Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 21 gennaio 2023

 

Divino adeguamento

 

 

Verrebbe da dire che Gesù si è adeguato a Pietro, piuttosto che Pietro a Gesù! È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. Da qui nasce la fiducia che lo rende capace della sequela fino alla fine: «Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: “Seguimi”» (Gv 21,19). Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto (Benedetto XVI, Udienza generale, 24 Maggio 2006).

Ancora una volta la Provvidenza viene in nostro soccorso tramite un testo fornitoci, questa volta, non dall’Ufficio Divino, ma da una lettrice. In esso la fine sensibilità spirituale di papa Benedetto ci apre uno squarcio sul mistero dell’azione di Dio nelle anime. Gesù, nella triplice interrogazione con cui concede all’apostolo Pietro l’opportunità di riparare al triplice rinnegamento, si adatta alla sua debolezza di essere umano segnato dal peccato, ma proprio così gli dà in pari tempo la possibilità di crescere nell’adesione a Lui e gli infonde una fiducia incrollabile di poterlo imitare, un giorno, fino in fondo. Per conformarci a Sé, dunque, il Signore si adegua a noi: non certo per legittimare colpe e difetti, ma per consentirci di elevarci gradualmente, con l’aiuto della grazia, dalla condizione in cui ci troviamo ed Egli è venuto a cercarci.

Tale processo, purtroppo, diventa impossibile quando, da un lato, si riduce la vita cristiana a vago sentimentalismo oppure, dall’altro, si pretende che i fedeli saltino di colpo da uno stadio morale all’altro senza alcuno sviluppo intermedio. È ovvio che, di fronte a un grande peccatore che va scosso dal suo indurimento, bisognerà parlare in modo franco e fermo, sia pure senza far mancare una sapiente carità per evitare che il richiamo lo indurisca ulteriormente, anziché fargli percepire la misericordia di Dio. Normalmente, però, è necessaria molta delicatezza per condurre le persone alla piena verità senza ferirle, scandalizzarle o scoraggiarle: un confessore non è uno schiacciasassi che deve spianare con la forza ogni asperità, bensì un attento coltivatore che, sul modello di Chi l’ha inviato, non spezza la canna incrinata né spenge il lucignolo fumigante (cf. Is 42, 3), pur asserendo con vigore la verità che salva.

Analoga pazienza occorre usare verso l’errore invincibile e quello involontario, che in linea di principio non impediscono lo sviluppo della vita di grazia, purché non vi sia nel soggetto superba ostinazione. Se una persona non è in grado, sul momento, di superare una convinzione cui è molto legata, si aspetterà il tempo in cui la grazia le permetterà di farlo; in una sana relazione con Dio, del resto, esso arriverà immancabilmente. Se invece il Pastore pretende di creare un ambiente spirituale completamente asettico, soffocherà inevitabilmente l’azione dello Spirito Santo e renderà le anime sterili, benché apparentemente irreprensibili. Come per la salute fisica è importante incrementare le difese immunitarie mediante la formazione di anticorpi, così lo è per quella dello spirito; altrimenti si distruggono anche i fermenti positivi, come fanno gli antibiotici con i batteri benefici.

Il buon cattolico non deve illudersi di poter vivere in una bolla umana assolutamente sicura, fuori del tempo e dello spazio, dove sia dispensato dalla fatica di discernere, scegliere e lottare. Quanti propongono ciò, in realtà, rinchiudono le persone in una prigione mentale e operativa: esse non saranno in grado di muovere un dito senza che qualcuno dica loro, ogni volta, se un’idea è giusta o sbagliata oppure se un’azione si può compiere o no. Nelle questioni più delicate è naturale chiedere un parere, ma la coscienza individuale deve pure allenarsi a risolvere i quesiti quotidiani senza appoggiarsi in ogni istante alla tutela di qualcun altro. Un cattolico non può rimanere un perenne bambino, salvo in senso evangelico: allora il suo cuore limpido e puro riceverà senza difficoltà le luci interiori del sensus fidei e le indicazioni del dono di Consiglio.

C’è un modo di insegnare che, non tenendo conto dell’azione della grazia nelle anime, si sforza di incastrarle in una struttura rigida in cui qualsiasi quesito abbia immancabile risposta e sia eliminata anche la minima incertezza. Oltre ad esigere l’impossibile da sé e dagli altri, i fautori di tale metodo non si accorgono che le realtà divine, in questa maniera, son trattate alla stregua di qualunque cosa del mondo creato e ridotte ad oggetto manipolabile dal pensiero umano. Così basta mutare i presupposti intellettuali per virare verso il modernismo – come di fatto avvenne, negli anni Sessanta, per buona parte del clero. In fondo si tratta di una variante del naturalismo moderno, premessa dell’ateismo e del crollo morale. Insistere su questa strada per rimediare ai mali odierni non conduce di certo a una rinascita, ma solo all’esasperazione di una dicotomia che spacca le anime e la Chiesa.

La grazia non sopprime la natura, ma la eleva; per poterla elevare, s’inserisce nel dinamismo umano di persone che vivono in un dato contesto storico e culturale. Ciò non significa certo che la grazia lo consacri così com’è, bensì che lo purifica a poco a poco tramite gli individui che maturano una vita soprannaturale. La conversione dei popoli germanici e slavi, che seguiva quella del capo e della sua corte, non sempre si compì in modo libero e sereno, ma fu spesso forzata per ragioni politiche; così credenze e pratiche pagane sopravvissero per secoli nascoste o camuffate, proprio perché era mancata una paziente e lungimirante evangelizzazione dei singoli e del loro ambiente, ma ci si era accontentati di una “cristianizzazione” di superficie. La repressione autoritaria provocava periodiche esplosioni di feroce violenza, nelle quali tornavano a galla passioni soffocate e non ancora del tutto guarite.

Un triste esempio di tale dinamica – mutatis mutandis – è il modo di inculcare la frequentazione della Messa tradizionale, che fabbrica spesso cristiani pieni di astio, aggressività e superbia. Siamo perfettamente d’accordo sulle gravi carenze e difetti di quella nuova, molto dannose sia per il sacerdote che per i fedeli. Il primo, se per grazia ha conservato la corretta visione del Sacrificio di Cristo, nel celebrare il rito di Paolo VI sente di doverlo puntellare con la propria fede personale; nella Messa di san Pio V, al contrario, è il rito stesso che, per le sue caratteristiche oggettive, sorregge lui e ne nutre abbondantemente la fede. I secondi, nella nuova Messa, perdono di vista il dovere di onorare Dio come Egli desidera e la necessità di riceverne la grazia, concentrandosi sul benessere emotivo dispensato dallo stile e dalle parole del ministro. È innegabile che a lungo andare, senza l’antidoto della sana dottrina e di un’intensa relazione con Dio, si possa perdere pure la fede.

Per passare da una sponda all’altra, tuttavia, bisogna attraversare un fiume; la prudenza indicherà allora i guadi e la maniera giusta di passarli senza affogare. Molti cattolici comuni, trovandosi d’emblée davanti alla Messa antica, rimangono sconvolti e scappano via, dato che non trovano il conforto psicologico cui sono abituati e si sentono come davanti a una parete a picco da scalare, a meno che il Signore non conceda loro una grazia speciale. Se poi si ingiunge loro di non andare più a quella nuova da quel giorno in poi, si sentiranno interiormente dilaniati e saranno talvolta spinti ad abbandonare ogni pratica religiosa; in tal modo, per fare un proselito, si rischia di fare cento vittime. Occorre allora adottare una saggia gradualità, non rispetto al principio, bensì alla sua applicazione, così da ottenere, a lungo termine, ciò che a breve termine non è possibile, se non con grave danno per le anime. Per innalzarci a Lui, la sapienza di Dio si è adattata alla nostra debolezza; non vorremo imitarla, noi poveri mortali?


10 commenti:

  1. Concordo in pieno, padre.
    Ad oggi sono convintamente "monoritualista" e ascolto solo la Messa genuinamente Cattolica (riservandomi, con sofferenza, di andare al rito montiniano solo nei Precetti, in assenza di Messa apostolica).

    Ma ci sono arrivato gradualmente e personalmente, attraverso un lungo periodo di biritualismo.

    Tacerò, per carità, i nomi di alcuni sacerdoti tradizionali che mi hanno trattato molto duramente, quando hanno constatato che non mi avevano, ai tempi, convinto al monoritualismo radicale.

    Per questo sono rispettoso dei tempi dei miei cari, che ancora non hanno abbracciato la mia scelta.

    Per inciso devo ringraziare l'odio rozzo e implacabile di bergoglio verso la Messa di sempre: già ormai avevo raggiunto alti gradi di sofferenza e ...insofferenza nell'andare alla "messa" dei modernisti, ma è stato il giorno della pubblicazione di "Tradimentis Custodes" (la storpiatura è intenzionale), che ho sciolto gli indugi, ammettendo che in effetti "c'è una sola Lex Orandi", quella della Liturgia Romana Tradizionale!

    Piaccia al Signore affrettare i giorni della Restaurazione, della restitutio ad integrum dei tesori che massoni ed eretici ci hanno rapinato e della loro esemplare Punizione (degli ostinati, se non altro).

    Un caro saluto, nei Sacratissimi Cuori di Gesù e Maria

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    1. Ha ragione nel dire che la santa liturgia eucaristica è quella apostolica e tradizionale.
      Ma ci sono tre cose che dobbiamo dirci, ed è arrivato il momento di rompere gli indugi:

      a) giuridicamente un indulto non può essere la lex orandi della Chiesa ergo Francesco non ha fatto che puntualizzare l'ovvio dal punto di vista della statuizione legale si badi
      b) non ha alcun senso sostenere come ha fatto papa Benedetto XVI che ci siano due forme di un medesimo rito giacché sono due riti proprio diversi. Ugualmente che l'uno sia ordinario e l'altro appellato straordinario è altrettanto illogico visto che di norma lo straordinario sostituisce l'ordinario in determinate occasioni il che implica che essi siano integrati l'uno all'altro, cosa che non è essendo essi del tutto estranei e paralleli l'uno all'altro semmai.
      c) il rito del 62, accettato da tutti i para tradizionalisti, non è realmente il rito apostolico romano intonso.

      Per quanto mi riguarda poi, sapendo che tipo di Fede hanno certi sacerdoti tradizionalisti, e che tipo di prediche sono capaci di proporre, preferisco un rito novusordista ben fatto e con un sacerdote degno a certi epigoni tradizionalisti. Andrò ad un rito di certo problematico, ma le ripeto...se vuole veramente amare ed onorare la liturgia romana deve battersi assolutamente per il superamento totale del rito del 62.
      Le auguro buona fortuna Deo volente in questo, con buona pace di chi giudica chi frequenta solo il novus ordo od è biritualista come me.

      p.s. a rigore, lo sappiamo tutti, l'unica santa messa degna è quella solenne, in realtà l'unica che dovrebbe esistere, ovviamente prima di mezzogiorno giacché la stessa messa vespertina è antitradizionale. Visto che i mezzi non lo permettono, come non è permesso ritornare a prima del 62 e miriadi di altre cosucce, sarebbe buono non chiedere affatto al Teantropo di manifestarsi prima di quando dovrà, perché evidentemente noi tutti qui abbiamo da che purificarci compreso io che faccio il saputello.
      D'altronde il malanimo o la pretesa di sentirsi apposto, partecipando alla santa messa supposta e falsamente creduta di sempre come quella del 62, accresce i peccati mentre un filantropico semi modernista, perso nella sua obnubilazione, come le prostitute ed i pubblicani del Vangelo potrebbe forse precederci nel Regno.
      La Carità copre una moltitudine di peccati ossia le opere della Legge di Libertà secondo san Giacomo. La santa messa con cui si crede di adorare DIO nel sommo modo, che poi d'altronde non è affatto, tutt'alpiù può diventare la scusa del proprio amor proprio come nelle sue omelie il più sferzante di tutti fu il Crisostomo al riguardo.

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  2. Ancora un altro brano di grande equilibrio che andrebbe diffuso tra coloro che cercano d'essere fedeli alla Tradizione. Purtroppo molti si avvicinano alla Messa antica per ideologia (sono "tradizionalista" perchè sono no vax, oppure perchè fascista, oppure perchè sono contro questo o quello) ma su un tale terreno sterile non cresce la pianta della fede. Qui in rete pare che noi "tradizionalisti" siamo milioni, ma poi quanto si tratta di fare un poco di sacrificio (qualche mezz'ora d'automobile, sopportare un sacerdote che non è il massimo della simpatia..) tutto finisce. Se non preghiamo, e non facciamo fioretti e sacrifici ci teniamo Bergoglio. Anzi, Dio non voglia, avremo persino nostalgia degli anni di Bergoglio! P.s. auspico che il blog sia migliorato e reso graficamente più leggibile. Spero qualcuno possa aiutare il sacerdote, bastano pochi consigli

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  3. Reverendo don Elia, la ringrazio per avermi aperto gli occhi su alcune derive all'interno del mondo tradizionalista. Inizio a vedere in modo sempre più chiaro anche la messa in discussione dell'indefettibilita' della Chiesa nel suo complesso (a differenza dei sinodi locali di Pistoia o anche quello attuale tedesco che non rappresentano la Chiesa universale), la quasi negazione dell'identità tra Cristo e il Suo Corpo Mistico e l'indiretta credenza in una 'Chiesa invisibile', l'incitamento indiretto ad assumete atteggiamenti scismatici in risposta alla crisi attuale della Chiesa, etc. Seguo il suo consiglio e chiedo al Signore di purificare la mia fede e la mia anima dalle tante sozzure. Mi benedica

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    1. Grazie del contributo.
      La benedico ben volentieri.

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  4. Abbiamo seguito la direttiva di restare nella Chiesa e di tacere, e sono giunti i sieri mortiferi. Non so quale alternativa avessimo, in tutti i casi a me questo pare proprio un castigo

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    1. L'alternativa era quella di resistere all'immorale e illegittimo obbligo della pseudovaccinazione, alla quale non siamo tenuti né a livello giuridico né a livello morale.

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    2. Non c'era ne c'e'nessuna direttiva di tacere, quanto di parlare quando la coscienza dice di parlare.

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  5. Carissimo Don Elia. sono un giovane che dopo tante peripezie si è riavvicinato alla Fede e ai Sacramenti da ormai quasi due anni(la Conversione è avvenuta però quasi 5 anni fa).
    Frequento con assiduità la "Messa nuova" , ricevo L'Eucaristia e appena possibile mi inginocchio dinanzi a Gesù sacramentanto ricevendo una forza incredibile. Soffrendo di scrupoli e pensieri ossessivi ed ascoltando delle persone "sedevacantiste" è aumentata in me la paura che sia nel posto sbagliato (assistendo alla Messa n.o) . Il mio parroco sembra preparato e soprattutto coscienzioso circa le mie perplessità tant'è che mi permette di accostarmi all'Eucaristia in ginocchio e a riceverla sulla lingua, non può immaginare che gioia e che sublime consolazione! Ora mi trovo dinanzi ad un dilemma, abbandonare il N.O e buttarmi a capofitto nel V.O? Cercare una via di mezzo? Come posso "crescere" in tal senso senza trovarmi dinanzi ad una forzatura della mia coscienza già fortemente sensibile e sucettibile?
    La ringrazio di cuore e pregherò per lei.
    Fabio

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    1. Carissimo Fabio, non ascoltare più le assurdità dei sedevacantisti e continua così senza porti inutili scrupoli. Se poi ne hai l'opportunità, assisti una volta a una Messa tradizionale, purché sia celebrata da sacerdoti in situazione regolare, cioè regolarmente incaricati di ciò dal Vescovo del luogo.
      Prego per te e ringrazio il Signore per la grazia che ti ha concesso, che non devi mettere in pericolo dando retta a preti scismatici e teorie settarie.
      Grazie per le tue preghiere.

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