fare con una situazione completamente inedita, le soluzioni più ovvie non sono necessariamente le più opportune. Quando sono i Pastori ad andare fuori strada, bisogna redarguirli senza porsi fuori della comunione gerarchica. Se poi qualcuno ha la verità in tasca, fa un dogma anche dell’opinabile e se ne infischia dell’unità del Corpo mistico, io mi dissocio. Qualora il mio dolore per l’attuale situazione della Chiesa sia traboccato in un sarcasmo tagliente, spero con tutto il cuore che questo non abbia favorito in nessuno l’esecrabile tentazione di spezzarla.

Poiché non amo le discussioni senza fine e senza frutto, per questa sorta di apologia della via che ho scelto (non certo di tutta la mia vita, come quella del beato Newman) preferisco le metafore che fanno riflettere, mettendomi alla scuola dei sapienti della Bibbia e del nostro stesso Maestro. La ricerca di una terza via non è automaticamente sinonimo di equilibrismo e compromesso, ma normale espressione dell’uso di quell’intelletto che ci ha fornito il Creatore. Non ho mai accettato di essere intruppato in uno schieramento tanto compatto da esimermi dall’obbligo morale di pensare e di decidere, giacché la ragione e il libero arbitrio mi rendono responsabile davanti a Dio e alla mia coscienza – e di questo fardello non mi posso semplicemente sbarazzare.

Non ho mai inteso negare che ogni atto di riparazione, pubblico o privato, abbia comunque un effetto nell’economia divina e ottenga delle grazie, ma mi sono solo concesso la libertà di riflettere sul reale effetto delle nostre manifestazioni pubbliche in una società che è diventata un “buco nero” che risucchia anche la luce e se ne nutre. La macchina mediatica, in altre parole, riesce a piegare perfino l’affermazione della verità a sostegno dell’errore. Dato che ormai, per moltissima gente, quel che dice la televisione è verità assoluta, l’interesse dei mass media – inevitabile quando si scende in piazza – è una trappola che non solo neutralizza (sul piano umano) le intenzioni più sacrosante, ma le usa a vantaggio della sovversione. I nemici che abbiamo di fronte sono persone che si sono messe al diretto servizio del diavolo; i burattinai del sistema, per poter dominare le masse, hanno indotto una forma di demenza collettiva che ora sfrutta per dirigerle come vuole. Il Signore ci insegna a valutare bene l’avversario e le nostre forze, prima di affrontarlo a viso aperto (cf. Lc 14, 31).

Dobbiamo allora rinunciare a difendere pubblicamente la verità e rintanarci nelle devozioni private? Certamente no, ma dobbiamo usare quella prudenza soprannaturale che ci fa comprendere quando e con chi è opportuno parlare senza ottenere l’effetto contrario, approfittando al tempo stesso di tutte le occasioni di penitenza e mortificazione che ci si presentano. Su quest’ultimo punto, però, avverto una certa reticenza… I Santi si maceravano nel nascondimento, ma poi parlavano con franchezza, direttamente e personalmente, alle persone rivestite di autorità nello Stato o nella Chiesa. È ovvio che le pratiche penitenziali richiedano una saggia gradualità che permetta di evitare le trappole del demonio, mentre l’offrirsi come vittima esige un alto grado di maturità interiore e il permesso del padre spirituale. Ma nessuno ci impedisce di cogliere e valorizzare le innumerevoli occasioni che abbiamo quotidianamente di mortificarci e di aiutare altri a riflettere.

C’è chi ha l’impressione che io abbia un dente avvelenato contro qualcuno e che stia attraversando un passaggio delicato. Mi sia permesso rilevare con delicatezza che tali “processi alle intenzioni” assomigliano molto agli odiosi psicologismi con cui i modernisti cercano di squalificare chi non si omologa alla loro ideologia. In realtà ci troviamo tutti in un passaggio delicato e, quindi, nella necessità di evitare gli scogli, specie quelli ben camuffati. Quello che, in generale, mi sta a cuore ribadire è che la vita cristiana non può limitarsi al “minimo sindacale” o alle dichiarazioni di principio, ma è una vocazione alla santità, per tutti. Una vocazione da vertigini – siamo d’accordo – ma è quella. L’arma decisiva della nostra battaglia è dunque proprio la santità, nella misura che Dio ha assegnato a ciascuno, certo, ma la santità.

Se con qualcuno ho un dente avvelenato è con quei sacerdoti, membri di una fraternità a cui per altro verso dobbiamo moltissimo, che incitano i fedeli a disertare la Messa domenicale qualora non possano partecipare a quella tradizionale. Sono troppi, ormai, i lettori che mi scrivono confusi e angosciati dopo aver partecipato agli esercizi spirituali. In nome di Dio, non si può spingere la gente a violare in modo grave il terzo comandamento per amore della Tradizione, poiché questo è del tutto contrario alla Tradizione stessa! È innegabile che il novus ordo sia molto carente e, soprattutto a causa delle modalità celebrative più diffuse, possa a lungo andare deformare la fede, ma chi è ben istruito nella dottrina cattolica non corre certo questo rischio, dato che la sua retta precomprensione lo “vaccina” dalle distorsioni. Qui è in gioco la salvezza delle anime: rischia di portarle fuori strada chi – quasi fosse il detentore esclusivo del vero – si arroga il diritto di stabilire come, dove e quando vadano osservati i Comandamenti: se il terzo, perché non gli altri?

Non sto difendendo opinioni personali: l’unica cosa per la quale perdo le staffe è il bene delle anime! Non è lecito mettere i fedeli di fronte all’alternativa tra l’essere abbandonati al modernismo selvaggio e l’essere segregati in una “chiesuola a parte” guidata da preti che vivono in un mondo a sé e spesso non hanno una percezione sufficiente della realtà vera, quella in cui è costretto a vivere il Popolo di Dio, il quale non si riduce a un’accolta di eletti rinchiusa in una torre d’avorio, ma, per quanto sbandati e corrotti, comprende tutti i battezzati. È possibile che il Verbo incarnato abbia versato fino all’ultima stilla di sangue, di cui una sola sarebbe bastata a salvare il mondo, solo per quei pochi che accettano di incastrarsi nel letto di Procuste di una versione del cattolicesimo sclerotizzatasi in una forma che, così rigida, non è mai esistita?

Per concludere, lascio la parola a una lettrice che si firma simpaticamente Una vagabonda di Dio. Non è per darmi importanza, ma semplicemente per offrire una testimonianza di quel che significa oggi, per un cattolico, navigare tra opposti scogli: «Ringrazio don Elia perché è una delle poche voci che non mi fanno sentire matta quando avverto un clima di neognosticismo da tutte le parti, nel moderno ricorrere alle scienze antropologiche e psicologiche per redigere i parametri dello Spirito Santo, che «non si sa dove va» (ma non intendeva dire che è disorientato), e ancor di più per definire il vocabolone discernimento, diventato il solvente linguistico alla soluzione del «Ma posso o non posso?». Dall’altra parte, vi è altresì la barricata degli intellettualoidi maniaci di storicismo e di citazioni. Nel mezzo ci sono – ci sarebbero – i mistici e i santi, che in ogni epoca hanno incarnato il Verbo. Il Curato d’Ars fu uno spigolo vivo nel periodo successivo alla Rivoluzione Francese. Fu uno spigolo nelle ginocchia sia per la nouvelle culture che per il clero codardo dell’epoca… e sapeva poco o nulla di latino. Aveva 298 parrocchiani e mangiava patate ammuffite per penitenza e per salvare anime, il cui numero (298!) gli pareva una quantità pazzesca.


Ringrazio don Elia perché esce dal dualismo astratto del conflitto asimmetrico tra il partito del vero e il partito del buono. Sì, abbiamo i santi, ma che ormai sono solo una parentesi accanto al Vangelo del giorno (memoria oppure memoria facoltativa). Non conosciamo la Bibbia, i santi ancora meno. I mistici li relativizziamo, eppure sono sempre loro le pietre scartate dai costruttori (intellettuali) che ci rivelano l’impronta di Dio nel cammino della Chiesa pellegrina. Ognuno può salvare anime. E i più dotti come i più ignoranti sanno come si fa. Ma bisognerebbe avere meno desiderio di aver ragione e più amore per Cristo. Amare Cristo senza preoccuparsi in prima persona della salvezza dell’anima di qualcuno che ci sta accanto è come amare senza incarnazione. D’altra parte Cristo non si è antropologizzato, ma si è incarnato, e sono due realtà differenti, visto che era e resta vero Dio (la scienza antropologica del divino umanizzato è un po’ l’eresia gnostica di ogni tempo).
Salvare anime è urgente. I santi non facevano altro che cercare di darsi da fare per Dio in questo modo. Buone patate ammuffite a tutti».

sabato 1 luglio 2017


Preti profetici?



Se qualcuno non l’avesse ancora capito, opporci con la ragione e con la dottrina all’avversario che abbiamo di fronte è perfettamente inutile, visto com’è dichiaratamente avverso alla ragione e alla dottrina. L’individuo che i poteri occulti hanno collocato al vertice della Chiesa Cattolica, quando sragiona di un Cristo che si sarebbe fatto letteralmente peccato e persino diavolo, non fa altro che ripetere pedissequamente le tesi aberranti e blasfeme di tale Martin Lutero, frate nevrotico del XVI secolo che spinse il suo disturbo fino alla follia, facendosi – lui, sì – demonio che spaccò la Chiesa visibile e fece scorrere fiumi di sangue. L’occupante del soglio pontificio lo cita alla lettera, in barba ai diritti d’autore, tradendo così la propria vera fonte di ispirazione, se ci volessero ulteriori prove al riguardo. Il suo maestro è un pazzo che riuscì a introdurre la contraddizione addirittura in Dio, aprendo la strada ai vaneggiamenti di un certo Hegel, dai quali è poi derivato il marxismo, la più distruttiva e mortifera delle ideologie mai apparse nella storia umana. Il “pensiero” del jefe sudamericano non è altro che un miscuglio di tutto questo, condito – come se non bastasse – di “benedizioni” pentecostali… Un bel minestrone davvero! C’è ancora chi si illude di ottenere risposte da cotal personaggio?

Niente di strano che sia andato ad omaggiare un altro folle che, grazie a Dio, la Provvidenza ha tolto dalla circolazione cinquant’anni fa, anche se poi le zucche vuote della sinistra e del cattocomunismo ne hanno fatto un mito e un’icona della loro demenza. Perfetta sintonia, si è scritto: e che c’è di sorprendente? La demolizione sistematica della tradizione cattolica appaia agli atti sovversivi la costante riabilitazione di eresiarchi e comunistoidi che hanno usato la loro posizione ecclesiastica per minare il tempio di Dio dall’interno. Sarà un caso che don Milani fosse figlio di un’ebrea liberale? Se è vero che dai frutti si riconosce l’albero, quelli prodotti dalla sua “conversione” non sono certo quelli portati dai fratelli Ratisbonne, che si fecero apostoli del loro popolo e fondarono un istituto per la sua evangelizzazione. Ma dopo la Nostra aetate tutto ciò è severamente proibito. A parte questo, al punto di sovversione a cui siamo giunti si mette sugli altari un prete ribelle e scandaloso, mentre i santi vescovi che tentarono pazientemente di ridurlo alla ragione sono con ciò stesso implicitamente scherniti e riprovati. Persino papa Giovanni XXIII (il che è tutto dire) lo qualificò un pazzo scappato dal manicomio.

Prima di gustare qualche perla del “priore di Barbiana”, ci permettiamo garbatamente di esprimere la speranza che anche noi, un giorno, si sia riabilitati postumi. Ci garberebbe però moltissimo che anche oggi, come facevano quelli di un tempo, i Pastori ci interpellassero sul merito di quanto andiamo dicendo: se avessero la carità di dimostrarci il torto, potremmo correggerci ed evitare il ben più temibile giudizio di Dio; ma siccome, a quanto pare, non hanno né la carità né gli attributi, sembra proprio che debbano temerlo loro ben più di noi. Ovvìa – direbbero a Firenze – basterebbe un cenno, giusto così, per educazione. E invece… nulla. La morte civile, come se uno non esistesse. Eppure s’è scritto anche con tanto di nome e cognome… Probabilmente il nostro torto peggiore è quello di non provenire dall’alta borghesia progressista e di non aver trascorso una giovinezza irrequieta, ma di esser stati delle mosche bianche tutte casa, scuola e parrocchia. Il Papa dei poveri, a quanto pare, ha un debole per i ricchi radical chic (quelli che usano i poveri come pretesto per sovvertire la società).

Mi occuperei ben più volentieri di soggetti più edificanti, piuttosto che tediarvi con certe volgarità, ma bisogna pur farsi un’idea della vera identità di colui che il “vescovo di Roma” ha additato come modello a sacerdoti e seminaristi, nonché a se stesso (casomai avesse ancora bisogno di esempi da seguire). Occorre premettere che la vocazione stessa di don Milani avrebbe meritato una verifica più accurata. Rampollo di una famiglia della classe alta fieramente agnostica e anticlericale che battezzò i figli solo per timore delle leggi razziali, il giovane Lorenzo, dotato di talento artistico, aveva dapprima frequentato l’ambiente bohémien della natia Firenze, noto per i suoi orientamenti omofili, ed era poi andato a studiare all’Accademia di Brera. La crisi spirituale milanese sfocia nella decisione di entrare in seminario, che lo porterà ad essere ordinato sacerdote quattro anni più tardi, nel 1947: tra la Cresima ricevuta a vent’anni e l’assunzione del ministero sacerdotale sono pochini, visti pure i burrascosi rapporti coi superiori del seminarista che già contestava le regole e un giorno definirà il suo arcivescovo un deficiente indemoniato, per non parlare della pericolosa propensione a tesi moderniste che più tardi emergerà dai suoi scritti… Eppure allora la sorveglianza nei seminari funzionava e si sapeva bene che la grazia suppone la natura. Sembra un altro di quei casi – come già quello del frate tedesco – in cui la Provvidenza lascia fare per qualche Suo misterioso disegno.

Comunque sia, i grattacapi per la curia non tardarono ad arrivare, finché il pretino che, con gli scritti e con l’azione, voleva cambiare la società e la Chiesa fu spedito in una sperduta parrocchietta del Mugello. Fu qui, in realtà, che cominciarono i guai seri: l’esiliato ebbe modo, infatti, di instaurare una sorta di “repubblichina” in cui tutto girava attorno a lui, a cominciare dalla “scuola popolare”, che si esauriva in lui e assorbiva completamente, per tutto l’anno, la vita dei ragazzi. Di fatto lo stile educativo era improntato a un autoritarismo che non ammetteva dissensi, tipico di tutti coloro che rifiutano l’obbedienza legittima, ma la pretendono nei propri confronti. L’astio del “priore” non risparmiava niente e nessuno, fino ad incitare i poveri a imbracciare le armi per prendere il potere, pur propugnando al contempo, contraddittoriamente, l’obiezione di coscienza al servizio militare, che all’epoca era un reato. A muoverlo era l’idea – tipicamente marxista – che l’intero sistema politico-religioso fosse frutto di un complotto dei ricchi contro i poveri. Non per nulla, l’anno successivo alla sua morte, i sessantottini lo prenderanno a modello della rivoluzione e si ispireranno ai suoi scritti per demolire la scuola italiana in base al principio del “livellamento al basso”: siccome la cultura è un’arma di oppressione, bisogna combatterla con ogni mezzo lasciando tutti ignoranti (e perciò manipolabili, ci permettiamo di aggiungere).

Il precursore dell’attuale disastro socio-culturale commise fra l’altro l’imprudenza di concedersi per iscritto delle licenze verbali che fanno sospettare a ragione tendenze poco ortodosse – a parte il fatto che non è certo un linguaggio che si addica a un sacerdote. A quanto pare, il “priore di Barbiana” aveva posto i suoi legami personali al di sopra di tutto: «Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)». Tale confessione induce inevitabilmente a pensare che l’amore che l’animava fosse un attaccamento non solo puramente naturale, ma addirittura morboso; altro che carità soprannaturale! È lui stesso a fornirci la conferma del rapporto distorto che aveva con chi era oggetto delle sue “cure pastorali”: «E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in […] se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». A una persona psichicamente a posto un’eventualità del genere non passerebbe neanche per l’anticamera del cervello. Se poi l’unico freno è la paura dell’Inferno…

Sarà un caso che chi propone a modello un tal personaggio non stia facendo nulla, a differenza del suo predecessore, per ripulire la Chiesa e il clero dalla sporcizia che li hanno invasi, ma che anzi protegga e promuova sodomiti e pedofili? Bisogna concludere che la deriva dottrinale di matrice luteran-pentecostal-marxista è funzionale alla degenerazione morale di preti e fedeli. Ringraziamo senza sosta Dio per la grazia inestimabile di averci preservati da entrambe e perseveriamo con coraggio sulla via intrapresa nella certezza assoluta che il Signore, a tempo debito, interverrà per fare pulizia per mezzo degli strumenti da Lui scelti (qui le considerazioni spirituali si congiungono necessariamente all’analisi politica, come nel profetismo biblico). Non lo pensiamo per una malsana inclinazione al catastrofismo, ma semplicemente perché non c’è altra soluzione che una radicale purificazione. Sarà dolorosa, ma salutare. Speriamo che non richieda pure un cataclisma naturale – o almeno preghiamo perché i suoi effetti siano limitati e ci risparmino.