Lampada che arde
e risplende
L’antichità conosceva il valore del matrimonio. Pur
ammettendo de iure il ripudio e
tollerando de facto certe
intemperanze comportamentali, il diritto romano sanciva e tutelava
l’inviolabilità dei patti liberamente contratti, compreso quello coniugale.
Nell’Antica Alleanza la santità del matrimonio, protetta da una
legislazione molto severa, era fondata sull’originaria volontà del Creatore:
«Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua sposa e i
due saranno una carne sola» (Gen 2, 24). Nella Nuova Alleanza, fin dalle origini,
l’unione legittima di un uomo e di una donna, santificata dal Verbo incarnato mediante
il sacramento da Lui istituito, è stata elevata ad immagine dell’unione di
Cristo con la Chiesa. La continuità tra la legge naturale e quella rivelata è
in questo caso quanto mai evidente; ogni persona ragionevole può agevolmente
riconoscerla, né può ragionevolmente metterla in discussione.
Rispetto a quanto, fino a neanche mezzo secolo fa, era sentire comune e dottrina giuridica certa, la situazione attuale risulta
semplicemente sconvolgente. Un abisso di decadenza ci separa dai nostri
genitori o – per chi è più giovane – dai nostri nonni: in pochissimi decenni è
avvenuto un cambiamento talmente profondo e radicale che non se ne ha nemmeno
coscienza. L’uomo moderno ha perso la memoria, non solo del remoto passato, ma
anche di quello recente. Il cumulo di macerie affettive in cui tanti si
dibattono cercando invano una via d’uscita è risultato, fra l’altro, anche di
decisioni collettive che, in nome della democrazia, sarebbe stato impensabile
non assecondare: non possiamo – si ripeteva negli ambienti cattolici – imporre
agli altri la nostra visione… Anche in questo caso, purtroppo, una volta
apertasi una crepa nella diga, l’enorme pressione dell’acqua l’ha travolta,
lasciando dietro di sé devastazione e rovine.
Fa riflettere il fatto che l’ultimo e più grande
profeta, il Precursore del Messia, abbia pagato con la vita la sua fedeltà alla
verità divina proprio in questo campo. Un piccolo tiranno, oscuro nipote di un
tiranno più noto per l’eccidio di infanti che mirava a eliminare il neonato
discendente di Davide, si era condannato da sé a subire la tirannia della
cognata, illegittimamente sottratta al fratello. Lo scandalo – all’epoca molto
grave – non aveva lasciato indifferente il predicatore del Giordano, che
chiamava vigorosamente alla conversione quanti volevano andare incontro con la
coscienza in pace all’imminente manifestazione del Giudice universale. Forse –
come si può arguire dall’ansiosa domanda
rivoltagli dal carcere – non gli era stato rivelato che quest’ultimo, in una
prima fase, avrebbe concesso ai convertiti una nuova vita nella grazia perché
tutti i popoli del mondo, prima del compimento della storia umana, fossero
raggiunti grazie a loro dall’annuncio del Regno di Dio. Ma la distanza
cronologica cambia poco, o meglio non cambia nulla.
Ogni cristiano – afferma sant’Efrem Siro – deve
vivere come se la venuta gloriosa di Cristo dovesse avvenire nel suo tempo, dato che non ne
conosce il momento e, quindi, potrebbe essere domani. Non solo, ma sul piano
individuale l’incontro finale con il Giudice potrebbe compiersi in qualsiasi
momento, anche tra qualche secondo. Nessuno può dunque permettersi il lusso di
rimandare la propria conversione, visto che non sa fino a quando ne avrà il
tempo. I Santi meditavano spesso sulla morte e sul giudizio; senza questa
meditazione non sarebbero diventati tali. È vero che il credente deve giungere
ad amare Dio per se stesso piuttosto che per timore di perderlo; ma per farsi
scuotere onde cambiare vita questo timore è uno stimolo molto efficace. Se qualcuno
predica che la misericordia di Dio perdona anche chi non è pentito, sta
ingannando gli altri e tradendo la propria missione.
Caro san Giovanni Battista, come ci è ancora
necessaria la tua parola, che un giorno tuonò nel deserto di Giudea! E pensare
che non riuscirono a farti tacere nemmeno in carcere, se è vero che il tuo
carnefice ti ascoltava volentieri, pur non decidendosi mai ad accogliere gli
ammonimenti che il Signore stesso gli rivolgeva per mezzo tuo! Questa è vera
misericordia: rivolgere a tutti il salutare appello alla conversione, specie a
chi più ne ha bisogno, come l’ardente Elia all’empio Acab, anch’egli succube di
quella strega di Gezabele, o l’incatenato Paolo al giovane Nerone, al quale si
era appellato per sfuggire al complotto giudaico. Se il promettente pupillo di
Seneca, prima di abbandonarsi al vizio e alla crudeltà con cui Satana finì col
dominarlo, avesse dato ascolto all’Apostolo delle genti, probabilmente l’Impero
Romano sarebbe diventato cristiano molto prima; se Adolph Hitler si fosse
piegato al cardinal Faulhaber (arcivescovo di Monaco che ordinò poi sacerdote
Joseph Ratzinger), la massoneria americana non avrebbe avuto un pretesto per
invadere il Vecchio Continente…
Profeti, profeti, ci vogliono profeti! Non come
quelli che facevano furore al tempo della mia giovinezza, quando profezia era
sinonimo di rivoluzione (politica, sociale, economica, sessuale…): quelli che
avevano invitato le prostitute in seminari e noviziati e sottomesso i candidati
al giudizio insindacabile di psicologi rigorosamente atei, i quali avevano cacciato
via le vocazioni autentiche e raccomandato quelle fasulle; non quei falsi maestri
grazie ai quali il fumo di Satana è
penetrato nel tempio di Dio – anche perché nessuno li ha fermati… Ci vogliono
veri profeti che facciano ancora risuonare la voce divina in ogni ambiente, a
cominciare da quelli del potere, ponendo gli uomini di fronte alla loro
coscienza nella prospettiva del giudizio. Questo ha fatto san Giovanni
Battista; questo ha fatto Gesù stesso, e la Chiesa primitiva nel Suo nome.
Aspettiamo che Dio mandi un profeta a parlare con
franchezza a chi siede in Parlamento e sta per votare leggi totalmente
contrarie non solo alla verità rivelata, ma innanzitutto alla ragione. Non può
certamente essere qualcuno che, pur essendo magari incaricato di promuovere la cosiddetta
“nuova evangelizzazione”, giustifichi le comunioni sacrileghe dei libertini
divorziati con l’esigenza di contestualizzarle.
Anche le anime dei politici, se richiamate a penitenza, possono convertirsi ed
evitare così l’Inferno; perché escluderle d’ufficio dalla salvezza eterna? Per
mantenere qualche miserabile privilegio che costituirà un ulteriore capo
d’accusa? Non è molto conveniente né sensato, almeno per chi crede al giudizio.
Se poi un prelato non ci crede, rinunci alla prebenda e smetta di ingannare il
prossimo; i suoi potenti amici gli troveranno un altro impiego – ma non dentro
il sacro recinto, per favore.
Chiediamo al Signore profeti che, ribadendo con
fermezza la verità della famiglia e del matrimonio, preservino la nostra
società dal baratro in cui sta precipitando, aiutino tanti uomini e donne ad
evitare scelte catastrofiche che provocano immani sofferenze (con il rischio
della dannazione eterna) e ne rassicurino, d’altra parte, tanti altri che hanno
compiuto scelte eroiche per tornare sulla via della salvezza mediante la
rinuncia alla loro situazione irregolare. Questi ultimi si chiedono adesso se i
Pastori della Chiesa non si stiano incamminando in una direzione che farà
apparire assurdi e vani i dolorosi sacrifici che hanno accettato di consumare
per tornare in grazia di Dio. Tranquilli: quei sedicenti Pastori, se non
insegnano e applicano la sana dottrina, di fatto sono già decaduti dal loro
ufficio; il problema è che molti non lo sanno.
Il cuore dell'uomo, quel cuore che Gesù chiede puro per vedere Dio, si è indurito in modo farisaico e sforna "leggine" a beneficio della "gestione dell'esistente". Segno di questi tempi è la propensione della gerarchia ecclesiale ad accodarsi al mondo.
RispondiEliminaIl cuore, biblicamente inteso, è memoria+intelligenza+volontà.
Giustamente nell'articolo si dice che pare che l'ultimo cinquantennio abbia privato l'intelligenza della memoria: il cuore ragiona, ma non "sa" e ciò che vuole è irragionevole, anche se molto "comodo".
Dalla "storia maestra di vita" e dalla "Chiesa madre e maestra" si è scivolati nell'indistinto di "testimoni e non maestri" in una storia in divenire, fatta di genitore uno e genitore due, in rigorosa assenza del Padre e ricorrendo a madri surrogate e uteri in affitto...
C'è un paradosso sempre più evidente "nell'ospedale da campo": il popolo sarà bue, non di rado è pollo, lo si vorrebbe discendente dalla scimmia, talora è anche "porco", tuttavia è pur sempre capace di Dio... Un barlume di resipiscenza c'è...
E allora ecco balenare la lucina: siamo malati (gravi) a causa del peccato.
E' un problema per il singolo, ma è anche un problema per tutti.
Non basta andare dal medico, nella tendopoli-lazzaretto in mezzo al disastro...
Il medico tra l'altro non mi accusa di essere malato e vuole davvero guarirmi.
La misericordia divina è come una specie di "impegnativa" (è un impegno) per sottoporsi agli interventi necessari: esami, medicine, operazioni...
Il Medico è Buono perchè mi vuole davvero curare, senza farmi prima la morale sul perchè mi sono ridotto in quello stato, denunciandomi se il caso...
Ma è Giusto perchè mi dice la malattia, che fa male. E fa male anche la cura, proporzionalmente alla malattia.
La cura infatti non è "automatica". C'è un'impegnativa (la misericordia) e serve un impegno (a guarire). L'impegnativa non è un condono, non è una magia...
La cura non è finita con la visita e la prescrizione...
Non cambia nulla se non si segue tutto il percorso terapeutico, nella realtà.
Se non guarisco, il male resta. Se l'ospedale da campo diventa il paese dei balocchi, servirà solo all'impresa di pompe funebri...
Nell'ospedale da campo vero, quello dove si toccano il sangue, il vomito e altri liquidi organici, non c'è posto per una piacioneria che strappa battimani...
I feriti non vengono curati solo dal desiderio di guarirli e dalla volontà di curarli: ci vogliono tante cose, anche sgradevoli e dolorose, che fanno parte della realtà e della volontà di curare e di guarire davvero: sapore amaro, tagli, suture, riabilitazione faticosa, diete... una lunga e paziente convalescenza fatta di voglia di lottare e disponibilità a seguire la cura. Altrimenti resta solo un pietoso accompagnare verso la "dolce morte".
Ma nell'ospedale da campo gestito dal gatto e dalla volpe i miracoli sono sostituiti da sorrisini e pacche sulle spalle... Va là, che vai bene!
Sembra un ospedale da campo un po' luterano: non guarisci, ma ti coprono la malattia... Che bello! Che efficienza. Che progresso! Loro sì che sono "avanti"... Invece di gradualità, sforzo e conversione (per fede), un bell'atto di fede risolve tutto... Resti vivo per il mondo finito e caduco, muori per quello eterno, ma che importa? La storia è qui, siamo noi, interpretiamo noi ciò che è sano e ciò che non lo è: da oggi dichiariamo sani i malati! E tu sei sano! Grandi! Il paese dei balocchi.
In realtà, senza un paziente che collabora, il male resta.
Certo, i miracoli sono sempre possibili...
Ne serve uno grande. Per tutti.
Gesù mandò a dire a Giovanni: i ciechi vedono, gli zoppi camminano...
Ci vorrebbe il "primario" Gesù, non quelli che han preso la laurea studiando con il gatto e la volpe nel paese dei balocchi...
Sì, ma quando arriva il primario in persona, allora è troppo tardi per qualsiasi tipo di terapia, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato, solo che in questa ASL o chiesa ONLUS e basta, non si contempla un aldilà dove si soppesino le cose dell' al di qua, tutto assolto, tutto permesso, tutti salvi, tana libera tutti.......peccato per quelle parole del Maestro, sempre uguali e terribili nella loro lucida analisi, hai voglia cambiare traduzioni su traduzioni, edulcorare,limare, smussare....SI, SI, NO, NO, ma nella società del vietato vietare non esistono divieti e il gatto e la volpe passano alla cassa e ringraziano, finché c'è gonzo c'è speranza, pare che i residenti attuali mai entrino in Sistina, forse per non avere i sonni turbati dal dipinto che incombe di fronte a chi entra....
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