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sabato 10 settembre 2022

 

L’inizio di ogni peccato

 

 

Initium omnis peccati est superbia (Sir 10, 15 Vulg.).

C’è chi si ostina a considerare l’attuale situazione della Chiesa da un punto di vista puramente umano, fissando lo sguardo sugli aspetti più desolanti e negando, almeno implicitamente, il ruolo della Provvidenza nella conduzione della storia. Il bilancio di questo tipo di osservazione non può non essere catastrofico: «Va tutto malissimo; non c’è più niente di sano; i cattolici, a partire dalla gerarchia, sono tutti o apostati o vigliacchi». Da questa premessa è immediatamente tratta una netta conclusione operativa: «Siamo rimasti gli unici che difendano la fede, il culto, il diritto e la morale; siccome il buon Dio non fa nulla per risolvere i problemi, pensiamoci noi e ricostruiamo la Chiesa per conto nostro. Non siamo certo noi a separarci da essa; sono invece tutti gli altri ad esserne fuori». Come corollario di questo bel ragionamento, un’inossidabile certezza: «Dato che siamo i soli giusti, noi abbiamo sempre ragione, qualunque cosa facciamo; gli altri, essendo tutti eretici, hanno sempre torto a priori». Nihil sub sole novum: è proprio quella spiccata umiltà e carità che i Padri riscontravano negli scismatici del loro tempo…

Tuttavia nella Chiesa c’è anche, grazie a Dio, chi vede la contingenza con un occhio soprannaturale, il quale si distingue per tre proprietà: anzitutto sa per fede che nulla in assoluto sfugge al governo del Creatore, informato da una sapienza che supera infinitamente l’umano intelletto; poi, grazie alla speranza, è certo del Suo intervento risolutore, che avverrà al momento opportuno; infine, mediante la carità, riesce a scorgere e apprezzare la discreta e silenziosa opera dello Spirito Santo, che ovunque fa spuntare germogli di autentica rinnovazione. Non è sempre facile riconoscere questi ultimi nella terribile confusione che impera, ma l’intimità divina permette generalmente di individuarli con una certa sicurezza, così da poterli sostenere e incoraggiare finché non sboccino e portino frutto nel tempo stabilito. La saggezza dell’agricoltore sa bene che il raccolto va atteso con pazienza; non potendo forzarne la crescita, egli si limita a prestargli le cure che sono in suo potere e a tenerne lontana ogni minaccia, come uccelli e parassiti.

La superbia è una forma di stupidità; l’umiltà è un’espressione di intelligenza, dato che consiste nella retta conoscenza di sé stessi. Mentre il superbo ha una considerazione di sé gonfiata dalla presunzione e una visione della realtà deformata dall’amor proprio, l’umile riconosce che tutto – ma proprio tutto – gli viene da Dio; perciò non si dà gran pena di ciò che gli vien detto di negativo (a meno che non gli torni utile ai fini della propria correzione) e distoglie da sé le lodi per indirizzarle al Creatore, origine di ogni suo bene. Il superbo, se ha cultura e intelligenza, non se ne giova per riconoscere i propri errori; esse sono invece sfruttate da chi lo manipola a sua insaputa perché a sua volta manipoli altri. Ciò appare in modo evidentissimo nei massoni, irretiti e accecati dal groviglio di miti assurdi propinati dalla gnosi cabalistica; se, scossi dal carattere raccapricciante di uno dei riti di passaggio, non hanno un sussulto di resipiscenza, sono davvero spacciati, spensieratamente in corsa verso il baratro infernale nell’esiziale illusione di essere iniziati a una scienza superiore.

Analogo pericolo corrono però anche coloro che si separano dalla Chiesa appoggiandosi sulla propria erudizione teologica, vera o presunta. I lampanti errori delle loro argomentazioni e le scelte illecite che operano sulla base di esse vengono giustificati per mezzo di castelli intellettuali che si reggono sopra uno stecchino. Un caso paradigmatico, di recente tornato d’attualità, è l’appello al cosiddetto stato di necessità, che rappresenta un fatto eccezionale delimitato nel tempo e nello spazio, non certo una situazione che possa riguardare universalmente la Chiesa intera per decenni. Bisognerebbe peraltro far notare a certuni che il codice del 1917 non è più in vigore e che il diritto ecclesiastico, attualmente, è regolato da quello del 1983, il quale non può essere invalidato dalle critiche rivolte, a torto o a ragione, a colui che lo ha promulgato… Evocare poi lo stato di eccezione non è affatto pertinente, dato che esso non esiste nell’ordinamento canonico e che l’analogia con il diritto romano non basta a rendere plausibile tale riferimento.

Il guaio peggiore, tuttavia, è che quanti prendono la via dell’insubordinazione non si limitano ad autoassolversi, ma pretendono – senza ammettere il minimo appunto – che tutti gli altri riconoscano la bontà della loro scelta. Essi non esitano a redarguire, per metterlo a tacere, chiunque si azzardi ad esprimere riserve nei riguardi della loro condotta, arrivando addirittura a biasimarlo perché non ha preso la stessa decisione, qualora nutra opinioni simili sullo stato della Chiesa. Così può capitare di sentir dire che un vescovo kazaco e un cardinale americano che si son fatti ispiratori di legittima resistenza, nonostante abbiano ragione in ciò che dichiarano, non sono validi punti di riferimento in quanto non si ribellano al Papa. In questa visione distorta, alla fine, un passo gravemente illecito diventa obbligatorio: gli erranti esigono non solo di legittimare e veder giustificato dagli altri il proprio errore (almeno fino a quando la Chiesa intera non torni ad essere come loro), ma finanche di imporlo a tutti come l’unica scelta coerente…

Queste osservazioni, naturalmente, non implicano la convinzione che, nella Chiesa, tutto funzioni a meraviglia. Esattamente come succede con i membri delle sètte, i ribelli, una volta messi alle strette, reagiscono attaccando l’interlocutore e attribuendogli convinzioni che non ha affatto espresso. Chi per carità indica un difetto, non per questo intende automaticamente avallare il difetto opposto. Se l’occupante del Sacro Soglio partecipa ad un rito di evocazione degli spiriti (per ottenere da loro una dose di rinforzo contro la malattia?), il cattolico fedele si dissocia intimamente da quell’atto e ha pieno diritto di esecrarlo anche pubblicamente, ma a causa di esso non si pone certo fuori del Corpo Mistico, perdendo così tutte le prerogative della sua condizione, né pretende di giudicare in foro esterno chi l’ha compiuto. Se un prelato vaticano, analogamente, valuta con favore la legge che, solo in Italia, ha causato più di sei milioni di vittime, il cattolico fedele, anziché rinnegare la Chiesa, lo considera scomunicato in forza della legge canonica e invoca su di lui il giusto castigo divino; se poi ne ha il potere, si adopera perché sia riaperta l’inchiesta a suo carico dalla Procura della città di cui è stato vescovo depredandone la diocesi e lasciando dietro di sé una voragine di trenta milioni (probabilmente a vantaggio della congrega paramassonica cui appartiene).

Come vedete, c’è modo e modo di opporsi al male. Le modalità lecite ed efficaci sono quelle suggerite dall’umiltà; le modalità illecite e dannose, quelle istigate dalla superbia. Non intendiamo con ciò insinuare che le seconde siano sempre trappole o diversivi volti a neutralizzare il dissenso deviandolo su false piste, ma non possiamo fare a meno di pensare che spesso lo siano, pur sapendo che, solo per aver messo in guardia da fondazioni, comitati, sodalizi e partitini, saremo stigmatizzati come guardiani dei cancelli. L’unico giudizio che temiamo è quello divino; il resto passa con la scena di questo mondo (1 Cor 7, 31) e sprofonda nell’abisso, dove «il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 43.45.47 Vulg.). Ogni peccato nasce dalla superbia, la quale può originare le peggiori colpe e aberrazioni. L’esito finale dimostra che si tratta davvero di una cosa insensata, soprattutto perché – a meno che uno non sia incastrato senza via d’uscita – basterebbe un piccolo atto di umiltà per cambiare rotta e salvarsi; tale atto richiede l’assenso alla grazia, che a sua volta attende che l’uomo riconosca di averne bisogno. È proprio così difficile arrendersi a Dio, anche se ciò dovesse comportare il martirio?

Qual è il problema più grave della Chiesa, in questo momento storico? Sono forse i progressisti che la infestano in ogni ambiente e a ogni livello? sono gli impostori che hanno occupato il Vaticano e pretendono di cambiarla? o forse i traditori che fanno il doppio gioco, lavorando per il nemico dietro la maschera di difensori della Tradizione? No, giacché tutti costoro sono riconoscibili oppure finiscono col venire allo scoperto; essi si condannano da sé e saranno presto spazzati via. Il cancro nascosto che mina il Corpo Mistico sulla terra sono quei cattolici pieni di superbia che, ritenendosi i soli giusti, sentenziano senza appello su chiunque, dal Papa in giù, e, facendosi tribunale a sé stessi, legiferano su ogni questione in modo del tutto autonomo, come se l’intera Chiesa si esaurisse in ognuno di loro e non dovessero rispondere a nessuno dei propri peccati (talvolta anche gravi).

Questa è una piaga peggiore del clero sodomita e di quello apostata, poiché non si nota come quella, ma provoca uno sconquasso ancor più grave, dato che atomizza la Chiesa e distrugge la comunione ecclesiale. Permanere in essa ad ogni costo non comporta l’essere uniti a quanti han rinnegato la fede o non l’hanno mai avuta, visto che costoro, pur essendo membri della società visibile, in realtà non appartengono al Corpo. Chi invece si trova al suo interno perché ha sì una fede basata sulla sana dottrina, ma difetta di speranza e di carità, lo danneggia in modo più profondo. Offriamo allora penitenze e sacrifici perché il Signore ci doni di nuovo un Sommo Pontefice cattolico, capace di liberarci e dagli uni e dagli altri.


18 commenti:

  1. Buongiorno don, le faccio una domanda “scomoda” e le condivido una osservazione che mi è venuta ora. La domanda è questa: quindi esisterebbe anche un Papa non cattolico? L’osservazione, invece, è che, paradossalmente, stando alla “dottrina” attuale, è teoricamente impossibile uscire dalla Chiesa. Qualcosa che ci unisce è infatti sempre possibile trovarlo (fosse anche il solo essere stati creati). Mi ha colpito, infatti, rileggere il n. 838 del CCC: "Con coloro che, battezzati, sono sì insigniti del nome cristiano, ma non professano la fede integrale o non conservano l'unità della comunione sotto il successore di Pietro, la Chiesa sa di essere per più ragioni unita" [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 23]. "Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il Battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica" [Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 3]. Con le Chiese ortodosse, questa comunione è così pro fonda "che le manca ben poco per raggiungere la pienezza che autorizza una celebrazione comune della Eucaristia del Signore" [Paolo VI, discorso del 14 dicembre 1975; cf Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 13-18].”
    Come abbiamo fatto per tanti anni a non accorgerci dell’impossibilità di una ermeneutica della continuità. Siamo stati condotti, di fatto, a chiamare bene il male. Il problema del subsistit, questa la mia opinione, non è tanto che sembrano due realtà diverse la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica, ma che si parla bene del male, si guarda positivamente il male.
    Grazie don e auguri di ogni bene.

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    1. Effettivamente la moderna "dottrina" del Vaticano II ribalta la realtà: anziché diagnosticare il male della divisione e individuarne le cause (come si è sempre fatto e sarà sempre necessario), lo mette tra parentesi per evidenziare "ciò che ci unisce". E' ovvio che il Battesimo costituisca un legame con la Chiesa, ma il problema è proprio ciò che spezza la comunione, ossia l'eresia e lo scisma. E' come se un medico dicesse al paziente che, a parte la malattia che lo affligge, tutto il resto va bene; ma non è questo che garantisce la salute.
      Riguardo al ritorno di un Papa cattolico, si trattava di una provocazione, dato che il Papa non può essere tale se non è membro della Chiesa: in caso di eresia, infatti, cessa automaticamente dalle sue funzioni. La difficoltà è che nessuno, sulla terra, può giudicarlo in foro esterno; per questo dobbiamo pregare il Signore perché provveda Egli stesso a chiamarlo a giudizio.

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    2. A proposito di chiamata in giudizio, ringraziamo l'intercessione della Madonna che, nel giorno della sua natività, ci ha ottenuto di essere liberati dalla gran massona capa. Sollecitiamo la Provvidenza che presto siano altrettanto chiamati tutti quegli operatori di iniquità incancreniti, i figli del nemico così chiaramente indicato da Nostro Signore nel Vangelo.

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    3. https://www.marcotosatti.com/2022/09/09/ratzinger-tyconio-e-fatima-una-chiave-interpretativa-per-la-fine-dei-tempi-versione-abbreviata/

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    4. L'articolo presuppone ciò che vuole dimostrare. A tal fine collega a Fatima le riflessioni di un oscuro autore donatista del IV secolo, il quale, evidentemente, elabora la sua teoria ecclesiologica in funzione di una giustificazione dello scisma. Nella catechesi citata, Benedetto XVI afferma giustamente: "Agostino lesse questo commento e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo [...]. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo". L'autore dell'articolo, evitando di riportare questo passaggio, lascia credere che papa Ratzinger sia d'accordo con l'antico teologo scismatico, per poi stabilire un indebito nesso tra la tesi escatologica del secondo e le dichiarazioni rese dal primo in occasione del viaggio a Fatima.
      Su questa base contraffatta, l'articolo giunge poi ad attribuire a Benedetto XVI l'intenzione di avviare una separazione (discessio) della vera Chiesa da quella falsa e a strumentalizzare in questo senso la visione contenuta nella terza parte del Segreto di Fatima. Per finire, l'autore riesce a distorcere perfino la Sacra Scrittura (con gli accenni all'Esodo e ad Abramo) e la tradizione liturgica (con il palese travisamento di un verso della Sequenza di Pentecoste).
      In definitiva, è un'operazione intellettualmente ben poco onesta. Stupisce che Marco Tosatti ospiti questo genere di interventi senza alcun rilievo critico. Vogliono proprio spingerci a uscire dalla Chiesa per lasciare campo libero ai suoi demolitori?

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    5. "Diventa evidente che Benedetto XVI comprende il messaggio di Fatima nel contesto dell’affermazione di Tyconio secondo cui il male più grande per la Chiesa nei tempi finali è il male nascosto dentro di lei."

      Questo ci puo'eventualmente anche stare, ma per esempio la seguente affermazione:

      "non saranno gli infedeli ad “allontanarsi”, ma piuttosto i veri credenti, che si allontaneranno dal male all’interno della Chiesa."

      pone evidentemente dei problemi che Tyconio non risolve affatto. Cosa succede se "i veri credenti" (TM) si allontanano in piu'direzioni diverse (cosa che sta succedendo gia'attualmente, cfr. le diverse correnti: sedevacantisti, FSSPX, papabenedettisti, etc.), chi bisogna seguire?

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    6. Non bisogna seguire nessuno di loro, ma restare nella Chiesa visibile, facendo ognuno il proprio dovere di stato e offrendo preghiere e sacrifici perché il Signore intervenga per ristabilirne le sorti. Quanti rigettano, anche solo di fatto, la gerarchia stabilita, oltre a ferire l'unità della Chiesa (peccato gravissimo) si dividono poi ulteriormente tra loro, dato che lo spirito di separazione non può far altro che causare divisione.

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  2. Io guardo al mio sacerdote che non condivide le mosse di questa gerarchia , è consapevole della catastrofe , ma quando celebra messa la cosa più importante è Gesù e allora ci sto ,come ci sto anche davanti al parroco che è il modernismo personificato ecc...ma la Consacrazione la fa ancora giusta . Poi è ovvio che il lavoro lo devo fare io se voglio conoscere ciò che mi sta a cuore e cioè la conoscenza del Vangelo, il Catechismo , non posso delegare ad altri il mio stare dentro la Chiesa

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  3. Grazie per questo articolo don Elia.

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  4. Padre, ma lo STATO DI ECCEZIONE che lei ritiene non citabile è stato pubblicamente citato niente meno che da Monsignor Georg Gaenswein a nome di Benedetto XVI, il quale non ha mai smentito tale lettura della situazione.

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    1. Questa affermazione non ha alcun fondamento. Nella conferenza del Giugno del 2016 alla Gregoriana, alla quale Lei probabilmente allude, monsignor Gaenswein ha soltanto definito il pontificato di Benedetto XVI un "pontificato d'eccezione" (Ausnahmepontifikat). Che con ciò abbia voluto discretamente alludere allo stato di eccezione è tutto da dimostrare. Tale istituto, in ogni caso, non esiste nel diritto canonico; quand'anche esistesse, non basterebbe certo una vaga allusione per dichiararlo (oltretutto per bocca del segretario e dopo l'abdicazione?).

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    2. SOLTANTO? In un mondo che avesse ancora solo qualche parvenza di normalità si sarebbe dovuta fermare la vita della Chiesa per approfondire il senso di quella affermazione. E, se vogliamo continuare, il primo a non esistere ufficialmente è il concetto di "Papa emerito".

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    3. Che la figura del "Papa emerito" non esista né possa esistere, è pacifico; tuttavia non si può per questo fermare la vita della Chiesa, ma siamo costretti ad accettare una situazione di incertezza in attesa che il Signore invii qualcuno che sia in grado di chiarirla, cioè un papa del futuro.
      La certezza del diritto, in ogni caso, esige che la permanenza o meno di una carica sia espressamente dichiarata, non suggerita con ingegnose allusioni. Questa sola osservazione basta a smontare tutto il castello di illazioni che è stato costruito intorno allo stato di eccezione o alla sede impedita.

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  5. Articolo pregevole e ispirato alla sapienza dei Padri. Una consolazione rispetto ai delirj che si leggono in altri spazj virtuali.

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  6. Anche io ho trovato consolante questo articolo. Per la mia attività editoriale mi trovo da circa un mese pressato da modernisti e catto-comunisti da una parte, e da "veri cattolici" papabenedettisti dall'altra. Tutti sicuri di sé e veloci nell'apporre etichette e affibbiare al prossimo colpe e intenzionalità indicibili. Forse papa Francesco si potrebbe riscattare indicendo un Anno dell'umiltà.

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