Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 25 novembre 2017


Storia di pedofili, iene e prelati



Ego in innocentia mea ingressus sum (Sal 25, 1).

Nei primi anni del nostro secolo, un giovanissimo adolescente arriva a Roma per essere avviato al sacerdozio in un esclusivo vivaio di vocazioni: all’ombra del Cupolone, gli innocenti virgulti vengono iniziati all’amore della liturgia cattolica servendo come chierichetti al Santo Padre, oltre che a cardinali, vescovi e monsignori di curia. Il nostro eroe, tuttavia, ha già fatto una precoce e terribile scelta di campo per il vizio più turpe e ripugnante: ha infatti la curiosa abitudine di infilarsi nei letti dei compagni per costringerli ad atti contro natura. A mano a mano che avanza negli studi, comincia ad assumere ruoli direttivi che gli permettono di esercitare sui più piccoli pressioni e ricatti al fine di soddisfare la sua insaziabile quanto ignobile voglia. Al tempo stesso, senza il benché minimo imbarazzo, continua a comparire nelle liturgie papali in ruoli di evidenza, ricevendo perfino la santa Comunione dalla mano dei successivi pontefici.

Un compagno di studi, testimone oculare dei ricorrenti misfatti, decide allora di rivolgersi a diverse autorità, fino al responsabile più alto della gestione pastorale della Cittadella, il Vicario di Sua Santità. Quest’ultimo deve la sua notorietà ad un abile sfruttamento dell’amicizia con Madre Teresa di Calcutta, mentre la sua fulminante carriera sembra piuttosto dovuta a forti legami con l’ambiente dell’alta finanza romana. Con una loquela e una mimica sapientemente costruite, da far concorrenza al Predicatore della Casa Pontificia, egli incanta le folle con ispirate meditazioni sui Santi e sulla Vergine, pubblicate in volumi di sublime spiritualità. Il porporato promette all’angustiato seminarista il dovuto intervento del caso, ma l’unico effetto sortito dalla denuncia è l’allontanamento del “delatore”, il quale, visto l’esito dei suoi tentativi, si rassegnerà infine a rivolgersi ad un giornalista, ben felice di trovar materia per un nuovo libro-scandalo.

Ufficialmente, tre “inchieste” interne non accertano alcun crimine e tutto viene messo a tacere. È così che, pochi mesi fa, il seminarista corrotto e corruttore è solennemente ordinato sacerdote e un paio di settimane dopo destinato ad una “comunità pastorale” come responsabile dell’oratorio… Ma, proprio quando la brutta storia sembra ormai acqua passata, ecco spuntare una troupe televisiva che, fedele al nome preso da un animale che si nutre di carogne, vuol gettarla in pasto al pubblico del circo, assetato di sangue e di putredine. I fatti riferiti dal giornalista di cui sopra vengono quindi confermati con interviste ricche di dettagli tanto realistici quanto vergognosi. I diversi ecclesiastici coinvolti (rettore del seminario, vescovo emerito, vescovo in carica), pure interpellati, rispondono senza batter ciglio che le inchieste, a suo tempo, non hanno fornito alcun elemento a carico del predatore in tonaca e che, quindi, si tratta di pure calunnie.

Ancora una volta tutto parrebbe rimesso in ordine, con buona pace dei bambini deflorati nel fior dell’innocenza nonché delle loro ignare famiglie, che li avevano fiduciosamente affidati alle cure materne di Santa Romana Chiesa. Ecco invece che una di quelle odiose bestie della savana, fiutato il sangue di un’altra vittima, riesce a scovare l’ex-giudice della curia vescovile coinvolta, professore di diritto canonico. Quest’ultimo, già all’inizio del nuovo pontificato, era stato incaricato di indagare sulla sporca vicenda per fornire un parere in vista della rimozione del rettore del seminario (che proteggeva il giovane depravato), parere che era stato però clamorosamente disatteso dal vescovo precedente, inducendo il canonista a dar le dimissioni dal suo ruolo di curia. Il successore, nonostante questo, lo costringe a riprendere in mano il caso, ma nemmeno lui, inspiegabilmente, ne accetta il responso e decide di procedere ugualmente all’ordinazione sacerdotale del candidato indegno. Forse che, tirando via un verme dal buco, si rischiava di far venir fuori tutta una catena di vermi molto più grossi?

A questo punto l’onesto quanto esasperato docente cade nella trappola tesagli dallo spregiudicato giornalista e si lascia sfuggire la verità, coperta da segreto istruttorio: il Vicario del Papa e il vescovo di allora sapevano, ma hanno insabbiato tutto. Apriti cielo: a causa non certo del secondo, che si gode la sua pantofolaia pensione, ma del primo, vero pezzo da novanta che amministra con proverbiale larghezza milioni di euro, alla faccia della “Chiesa povera per i poveri”. In realtà pare che anche il buon papa Francesco – quello della tolleranza zero nei confronti dei preti pedofili – fosse al corrente di tutto fin dall’inizio, informato dal Vicario. Come mai nessuno è intervenuto? Qui entrano in scena i soliti complottisti, fra cui chi scrive: non per il gusto di rimestare nel torbido o di amplificare gli scandali, ma anzitutto per un insopprimibile senso di giustizia nei riguardi di un confratello retto e coscienzioso che, per aver fatto semplicemente il suo dovere, rischia ora di ritrovarsi in mezzo alla strada, qualora non ritratti le sue dichiarazioni.

Le nostre supposizioni guardano però più lontano: certi scandali sembrano bombe a orologeria confezionate per scoppiare in un momento preciso con un determinato effetto. Un gravissimo caso di pedofilia che si è protratto per anni, nel cuore della cristianità, sotto lo sguardo di superiori che hanno chiuso entrambi gli occhi, fino al livello più alto possibile, viene inspiegabilmente tollerato fino all’ordinazione di un pervertito, ma esplode – guarda caso – proprio mentre si sta preparando un sinodo sul ministero sacerdotale che, come si vocifera, dovrà rimettere in discussione il celibato dei preti. D’altronde già nel giugno del 2015 padre Hans Zollner, vice-rettore dell’Università Gregoriana e presidente del Centro per la protezione dei minori, aveva dichiarato che la crisi degli abusi da parte di membri del clero esige una «risposta teologica e spirituale» che sia un’«occasione di ripensare la teologia del sacerdozio» (1). Curiosa come risposta… Il buon senso si aspetterebbe piuttosto un bel repulisti all’interno della gerarchia.

Secondo il nostro zelante gesuita, «papa Francesco veramente prende sul serio questa tragedia» e «vuole veramente combattere con tutta la sua forza questo, con tutto il suo impegno personale». Avevamo già legittimi dubbi in proposito, visto quanti sodomiti clericali continuano a impazzare impunemente oltre Tevere, ma quest’ultima squallida vicenda ce li ha tolti in modo definitivo, nel senso che li ha trasformati in certezze. Cinquant’anni fa le “nuove idee” hanno fatto saltare la disciplina dei seminari, diventati covi di pervertiti, e disintegrato l’identità sacerdotale, ridotta a maschera intercambiabile. Ora vediamo i frutti più “maturi” della svolta, che è stata attentamente pianificata e attuata dalla massoneria per mezzo dei suoi infiltrati nella Chiesa. Il risultato finale perseguito, tuttavia, non è semplicemente il pervertimento del clero, ma la distruzione dello stesso sacerdozio cattolico, che Satana ha in odio sopra ogni cosa, insieme alla Messa.

Che si tratti di un “papa” che per anni lascia violentare i bambini a pochi metri dalla sua residenza o di un cardinale dalla mistica eloquenza e dall’altrettanto viscida ipocrisia che copre i viziosi ed è forse a capo di un’intera cordata di quei ributtanti soggetti, che siano ignavi superiori di seminario o vescovi compiacenti che obbediscono a iniqui ordini vaticani perché crimini orrendi proseguano indisturbati in uno dei luoghi più sacri al mondo, sono tutti burattini di un disegno ben più vasto che vuol minare la Chiesa Cattolica come strumento di redenzione e via di salvezza. Dobbiamo forse pregare perché la terra si apra sotto i loro piedi e l’Inferno li inghiotta per sempre? Ne saremmo tentati, ma dobbiamo soprattutto mobilitarci perché questo articolo raggiunga onesti e influenti giornalisti che possano intervenire con le loro penne.

Bisogna salvare i ragazzini del seminario (considerato da certi monsignori una “riserva di caccia”), i quali sono sistematicamente violati non solo nel corpo, ma anche nell’anima, dato che la loro fede ingenua è stravolta dall’intreccio di potere e perversione di cui diventano testimoni e, talvolta, complici. Ma bisogna salvare pure l’unico sacerdote – dopo il padre spirituale del seminario, a suo tempo prontamente rispedito sui monti – che in rapporto a questo caso abbia tentato di fare qualcosa per loro e, scontratosi con l’immonda piovra che ha allignato tra le mura leonine, si è per questo bruciato. Se mai qualcuno, nelle stanze del potere ecclesiastico, ha ancora un barlume di coscienza che non si sia spento del tutto, faccia qualcosa per aiutarlo: nella Chiesa non possiamo continuare a contare soltanto sui giornalisti.

N.B. A scanso di equivoci, sia ben chiaro che “don Elia”, nonostante quel che si potrebbe credere, non appartiene alla diocesi in questione e non ha ricevuto informazioni dal sacerdote coinvolto, il quale non sa nulla di questo articolo, ma che incoraggio caldamente a rivolgersi alla magistratura civile in modo che non sia lui, innocente, a pagare, ma i colpevoli, se esiste una possibilità di intervento giudiziario nonostante il fatto che i crimini siano stati commessi in un altro Stato. Quanto al celebre Vicario dalla faccia di… bronzo, è pur vero che è protetto dall’immunità diplomatica, ma una giusta campagna mediatica potrebbe costringerlo a dimettersi lasciando un vuoto al vertice della cordata. Questo caso ha messo in luce il “tallone d’Achille” di quel laido sistema di potere che ha occupato la Santa Sede e potrebbe quindi rappresentare l’inizio del suo crollo, tanto agognato dai veri credenti per il bene della Sposa di Cristo, purché non si risolva nell’ennesimo attacco alla Chiesa Cattolica e in un’ulteriore pubblicità per il suo “salvatore” argentino.

Al giovane giornalista televisivo, poi, mi permetto di offrire un consiglio paterno: corri a fare una buona confessione, perché con il tuo stratagemma hai rovinato un sacerdote limpido e buono, che tu stesso hai riconosciuto tale prima di tendergli il tuo spregevole tranello. Ammesso che tu stia davvero lavorando per la verità, il fine non giustifica i mezzi – dovresti saperlo. Se accogli sinceramente la grazia, ti potrebbe anche capitare di convertirti, come è già successo a un tuo collega; così potrai riparare le tue colpe mettendo il tuo talento al servizio del campo giusto (quello che alla fine trionferà), piuttosto che di quello che ti sta usando per fare del male e ti getterà via quando non gli servirai più, prima di essere a sua volta distrutto. Visto che vieni dalla cattolica Sicilia, forse in te c’è ancora qualcosa di buono. Leggiti la meditazione di sant’Ignazio sulle due bandiere. Pensaci. L’Inferno esiste.

(1) http://it.radiovaticana.va/news/2015/06/22/p_zollner_papa_sempre_pi%C3%B9_impegnato_nella_lotta_a_abusi_/1153287

sabato 18 novembre 2017


Maskirovka



È un termine russo che si traduce alla lettera camuffamento, occultamento o simili, ma designa una tattica militare, praticata fin dall’antichità, con la quale si trae il nemico in inganno riguardo alle manovre belliche, alle intenzioni o all’effettiva consistenza dell’esercito avversario. Gli strateghi sovietici lo battezzarono così e, proprio grazie ad un massiccio impiego della maskirovka e ad altre nefandezze, vinsero quell’orrenda carneficina che fu la guerra civile provocata dal colpo di Stato, di cui ricorreva in questi giorni il centenario, perpetrato da quel demonio incarnato di Lenin. Anche quel pugno di manigoldi di formazione e mentalità marxista che ha occupato il Vaticano, a quanto pare, questa lezione l’ha imparata bene e continua a menarci per il naso su vari fronti, distogliendo la nostra attenzione dalle vere questioni di fondo e dalle manovre occulte con cui stanno realizzando la loro esecrabile agenda.

Le insistenti indiscrezioni su un’ulteriore modifica del rito della Messa, per esempio, continuano ad attizzare fiammate di sdegno e riprovazione, quando di fatto nulla, a questo riguardo, è ancora effettivamente successo, a parte la sostanziale abolizione del doveroso controllo a livello centrale delle traduzioni e degli adattamenti dei libri liturgici realizzati dalle conferenze episcopali – fatto indubbiamente gravido di conseguenze disastrose per la liturgia romana, la cui unità rischia di frantumarsi, ma non tale da indurre necessariamente modifiche decisive nella forma sacramentale dell’Eucaristia. Potrei anche sbagliarmi in proposito, ma in ogni caso questo allarmismo precoce distrae molti cattolici fedeli dalle manovre con cui in diverse diocesi italiane si è cominciato a indottrinare il clero perché si convinca ad ammettere alla comunione i divorziati risposati. Questo solo fatto è capace di distruggere definitivamente quel poco che rimane della fede nella Parola di Dio, nella grazia soprannaturale, nei Sacramenti e nell’autorità della Chiesa… cioè della fede tout court, sostituita dal sentimentalismo e dall’attivismo buonisti.

Per quelli che desiderano “concelebrare” con i protestanti, d’altronde, il rito attuale già si presta benissimo all’uopo, essendo stato confezionato proprio in questa prospettiva. Se poi le nuove “preghiere eucaristiche” sono ancora troppo cattoliche, si possono sempre prendere quelle svizzere, in cui si parla di santa cena. Peccato che il messale “riformato” sia in se stesso illegittimo e abusivo, dato che la sua pubblicazione è in diretto contrasto con l’irrevocabilità del messale tridentino, sancita dalla Costituzione apostolica Quo primum tempore di san Pio V. Al di là di tutto, comunque, è ormai ampiamente scomparsa la percezione del vero valore e significato della Messa, trasformata molto spesso in intrattenimento di bassa lega o in comizio socio-politico. I confessionali (dove ancora non sono stati rimossi) sono quasi sempre vuoti e, quando qualcuno vi entra, non è affatto sicuro che, da un lato, ci sia la sana dottrina e, dall’altro, un pentimento sufficiente per ricevere un’assoluzione valida. I giovani, in buona parte, non si sposano più, ma si accoppiano e scoppiano con una mentalità da poligamia successiva ricevuta magari dai genitori stessi, che hanno già in conto diverse “unioni”…

Anche la Correctio filialis, per quanto doverosa, potrebbe essere stata incoraggiata da qualcuno, dietro le quinte, per far scoppiare la bomba fuori tempo e in modo meno dannoso, così che fosse scambiata per l’annunciata correzione formale, di ben maggior peso, da parte di membri della gerarchia e ne fosse smorzato l’effetto. In questa maniera, oltretutto, si son fatti venire allo scoperto, per poterli colpire, i dissidenti che l’hanno firmata, mentre la stampa di regime ha avuto agio di neutralizzare in anticipo le giuste istanze di qualsiasi futuro intervento in quel senso. Se è così, il nemico ha preso almeno tre piccioni con una fava, a meno che non si sia trattato effettivamente dell’ultima chance per sollevare il necessario dibattito, visto che la correzione formale non è ancora arrivata e, forse, non arriverà più. In ogni caso, bisogna evitare di farsi catturare da una singola battaglia, per quanto importante, lasciando all’avversario campo libero in questioni di più ampia e profonda portata: la maggior parte dei “cattolici impegnati”, oggi, ha una mentalità tipicamente protestante. Senza angosciarci più di tanto, però, abbandoniamoci alla Provvidenza, che volge in bene anche gli eventuali errori tattici di chi serve sinceramente Dio.

La vittoria in questa guerra, in realtà, non è alla portata delle sole forze umane. Siamo arrivati allo scontro decisivo tra la luce e le tenebre, le cui forze sono penetrate nella Città santa con il cavallo di Troia (altro tipo di maskirovka) dell’aggiornamento e vi hanno fatto strage, occupandone i centri di potere. Umanamente parlando, la situazione è disperata; soltanto un intervento dall’alto la può rovesciare. I nemici di Dio sono riusciti perfino a creare la situazione del tutto anomala della compresenza di due papi, dei quali uno ha probabilmente abdicato in modo invalido e l’altro era manifestamente privo della fede cattolica già prima dell’elezione. A parte l’irregolarità della quinta votazione nello stesso giorno e gli accordi preelettorali che hanno fatto incorrere nella scomunica i sedicenti mafiosi di San Gallo (i cui voti sono di conseguenza nulli e irrilevanti per la richiesta maggioranza dei due terzi), c’è la bolla Cum ex apostolatus officio di papa Paolo IV, che esclude in perpetuo dal soglio pontificio chi in precedenza si sia dimostrato eretico. San Roberto Bellarmino, per altro verso, sostiene che un papa che cada in eresia anche successivamente alla sua elezione decade ipso facto dall’ufficio.

Mi rendo perfettamente conto della gravissima responsabilità che mi assumo con dichiarazioni di tal tenore, per me stesso e per chi mi legge: pensieri del genere ci possono porre fuori della comunione ecclesiastica, con serio pregiudizio della nostra salvezza eterna. Tuttavia non si tratta di convinzioni irreformabili né di asserzioni perentorie, bensì di forti dubbi legittimati non da semplici dettagli di scarsa importanza, ma da un cumulo di elementi sostanziali che sono sotto gli occhi di tutti. Che dire poi delle dimissioni di Benedetto XVI? Il difetto più evidente è l’assenza di una dichiarazione (analoga a quella emessa davanti ai cardinali da san Celestino V o a quella fatta leggere da Gregorio XII al Concilio di Costanza) pronunciata nel momento stesso della cessazione dell’ufficio come attuazione formale dell’annunciata decisione di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, ovvero di rinunciare all’esercizio attivo del ministero (Udienza del 27 febbraio 2013). Il nuovo Codice di Diritto Canonico, nella sua vaghezza, si limita ad affermare che la rinuncia, ai fini della sua validità, deve essere debitamente manifestata (rite manifestetur, canone 332, § 2).

La procedura seguita sembra in realtà abbastanza irrituale, per non parlare del fatto che, se il teologo Ratzinger ha effettivamente inteso scindere aspetti diversi del munus petrinum, il suo atto potrebbe risultare nullo ipso iure per errore sostanziale circa il proprio oggetto (oltre che, eventualmente, per timore grave ingiustamente incusso; cf. Codice di Diritto Canonico, canone 188). Infatti l’ufficio di Sommo Pontefice consiste nella «potestà piena e suprema sulla Chiesa» (canone 332) e si perde automaticamente con la rinuncia all’esercizio di essa, il quale non può essere se non attivo. Non esistono quindi – se non, eventualmente, nella mente di chi intendeva dimettersi – altre forme di esercizio di tale ufficio che giustifichino il mantenimento di nome, abito e stemma dopo la rinuncia. Il pensiero deve adeguarsi alla realtà, non il contrario, come avviene nell’idealismo tedesco (e nella teologia da esso influenzata). Se dunque le sue dimissioni sono state viziate da un errore sostanziale circa l’oggetto della rinuncia, il nostro amato Benedetto è ancora papa e la successiva elezione è necessariamente nulla, perché non si può eleggere validamente un papa mentre il predecessore è ancora in carica.

Ovviamente io non sono nessuno per dirimere la questione, ma, se fra i lettori ci fosse qualcuno che avesse competenza e potere per farlo, penso che non sarei il solo a supplicarlo di muoversi, in un modo o in un altro, per sventare quello che già un anno e mezzo fa denunciavo come tentativo di praticare sulla Chiesa terrena una sorta di eutanasia (https://lascuredielia.blogspot.ch/2016/04/la-dolce-morte-della-chiesa-geniale.html). Non vorrei certo contribuire, mio malgrado, ad ampliare la maskirovka dirottando l’attenzione su discussioni inconcludenti o, in ogni caso, al di fuori della portata dei comuni mortali; ma, poiché la speranza ci rende audaci, non è mai detto che queste riflessioni non possano indurre qualcuno, più in alto di noi, a prendere delle iniziative con cui preparare quell’intervento dall’alto che è comunque indispensabile. Vi immaginate se l’ipotesi poc’anzi avanzata risultasse vera? Si annullerebbero in un colpo solo quattro anni e mezzo di assurdità allucinanti (anche se non immediatamente i loro effetti deleteri) e usciremmo da un incubo apparentemente senza fine.

sabato 11 novembre 2017


Kit di sopravvivenza per pecore senza pastore



Cum scorpionibus habitas (Ez 2, 6).

I tradizionalisti puri e duri mi sospettano di eresia. I sedicenti conservatori mi danno addosso per la comunione sulla lingua. I progressisti mi farebbero la pelle non fosse che per la talare. C’è proprio di che stare allegri, in un Paese dove anche le pugnalate alle spalle si danno in modo cortese, pulito e ordinato. Ma, lungi dal cadere in quella misera forma di egocentrismo che è l’autocommiserazione vittimistica, faccio tesoro dell’esperienza per dare qualche indicazione che possa risultare utile alla sopravvivenza in tempi tanto calamitosi. La confusione è tale che non basta guardarsi da un tipo di nemico, ma bisogna vigilare su fronti diversi. Soprattutto, per evitare un sentiero pericoloso, non buttatevi a occhi chiusi su quello opposto. Il nemico dell’umana natura ha infatti inventato tutto un ventaglio di proposte contrastanti per attirare il maggior numero di pecorelle nelle sue trappole, scegliendo la rete da usare a seconda dei gusti e dell’inclinazione di ciascuna.

C’è chi difende a spada tratta un fossile di “Tradizione” senza vita che genera fanatici di un mondo scomparso; abbiamo ormai imparato a riconoscerli. C’è invece chi si presenta come paladino della conservazione rispetto a una versione già adulterata del cattolicesimo; siamo nel campo dei diversi movimenti. C’è chi irretisce la gente nel labirinto di presunte rivelazioni tutte definitive (non si sa bene in quale ordine), presentate come indispensabili alla salvezza individuale e collettiva, ma di fatto inefficaci per la crescita nella grazia; è il regno di veggenti e santoni. C’è poi chi sbandiera le acquisizioni della nuova teologia, di cui lo Spirito Santo avrebbe tenuto all’oscuro la Chiesa per due millenni, ma che ora avrebbe finalmente svelato con l’effetto di una revisione completa di dogma e morale e della piena riabilitazione dei peggiori eretici della storia; è l’appannaggio delle facoltà teologiche, delle curie diocesane e degli uffici delle conferenze episcopali. Sullo sfondo, la vexata quaestio dell’interpretazione del Vaticano II, dalla quale sembra di non poter uscire.

Quali sono, in concreto, gli agenti patogeni da cui bisogna immunizzarsi per non contrarre qualche grave morbo dell’anima? Non pretendo certo di offrirne una rassegna completa, ma provo lo stesso a individuarne almeno i più comuni. Il primo che mi viene alla mente sono quelle pretese evidenze indiscutibili che in realtà non lo sono affatto, ma vengono imposte come tali al fine di puntellare prassi e teorie inaccettabili; un esempio a caso: appellarsi a un autoproclamato stato di necessità per legittimare un ministero illegittimo e creare una Chiesa a parte. Solo apparentemente più credibile è quell’acribia puntigliosa con cui, sulla scorta di canoni e definizioni, si cerca di giustificare quanto è oggettivamente ingiustificabile; per esempio, che un testo del magistero pontificio derubrichi il peccato grave manifesto e incoraggi di fatto a perseverarvi in quanto sarebbe volontà di Dio in una particolare situazione. A ciò si allea spesso il ricorso a ragionamenti contorti o capziosi miranti a dimostrare un asserto prestabilito, ma evidentemente falso o ripugnante alla retta ragione: sono i classici sofismi, come quelli di chi tenta di equiparare un concubinaggio adulterino al sacramento del matrimonio.

Dalla spudorata arroganza dei rivoluzionari in abito clericale non si discosta poi più di tanto, nella pratica, il lealismo ottuso dei conservatori di facciata, che vanifica l’essenziale della Legge divina in nome di norme puramente umane che dovrebbero garantirne l’osservanza e si risolvono invece nel suo svuotamento; basti pensare, fra tanti casi di ordinaria incoerenza, alla severità apodittica con cui si prescrive la comunione sulla mano sulla fragilissima base di un indulto concesso in risposta all’istanza, non dei vescovi né dei fedeli, ma di ignoti burocrati delle conferenze episcopali. La debolezza di questa e altre impostazioni simili è spesso camuffata, su vari versanti, con la cortina fumogena di una sterile erudizione funzionale alla dimostrazione di tesi controverse: che si tratti di sdoganare il doppio papato come una situazione normalissima (quando invece è innegabilmente del tutto inedita) o, per altro verso, di negare la sacramentalità dell’episcopato dandosi curiosamente la zappa sui piedi o, ancora, di legittimare una visione troppo elastica dello sviluppo della dottrina o dell’evoluzione della prassi sacramentale, è sempre la stessa propensione ai fuochi d’artificio che accomuna obiettivi e tendenze anche diametralmente opposti.

Di fronte a tutte queste complicazioni, è abbastanza comprensibile – anche se non ammissibile – che molti saltino a piè pari, con grande fervore, in trappole micidiali da cui non si viene più fuori, se non per miracolo. Una è quel semplicismo fondamentalistico che scavalca distinzioni pur necessarie nel discernere i fatti, arroccandosi in un certo numero di rozze certezze assolute e lanciando a destra e a manca, dall’alto di questa “torre d’avorio”, anatemi e patenti di eresia. Un’altra è rappresentata da quel dedalo multiforme delle nuove correnti di spiritualità apparentemente cattolicissime, ma in realtà profondamente alienanti, in quanto rinchiudono gli adepti in un mondo parallelo distogliendoli dal compimento dei loro doveri di stato e dal bene che potrebbero fare, ma illudendoli di compiere la volontà divina con esercizi puramente mentali che non migliorano minimamente la condotta pratica né tanto meno contribuiscono alla correzione di peccati e difetti.

A questo proposito tenete presente che non esistono “ere definitive” cui darebbe accesso una pretesa rivelazione finale: la Rivelazione pubblica si è chiusa con la morte dell’ultimo apostolo, mentre la pienezza dei tempi, iniziata con l’Incarnazione, si protrae fino alla Parusia, la quale soltanto ci introdurrà nel compimento preannunciato dal Signore. In definitiva, bisogna diffidare a priori di tutti i fenomeni che non abbiano ottenuto una chiara e incontestabile approvazione (se non del fenomeno stesso, almeno del culto che ne è scaturito) da parte dell’autorità ecclesiastica competente. Il fideismo e la credulità in una soprannaturalità a buon mercato sono perfettamente funzionali agli scopi di chi nega il soprannaturale, perché creano miti che possono poi essere facilmente irrisi e sconfessati; è la stessa tattica di chi inventa falsi complotti per screditare i cosiddetti complottisti e le loro denunce, che portano in genere su fatti reali.

Per il resto, occorre curare molto la propria formazione nella dottrina perenne della Chiesa, senza ottuse rigidità mentali né, d’altro canto, interessate ambiguità o subdoli equivoci. Fuggite i ragionamenti contorti, le costruzioni intellettuali artificiose, le sottigliezze troppo ardite e le saccenti distinzioni senza fine, come pure le arrampicate sui vetri e i sezionamenti dei capelli. Chiedete invece senza sosta la grazia di ottenere o conservare una mente limpida e lineare, una coscienza lucida e retta, la purezza d’intenzione e l’onestà dei costumi. Lo Spirito Santo non suole negarsi a chi cura le giuste disposizioni interiori e si sforza sinceramente di correggere le proprie storture, nel pensiero e nell’azione, aborrendo i sofismi, le acrobazie cerebrali e le forzature ideologiche con cui si erigono cattedrali immaginarie che si reggono sugli stecchini. Questo è qualcosa che possiamo fare tutti; a ciò che non è in nostro potere provvederà il Signore.

Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati fedelmente. Siano diritte le mie vie nel custodire i tuoi decreti. Ai mentitori verrà chiusa la bocca (Sal 118, 4-5; 62, 12).

sabato 4 novembre 2017


Poveri protestanti (e poveri cattolici)



Nascere protestanti è una disgrazia, ma non meno nascere cattolici in una Chiesa modernista. Certo, per gli uni e per gli altri è sempre possibile la conversione, ma ci vuole qualcuno che esorti ad essa. Sì, la grazia può anche agire direttamente nelle buone coscienze, ma normalmente si serve di una mediazione. Nel caso in cui i mediatori – o almeno gran parte di essi – lavorino in senso contrario, è ben difficile che uno si renda conto del proprio errore, anzi sarà confermato in esso. Mistificatori, ecco come definire quanti parlano di intesa dottrinale. Volgari mistificatori, a qualsiasi livello della carriera si trovino. Che siano rappresentanti di una “federazione luterana” che non conta quasi più fedeli o gerarchi della Chiesa Cattolica venduti al nemico, fingono di rappresentare qualcuno, quando invece non rappresentano se non sé stessi, dato che chi è eretico o approva l’eresia non detiene di fatto alcuna autorità. Le loro ridicole dichiarazioni trovano tuttavia ampia eco sulla stampa di regime, prova del fatto che per quel regime tutti loro lavorano.

Parlare di diverse interpretazioni o di diversità riconciliata, in realtà, per la ragione è una colossale sciocchezza, per la fede un’esecrabile bestemmia, perché dottrine blasfeme e contraddittorie, espressamente condannate da un concilio ecumenico, comunque le si interpreti non possono in alcun modo riconciliarsi con la verità, salvo che si rinunci e alla fede e alla ragione. Preoccuparsi poi che coppie di diversa “denominazione” possano accostarsi insieme alla comunione è ipocrita e fuorviante, visto che il coniuge protestante, nel suo culto, non riceve altro che un pezzo di pane (dato che il “ministro” non ha ricevuto l’Ordine sacro o, se anglicano, lo ha ricevuto in modo invalido). Il coniuge cattolico dovrebbe invece condurre l’altro verso la vera fede, se i due si vogliono davvero bene e desiderano sinceramente ricevere insieme il Corpo del Signore. Non ci vuole un dottorato in teologia per capire cose tanto semplici e naturali, ma evidentemente la semplicità di mente e di cuore non è più di moda e le Beatitudini sono ormai lettera morta.

Che dire poi della cosiddetta Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, testè richiamata in vita dal giusto oblio in cui era caduta? Come possiamo dire di condividere con i protestanti la stessa dottrina sulla giustificazione per fede e per grazia, quando essi hanno in realtà un concetto errato, completamente estraneo alla Tradizione d’Oriente e d’Occidente, tanto della giustificazione quanto della fede e della grazia? Una “giustificazione” estrinseca e meccanica che lascia il peccatore così com’è, non è piuttosto una terribile condanna senza appello? Che Dio sarebbe quello che non avesse il potere di trasformare interiormente l’uomo e di renderlo effettivamente giusto? Si potrebbe realmente parlare, in questo caso, di misericordia? Non sarebbe piuttosto un’ignobile beffa che porterebbe il peccatore alla disperazione? Di fatto, com’è vissuto e com’è morto quel disgraziato che s’è inventato questa vergognosa contraffazione?

In questo caso la grazia non è altro che un favore esterno con cui Dio, arbitrariamente, non imputa più all’uomo i suoi peccati e lo considera giusto. Non è forse, questa, un’idea arrogante, temeraria e offensiva? Come potrebbe fingere la Verità stessa, dichiarando qualcosa di contraddittorio rispetto alla realtà? Come potrebbe la Santità infinita tollerare il peccato in chi Le è amico e figlio? Come potrebbe il sommo Bene accordarsi con il male senza sanarlo in chi è ben disposto e coopera con Esso? Una giustizia e una grazia puramente nominali sono idee malate, indegne del Dio vivente. Per rendersene conto, basta leggere la Sacra Scrittura senza distorcerne il significato, tanto è vero che i protestanti che la leggono con retta coscienza e senza paraocchi ideologici si farebbero cattolici, se perverse ragioni di politica ecumenica non lo impedissero loro.

Grazie a Dio, i luterani che hanno ancora un po’ di fede non credono realmente in questa caricatura, ma non per questo sono al sicuro. La fede si perde completamente quando si rifiutano delle verità rivelate in modo consapevole e deliberato, cosa di cui non si può accusare, evidentemente, chi senza sua colpa è stato educato in una dottrina erronea ed è vittima di un errore invincibile. Per questo la grazia può soccorrerlo nella misura in cui egli si sforza di avere una coscienza retta; tuttavia il concetto stesso di fede che gli è stato insegnato ne rappresenta una grave deformazione. Non si tratta infatti di un libero assenso a Dio che si rivela, prestato con l’aiuto dello Spirito Santo che illumina l’intelletto e muove la volontà, ma di una convinzione soggettiva e illusoria di essere salvi per il semplice fatto di crederlo. Quest’idea esclude qualsiasi collaborazione dell’uomo nell’atto di fede e preclude alla fede stessa la possibilità di giungere a compimento in opere meritorie e deificanti, nelle quali la grazia soprannaturale si innesti sulle operazioni della natura umana, elevandola e santificandola. Alla fin fine bisogna convincersi di credere, ma senza poterne mai essere veramente sicuri: c’è disgrazia peggiore per un uomo sinceramente religioso?

È proprio da qui che nasce il soggettivismo moderno, che si è poi universalmente imposto mediante l’idealismo tedesco, che degli errori protestanti è figlio. Lutero, infatti, escludendo a priori qualsiasi partecipazione umana alla salvezza, nega di conseguenza il ruolo salvifico dell’umanità di Cristo, che viene così ad essere uno strumento puramente passivo della divinità. Tale visione non soltanto svaluta l’Incarnazione e intacca il dogma cristologico, che riconosce in Gesù due volontà libere (seppure l’una sottomessa all’altra), ma finisce con l’introdurre un conflitto in Dio stesso. In questo quadro la Redenzione non è più opera del Figlio che, soffrendo nella natura umana, espia le colpe degli uomini per renderli di nuovo accetti al Padre, bensì una mera dimostrazione di amore che deve semplicemente indurre l’uomo a contare su una remissione unilaterale e incondizionata. La Croce così intesa, svuotandosi del suo significato autentico, sposta il dramma del peccato dalla relazione tra Dio e la creatura alle relazioni all’interno della Trinità: la Seconda Persona, identificandosi con il peccato stesso, sarebbe stata momentaneamente rigettata dalla  Prima…

Come si possa giungere a una bestialità così grottesca si spiega unicamente con un insensato e incoercibile orgoglio che, una volta lanciatosi sulla china dell’assurdo, vi rotola fino in fondo, pur di non smentirsi riconoscendo umilmente l’errore: l’uno tira l’altro, in una catena cui solo la morte – quella eterna – può porre fine. Ci vuole compassione? No, una superbia simile non la merita, così come non si deve alcun ascolto al personaggio che, a Roma, ripete queste aberrazioni blasfeme sostenendo che Cristo, nella Passione, si sarebbe fatto peccato e diavolo: sono, né più né meno, frasi dell’eresiarca Lutero riprese alla lettera, pur senza citarne la fonte. Con questa peste non vogliamo assolutamente avere a che fare in nessun modo, visto oltretutto il grado di protestantizzazione al quale, con il pretesto del “rinnovamento”, è già stata condotta la Chiesa Cattolica. È ora di gridare la propria indignazione per questa stomachevole farsa e di dissociarsene nel modo più deciso, rammentando a chiunque approvi l’eresia che ciò lo rende a sua volta eretico e lo pone ipso facto fuori della comunione ecclesiale, privandolo di qualsiasi facoltà reale. Così, magari, i membri della gerarchia a cui compete si decideranno finalmente a dichiarare ciò che è sotto gli occhi di chiunque li abbia e sia sano di mente: che il re è nudo (ovvero il “papa” è protestante).