Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 29 settembre 2018


Quale comunione episcopale?




La Costituzione Apostolica Episcopalis communio, datata 15 settembre 2018, abroga in una volta sola l’Ordo Synodi Episcoporum, promulgato da Benedetto XVI il 29 settembre 2006, gli articoli (quali?) del Motu proprio Apostolica sollicitudo di Paolo VI, del 15 settembre 1965, e tutti i canoni del Codice di Diritto Canonico «direttamente contrari a qualsiasi articolo» del documento in oggetto. Come già in altri casi (per esempio, le norme che regolano le cause di nullità matrimoniale o quelle riguardanti la vita claustrale femminile) il brutale colpo di spugna impone innovazioni giuridiche foriere di profondi cambiamenti. Il Sinodo dei Vescovi, istituzione inventata al termine dell’ultimo concilio per renderlo in qualche modo una realtà permanente, si è inopinatamente trasformato, da istanza puramente consultiva, in organo deliberativo per il governo della Chiesa universale.

Le modifiche introdotte non possono non dare l’impressione che, proprio in nome della sinodalità e dell’ascolto del Popolo di Dio, si sia voluto surrettiziamente creare uno strumento estremamente centralizzato volto a imporre alla Chiesa cambiamenti dottrinali e disciplinari aggirando qualunque forma di doverosa verifica: la Curia Romana, come pure il senato dei cardinali, rimane praticamente estromessa, il tanto celebrato collegio episcopale è ridotto a mero esecutore di direttive superiori, il concilio ecumenico diventa semplicemente superfluo. Nella preparazione, celebrazione e attuazione di un sinodo, infatti, un enorme potere discrezionale è attribuito alla Segreteria Generale, organo permanente di nomina pontificia che opera sotto la diretta autorità del Papa. Non parliamo poi dell’esercito di periti, uditori, invitati speciali e delegati fraterni di altre confessioni da lui designati, che possono prender la parola, pur senza diritto di voto, e concorrere alla stesura dei testi.

Ma la novità più consistente è la modalità di pubblicazione del documento finale, elaborato dalla commissione sinodale: una volta approvato dai vescovi con un’unanimità morale, non determinata dal computo dei voti, ma vista come frutto dello Spirito, esso è offerto al Romano Pontefice, che si riserva la decisione di pubblicarlo oppure, nel caso in cui egli abbia concesso all’assemblea potestà deliberativa, è da lui direttamente ratificato e promulgato. In entrambi i casi, alla fine, esso gode dell’autorità del Magistero ordinario del Successore di Pietro, senza più alcun bisogno di attendere, com’è stato finora, una successiva esortazione apostolica elaborata con il suo personale apporto alle riflessioni dei Padri sinodali. Dato che non si fornisce alcuna indicazione sul tipo di maggioranza richiesta per l’approvazione di detto documento, è arduo allontanare il sospetto che, con un oculato controllo delle procedure, si vogliano far passare decisioni prese in precedenza.

I due recenti sinodi sulla famiglia, del resto, costituiscono un precedente tutt’altro che rassicurante, visto come si sono dimostrati un pretesto per aprire un varco alla legittimazione della sodomia e dell’adulterio permanente. In questo caso, sembra che l’intenzione sia quella di sdoganare i rapporti prematrimoniali e la contraccezione, il diaconato femminile e i preti sposati, oltre a quella di spingere ulteriormente nel senso dell’agenda omosessualista. Questa volta, però, sarà tutto più semplice: non ci sarà bisogno di machiavellici retroscena, come quello candidamente confessato da monsignor Forte poco dopo la pubblicazione dell’Amoris laetitia. In una pubblica conferenza il presule ha svelato il criterio, altamente teologico, indicato da Bergoglio alla commissione incaricata di redigere il testo conclusivo dell’assemblea del 2015: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto; fa’ in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io».

Non c’è che dire: a parte lo squisito linguaggio, che ben si addice al Romano Pontefice, sono parole evocatrici di una rettitudine cristallina, nonché di una profonda stima per i vescovi convenuti da ogni latitudine al suo invito, ma non tutti disposti a ingoiare supinamente qualsiasi boccone, come – tanto per fare un esempio – l’interpolazione sul contributo positivo che gli omosessuali possono dare alla vita della Chiesa, infilata nella relazione intermedia del sinodo del 2014 proprio dal gran “teologo” appena menzionato. È vero che le coscienze le scruta solo Dio, ma le condotte son sotto gli occhi di tutti e, in molti casi, sono rivelatrici delle intenzioni. Ora, un comportamento poco retto non può essere, secondo la morale cattolica, frutto di un intento onesto; ma quei signori, a quanto pare, seguono princìpi diversi, più caratteristici dei marxisti.

Per chi ha quel tipo di mentalità, hegeliana nella matrice e leninista nello sviluppo, l’uomo non deve conformarsi a un ordine prestabilito ma, al contrario, trasformare la realtà secondo un’idea o un progetto da lui concepito. Per ottenere tale scopo, tutti i mezzi sono leciti, per il semplice motivo che il concetto stesso di lecito o illecito è determinato dalla corrispondenza o meno all’idea e dalle necessità contingenti della sua attuazione. Al di fuori di questa forma mentis non si riesce a capire la modalità d’azione di Bergoglio e dei suoi compari; al suo interno tutto diventa chiaro. La realtà di cui sostengono di volersi mettere in ascolto è piuttosto un escamotage per imporre una visione del mondo e della vita puramente orizzontale, letta oltretutto in modo selettivo e attraverso un prisma deformante in modo da offrire una base incontestabile a decisioni già prese.

I giovani, nella realtà effettiva, non sono come risultano da sondaggi e questionari che escludono sistematicamente quelli che non rientrano in uno stampo costruito ad arte per imporre loro modelli artificiali ed esercitare su di essi pressioni di natura psicosociale. Sono decenni che la “pastorale giovanile” lavora nell’astratto di analisi sociologiche taroccate che, nella mente di preti e animatori, formano un filtro capace di impedire la percezione immediata del reale e il naturale contatto con le persone, classificate come “casi” anziché accolte in semplicità; il risultato sono progetti elaborati in provetta che servono non ai giovani, ma a chi li inventa e ne vive, in tutti i sensi. Peccato, grazia e responsabilità non entrano nel discorso se non come varianti un po’ rétro di concetti psicologici o di fenomeni sociali… quando invece, a ben vedere, chi è rimasto indietro son proprio loro, che non vedono – in quanto è fuori della loro visuale – che la gioventù migliore ha da tempo imboccato altre strade e non li sente nemmeno più.

Perfettamente coerente con questa pervasiva mistificazione è l’Instrumentum laboris del sinodo, che oltre a capovolgere il rapporto tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens si rivela frutto proprio del sociologismo appena evocato, nonché di un’antropologia amputata sfociante nel sentimentalismo e nell’individualismo. In sintesi, non riusciamo proprio a sfuggire al timore che anche la prossima assise sia una trappola, un modo di usare i giovani per promuovere altri scopi. È una mossa senza precedenti quella con cui, a due settimane dall’inizio dei lavori, tale istituto è stato radicalmente innovato in modo da blindarne le conclusioni; è un modo di agire da rivoluzionari che fa presagire obiettivi rivoluzionari: fabbricare ideologicamente una nuova Chiesa facendo credere che siano i giovani a volerla, come già le “emarginate” coppie irregolari.

L’evidente sforzo manipolatorio che ha caratterizzato gli ultimi due sinodi sembra orientare anche la nuova costituzione apostolica, che a proposito di uno strumento prettamente pastorale insiste, senza alcuna pertinenza, sulla ricerca della verità. Un’istanza di sussidio al ministero papale non mira alla definizione della fede e della morale, ma le presuppone e le applica. Le questioni controverse sono appannaggio dei teologi, che sottomettono poi i risultati delle loro indagini all’autorità del Magistero. Nella Chiesa i problemi dottrinali aperti – qualora realmente sussistano e non siano creati a bella posta – non si chiariscono a colpi di maggioranza; quando invece le risposte già son date e sono chiare, voler cercare ulteriormente la verità è un peccato contro lo Spirito Santo. In un pontificato la cui trasparenza è nulla e la credibilità è precipitata a causa degli scandali, farebbero molto meglio ad occuparsi d’altro; tanto per cominciare, rispondere alle reiterate accuse di monsignor Viganò.

https://www.aldomariavalli.it/2018/09/27/vigano-papa-francesco-perche-non-rispondi-chi-tace-acconsente/

sabato 22 settembre 2018


Morire per mano del padre




Oboedire oportet Deo magis quam hominibus (At 5, 29).

Joseph Zen Ze-kiun, classe 1932, già vescovo di Hong Kong, creato cardinale nel 2006 da papa Benedetto XVI, ha lanciato più volte il suo grido d’allarme e di dolore per la strana piega che stava prendendo il cosiddetto “dialogo” tra la Santa Sede e il governo cinese. Un’intelligenza finissima, una vasta cultura, una fede granitica e un coraggio da leoni caratterizzano l’illustre e combattivo figlio di don Bosco, facendo di lui una voce profetica particolarmente lucida e incisiva non soltanto per il suo Paese, ma anche per tutti noi, che ci troviamo a subire un regime per molti versi simile a quello di Pechino. Nell’estate del 2016, scrivendo sul suo blog, aveva ripreso da un sito cattolico cinese queste significative parole (che si potrebbero applicare anche a fiorenti istituti commissariati): «Da tanti anni i nostri nemici non sono riusciti a farci morire. Ora ci tocca morire per mano del nostro Padre. Va bene, andiamo a morire».

Che significa? Secondo recenti indiscrezioni sarebbe imminente la soluzione del decennale conflitto sulla Chiesa Cattolica in Cina: un accordo segreto, previsto per la fine del mese corrente, darebbe al governo comunista ateo, incredibilmente corrotto e sleale, carta bianca per la nomina dei vescovi in cambio di un risibile riconoscimento, puramente nominale, dell’autorità del Papa come capo dei cattolici cinesi. Roma, in casi gravi, potrebbe formalmente porre il veto a una proposta di Pechino, che si riserverebbe comunque la facoltà di procedere ugualmente. In altre parole, sarebbe una resa incondizionata che metterebbe i cattolici cinesi sotto il controllo assoluto di un regime totalitario che, non potendo sradicare le religioni, le sta trasformando in instrumentum regni.

Come le comunità già sottomesse, anche quelle dell’eroica Chiesa clandestina dovrebbero venire allo scoperto ed essere assimilate alle altre; alcuni dei loro vescovi hanno già ricevuto dalla Santa Sede l’ordine di consegnare le proprie diocesi a manigoldi nominati dal governo con varie concubine e numerosi figli a carico, avidi, lussuriosi e corrotti al di là dell’immaginabile e quindi facilmente ricattabili. Possiamo farci una vaga idea del dolore di chi, per fedeltà al Papa, ha patito decenni di sofferenze inenarrabili o ancora oggi la sta pagando con il carcere o il domicilio coatto? Da quando, nel 1958, fu consacrato senza mandato pontificio il primo vescovo di nomina governativa, la persecuzione non è mai cessata e ai nostri giorni, anzi, si sta inasprendo ulteriormente: di pari passo con la demolizione di chiese e di croci, la attività religiose vengono progressivamente limitate e continuano a sparire o a morire in modo inspiegabile sacerdoti zelanti, mentre il controllo sui seminari diventa sempre più ferreo.

Il cardinal Zen, oltre ad aver diretto la provincia salesiana del suo Paese, prima di essere elevato all’episcopato ha insegnato in diversi di quei seminari, anche ufficiali. La risposta di due anni fa a un giornalista italiano che lo aveva volgarmente attaccato rivela, oltre all’estrema onestà e competenza, una straordinaria autorevolezza. La posta in gioco, anche qui, è di enorme portata: c’è anzitutto la condizione di almeno dodici milioni di cattolici dalla fede viva, ardente, genuina, la quale, senza i limiti soffocanti imposti dal regime, potrebbe infiammare il mondo intero e ridar vita alla Chiesa agonizzante dell’Occidente un tempo cristiano; ma c’è anche il contenuto della fede stessa, secondo il quale il papa amministra un potere che non gli appartiene e che non può cedere a chi gli pare – tanto meno a un governo ateo e disumano.

Il porporato ricorda questa verità di fede citando la Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI (27 maggio 2007), che la ribadisce a chiare lettere: la pretesa di «organismi voluti dallo Stato», come l’Associazione Patriottica, «di porsi al di sopra dei vescovi stessi e di guidare la vita della comunità ecclesiastica» è contro la dottrina cattolica. E il Cardinale: «Quello che era dichiarato contrario alla dottrina e alla disciplina della Chiesa diventerà legittimo e normale, tutti dovranno sottomettersi al Governo che gestisce la Chiesa, tutti dovranno obbedire ai vescovi che fino ad oggi sono illegittimi e perfino scomunicati. Allora, hanno sbagliato per decenni questi poveri “confrontazionisti”?». È un’altra picconata alla costituzione divina della Chiesa, stabilita dal suo Fondatore; chi ha voluto esserle fedele fino al sangue, allora, è solo un povero sciocco che non ha capito da che parte stava soffiando il vento e non si è adeguato al nuovo corso?

Non si può fare a meno di pensarlo, visto che il cardinal Parolin, nel celebrare la memoria di un suo predecessore, il Gran Maestro Agostino Casaroli, bolla come gladiatori i vescovi che mantennero vivo il confronto con gli spietati regimi comunisti dell’Europa orientale e furono ricompensati da Roma, in nome della distensione, con l’ostracismo o l’oblio: allude forse a uomini come Mindsenty, Slipyj, Stepinac, Wyszynski? Quelli, oltre alla fede, avevano anche gli attributi virili. Se invece si considera che il cosiddetto “dialogo” con le autorità cinesi, negli ultimi anni, è stato condotto con solerzia dall’inossidabile ex-cardinal Mac Carrick, tutto si collega: nella Chiesa Cattolica esiste un gruppo di potere, composto di immorali e pervertiti, che opera da decenni per la sua trasformazione strutturale a tutti i livelli, pronto a curvarsi ad ogni tipo di richiesta. Tale gruppo ha completamente estromesso dalle trattative i prelati cinesi, totalmente ignorati e tenuti fuori; per la sensibilità di quel popolo di nobile cultura, è come minimo un’attestazione di estrema sgarbatezza.

La risposta del cardinal Zen all’emergenza dei cattolici cinesi, sul punto di esser gettati nelle fauci di un mostro, è mirabilmente ferma e risulta utile anche a noi: «Nella nostra accettazione delle disposizioni da Roma, c’è un limite, il limite della coscienza. Non possiamo seguire quell’eventuale accordo in ciò che alla coscienza appare come chiaramente contrario all’autentica fede cattolica. Papa Francesco ha sovente difeso il diritto all’obiezione di coscienza; lui poi, un gesuita che affida anche le cose più delicate al discernimento personale, non negherà ai suoi figli questo diritto. […] Sarà per me una vera lacerazione del cuore, tra l’istinto salesiano di devozione al Papa […] e l’impossibilità di seguirlo fino in fondo nel caso, per esempio, che incoraggiasse ad abbracciare l’Associazione Patriottica ed entrare in una Chiesa totalmente asservita ad un Governo ateo. Dovremo rifiutare di fare quel passo proprio perché esso è formalmente in contraddizione con l’autorità petrina. Sì, nel caso contemplato (e in questo momento speriamo ancora fortemente che non si verifichi), noi vogliamo essere fedeli al Papa (al Papato, all’autorità del Vicario di Cristo), nonostante il Papa».

Adamantina solidità e chiarezza! Ammirabile determinazione del vero credente! Incoercibile e mite attaccamento all’unica realtà che non passa, scevro da qualsiasi calcolo o timore! Seguiamo questo esempio, cari fratelli, rendendo lode al Signore per aver suscitato in Cina, quale frutto del martirio di innumerevoli missionari e fedeli, testimoni così luminosi e credibili del suo Vangelo. Dio è con noi e non manca di darcene delle prove, alleviando il nostro tormento. Si può essere fedeli al papato (cioè alla funzione stabilita dal Signore stesso) nonostante la persona umana di un papa, secondo la distinzione riconosciuta già dai canonisti medievali. Se egli esige da noi qualcosa che contraddice formalmente il suo stesso mandato, la nostra coscienza è libera di non obbedirgli e di opporsi ai suoi ordini proprio per fedeltà a ciò che rappresenta. È evidente che questo principio non possa essere applicato da chiunque o alla leggera, ma solo in casi di particolare gravità e da chi sia formato in modo sufficiente per poter esercitare un corretto discernimento.

«Come fare», allora? Bisogna «accettare di tornare […] alla condizione catacombale. Condizione catacombale non è condizione ordinaria. Ma quando l’ordinario è illegittimo e il legittimo non è permesso, non c’è altra scelta che tenere fermo al legittimo in una condizione non ordinaria». Questa libertà interiore, che lo Spirito Santo concede al vero credente, è un dono inestimabile: essa, anche nel vivo della prova, ci comunica già la serenità inalterabile e la gioia trionfale di chi sta dalla parte del Vincitore e non può esserne strappato da nessuno al mondo, se non è lui stesso a cedere. Qualunque regime, politico o religioso, è destinato a passare, mentre chi avrà perseverato sino alla fine nella retta fede e nella fedeltà ai divini voleri, costi quel che costi, parteciperà al trionfo di una vittoria già compiuta. I persecutori e i loro complici in tonaca sono già sconfitti e si condannano da sé all’esecrazione – oltre a correre il rischio di finire, se non si convertono, all’Inferno.

Con queste disposizioni interiori preghiamo e offriamo per i nostri fratelli cinesi perché possano rimanere fedeli, traditi anche da colui che dovrebbe difenderli, sotto il torchio di una tirannide che sta diventando tanto più spietata quanto più si sente prossima al crollo. Non si può pretendere che chi tanto ha sofferto accetti la resa con la scusa di evitare uno scisma che di fatto già esiste e che, per la prima volta nella storia, sarà approvato dal Capo stesso della Chiesa. In pari tempo prendiamo lezioni da loro per imparare a resistere eroicamente portando pazientemente la croce senza lamentarci troppo: è necessario che chi è gradito a Dio sia messo alla prova (cf. Tb 12, 13 Vulg.), ma «chi fa la volontà di Dio rimane in eterno» (1 Gv 2, 17).

Posuisti tribulationes in dorso nostro, imposuisti homines super capita nostra. Transivimus per ignem et aquam, et eduxisti nos in refrigerium (Sal 65, 11-12).

Aggiornamento: il Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede ha annunciato proprio oggi, in uno scarno comunicato dal tono evasivo, la stipula di un accordo con la Repubblica Popolare Cinese di cui, peraltro, non è stato reso noto il testo. Non rimane che pregare molto per i nostri fratelli della Cina; un modo molto efficace, oltre al Rosario, può essere dedicare a loro le Preci Leonine, così come Pio XI, nel 1930, ordinò di recitarle per i fratelli russi.
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2018/09/card-zen-sullaccordo-cina-vaticano-dire.html#more

http://www.catholicherald.co.uk/news/2018/10/26/cardinal-zen-the-vatican-is-badly-mishandling-china-situation/

sabato 15 settembre 2018


Crisi del clero o crisi della fede?



Martedì scorso, 11 settembre, alla Camera dei Deputati, è stato presentato il libro di Rod Dreher L’Opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano. Ospite d’eccezione, monsignor Georg Gänswein, che nel suo intervento, in prima battuta, ha paragonato la crisi degli abusi sessuali da parte di membri del clero all’attentato alle Torri Gemelle, avvenuto diciassette anni fa. Tralasciamo l’imbarazzante accreditamento dell’indifendibile versione ufficiale dell’attentato di matrice islamica, ampiamente smentita da tutta una serie di considerazioni (fra le più ovvie, l’impossibilità che un aeroplano penetri una struttura d’acciaio e che quest’ultima, anziché inclinarsi, imploda su se stessa, a meno che non ne siano state minate le fondamenta). Ma ci sono ben altri aspetti del suo discorso che lasciano quanto meno perplessi, se non sbalorditi.

Tanto per cominciare, il brillante prelato fa esplicito riferimento all’inchiesta della magistratura della Pennsylvania, ma neanche una vaga allusione all’esplosiva denuncia di monsignor Viganò, come se nulla fosse accaduto. Tuttavia egli afferma che è «scoccata l’ora dei laici forti e decisi, soprattutto dei nuovi mezzi di comunicazione cattolici indipendenti»: proprio quelli che, negli Stati Uniti, stanno dando enorme risalto a detta denuncia. Un diplomatico assist all’ex-nunzio? o un implicito invito a preti e vescovi a non immischiarsi nella questione, visto che se ne occupano i fedeli? Tenendo conto del delicato ruolo dell’oratore a fianco del Pontefice infelicemente regnante e delle immancabili incensate che gli indirizza nella medesima relazione, è difficile ammettere la prima ipotesi, salvo che non sia davvero un messaggio in codice.

Il personaggio in questione, per la verità, non ci rassicura affatto. Non è certo la prima volta che, presentando un libro, le spari grosse. Due anni fa, alla presentazione di una biografia di Benedetto XVI all’Università Gregoriana, lanciò la bizzarra idea del papato allargato, interpretando l’anomala compresenza di due papi come una sorta di spartizione dell’esercizio attivo del primato petrino e del suo aspetto spirituale, indicando altresì in papa Ratzinger l’artefice di una presunta mutazione del papato. Qualunque teologo o canonista che si rispetti sa bene che nessun successore di Pietro ha il potere di modificare nella sostanza un ruolo di istituzione divina, neanche il proprio; ma ad essere totalmente inaccettabile è soprattutto l’idea che dal supremo pontificato si possa scorporare l’uno o l’altro elemento. Il munus petrinum è, per essenza, la suprema giurisdizione su tutta la Chiesa: non è quindi un fatto spirituale o sacramentale, bensì una realtà prettamente giuridica, cui è connessa una speciale assistenza dello Spirito Santo in ragione dell’ufficio.

Il suo esercizio, se non è attivo, non è affatto. È fuor di dubbio che esso esiga uno spirito umile e obbediente a Cristo per una fedele conservazione e trasmissione del deposito da Lui ricevuto (di cui il papa è ministro e non padrone); ma, qualora un pontefice abdichi, perde completamente il suo ruolo e rimane semplice vescovo. Se Benedetto XVI ha realmente inteso rinunciare a un aspetto soltanto del suo ministero, il suo atto è invalido per errore sostanziale circa l’oggetto della rinuncia e, di conseguenza, è invalida anche l’elezione del successore. Si rende dunque conto monsignor Gänswein, dottore in diritto canonico, dell’enormità che ha affermato? Oppure, anche in quell’occasione, ha voluto lanciare un messaggio in codice secondo cui Ratzinger sarebbe ancora papa, pur avendo in qualche modo delegato a Bergoglio l’esercizio del potere? Il meno che vien da pensare è che la Chiesa non ha mai avuto amministratori delegati e che, se fosse questa l’evocata mutazione del papato, non vediamo proprio come fondarla sul piano teologico, almeno noi comuni mortali…

Un altro aspetto inquietante dell’intraprendente prelato è il suo ruolo nel primo Vatileaks. Si fa molta fatica a credere che Paolo Gabriele, miracolosamente innalzato da addetto alle pulizie nella Basilica di San Pietro ad aiutante di camera di Sua Santità, sia riuscito a fotocopiare migliaia di documenti riservati, prelevati direttamente dalla scrivania del Pontefice, senza che il segretario particolare si sia mai accorto di niente, selezionando oltretutto i più delicati e dirompenti con un fiuto degno soltanto di un navigato officiale della Segreteria di Stato. La versione sostenuta da Gabriele – e incredibilmente ammessa dai giudici – è di aver agito da solo per il bene della Chiesa. Dopo il processo e la grazia da parte del mite Benedetto, tuttavia, il tenore di vita del povero Paolo ha conosciuto un balzo repentino che gli ha consentito di iscrivere tutti e quattro i figli a costosissimi licei e università private… Una storia davvero intessuta di miracoli!

Ora, quale può essere stato l’intento del bel Georg, avvezzo a rilasciare interviste di una disarmante superficialità? Posto che le intenzioni le conosce solo Dio, non possiamo comunque fare a meno di tentare delle ipotesi. Vedendo da vicino la cancrena che ha invaso la Curia, ha forse cercato di aiutare Benedetto facendo venire alla luce scandali e situazioni che l’anziano pontefice non era più in grado di gestire? Moralmente parlando, sarebbe stato un metodo quanto meno discutibile; ma il fatto è che uno dei primi documenti resi pubblici è proprio la lettera con cui monsignor Viganò, prima di esser spedito negli Stati Uniti, metteva in guardia il Papa dal cardinal Bertone. Viste però le relazioni eccellenti che Gänswein intrattiene con elementi di spicco della politica e della finanza, possiamo realisticamente immaginare che abbia agito per puro amor di Dio o piuttosto per conto di un gruppo che mirava a sbarazzarsi dell’ingombrante Segretario di Stato, un megalomane che di fatto governava al posto di Ratzinger?

Come che sia, alla fine il megalomane è saltato, ma, prima di lui, anche il Papa… Il primo, di fatto, rimane intoccabile nel suo sconfinato attico vaticano, segno che continua ad avere la sua influenza tramite gli uomini che ha piazzato dappertutto, nonostante Bergoglio gli abbia ficcato una spina nel fianco con un Galantino catapultato in un vitale ganglio finanziario, l’amministrazione dell’immenso patrimonio della Sede Apostolica. Alla fin fine, l’impressione è che si tratti di una grande partita a scacchi tra partiti rivali che, cercando comunque di tenerlo sotto controllo, appoggiano o detestano l’argentino per interessi contrapposti. Ciò che sempre rimane in ombra, in tutto questo discorso, è l’intreccio di sesso, denaro e potere che ha trasformato il cuore della Chiesa Cattolica in un covo di affaristi e pervertiti senza scrupoli. Che posto vi occupi il Prefetto della Casa Pontificia, non ci è dato saperlo; ma, visto il contesto, il fatto che egli liquidi la crisi della Chiesa come una crisi del clero è così semplicistico da risultare offensivo.

Ancora una volta, tutto il peso è riversato indistintamente sui preti – e proprio da un chierico, non dalla stampa di sinistra. Ciò non fa altro che accrescere lo smarrimento e la confusione dei fedeli, che si sentono sempre più traditi e abbandonati, nonché l’amarezza e lo scoraggiamento di tanti sacerdoti che si spendono e consumano giorno per giorno al servizio del loro gregge vedendosi ricompensati con la pubblica gogna, che di tutti fa un unico fascio di infami violentatori di efebi. Non siamo certo così ingenui da non avvederci che il clero cattolico – e non da oggi – sia in grave difficoltà; ma la vera ragione della crisi attuale (comprese le sue ripugnanti manifestazioni estreme) è una crisi della fede, dovuta a sua volta allo scardinamento della dottrina provocato da false teologie e allo snaturamento della liturgia, svilita, parodiata e vilipesa. Gänswein insiste sì sull’oscuramento di Dio nell’odierna società occidentale, ma senza individuarne le cause né trarne le dovute conseguenze in rapporto alla vita morale e agli scandali ecclesiastici.

Negli ultimi cinquant’anni è l’identità sacerdotale stessa che è stata deliberatamente demolita; ma certi interventi, anziché difenderla, non fanno altro che continuare nella medesima direzione di uno smantellamento del sacerdozio, rendendo la condizione dei buoni ministri sul campo sempre più insostenibile, mentre la casta curiale rimane salda in sella senza esser punto scossa da scandali immani. Qualcuno si è posto il problema, là tra le mura leonine? o è proprio questo che vogliono? Nel secondo caso – e sia detto senza acredine, bensì con l’odio perfetto di cui discorrevamo l’ultima volta – che il Signore li giudichi e che faccia presto: non per gli interessi di una categoria nella Chiesa, ma per il bene dei fedeli che non sanno più da che parte sbattere la testa.

Venga dunque la Sua sentenza su di loro; è del tutto lecito chiederlo, rendendo questa domanda irresistibile con l’offerta della propria sofferenza, purché non lo si faccia per rabbia. Chi parla o agisce in modo scomposto, fra i difensori della Tradizione, tradisce in realtà un rifiuto di portare pazientemente la croce che il Signore, nei Suoi disegni di imperscrutabile sapienza, ha posto sulle spalle della nostra generazione. Non ammettendo che la Provvidenza ritardi l’esaudimento dei loro desideri, per quanto legittimi, costoro si agitano e protestano nell’illusione di poter così accelerare i tempi; ma l’impazienza li rende sterili sul piano soprannaturale. Invece chi accetta umilmente di stare sotto il peso per tutto il tempo che Dio vorrà, paradossalmente, può alzare la testa con la giusta fierezza di chi, pur con tutte le sue debolezze, vuol sinceramente appartenere a Cristo e servirlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.

Stemus iuxta Crucem cum Maria Matre Iesu.

(A proposito di 11 Settembre: https://www.informarexresistere.fr/ground-zero-vero-significato/)

sabato 8 settembre 2018


Da cosa dipende il bene della Chiesa?



Coniungere Deo et sustine, ut crescat in novissimo vita tua (Sir 2, 3 Vulg.).

«Unisciti a Dio e sopporta, perché cresca alla fine la tua vita». Sublime sapienza dell’autore ispirato! È il Signore stesso che ci parla nella Sacra Scrittura, il nostro adorabile Maestro, che come Verbo eterno, prima di incarnarsi, si è espresso mediante i saggi e i profeti dell’antico Israele. Quanto sono opportune queste parole per il momento che stiamo vivendo! L’unica via per riuscire a sopportare la spaventosa prova che la nostra fede attraversa è approfondire l’unione con Dio, così che la vita soprannaturale si accresca in noi e nell’ultimo giorno sbocci nell’eternità. Se dunque, di fronte a parenti, amici e conoscenti, siete oppressi dalla vergogna per il desolante spettacolo che la Chiesa gerarchica sta offrendo al mondo, rifugiatevi nella preghiera e invocate lo Spirito Santo perché vi riveli la grazia dell’ora presente, nascosta in questa terribile sofferenza.

I santi Padri del deserto, così celebri per le durissime penitenze e le lunghissime preghiere con cui occupavano i giorni e le notti, erano convinti di non far nulla di più che osservare i Comandamenti. Eppure negli ultimi tempi – secondo le loro profezie – i cristiani che Dio avrebbe trovato provati, pur non essendo in grado di imitarli neanche lontanamente, sarebbero stati più grandi di loro, perché avrebbero dovuto combattere con l’Anticristo. Ecco dunque la grazia da riconoscere e ottenere: il Signore ci ha riservato una prova mai vista prima nella storia della Chiesa; chi, con il Suo aiuto, riuscirà a superarla acquisterà meriti enormi e un alto grado di santità. Bisogna tuttavia vincere la battaglia e, a tal fine, imparare a combattere bene.

A livello dottrinale, nemmeno la crisi ariana è paragonabile a ciò che stiamo vivendo noi. Nel IV secolo la cristianità si spaccò per un compromesso teologico che stava sì scardinando la fede, ma poté trarre in inganno la maggioranza per la sua apparenza innocua: nel tentativo di risolvere il conflitto scoppiato dopo la definizione del Concilio di Nicea, il Figlio fu definito homoioúsios (di sostanza simile) anziché homooúsios (della stessa sostanza) rispetto al Padre. Oggi, invece, è il cristianesimo stesso che stanno tentando di dissolvere in un umanesimo in ultima analisi ateo, in quanto di fatto antropocentrico e immanentistico. A livello morale, la corruzione morale del clero del Rinascimento, che offrì un ottimo pretesto alla rivolta di Lutero, non toccò affatto la dottrina; oggi, invece, stanno cercando di sovvertirla per giustificare i loro ripugnanti vizi contro natura.

Storicamente, dunque, non ci sono precedenti; ciò significa che a noi è toccato, nei piani divini, sopportare una prova del tutto inedita e che per noi il Signore ha preparato, oltre alle grazie necessarie per attraversarla, anche una gloria speciale in cielo, qualora la superiamo. Questo pensiero può non soltanto fornirci una forza interiore inesauribile, ma anche alimentare nei nostri cuori una giusta e umile fierezza, congiunta a compassione e misericordia per chi è confuso o non ha il coraggio di aprire gli occhi sulla tremenda realtà di una Chiesa che per troppo tempo si è cullata in un sogno irreale, la temibile illusione che bastassero a rinnovarla i bei discorsi e i cambiamenti esterni. Il risultato è lo sfacelo morale di clero e fedeli che è sotto i nostri occhi – e dal quale per pura grazia siamo stati preservati o tirati fuori… non dimentichiamolo.

Perfecto odio oderam illos (Sal 138, 22). L’odio perfetto di cui parla il Salmista non è quello del “cavaliere senza macchia e senza paura” (o di chi tale si investe da sé), pieno di supponenza e di altezzosa commiserazione per chi non è come lui, ma quello di un povero che si sa eternamente preceduto dalla grazia, instancabilmente perdonato da ogni peccato, indefettibilmente sostenuto da un amore tanto sorprendente quanto immeritato, pazientemente custodito e guidato da una sapienza inarrivabile dalle infinite risorse… L’odio perfetto non è dunque un movimento naturale dell’uomo peccatore, non ha nulla delle sue movenze carnali, è assolutamente puro dalla benché minima scoria di risentimento umano: esso procede unicamente dall’amore di Dio, da una carità temprata da dure e interminabili purificazioni, e detesta i Suoi nemici per il solo motivo che non rendono all’ineffabile Amante l’onore e l’obbedienza che Gli sono dovuti.

Con tale “odio” si può allora chiedere a Cristo che allontani chi Lo rappresenta indegnamente sulla terra o che lo convinca, anche con un segno di potenza, a farsi spontaneamente da parte per il bene della Chiesa e dell’anima sua, a meno che non si converta. Anch’io prego per questo, ma non mi associo al coro di chi ne reclama le dimissioni, per il semplice motivo che non voglio ulteriormente offuscare l’origine divina del ministero petrino – per quanto indegnamente esercitato – né ridurre ancor più l’immagine della Chiesa a quella di un’azienda. Non parliamo poi del fatto che potremmo involontariamente dare una mano proprio a quella casta di sodomiti e satanisti con cui “Francesco” è tanto misericordioso e che potrebbe approfittare della situazione per sbarazzarsi di uno strumento rivelatosi difficilmente gestibile onde sostituirlo con uno peggiore. La nostra battaglia non è contro esseri di carne e di sangue, ma contro i dominatori di questo mondo di tenebre (cf. Ef 6, 12); essa richiede quindi mezzi soprannaturali che non si riducano alle strategie umane, ma ottengano ad esse, qualora corrispondano ai piani celesti, un effetto che da sole non possono avere. Se qualcuno crede di più all’efficacia del suo attivismo che a quella della preghiera, non è né cattolico né tanto meno tradizionalista, ma un modernista travestito.

L’azione del cristiano deve essere ispirata dalla preghiera; ma la preghiera stessa, in certi casi, può trasformarsi in azione e innescare processi irreversibili. È per lo meno curioso che la denuncia di monsignor Viganò, resa pubblica il 26 agosto scorso, porti la data del 22, un anno esatto dopo l’atto con cui abbiamo chiesto al Cuore Immacolato di Maria di prendere possesso della Santa Sede. Con una domanda dettata dall’odio perfetto è lecito perfino chiedere a Dio di colpire qualcuno perché si ravveda, soprattutto se la sua ostinazione non lascia intravedere altre soluzioni, mette in pericolo la salvezza delle anime e attira severi castighi sia su di lui che sulla Chiesa. In tal modo la preghiera (che è sempre un’arma potente, benché in proporzione della purezza di cuore) diventa un atto di combattimento particolarmente aggressivo dalle conseguenze imprevedibili – in bene, ovviamente, cioè secondo la volontà divina. In questo caso, per essere adeguatamente protetti dalle ritorsioni del diavolo ed essere in grado di sopportarne gli assalti vendicativi, bisogna essere sufficientemente preparati e ricorrere ai mezzi della grazia: confessione, comunione, digiuno… Non si va in battaglia senza il necessario addestramento e l’equipaggiamento corrispondente, se non si vuole andare al massacro.

Il giovane David ci insegni a trovare il giusto equilibrio tra natura e grazia. Nella sua esperienza di pastore aveva imparato a usare bene la fionda e ad affrontare impavido orsi e leoni; la sua perizia gli permise di scegliere i ciottoli più adatti. Ma poi, ben consapevole dell’enorme sproporzione delle forze sul piano umano, prima di affrontare Golia si rivolse al Signore e lodò il suo Dio: Benedictus Dominus Deus meus, qui docet manus meas ad praelium, et digitos meos ad bellum (Sal 143, 1). Benedetto il Signore, mio Dio, che istruisce le mie mani per la battaglia e le mie dita per la guerra! Da piccoli David, mossi dall’odio perfetto, dobbiamo farci addestrare da Lui nella preghiera perché i ciottoli che lanciamo colpiscano l’obiettivo. Allora Colui che ci ha scelti per questa lotta immane ci darà la forza di combattere l’Anticristo, purché non demordiamo, assorbiti dall’agitazione umana, dall’impegno di cercare un’unione sempre più piena con Lui: «Per provocare un sussulto, dobbiamo in primo luogo reindirizzare la nostra vita interiore. La Chiesa dipende dalla purezza delle nostre anime» (Robert Sarah, Dio o niente, Siena 2015, 129).

Il Signore è vicino a tutti coloro che lo invocano, a tutti coloro che lo invocano in verità. Farà la volontà di coloro che lo temono, esaudirà la loro preghiera e li salverà (Sal 144, 18-19 Vulg.).

sabato 1 settembre 2018


«Fate voi il vostro giudizio»



Ancora una volta, la realtà ha superato l’immaginazione. Come osservavo nell’articolo precedente, la piaga di una parte del clero cattolico non è tanto la pedofilia, quanto la sodomia, sulla base della quale si sono intessute reti di potere, spesso rivali, che son giunte a occupare i vertici della Chiesa. Per singolare coincidenza, l’esplosiva rivelazione di monsignor Carlo Maria Viganò ha pienamente confermato ciò di cui, pur senza poterne fornire le prove, eravamo già ampiamente persuasi. L’alto prelato, da persona ben informata dei fatti per via degli incarichi ricoperti, ha di colpo scoperchiato il calderone. Benedetto XVI, dopo avergli affidato il riordino degli allegri conti del Governatorato, lo aveva precipitosamente spedito oltreoceano nel preciso intento – secondo la sua testimonianza – di fargli salva la vita. Egli stava in effetti disturbando una fitta rete di interessi sporchi che faceva capo nientemeno che al cardinal Bertone, denunciato al Pontefice da Viganò stesso in una lettera riservata che, come tante altre, era finita pubblicata da un giornalista nell’ambito del primo Vatileaks.

La fama di uomo integerrimo di cui l’arcivescovo gode in Vaticano non può essere offuscata dalle calunnie diffuse alcuni anni orsono nel corso di una faida familiare provocata, come spesso accade, da squallide dispute finanziarie. La credibilità delle sue accuse, al contrario, è rafforzata dal fatto che non hanno finora ricevuto alcuna smentita. Ben lungi dall’entrare nel merito dei fatti, la corte mediatica di Bergoglio, anziché concentrarsi sull’oggetto della denuncia, si è scatenata in illazioni del tutto infondate sulle presunte intenzioni dell’accusatore, preventivamente bollato come carrierista frustrato. Se “Francesco”, come asserito in aereo, voleva mettere alla prova la professionalità dei giornalisti, ne ha avuto senz’altro una prova lampante, se per professionalità intende una smaccata piaggeria che trova equivalenti storici soltanto nel regime sovietico.

L’orripilante realtà che denunciamo da anni è infine venuta alla luce del sole: nel cuore del governo universale della Chiesa Cattolica il marcio è così esteso da aver creato un sistema, al punto che gli ultimi tre Segretari di Stato hanno favorito e protetto chierici indegni per le loro perversioni. L’atto d’accusa dell’ex-nunzio apostolico negli Stati Uniti, tuttavia, punta dritto al culmine: il papa della tolleranza zero sarebbe stato al corrente di tutto, ma non avrebbe fatto un bel niente per sanare questa orrenda situazione, disattendendo così clamorosamente le proprie ineludibili responsabilità di supremo Pastore; al contrario, com’è risaputo, ha continuato a promuovere dei sodomiti ad alte funzioni. Quanto alle sanzioni comminate dal suo predecessore al predatore di Washington, in realtà non se ne conosce l’effettiva portata; in ogni caso, sembra che quest’ultimo non le abbia mai prese molto sul serio, visto che, al posto di un Ratzinger di fatto completamente esautorato, chi realmente comandava era l’amico Bertone.

Una risposta da Bergoglio e da tutta la casta che lo circonda, ad ogni modo, sarebbe quanto meno doverosa. Il dittatore di bianco vestito, invece, di solito tanto loquace quanto imprudente in materie delicatissime di dottrina e di morale, replica imbarazzato a una domanda relativa al caso Viganò di non voler rispondere nulla, ma di lasciare ai giornalisti facoltà di giudicare. Paradossale: la suprema autorità morale e spirituale della terra, cinque anni fa, si era dichiarata incompetente – in risposta a una precisa domanda concernente il prelato dello IOR da lui nominato – a esprimere un giudizio sull’omosessualità, censurando unicamente la tendenza a formare delle lobby. Ora, come vogliamo chiamare la realtà denunciata dall’ex-nunzio? Se non ci piacciono gli anglicismi e preferiamo un termine nostrano, potremmo parlare di mafia, se ciò non fosse offensivo per i mafiosi, i quali se non altro, a differenza di quelli, sono uomini a tutti gli effetti. C’è chi, vivendo sulla Luna, crede ancora che l’arcivescovo di Buenos Aires, prima di trasferirsi a Roma, fosse completamente all’oscuro dell’ambientino che vi avrebbe trovato?

A dispetto delle ripetute rampogne contro la mondanità e la sete di potere, in realtà, egli è un buon amico di prelati corrotti, al punto che li ha promossi (come Ricca, Barros, Farrell, Peña Barra e Krajewski) o lasciati prosperare (come Mac Carrick, che ha reso un ottimo servizio nel far virare l’episcopato americano verso posizioni liberal e nel preparare la sua elezione a papa). Essi, se prima già imperversavano impunemente, ora si sentono anche legittimati a livello ideologico, seppure con una certa inquietudine causata non tanto dai rischi connessi al loro vizio, quanto dagli imprevedibili umori di un capo psichicamente instabile che detiene un’abilità luciferina nel tenerli tutti sulla corda. I suoi squilibri, così come la sua scarsa cultura, erano evidenti già ai suoi professori, all’epoca della sua formazione; tuttavia quelli che han puntato su di lui per innescare nella Chiesa Cattolica una “primavera” in senso progressista hanno ritenuto, evidentemente, che fosse l’uomo giusto per conseguire il loro fine: trasformarla in un gran carrozzone amorfo a cui si può appartenere senza alcuna condizione – cioè senza aderire a dogmi o a norme morali – in quanto destinato a dissolversi in un’unica religione universale serva del nuovo ordine mondiale.

Non si spiega diversamente l’apparente contraddizione tra le parole e gli atti del “riformatore”: la corruzione morale del clero, nonostante tutti gli scandali che ne sono derivati, non è stata né curata né punita, ma anzi incoraggiata e promossa, proprio perché la Chiesa, così come è stata finora, deve sparire; il marciume che hanno lasciato accumularsi al suo interno è funzionale alla distruzione delle sue strutture portanti, il sacerdozio e la gerarchia. Sintomatica, a questo proposito, è la ridicola valutazione espressa da Bergoglio circa gli abusi sessuali: la loro causa sarebbe non l’omosessualità dei preti, ma il clericalismo… Questa ostinata volontà di negare l’evidenza sarebbe patetica se non risultasse gravemente colpevole, di fronte alle gravissime inadempienze di cui non può in alcun modo giustificarsi, tanto da preferire il silenzio.

Ma in questo modo è la costituzione divina del Corpo mistico che vogliono alterare: nella “chiesa” del futuro gli elementi di appartenenza ritenuti indispensabili perfino dalla Lumen gentium (cioè l’adesione alla dottrina di fede, la ricezione dei Sacramenti e la comunione gerarchica) dovranno essere del tutto irrilevanti, come dimostra in modo inconfutabile un video girato dai pentecostali a testimonianza dei passi compiuti da “Francesco” verso un’unità intesa come diversità riconciliata. Per inciso, si tratta proprio di quegli ultrasionisti che sognan la ricostruzione del tempio salomonico e che, ogni anno, fanno apostatare milioni di cattolici in ogni parte del mondo; in diversi Paesi dell’America Latina, inviati dal governo statunitense a praticarvi un proselitismo selvaggio almeno fin dagli anni ’50, han quasi dimezzato i fedeli.

Il breve filmato – non disponibile sulla Rete in quanto diffuso in circuito chiuso – mostra i momenti salienti della sua visita a Caserta del 28 luglio 2014 nonché di una visita resagli in Vaticano da un centinaio di dirigenti di altrettante “chiese” indipendenti (!). Le parole che il Vescovo di Roma rivolge loro esprimono in modo inequivocabile l’intenzione di pervenire ad una forma di unione che non si fondi più sulla funzione petrina e sulla successione apostolica, ma sul mutuo riconoscimento di un “ministero” puramente nominale centrato sull’annuncio della parola, in un reciproco “rispetto” delle rispettive credenze che renderebbe la verità del tutto indifferente.

Come già accaduto a Buenos Aires, poi, Bergoglio si sottopone a una “benedizione” da parte di laici il cui stesso battesimo, fra l’altro, è dubbio, in quanto non è affatto chiaro, nei gruppi pentecostali, se riconoscano o meno la Trinità e la divinità di Cristo. Essi però plaudono entusiasti a tal genere di eventi, considerati prodromi di un’èra escatologica in cui finalmente si realizzerà l’unità auspicata dal Maestro… Verrebbe da chiedersi come potrebbero accordarsi circa il trattamento della sodomia, visto che se non altro i pentecostali, attenendosi in questo caso fedelmente alla Scrittura, la rigettano con durezza; ma questo tipo di contraddizioni può disturbare unicamente la mente sclerotica di un integralista cattolico, non certo quella di chi si allea col nemico nell’intento di affondare la Chiesa dall’interno.

Ora, se a qualcuno di voi venisse voglia di imbracciare un kalashnikov per fare un po’ di pulizia fra tutta questa bella gente, non posso fare altro che raccomandargli, ancora una volta, la moderazione. Un primo motivo è che l’acrimonia avvelena anzitutto noi e quelli che ci ascoltano, mentre rafforza la posizione di quei signori gettando discredito sui loro oppositori. Un’altra ragione è che non tocca a noi far giustizia: non abbiamo né il compito né la responsabilità se non di pregare, riparare e cercar di convincere i meno refrattari, ognuno nel posto in cui il Signore l’ha messo. Non dimentichiamo poi che, nel reclamare le dimissioni di chi dovrebbe rappresentare Cristo, si rischia di favorire la visione modernista e secolarizzata della Chiesa come di una qualsiasi società umana.

Sarà Lui a rimuovere il tumore, magari servendosi, come causa strumentale, di qualche integralista islamico: sia la storia biblica che quella cristiana insegnano che Dio sceglie chi vuole per castigare i Suoi servi infedeli. Possiamo quindi sollecitare il Suo intervento in questo senso; così un povero prete in tonaca, in occasione dell’ultimo concistoro pubblico, ha pensato bene di intrufolarsi in San Pietro eludendo come per incanto tutti i controlli, nonostante fosse sprovvisto di biglietto, fino a giungere dietro l’altare della Confessione, da dove, avendo di fronte a sé il Sacro Collegio e la Curia Romana al completo, ha sommessamente pronunciato una maledizione contro quanti alterano la dottrina e sono causa di scandalo. Effunde super eos iram tuam, et furor irae tuae comprehendat eos. Deleantur de libro viventium, et cum iustis non scribantur (Sal 68, 25.29)…

Quanto al dovere della denuncia e dell’intervento, chi ne porta il peso maggiore sta più in alto di noi. C’è sì un cardinale che sarebbe pronto a dichiarare Bergoglio decaduto per eresia e a convocare un nuovo conclave, ma è da solo; finché non gli si associa qualcun altro, quindi, non può nulla. Sono però convinto che le nostre preghiere non restino inascoltate: è iniziato un terremoto che non potrà rimanere senza effetto. Visto allora che l’uomo di Santa Marta ha delegato ad altri la facoltà di giudicare il caso presente, ben volentieri ce ne avvaliamo per gridargli in coro per il suo stesso bene: «Rispondi una buona volta! Per la salvezza dell’anima tua!». Ma vi scongiuro di nuovo: non perdete la pace indulgendo a quell’animosità che inquina le cause più sacre di fattori carnali, cioè di origine psicologica anziché soprannaturale.

Non rifiutiamo dunque le purificazioni che il Cielo dispone per il nostro progresso spirituale: senza la purezza di cuore e d’intenzione, che ci impedisce di riversare su facili bersagli il nostro personale malessere, non possiamo resistere a questa tremenda prova, che richiede un alto grado di unione con Cristo in una nuda fede nei Suoi infallibili disegni, né siamo in condizione di servire il Regno di Dio nell’attuale congiuntura, ma rischiamo di squalificare la nostra battaglia dando ragione ai nostri avversari. Oggi la Chiesa ha più che mai bisogno di santi, piuttosto che di polemisti; ma in spirito di obbedienza, come ci è stato richiesto, abbiamo fatto il nostro giudizio.

Chi è senza timore non potrà esser giustificato; infatti l’iracondia della sua animosità lo stravolge. L’uomo paziente sopporterà per un certo tempo, dopo il quale gli sarà resa la gioia. Sopporta ciò che Dio ti fa sopportare, unisciti a Dio e sopporta, perché cresca alla fine la tua vita (Sir 1, 28-29; 2, 3 Vulg.).