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Vexata quaestio

 

Bergoglio è papa o no?

 

 

Faciem tuam, Domine, requiram (Il tuo volto, Signore, cercherò; Sal 26, 8).

La vexata quaestio della validità del pontificato in corso continua ad agitare gli animi e a provocare divisioni nella Chiesa. Oltre a questi deprecabili effetti, il modo in cui essa è da più parti affrontata è così inadeguato da apparire, da un lato, come un sabotaggio di ulteriori tentativi (sensati) di dirimere la questione; dall’altro, come un diversivo che distoglie le persone dall’unico impegno davvero necessario, quello della santificazione personale, perseguita mediante un’incessante ricerca di Dio. Riguardo al primo, è più che fondato il sospetto che il contestato stesso abbia incaricato o lasci fare i contestatori a proprio vantaggio, cioè al fine di spingere per mezzo di loro i cattolici fedeli ad uscire dalla Chiesa, onde eliminare così ogni opposizione interna. Riguardo al secondo, il rischio è che l’invasione di sentimenti cattivi costantemente alimentati spenga la carità e distrugga la vita spirituale. Il risultato finale, in un caso come nell’altro, è la separazione da Cristo e, di conseguenza, il rischio della dannazione eterna.

Mi riguarda, ma non mi compete

Non c’è dubbio che il quesito se Jorge Mario Bergoglio sia papa o no sia di interesse universale, ma non per questo spetta a chiunque fornirgli risposte. L’autorità preposta è il collegio dei cardinali, il quale, fin da quel funesto 11 Febbraio 2013, avrebbe dovuto esigere da Benedetto XVI un atto di rinuncia più esplicito, redatto nella forma dovuta, come tutti gli atti giuridici che si voglia risultino validi. Uno di loro, già presidente del pontificio consiglio incaricato di tali questioni, tentò invano, il giorno seguente, di esser ricevuto dal Papa per esporgli, probabilmente, le proprie perplessità, ma dovette andarsene dopo tre ore di anticamera. L’enigma di quelle dimissioni potrebbe esser risolto con l’eventuale pubblicazione di documenti che il defunto pontefice avesse consegnato a persona fidata, con la clausola, magari, di renderli noti dopo la fine di questo pontificato. All’infuori di tale evenienza, le uniche possibilità rimanenti sarebbero o un’inchiesta canonica promossa dai cardinali (i quali, finora, non si sono però mossi in questo senso) o una dichiarazione chiarificatrice da parte di un pontefice del futuro.

Tutto ciò che si può affermare di certo circa la decisione di Ratzinger di ritirarsi (non di abdicare, termine mai da lui usato) è che la modalità scelta per farlo è quanto meno anomala, anzi un unicum nella storia ecclesiastica del secondo millennio; qualche analogia può esser trovata – come da lui stesso osservato – con rari casi del primo millennio. La tesi della sede impedita, sulla quale un giornalista fino allora ignoto, improvvisatosi canonista, biblista, teologo e storico, ha versato fiumi di inchiostro e di sproloqui, è una solenne sciocchezza che solo persone completamente digiune di diritto canonico possono ingoiare. La sede impedita, infatti, non è una condizione in cui un vescovo si ponga spontaneamente, bensì una situazione che subisce suo malgrado; nel caso del Papa essa si verificò, per esempio, quando Pio VI fu deportato dai francesi nel 1798. Qui, invece, abbiamo un successore di Pietro che, nel pieno esercizio delle sue funzioni, decide di abbandonare l’esercizio attivo del ministero, espressione del tutto inedita e giuridicamente equivoca.

Elementi chiarificatori

La rinuncia all’ufficio (ossia all’incarico, non al suo esercizio) è prevista dal diritto a qualunque livello, compreso il più alto; essa è un atto giuridico la cui validità decorre dal momento in cui è firmato. In questo caso manca tale atto e c’è stata soltanto una dichiarazione dell’intenzione di rinunciare; oltretutto sussiste un errore sostanziale circa l’oggetto dell’atto (il ministerium anziché il munus), errore che lo renderebbe comunque invalido. Il dettato, piuttosto indeterminato, del canone relativo alla rinuncia all’ufficio (munus) di Romano Pontefice stabilisce che essa, ai fini della sua validità, «sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata» (CIC 332, § 2). Sul carattere libero dell’atto di Benedetto XVI, qualunque ne sia il significato, non sussistono ragionevoli dubbi; circa il modo di manifestarlo, invece, riteniamo si possa discutere, non però accumulando illazioni sulle intenzioni del soggetto (che non potremo mai conoscere, a meno che non siano pubblicati in forma postuma, come sopra accennato, testi che le rivelino in modo inequivocabile), bensì valutando in modo serio e sereno i dati oggettivi certi a nostra disposizione.

È ben plausibile che il compianto Ratzinger, soprattutto in seguito alla massiccia divulgazione di documenti riservati sottratti direttamente dal suo appartamento, si sia reso conto di non esser più obbedito da nessuno e di non potersi fidare neppure dei più stretti collaboratori; inoltre la minaccia di uno scisma da parte dell’episcopato tedesco era ben presente. Restando nel campo delle mere ipotesi, possiamo legittimamente supporre che, trovandosi in un vicolo cieco, abbia escogitato uno stratagemma per farsi da parte senza abdicare. L’attitudine della sua mente alle distinzioni sottili e a una dialettica talvolta audace, come confermato da suoi ex-allievi, può avergli suggerito l’ardita idea di delegare a qualcun altro – ammesso che sia possibile – l’esercizio concreto della suprema potestas, riservandosi l’aspetto spirituale del primato petrino. Siamo nel campo delle semplici supposizioni, ben lontani dall’arroganza con cui un profano pretende di ricostruire con assoluta certezza moventi ignoti, agendo da perfetto guastatore per distruggere ogni strada percorribile.

Conferme indirette

Vien da domandarsi come mai, fin dal 2013, un canonista affermato abbia esaminato la rinuncia di Benedetto XVI in chiave storica e canonica definendola un’innovazione assoluta e concludendo che si tratterebbe di un atto senza precedenti con il quale egli avrebbe usato la suprema potestas per rinunciare all’esercizio di tutte le facoltà connesse. Se ciò fosse vero, significherebbe che avrebbe conservato il munus, pur non volendo più esercitarlo. Si può ovviamente obiettare che chi detiene un ufficio e la potestà connessa ha l’obbligo di compierne gli atti propri e che non gli è lecito esimersi dal farlo; se non intende più portarne il peso o non se ne sente in grado, deve rinunciare all’ufficio e, con ciò stesso, perde la potestà. Tuttavia, se ci si attiene ai semplici fatti (e alle parole che li hanno accompagnati), è arduo trattenersi dal trarre la conclusione accennata, pur dovendo necessariamente mantenerla nell’ambito delle convinzioni soggettive e non potendo in alcun modo pretendere di farla valere a livello giuridico. Dato che la Chiesa, come società visibile, ha bisogno di un capo certo, non si può non riconoscere che, dal 13 Marzo 2013, chi esercita la giurisdizione suprema, almeno materialmente detenuta, è l’ex-arcivescovo di Buenos Aires.

Un’altra conferma indiretta proviene dal libro di memorie pubblicato dall’ex-segretario particolare all’indomani del decesso di papa Ratzinger, testo il cui titolo lascia già presagire che ai pezzi di verità raccontata sono frammiste abbondanti mistificazioni che rendono il compito di sceverare il vero dal falso un lavoro da specialisti. Lo scopo sembra quello di fornire una versione ufficiale, ben concordata con l’inquilino di Santa Marta (malgrado la farsa del conflitto), che dovrebbe chiudere ogni controversia per il grande pubblico e inviare al contempo messaggi cifrati ad amici occulti e potenti. Proprio riguardo alla rinuncia, l’autore si premura di precisare – non si sa con quale autorità – che il per sempre con cui Benedetto, nella catechesi di congedo del 27 Febbraio 2013, qualificò il ministero petrino sarebbe stato una licenza poetica che «rispecchiava il suo stato d’animo di quel momento», ma che poi «acquisì una non voluta ambiguità» (G. Gänswein con S. Gaeta, Nient’altro che la Verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Milano 2023, 225)… cosa impensabile per un intellettuale tedesco di quel calibro.

Non pago di questa indebita interpretazione, il Nostro rincara la dose alludendo al tentativo da lui compiuto, durante la conferenza tenuta il 20 Giugno 2016 all’Università Gregoriana, di «rendere più sfumata quell’espressione, parlando di “pontificato allargato”» (ibid.). Senza fornire alcuna giustificazione di questa sua “missione”, egli non si perita di ammette candidamente che «la toppa fu peggiore del buco» (ibid.); il Papa, in procinto di andarsene, avrebbe voluto semplicemente affermare che non sarebbe tornato alla precedente vita di teologo e professore – cosa peraltro impossibile a quella veneranda età. Con straordinaria disinvoltura, il futuro esiliato cita poi «lo storico portavoce di Giovanni Paolo II» (ibid.), il quale, nella propria autobiografia, sostiene che il papato rimane impresso per sempre in chi ne è insignito, quasi fosse un tatuaggio indelebile stampato nell’anima. Qui, in perfetta contraddizione con quanto immediatamente precede, si parla del munus petrinum come di un sacramento che imprimerebbe il carattere; chiunque conosca un minimo la dottrina cattolica, però, sa bene che ciò non è vero, visto che si tratta di una realtà di natura giuridica che si acquista mediante il consenso all’elezione canonica e a cui si può sempre liberamente rinunciare in qualunque momento.

Il libro è disseminato di smentite, rettifiche e accuse implicitamente dirottate su altri: come non pensare che risponda al disegno di “normalizzare” una situazione abnorme? L’insistenza sulla validità della rinuncia non fa altro che rafforzare i sospetti, pur ponendosi in apparente confutazione della strampalata inchiesta del giornalista tuttologo: di fatto anch’essa ostacola, come già nel caso di quest’ultima, ogni seria analisi della questione, benché per il verso opposto. Entrambe le posizioni accrescono la confusione sulle dimissioni ed escludono che il decesso del nonagenario pontefice non sia avvenuto per cause naturali, cosa che la sua lunga sopravvivenza potrebbe aver richiesto alla realizzazione dei piani criminali di coloro che tengono la Santa Sede sotto occupazione.

Come uscire da questo pasticcio?

In conclusione, non c’è da fidarsi né dell’uno né dell’altro: i loro procedimenti mistificatori sono fin troppo scoperti. È curioso, per esempio, che il prelato, colto e fine canonista, non abbia rilevato il clamoroso errore per cui l’altro sostiene che l’ora ventesima del 28 Febbraio corrisponderebbe, secondo il computo romano, all’ora intercorrente tra le tredici e le quattordici del 1° Marzo: l’antica numerazione delle ore, in realtà, partiva dal tramonto del giorno precedente; di conseguenza la datazione era anticipata, non posticipata. Anche il giornalista mette una pezza peggiore del buco: per replicare all’osservazione che la sede impedita è una situazione non scelta, ma subita, stabilisce che essa sarebbe stata determinata dall’indizione del conclave, avvenuta nella mattinata del 1° Marzo 2013. Siamo proprio nel fantadiritto…

Da una parte, un membro della cupola vaticana vuol convincerci – anche se ciò non gli è bastato a rimanere in sella – a tenerci tranquillamente Bergoglio come papa; dall’altra, un estraneo che non conosce affatto la storia ecclesiastica, ma ripete ciò con cui viene imbeccato (come ha dimostrato scambiando Sisto IV per Sisto V e correggendosi solo dopo aver proseguito il discorso, una volta avvertito dalla regia), cerca di spingerci fuori della Chiesa, come ha dichiarato alla collega che nel Gennaio scorso, durante un monologo di un’ora e mezzo, gli ha porto l’aggancio domandandogli candidamente che cosa dobbiamo fare: «Devono andarsene». In questo manicomio è tornata a galla la questione del papa eretico, la quale è un vero e proprio vicolo cieco, dato che l’attuale diritto canonico non consente di dirimerla. La promulgazione di un codice azzera infatti tutta la legislazione precedente che in esso non è stata accolta; che sia bene o meno, è così. Appellarsi ad antiche bolle e costituzioni, di conseguenza, è perfettamente inutile; sul piano umano non c’è soluzione.

Che fare, allora? Lasciate che se ne occupi il Signore, il solo che possa salvare la Chiesa terrena dalla catastrofe provocata dalle sue infedeltà. Più cercherete di districare la matassa, più vi ci impiglierete. Pensate dunque a pregare con insistenza, a studiare la dottrina cattolica, ad adempiere i doveri del vostro stato e ad esercitare la carità con tutti; in una parola, a santificarvi. Nessuno al mondo potrà mai costringervi a credere vero il falso né a compiere ciò che non è lecito, se non acconsentite. La vostra coscienza è un santuario inviolabile; se è retta e ben formata, in essa parla lo Spirito Santo. Obbedite a questa gerarchia in ciò che è legittimo e resistetele in ciò che non lo è; con i vostri sacrifici accorcerete i tempi della prova. Se non altro, bisogna dare atto all’argentino che è riuscito a far pensare continuamente a lui anche coloro che lo detestano, tenendoli sempre occupati con i suoi abomini e togliendo loro la pace. Badate bene, quindi, a non perdere la fede, la speranza e la carità nell’intento di difendere la sana dottrina dalle sue spacconate. Detto questo: basta!


Sullo stesso argomento (Gennaio 2023):

https://lascuredielia.blogspot.com/p/contributo-al-dibattito.html


2 commenti:


  1. Scuola Ecclesia Mater IPC
    30 gen 2024
    Don Nicola Bux - Don Pasquale Bellanti "CHIESA DOVE VAI?"
    Riflessioni sulla situazione attuale della Chiesa
    https://www.youtube.com/watch?v=lK-96TLhABw&t=1s
    Riflessioni sempre molto interessanti anche se spesso e volentieri alcuni presenti ripropongono a Monsignore le stesse domande che vanno per la maggiore. In cauda..parla anche della Vexata quaestio.
    Buon ascolto!
    Elle

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  2. Mi segnalano questo:

    https://www.youtube.com/watch?v=7F9Wn6PmHZs

    Il giornalista avrebbe dovuto leggere l'articolo fino in fondo, dove spiego che il computo romano dell'ora partiva dal tramonto del giorno prima e quindi anticipava la datazione, piuttosto che posticiparla...

    Qualcuno dovrebbe poi spiegargli che indire un conclave con un papa vivo e regnante non dà luogo alla sede impedita, bensì a uno scisma; il conclave è illegittimo e chi lo ha indetto è passibile di scomunica.

    La palese assurdità della sua tesi si spiega unicamente mediante un occulto meccanismo che io solo, in tutto il mondo, ho scoperto: è il raffinatissimo "Codice Cionci", il quale consiste nel rilasciare dichiarazioni che, ad una più attenta lettura, rivelano un significato opposto. Nel sostenere che Bergoglio non è papa, quindi, egli intende affermare esattamente il contrario.

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