Abusi del clero:
negligenza, complicità, ideologia
Dopo
la sospensione del cardinal Mac Carrick e la messa in stato d’accusa di
trecento preti nella sola Pennsylvania, si ode da più parti ripetere che la
Chiesa Cattolica non avrebbe fatto abbastanza per combattere la pedofilia nei
suoi ministri. Uno sguardo più approfondito dimostra però che tale affermazione
è estremamente inadeguata sotto molteplici aspetti. Una prima precisazione si
impone a livello terminologico: generalmente non si tratta propriamente di
pedofilia (comportamento spesso patologico le cui vittime sono bambini al di
sotto della pubertà), ma piuttosto di pederastia, cioè di una condotta sessuale
viziosa che coinvolge soggetti maturi dal punto di vista genitale e non è
altro, fondamentalmente, che una variante dell’omofilia. Come ha di recente
messo in rilievo il cardinal Burke, il vero problema, nel nostro caso, è quello
della sodomia nel clero, che si può estendere anche ai minorenni.
Che
un ministro di Dio usi la sua influenza per sedurre adolescenti,
traumatizzandoli in modo a volte irreversibile, anziché per condurli al Signore
con la parola e con l’esempio, è un fatto di una gravità inaudita che provoca
giustamente uno scandalo accecante nei fedeli, specie in quelli che con fiducia
hanno affidato a un sacerdote i propri figli per la loro formazione cristiana.
Sarebbe però un’ipocrisia inescusabile essere indulgenti con persone che
praticano l’omosessualità e scagliarsi al tempo stesso contro quelle che, nel
farlo, violano un limite di età fissato dalla legge. Qualsiasi atto impuro tra
individui dello stesso sesso è gravemente disordinato e peccaminoso in quanto
contrario alla natura umana e alla legge divina. È pertanto assurdo ammettere
una cosa e insieme pretendere di essere inflessibili con l’altra: chi
giustifica la sodomia incentiva inevitabilmente la pederastia. Non bisogna
dimenticare, poi, che chi ha ricevuto l’Ordine sacro e celebra il divino
Sacrificio è tenuto alla continenza perfetta: prima e più delle vittime umane,
quindi, è il Signore stesso che è orrendamente oltraggiato in modo sacrilego
dai Suoi stessi ministri infedeli.
L’unico
che abbia tentato di intervenire in modo efficace in questo campo è stato
Benedetto XVI, ma sappiamo come è andata a finire. Al di là dei singoli
scandali scoppiati negli ultimi tre decenni, è ormai evidente che non si tratti
di fenomeni sporadici o isolati, ma di un’immensa cancrena che è dilagata nel
clero cattolico. Non ci si può nascondere dietro un dito protestando, statistiche
alla mano, che tutto sommato la percentuale dei preti corrotti – per quanto è
dato sapere – è piuttosto ridotta rispetto alla totalità. La sfida maggiore è
il fatto che essi, negli anni, hanno formato vere e proprie reti di complicità
e consorterie di mutuo sostegno che hanno assicurato a tutti protezioni e
coperture, a molti carriere fulminanti rese possibili da amicizie o da ricatti,
fino a piazzarli nei gangli vitali della gerarchia ecclesiastica. Tanti vescovi,
quindi, sono negligenti nel trattare gli abusi su minori perpetrati da membri
del loro clero o perché si sentono impotenti nei confronti di preti
“intoccabili”, o perché hanno anch’essi la coscienza poco pulita.
Ma
neppure queste osservazioni bastano a spiegare adeguatamente la spaventosa
decadenza di cui siamo testimoni. Tale fenomeno ha profonde radici ideologiche,
senza le quali non si sarebbe mai prodotto. Una Chiesa aperta al mondo, in cui si è completamente persa di vista la santità
dello stato sacerdotale con le strette esigenze morali che ne derivano e la
prassi ascetica che esso impone, dopo la presunta “liberazione” del ’68 non ha
resistito a quel clima generale di ossessione sessuale da cui, evidentemente,
non sono andati esenti i candidati al sacro ministero. Essi, lasciati in balìa
dei propri disordini e di un ambiente sociale totalmente avverso senza la
benché minima educazione pratica e teorica alla castità, sono stati molto
spesso risucchiati in un vortice di impurità fin dal seminario, scambiato da
certuni per una “riserva di caccia”…
Volendo
ulteriormente sviscerare il problema, tuttavia, non si possono trascurare –
come mi faceva notare un amico parroco a cui devo le osservazioni che seguono – dei fattori ancora più interni alla
Chiesa, legati ai cambiamenti dottrinali e liturgici seguiti all’ultimo
concilio. Nella teologia del matrimonio, per cominciare, è stato mutato
l’ordine dei suoi due fini: quello primario, la procreazione (che mira a
completare il Corpo mistico di Cristo fornendogli i membri) e quello
secondario, l’unione degli sposi e il loro reciproco aiuto (che sono un bene necessario
per la pace della famiglia e l’armoniosa crescita dei figli). Il recupero del
valore del corpo e delle sue funzioni, pur sembrando animato dalle migliori
intenzioni, a lungo andare ha causato un’inversione di quest’ordine stabilito
da Dio: il dovere della procreazione ha ceduto il posto – con tutte le
conseguenze, fra l’altro, sulla natalità – a un ideale di unione sponsale né
santo né realistico, in cui si tende a ridurre il matrimonio all’atto coniugale
e ci si illude che la coesione tra gli sposi, realtà morale e spirituale che
esige una radicale rinuncia a sé stessi, possa trarre vantaggio da un atto
fisico, nel quale oltretutto, anche tra battezzati, rimane pur sempre una
buona dose di egoistica concupiscenza.
Questa
ottimistica “teologia” dell’atto coniugale, disgiungendo il fine unitivo da
quello procreativo, ha avuto una serie di conseguenze nefaste. Innanzitutto,
essa ha suo malgrado invogliato il ricorso alla contraccezione o, per lo meno,
a un uso dei metodi naturali a scopo anticoncezionale, in nome di una paternità responsabile nella quale, nel
mettere al mondo i figli, valutazioni puramente umane prevalgono sull’obbedienza
alla volontà di Dio e sull’abbandono alla Provvidenza (che non degrada gli
uomini a conigli…). Poi la “mistica” dell’unione fisica ha insinuato, riguardo
ai rapporti sessuali nel contesto di convivenze illegittime, l’accusa secondo
cui l’astensione richiesta per poter accedere di nuovo ai Sacramenti sarebbe
non solo difficile, ma addirittura dannosa a una relazione intesa come un bene
assoluto, quando invece, al di fuori del matrimonio, è intrinsecamente un male.
Al culmine della parabola, l’errata visione di commerci sessuali come fattore
di comunione tra persone a prescindere dal fine procreativo è stata applicata a
qualsiasi tipo di intimità, compresa quella contro natura, che rappresenta
invece la ricerca di sé portata all’estremo.
Il
matrimonio cristiano, inoltre, è stato sempre inteso dalla Tradizione, sulla
base dell’insegnamento dell’Apostolo (cf. Ef 5, 22ss), come simbolo dell’unione
di Cristo con la Chiesa e trova perciò in essa il proprio modello di
riferimento. Negli ultimi decenni, invece, una certa teologia novatrice ha
operato uno slittamento da questo inquadramento cristologico-ecclesiologico a
uno di tipo trinitario, in virtù del quale le relazioni umane dovrebbero
riprodurre quelle tra le Persone divine. A parte la debolezza intellettualistica
e lo scarso realismo che vizia tale impostazione, non si può fare a meno di
osservare un errore di fondo: mentre gli esseri umani sono individui finiti che
sussistono per se, le Persone della
santissima Trinità sono relazioni sussistenti che hanno in comune la stessa sostanza
e differiscono unicamente nel modo di possederla. In altre parole, il termine persona, riferito a Dio o all’uomo, non
ha lo stesso significato, ma è usato in senso analogico. Padre, Figlio e
Spirito Santo si scambiano continuamente e totalmente il loro essere unico e
indivisibile, cosa che è impossibile all’uomo, creatura composta di spirito e
materia.
La
Chiesa, come Sposa di Cristo, partecipa certamente, in Lui, allo scambio
d’amore trinitario, ma le relazioni tra i suoi membri non potranno mai riprodurlo
perfettamente, anche perché – specie quelle vissute nel matrimonio – sono legate
alla vita terrena e nell’altra saranno superate. Noi possiamo imitare il Verbo
in quanto ha assunto la nostra stessa natura, non già le Persone divine in sé
stesse. Certe sedicenti “teologhe” d’avanguardia, invece, giungono al punto di “canonizzare”
la sodomia come un genere di fusione amorosa che, a lor dire, si avvicinerebbe
di più all’amore divino perché “libero” dall’interesse della procreazione e
quindi più “gratuito”… L’oscuramento della ragione e la perversione della fede
giungono qui a esiti sacrileghi e blasfemi che non risparmiano più nemmeno la
Trinità santissima.
Contemporaneamente
– se tutto ciò non bastasse – la cosiddetta riforma liturgica ha gradualmente
capovolto il culto di Dio in culto dell’uomo, mentre la svolta antropologica ha snaturato la teologia in fenomenologia
religiosa. Perso di vista il primato divino e messo al centro l’essere umano, è
andata perduta anche la fede, non solo nel popolo, ma soprattutto in moltissimi
ministri. Ora, come insegna san Paolo, è proprio per il mancato riconoscimento
del Creatore a partire dalle Sue opere che Dio ha abbandonato i pagani
all’impurità e a passioni infami, in balìa di un’intelligenza depravata che li
spinge ai vizi più indegni (cf. Rm 1, 18ss). Un prete che non dia più alcun
indizio (come il senso dell’onore dovutogli e il giusto timore nei Suoi
confronti) di fede genuina in Colui che retribuisce infallibilmente ogni cosa,
in bene o in male, sarà incapace di resistere alle tentazioni che, nel mondo
attuale, lo assediano da ogni parte, finanche sul telefono; ma il vero problema
è che, probabilmente, non crede più in nulla, se non nella “bella vita”.
Ora
tirate la somma di tutti questi fattori e vi renderete conto che il risultato
non potrebbe essere diverso. Ma che si abbia l’impudenza di trasformare un
incontro mondiale di famiglie cattoliche in un podio per propagandare unioni
sodomitiche, fingendo al contempo di esprimere solidarietà alle vittime di
abusi, è non soltanto una manifestazione eclatante di insultante ipocrisia, ma
anche un atto di gravità criminale, in quanto incoraggia gli abusi stessi. È
giusto, quindi, che in Irlanda ci siano proteste almeno pari a quelle del Cile.
È un bene che l’enorme bubbone scoppi del tutto, perché la Chiesa terrena deve
spurgare tutta la putredine che si è accumulata al suo interno; ma non oso
pensare al castigo che attende la gerarchia corrotta. Rifugiamoci pertanto nel
Cuore Immacolato di Maria per essere preservati dal suo terribile urto e
prepariamoci a ripartire – quando vorrà il Signore – in modo nuovo, liberi di seguire
il santo Vangelo senza incertezze e sotto la guida di Pastori santi, piuttosto
che di mercenari che lo deformano per giustificare i propri vizi.