Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 25 agosto 2018


Abusi del clero: negligenza, complicità, ideologia



Dopo la sospensione del cardinal Mac Carrick e la messa in stato d’accusa di trecento preti nella sola Pennsylvania, si ode da più parti ripetere che la Chiesa Cattolica non avrebbe fatto abbastanza per combattere la pedofilia nei suoi ministri. Uno sguardo più approfondito dimostra però che tale affermazione è estremamente inadeguata sotto molteplici aspetti. Una prima precisazione si impone a livello terminologico: generalmente non si tratta propriamente di pedofilia (comportamento spesso patologico le cui vittime sono bambini al di sotto della pubertà), ma piuttosto di pederastia, cioè di una condotta sessuale viziosa che coinvolge soggetti maturi dal punto di vista genitale e non è altro, fondamentalmente, che una variante dell’omofilia. Come ha di recente messo in rilievo il cardinal Burke, il vero problema, nel nostro caso, è quello della sodomia nel clero, che si può estendere anche ai minorenni.

Che un ministro di Dio usi la sua influenza per sedurre adolescenti, traumatizzandoli in modo a volte irreversibile, anziché per condurli al Signore con la parola e con l’esempio, è un fatto di una gravità inaudita che provoca giustamente uno scandalo accecante nei fedeli, specie in quelli che con fiducia hanno affidato a un sacerdote i propri figli per la loro formazione cristiana. Sarebbe però un’ipocrisia inescusabile essere indulgenti con persone che praticano l’omosessualità e scagliarsi al tempo stesso contro quelle che, nel farlo, violano un limite di età fissato dalla legge. Qualsiasi atto impuro tra individui dello stesso sesso è gravemente disordinato e peccaminoso in quanto contrario alla natura umana e alla legge divina. È pertanto assurdo ammettere una cosa e insieme pretendere di essere inflessibili con l’altra: chi giustifica la sodomia incentiva inevitabilmente la pederastia. Non bisogna dimenticare, poi, che chi ha ricevuto l’Ordine sacro e celebra il divino Sacrificio è tenuto alla continenza perfetta: prima e più delle vittime umane, quindi, è il Signore stesso che è orrendamente oltraggiato in modo sacrilego dai Suoi stessi ministri infedeli.

L’unico che abbia tentato di intervenire in modo efficace in questo campo è stato Benedetto XVI, ma sappiamo come è andata a finire. Al di là dei singoli scandali scoppiati negli ultimi tre decenni, è ormai evidente che non si tratti di fenomeni sporadici o isolati, ma di un’immensa cancrena che è dilagata nel clero cattolico. Non ci si può nascondere dietro un dito protestando, statistiche alla mano, che tutto sommato la percentuale dei preti corrotti – per quanto è dato sapere – è piuttosto ridotta rispetto alla totalità. La sfida maggiore è il fatto che essi, negli anni, hanno formato vere e proprie reti di complicità e consorterie di mutuo sostegno che hanno assicurato a tutti protezioni e coperture, a molti carriere fulminanti rese possibili da amicizie o da ricatti, fino a piazzarli nei gangli vitali della gerarchia ecclesiastica. Tanti vescovi, quindi, sono negligenti nel trattare gli abusi su minori perpetrati da membri del loro clero o perché si sentono impotenti nei confronti di preti “intoccabili”, o perché hanno anch’essi la coscienza poco pulita.

Ma neppure queste osservazioni bastano a spiegare adeguatamente la spaventosa decadenza di cui siamo testimoni. Tale fenomeno ha profonde radici ideologiche, senza le quali non si sarebbe mai prodotto. Una Chiesa aperta al mondo, in cui si è completamente persa di vista la santità dello stato sacerdotale con le strette esigenze morali che ne derivano e la prassi ascetica che esso impone, dopo la presunta “liberazione” del ’68 non ha resistito a quel clima generale di ossessione sessuale da cui, evidentemente, non sono andati esenti i candidati al sacro ministero. Essi, lasciati in balìa dei propri disordini e di un ambiente sociale totalmente avverso senza la benché minima educazione pratica e teorica alla castità, sono stati molto spesso risucchiati in un vortice di impurità fin dal seminario, scambiato da certuni per una “riserva di caccia”…

Volendo ulteriormente sviscerare il problema, tuttavia, non si possono trascurare – come mi faceva notare un amico parroco a cui devo le osservazioni che seguono – dei fattori ancora più interni alla Chiesa, legati ai cambiamenti dottrinali e liturgici seguiti all’ultimo concilio. Nella teologia del matrimonio, per cominciare, è stato mutato l’ordine dei suoi due fini: quello primario, la procreazione (che mira a completare il Corpo mistico di Cristo fornendogli i membri) e quello secondario, l’unione degli sposi e il loro reciproco aiuto (che sono un bene necessario per la pace della famiglia e l’armoniosa crescita dei figli). Il recupero del valore del corpo e delle sue funzioni, pur sembrando animato dalle migliori intenzioni, a lungo andare ha causato un’inversione di quest’ordine stabilito da Dio: il dovere della procreazione ha ceduto il posto – con tutte le conseguenze, fra l’altro, sulla natalità – a un ideale di unione sponsale né santo né realistico, in cui si tende a ridurre il matrimonio all’atto coniugale e ci si illude che la coesione tra gli sposi, realtà morale e spirituale che esige una radicale rinuncia a sé stessi, possa trarre vantaggio da un atto fisico, nel quale oltretutto, anche tra battezzati, rimane pur sempre una buona dose di egoistica concupiscenza.

Questa ottimistica “teologia” dell’atto coniugale, disgiungendo il fine unitivo da quello procreativo, ha avuto una serie di conseguenze nefaste. Innanzitutto, essa ha suo malgrado invogliato il ricorso alla contraccezione o, per lo meno, a un uso dei metodi naturali a scopo anticoncezionale, in nome di una paternità responsabile nella quale, nel mettere al mondo i figli, valutazioni puramente umane prevalgono sull’obbedienza alla volontà di Dio e sull’abbandono alla Provvidenza (che non degrada gli uomini a conigli…). Poi la “mistica” dell’unione fisica ha insinuato, riguardo ai rapporti sessuali nel contesto di convivenze illegittime, l’accusa secondo cui l’astensione richiesta per poter accedere di nuovo ai Sacramenti sarebbe non solo difficile, ma addirittura dannosa a una relazione intesa come un bene assoluto, quando invece, al di fuori del matrimonio, è intrinsecamente un male. Al culmine della parabola, l’errata visione di commerci sessuali come fattore di comunione tra persone a prescindere dal fine procreativo è stata applicata a qualsiasi tipo di intimità, compresa quella contro natura, che rappresenta invece la ricerca di sé portata all’estremo.

Il matrimonio cristiano, inoltre, è stato sempre inteso dalla Tradizione, sulla base dell’insegnamento dell’Apostolo (cf. Ef 5, 22ss), come simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa e trova perciò in essa il proprio modello di riferimento. Negli ultimi decenni, invece, una certa teologia novatrice ha operato uno slittamento da questo inquadramento cristologico-ecclesiologico a uno di tipo trinitario, in virtù del quale le relazioni umane dovrebbero riprodurre quelle tra le Persone divine. A parte la debolezza intellettualistica e lo scarso realismo che vizia tale impostazione, non si può fare a meno di osservare un errore di fondo: mentre gli esseri umani sono individui finiti che sussistono per se, le Persone della santissima Trinità sono relazioni sussistenti che hanno in comune la stessa sostanza e differiscono unicamente nel modo di possederla. In altre parole, il termine persona, riferito a Dio o all’uomo, non ha lo stesso significato, ma è usato in senso analogico. Padre, Figlio e Spirito Santo si scambiano continuamente e totalmente il loro essere unico e indivisibile, cosa che è impossibile all’uomo, creatura composta di spirito e materia.

La Chiesa, come Sposa di Cristo, partecipa certamente, in Lui, allo scambio d’amore trinitario, ma le relazioni tra i suoi membri non potranno mai riprodurlo perfettamente, anche perché – specie quelle vissute nel matrimonio – sono legate alla vita terrena e nell’altra saranno superate. Noi possiamo imitare il Verbo in quanto ha assunto la nostra stessa natura, non già le Persone divine in sé stesse. Certe sedicenti “teologhe” d’avanguardia, invece, giungono al punto di “canonizzare” la sodomia come un genere di fusione amorosa che, a lor dire, si avvicinerebbe di più all’amore divino perché “libero” dall’interesse della procreazione e quindi più “gratuito”… L’oscuramento della ragione e la perversione della fede giungono qui a esiti sacrileghi e blasfemi che non risparmiano più nemmeno la Trinità santissima.

Contemporaneamente – se tutto ciò non bastasse – la cosiddetta riforma liturgica ha gradualmente capovolto il culto di Dio in culto dell’uomo, mentre la svolta antropologica ha snaturato la teologia in fenomenologia religiosa. Perso di vista il primato divino e messo al centro l’essere umano, è andata perduta anche la fede, non solo nel popolo, ma soprattutto in moltissimi ministri. Ora, come insegna san Paolo, è proprio per il mancato riconoscimento del Creatore a partire dalle Sue opere che Dio ha abbandonato i pagani all’impurità e a passioni infami, in balìa di un’intelligenza depravata che li spinge ai vizi più indegni (cf. Rm 1, 18ss). Un prete che non dia più alcun indizio (come il senso dell’onore dovutogli e il giusto timore nei Suoi confronti) di fede genuina in Colui che retribuisce infallibilmente ogni cosa, in bene o in male, sarà incapace di resistere alle tentazioni che, nel mondo attuale, lo assediano da ogni parte, finanche sul telefono; ma il vero problema è che, probabilmente, non crede più in nulla, se non nella “bella vita”.

Ora tirate la somma di tutti questi fattori e vi renderete conto che il risultato non potrebbe essere diverso. Ma che si abbia l’impudenza di trasformare un incontro mondiale di famiglie cattoliche in un podio per propagandare unioni sodomitiche, fingendo al contempo di esprimere solidarietà alle vittime di abusi, è non soltanto una manifestazione eclatante di insultante ipocrisia, ma anche un atto di gravità criminale, in quanto incoraggia gli abusi stessi. È giusto, quindi, che in Irlanda ci siano proteste almeno pari a quelle del Cile. È un bene che l’enorme bubbone scoppi del tutto, perché la Chiesa terrena deve spurgare tutta la putredine che si è accumulata al suo interno; ma non oso pensare al castigo che attende la gerarchia corrotta. Rifugiamoci pertanto nel Cuore Immacolato di Maria per essere preservati dal suo terribile urto e prepariamoci a ripartire – quando vorrà il Signore – in modo nuovo, liberi di seguire il santo Vangelo senza incertezze e sotto la guida di Pastori santi, piuttosto che di mercenari che lo deformano per giustificare i propri vizi.

sabato 18 agosto 2018


Con Maria e Giovanni sotto la Croce



Ci sono momenti della storia in cui Dio chiede ai cristiani di stare semplicemente sul Calvario, senza fuggire, ma anche senza ribellarsi. La Madre addolorata e il Discepolo prediletto furono quasi gli unici ad accompagnare il Maestro fino al supplizio e a condividerlo, ciascuno a modo suo. Non lo abbandonarono per paura, come gli altri Apostoli, ma nemmeno ebbero la folle idea di risolvere il problema con mezzi umani, magari organizzando una rivolta. Non si scagliarono con parole cariche di odio né contro i Romani né contro il Sinedrio, ma riconobbero con fede lacerante il piano divino di salvezza. In questo la Corredentrice aiutò sicuramente l’adolescente Giovanni, soprannominato dal Signore figlio del tuono per il temperamento focoso che condivideva con il fratello Giacomo, ad apprendere la misteriosa scienza delle vie celesti e ad abbandonarsi alla volontà superna, pur senza comprenderla appieno. Qualcuno oserebbe accusarli di colpevole indolenza o, peggio, di codarda acquiescenza al male?

Da qualche tempo, all’interno della resistenza cattolica, si odono da più parti voci scomposte che, a suon di feroci critiche spinte fino agli insulti, si attaccano reciprocamente in nome di una pretesa coerenza che, di fatto, dilania il piccolo gregge fedele, piuttosto che compattarlo. Chi si sforza di mantenersi al sicuro nella torre d’avorio del Cuore Immacolato di Maria non se ne lascia nemmeno sfiorare, ma si dà comunque pensiero per le pecorelle esasperate che, nel loro disorientamento, sono tentate di acconsentire a quelle grida e di lasciarsi andare allo spirito di ribellione. Tale premura non è certo dettata dal desiderio di ottenere o conservare un posticino sicuro nei quadri ecclesiastici, ma dall’intento di curare il bene reale delle anime, che in questa gran confusione potrebbero scambiare facilmente l’astio per zelo, la superbia per intransigenza, l’impazienza per ardore…

Naturalmente – lo ribadisco ancora una volta – non vi sto invitando a demordere dall’impegno attivo, bensì a collocarlo in un’adeguata visione soprannaturale che lo renda soprannaturalmente fecondo. Il Signore ha stabilito che tutto il Suo mistico Corpo sperimenti la Passione del Capo per giungere a perfezione. Questa verità può spaventarci sul piano umano, ma, dopo l’iniziale senso di sgomento, va assimilata dalle anime ben disposte perché con il sostegno della grazia, scevre da ogni cedimento al fatalismo, possano sostenere la prova e aiutare altri a farlo. Se questo non è un modo fruttuoso di collaborare con la Provvidenza, lo è forse l’agitarci sbraitando come se da noi soli dipendesse qualcosa? Chi cerca le scorciatoie, oltre a rischiare di separarsi dalla Chiesa, è sospetto di non avere abbastanza fede nell’onnipotente signoria di Cristo.

Sotto la Croce, Maria santissima ha cooperato in modo essenziale alla redenzione del genere umano offrendo al Padre il frutto del suo seno e offrendosi con Lui in un unico olocausto d’amore. La comunione nella suprema intenzione salvifica e la fusione delle Sue sofferenze con quelle del Figlio non avrebbero potuto essere più piene e perfette, non soltanto per lo strettissimo legame materno sul piano naturale, ma soprattutto per l’insuperabile corrispondenza spirituale su quello soprannaturale: è l’arctissima coniunctio affermata dal venerabile Pio XII (cf. Enciclica Mystici Corporis, alla fine) sulla scia del beato Pio IX (cf. Bolla Ineffabilis Deus). Che cosa potremmo fare di più efficace per la Chiesa che lasciarci insegnare da Lei, come l’apostolo Giovanni, ad associare le nostre fatiche e afflizioni alla Passione del Verbo incarnato per la sua purificazione e il suo vero rinnovamento nella santità? Ma questo non è neanche pensabile senza una profonda e provata umiltà, ben lontana da quell’indocile rabbia che si risolve in sfiducia e frustrazione.

Il 22 agosto, nel calendario tradizionale, si celebra la solennità del Cuore Immacolato di Maria, il cui vangelo presenta proprio la scena del Calvario a cui ci riferiamo. Un anno fa, nella basilica di San Pietro, Gli abbiamo consacrato la Santa Sede ricorrendo all’autorità di Colei a cui ci siamo noi stessi consacrati. Non presumiamo certo che i nostri atti valgano qualcosa di per sé, ma confidiamo nell’amore con cui la nostra Madre celeste li raccoglie e utilizza – specie qualora sia stata Lei a ispirarli – conferendo ad essi un’efficacia che non proviene da noi, ma dal tesoro di grazie di cui dispone in quanto Regina. Da allora, per curiosa “coincidenza”, si è verificata una serie di eventi che hanno fatto scricchiolare la tremenda dittatura colà instauratasi. La strategia rivoluzionaria dei novatori non si è arrestata, ma si è dovuta scontrare con ostacoli imprevisti; nonostante la loro netta mentalità marxista abbia suggerito varie forme di aggiramento o intimidazione, in diversi casi lo scacco è stato inevitabile e ha prodotto una situazione di stallo.

Farei ben volentieri a meno di ricordare certe vicende che sono causa di grave scandalo, ma vorrei soltanto individuare alcuni degli scricchiolii più forti, nella speranza che si tratti di indizi che la preghiera e l’offerta dei cattolici fedeli non sono vane. La baldanza con cui il dittatore argentino e la sua cricca pensavano di poter imporre le aberrazioni dell’Amoris laetitia si è infranta contro la resistenza di interi episcopati (come quello polacco, che per questo è stato sottoposto a ignobili pressioni), mentre gli sgangherati documenti di applicazione di certe conferenze episcopali regionali sembrano caduti nel nulla. Quei vescovi tedeschi ormai non più cattolici, poi, che volevano a tutti i costi concedere la comunione ai protestanti hanno sbattuto il naso contro il muro dell’irremovibile opposizione di sette colleghi, grazie alla quale quel grave abuso, già ampiamente praticato a livello locale, non è diventato prassi obbligatoria a livello nazionale.

Dopo un’ostinata quanto irrazionale difesa a oltranza di un vescovo reo di aver coperto un prete pedofilo, di fronte alle proteste sempre più accese il buon Bergoglio si è visto costretto a cambiare strategia e ad esigere le dimissioni in blocco dell’episcopato cileno; la conseguenza a cascata è stata la sospensione in massa di decine di preti immorali che quei vescovi, fino a quel momento, avevan tranquillamente lasciato campare. All’arcivescovo emerito di Washington, inoltre, è stata ritirata la dignità cardinalizia a motivo dei suoi trascorsi abusi, ma non prima che scoppiasse la bomba mediatica. Per quanto riguarda, invece, lo scandalo del Preseminario San Pio X, sembra proprio che siano riusciti a tener nascosta al pontefice la verità dei fatti, nonostante abiti nel palazzo dirimpetto, insabbiando tutto sotto la dicitura di mere calunnie. Ma ecco che rispunta l’accusatore principale, che pretende un salato risarcimento. Lo si potrebbe ben querelare, visto che i soli episodi accertati, fra quelli da lui riferiti, si riferiscono a maggiorenni consenzienti, ma una causa farebbe saltar fuori dagli armadi ben altri scheletri… Un bel dilemma!

La credibilità e la popolarità del “riformatore”, ad ogni modo, sono ai minimi storici, così come la sua presa su vescovi e cardinali, che in buona parte lo detestano, pur temendolo; ma non esiste una forma di controllo totalitario che prima o poi non salti o non debba scendere a compromessi. Il clero cattolico, poi, è da secoli aduso a una resistenza passiva che, se può frenare le buone e autentiche riforme, è capace di vanificare anche quelle cattive. La Chiesa è un’istituzione che nella sua storia millenaria ne ha viste e subite di tutti i colori; ha assistito al sorgere e declinare di innumerevoli regimi che l’hanno fatta soffrire, ma non l’hanno mai schiacciata. Quello che ancora non avevamo veduto, a dire il vero, è un regime interno complice dei mondialisti e di una riedita tratta degli schiavi. Ma non hanno ancora capito che la gente non vuol più sentire la loro patetica (e interessata) propaganda immigrazionista? Vogliono proprio darsi il colpo di grazia con il testardo appoggio a un partito moribondo che ci ha venduti e con l’accanita contestazione di un governo eletto da quel popolo che servono a parole?… Che il Signore abbia deciso di punirli per mezzo della loro stessa stoltezza? Sia lodata la Sua imperscrutabile sapienza!

Deus amentat quos perdere vult (Dio fa perdere il senno a coloro che vuol rovinare).

sabato 11 agosto 2018


Profeti di sventura?



I veri profeti, nella storia sacra, sono sempre stati inviati da Dio non per illudere le masse o adulare i potenti, bensì per correggere gli uni e le altre con severi ammonimenti e preannunci di castighi. Respingerli a priori perché il loro dire non è piacevole o di buon gusto è semplicemente stupido; stigmatizzarli, invece, perché incapaci di scorgere le promesse dei tempi nuovi e di aprirsi a nuove pentecosti è sintomo di illusione – Dio solo sa fino a che punto colpevole – e pericoloso pretesto per la desistenza. Nella Chiesa, imbavagliare o isolare i veri profeti, come i cardinali Siri e Ottaviani, ha causato lo sfacelo cui oggi siamo costretti ad assistere; dato che i risultati mostrano la qualità delle premesse, sarebbe ora di ammettere che ci si è sbagliati. Di pari passo con la soppressione della profezia autentica (suffragata oltretutto dal messaggio di Fatima, forse la più importante apparizione mariana della storia), si sono spalancate le porte ai falsi profeti, latori di menzogne ben camuffate che hanno spento la fede in milioni di cattolici, inducendoli ad aderire in massa ad errori fino allora duramente condannati dal Magistero. Sarà proprio il caso di continuare a canonizzare i papi che hanno permesso questo?

Ma è evidente che ormai, nella neochiesa, ogni criterio di verità o di opportunità è stato bandito a favore di calcoli meramente politici, in virtù dei quali si può usare qualsiasi mezzo – compreso il catechismo – per esercitare pressioni nel senso voluto. L’impressione generale che ne riceve l’uomo comune è che la Chiesa Cattolica, come qualunque altra istituzione storica, può cambiare in tutto con l’evolversi dei tempi e delle culture. Di conseguenza non c’è più nulla di definitivo: ciò che oggi è ancora proibito, per effetto di un supposto ritardo o freno politico-culturale, domani potrebbe non esserlo più; perciò ci si sente fin d’ora autorizzati a violare il divieto e così la moralità, come chiunque può osservare, va a farsi benedire, a livello pubblico e privato. Di contro si fabbricano imperativi categorici del tutto assurdi e inediti che creano però una mentalità, al punto che lasciar trapelare anche la minima perplessità in proposito può far deflagrare reazioni sconvolte…

Mi sembra doveroso, in questo contesto, esprimere tutta la solidarietà a un governo che sta tentando di riprendere il controllo di una nave lasciata in balìa degli stranieri. Com’era prevedibile, la lobby massonica internazionale si è scagliata contro di esso con tutti i mezzi: i ricatti finanziari (come la rapida sospensione dell’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, che serve ad aiutare i Paesi dell’Unione anziché a strangolarli), le diffamazioni mediatiche (in cui la stampa “cattolica” si sta distinguendo con zelo luciferino), gli attacchi della magistratura (che ha sempre chiuso entrambi gli occhi sulle interminabili ruberie dei “compagni”), i naufragi a comando (se non sono propaganda creata con immagini artefatte come quelle della Siria), le pressioni internazionali (in cui Francia e Germania hanno rasentato la crisi diplomatica). L’arma che ancora non hanno rimesso in campo è quella dei disordini urbani scatenati dai centri sociali, sciocchi esecutori – come tutta la sinistra – degli ordini emanati dai padroni in doppiopetto.

C’è un intero Paese di cui riprendere possesso: questo è il grande compito dell’ora presente; il resto sono chiacchiere e fumo, che vanno semplicemente ignorati senza deflettere dalla linea seguita. Una sola raccomandazione mi preme però far giungere ai giovani intraprendenti che ci governano: non indulgete a non necessarie dichiarazioni di principio o di opinione che sollevano polveroni senza alcuna utilità, ma procedete silenziosamente nel lavoro lasciando parlare i fatti. Altrettanto dovete evitare che le vostre divergenze interne diventino pubbliche, ingigantendosi e screditando la vostra compagine: cercate di risolverle in modo discreto fra voi, astenendovi da confidenze giornalistiche che vengono poi utilizzate per attaccarvi. In questa apparente libertà di comunicazione (che ci sommerge piuttosto di pareri discutibili e dubbie informazioni, impedendo spesso, in realtà, uno scambio serio e profondo) siamo tentati di lanciare continuamente messaggi, commenti e cinguettii su tutto e su tutti, come se il provocare reazioni portasse di per sé un qualche beneficio.

Dobbiamo invece riapprendere l’ascesi del linguaggio, basata sulla vigilanza e sul discernimento: imparare a parlare soltanto quando serve davvero, tenendo conto delle conseguenze che avranno le nostre parole; se si prevede facilmente un effetto deleterio o controproducente, è meglio tacere. Non dobbiamo temere di essere meno rilevanti se non si parla continuamente di noi o non si ripete da tutti quanto diciamo: è la grande tentazione della società odierna, in cui ci si crede efficienti in correlazione con la visibilità. Certo, la pubblicità è essenziale nell’impostazione commerciale e consumistica che ha ormai contagiato tutto il vivere sociale, compresa la politica; ma una volta ottenuto il potere occorre gestirlo con prudenza per poterlo conservare a lungo, senza esporlo alle trappole di un sistema mediatico ancora in buona parte legato all’élite.

Fermare l’invasione pianificata è il primo obiettivo da raggiungere, a dispetto di qualsiasi minaccia esterna contro il governo eletto di uno Stato sovrano. Per evitare l’isolamento in politica estera, è quanto mai opportuno rafforzare i legami con la Russia, mantenendo al contempo buoni rapporti con gli Stati Uniti, nella misura in cui il loro Presidente sarà meno succube del genero sionista e riuscirà a rafforzare la sua posizione rispetto al deep state americano. Lo squilibrato stipendiato dai Rothschild che delira da Parigi e la vecchia spia comunista che latra da Berlino, invece, vanno rimessi fermamente al loro posto senza troppi complimenti, pur senza offuscare la signorilità del nostro Presidente del Consiglio, la quale li svergogna già da sola. Quei miserabili burattini, forse, non si rendono neanche conto sul ciglio di quale burrone hanno trascinato il continente con il loro smaccato servilismo verso il grande fratello d’oltreoceano.

Temo proprio che la soluzione del dramma sarà tutt’altro che indolore. Se l’élite giudeo-massonica riesce a spingere la Russia allo scontro, l’Europa sarà trebbiata un’altra volta. Nel marzo scorso il signor Putin, a mo’ di grazioso avvertimento, ha mostrato in conferenza-stampa i nuovi armamenti di cui dispone il suo esercito: tutta una serie di missili ultrasonici (così agili e veloci da non poter essere intercettati) che posson trasportare multiple testate atomiche a diverse migliaia di chilometri; ce n’è perfino uno a propulsione nucleare in grado di continuare a girare intorno al pianeta per anni. Gli psicopatici che dirigono la NATO pensavano di poterla spuntare con il cosiddetto first strike: attaccare per primi lanciando una bomba atomica per poi difendersi dalla ritorsione con lo scudo antimissilistico… Tempo scaduto, belli.

È evidente, in ogni caso, che in un’eventualità del genere bisognerà trovarsi dalla parte giusta. Non sarà certo facile cambiare fronte, con le basi militari straniere che abbiamo sul nostro territorio; ma la spregiudicata disinvoltura con cui il nostro Paese lo ha fatto più volte, nel secolo scorso, potrebbe essere utilizzata, questa volta, in modo più opportuno. Nel frattempo, in prospettiva, il governo dovrà trovare il modo di mettere al sicuro i nostri risparmi, per la cui portata siamo i secondi al mondo. Si lascerà che continuino ad essere depredati da quelle misteriose entità (che già navigano nell’oro grazie a droga, armamenti, prostituzione e traffico di esseri umani) che attaccano le nostre banche e le nostre imprese più fiorenti per farle fallire e poi comprarle per un tozzo di pane? È essenziale che una popolazione, messa alla prova, sia in grado di aiutarsi da sé. In conclusione, ci diano pure del profeta di sventura; è un mestiere che facciamo nell’interesse di tutti.

sabato 4 agosto 2018


La vera sfida della Messa di sempre



L’uomo sarà felice solo quando avrà finalmente ucciso quel cristianesimo che gli impedisce di essere uomo. Ma non sarà attraverso una persecuzione che si ucciderà il cristianesimo, ché semmai la persecuzione lo alimenta e lo rafforza. Sarà attraverso l’irreversibile trasformazione interna del cristianesimo in umanesimo ateo con l’aiuto degli stessi cristiani, guidati da un concetto di carità che nulla avrà a che fare con il Vangelo (Ludwig Feuerbach, L’essenza del cristianesimo).

Il programma non poteva essere più netto né più esplicito; altrettanto chiaro ed evidente è il fatto che, nella Chiesa attuale, la sua realizzazione è decisamente a buon punto. Una delle fondamentali direttrici di azione è stata quella che lo stesso Feuerbach, riconosciuto quale capo indiscusso della sinistra hegeliana, aveva preconizzato: la dissoluzione della teologia in antropologia, il cui merito principale va ascritto, non a caso, ai gesuiti. Un’altra direttrice importante è stata la demolizione e demonizzazione della morale: la rivoluzione sessantottina, pervertendo radicalmente i costumi, ha trasformato la maggioranza dei cattolici in atei professi (quelli che hanno pubblicamente rinnegato la fede) o meramente pratici (quelli che continuano a considerarsi membri della Chiesa pur vivendo in modo totalmente contrario al suo insegnamento). Se il Magistero recente, almeno in via teorica, era riuscito a tenere in piedi ancora qualcosa, in questi ultimi cinque anni si è provveduto con sorprendente accanimento a spazzare via quel poco che rimaneva.

Non siamo certo così ingenui da pensare che l’inizio della crisi risalga soltanto al 2013. Già prima, nonostante l’insistenza degli ultimi papi sui principi non negoziabili, la “pastorale sul campo” seguiva tranquillamente vie proprie, sommamente indifferenti alle indicazioni magisteriali, se non in palese contraddizione con esse. Lo stridente contrasto – qualora un marziano si azzardasse ad abbordare la questione – veniva olimpicamente sanato con l’uso di qualche formula magica quale discernimento individuale, adattamento pastorale, analisi sociale… ma normalmente, in assenza di importuni legalisti, era semplicemente occultato con una sfacciata dissimulazione che permetteva a un prete, ad un tempo, di osannare il papa agli oceanici raduni e di farsi gli affari suoi in parrocchia. Le ultime generazioni di sacerdoti – compresa la mia – sono state (de)formate in modo tale da poter vivere serenamente scisse su due piani diversi: quello delle parole e quello della realtà, quello delle idee e quello della condotta.

Ad alcuni, tuttavia, è toccata l’inestimabile grazia di aprire gli occhi sull’immenso inganno che da cinquant’anni perverte e sovverte la Chiesa Cattolica. Una coscienza non ancora del tutto soffocata, infatti, provocava in loro un inspiegabile disagio dovuto a un’insopprimibile discrasia o, per dirla in termini più scientifici, a una terribile dissonanza cognitiva: nonostante i pesanti strati di artificiali razionalizzazioni introiettate durante i lunghi anni di indottrinamento seminaristico, la vocina dello Spirito (Santo) continuava, seppur flebile, a farsi percepire, mostrando senza equivoci la bizzarra incongruenza tra quanto imparato – nonché creduto – e quel che si vedeva fare o si era obbligati a fare. La presa di coscienza della truffa, a un certo punto, si è rivelata l’unica via per evitare gravi disturbi mentali; la sola alternativa disponibile era un corso per arrampicatori su vetro o per acrobati della sofistica, ma non tutti sono portati per il circo o per le discipline estreme…

Certo, questi rovelli di coscienza non sfiorano nemmeno chi ha accettato di lasciarsi plasmare come un gaudente agghindato alla moda, habitué di tutti i locali di tendenza, attrezzatissimo di supporti informatici e aggiornatissimo di sport e gossip, sempre in giro da una festa all’altra e in viaggio ogni volta che può… Affascinante intrattenitore e organizzatore senza pari, per carità, coi ragazzi ci sa fare (a volte ben oltre gli obblighi contrattuali), è molto aperto e accogliente con quelli che un tempo eran detti “lontani” o “irregolari”, è in prima linea sul fronte delle emergenze sociali e delle periferie esistenziali, dell’ecumenismo e del dialogo tra religioni; in una parola, è il prodotto finito del sistema che serve perfettamente al sistema stesso, ossia a quella neochiesa, di fatto atea, che da dieci lustri promuove il nuovo umanesimo – proprio quello di Feuerbach! Ecco a voi la grande sorpresa dello spirito (quell’altro)… pazienza, se è vecchia di quasi due secoli.

Fin dagli anni Cinquanta la massoneria, con i soldi di Rockefeller e soci giudei, aveva progettato di demolire la disciplina del clero per mezzo della diffusione di idee perverse; una volta crollato il livello morale dei preti e, con effetto a cascata, anche quello dei fedeli, sarebbe stato giocoforza aggiornare la dottrina alle nuove situazioni… senza certo modificarla, beninteso: era solo questione di adattamento al mutato contesto socio-culturale. A tale scopo, evidentemente, era indispensabile eliminare l’ultimo, poderoso ostacolo sulla via della “riforma”: la Messa – e, in generale, un rito che facesse ancora pensare a Dio, che riconducesse l’essere umano alla sua indegnità e finitezza, che stigmatizzasse già da sé, anche senza parole, la ridicola pretesa dell’uomo moderno di affrancarsi da qualsiasi dipendenza per farsi unico artefice del proprio destino, salvatore di se stesso e costruttore di un paradiso in terra. Ecco allora la terza grande direttrice di azione del programma eversivo: trasformare la liturgia cattolica da culto di Dio in culto dell’uomo.

Ma il Signore non può abbandonare la Sua Sposa, per quanto infedele. Egli ha suscitato prima un movimento che permettesse alla vera Messa di sopravvivere, poi un papa che le ridesse pieni diritti, annullando l’illegittima proibizione servita a imporre un rito inventato a tavolino per compiacere protestanti, comunisti e massoni. Se oggi la celebrazione della Messa di sempre fa tanta paura e si tenta di rinchiuderla in “riserve indiane” da cui non possa propagarsi, la ragione, a questo punto, è chiara quanto basta: non solo essa è un potentissimo baluardo contro le potenze delle tenebre, ma è pure il principale antidoto contro la trasformazione del cristianesimo in umanesimo ateo. La piena realizzazione del programma ad opera del vescovo vestito di bianco esige che l’uso di tale antidoto sia limitato il più possibile, fino – magari – a sopprimerlo completamente con infide manovre di accordo o commissariamento. Oggi, anzi, si teme proprio che la Messa antica coaguli la resistenza alla nefasta azione del suddetto, resistenza che non si restringe certo agli ambienti tradizionalisti, ma si allarga a macchia d’olio. È per tal motivo, evidentemente, che dir Messa è diventato un crimine peggiore che sverginare fanciulli: questo si può perdonare, l’altro no.

«Che non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio» (At 5, 39): ecco l’avvertimento che va rivolto a quanti, magari in buona fede a causa delle idee loro inculcate, si oppongono oggi alle vere sorprese dello Spirito Santo. Sono sempre di più i sacerdoti e i fedeli che, cercando di tornare a un vero cristianesimo, riscoprono la Tradizione, fra cui moltissimi giovani convertiti e quasi tutte le vocazioni genuine. Non si può fermare l’onda dell’autentico rinnovamento ecclesiale, sospinta dal soffio del Paraclito, né a colpi di divieti illegali cui non si è tenuti a obbedire né con mazzate furiose per chiunque non la pensi come il capo, dispensate magari col pretesto di esortazioni a una “santità” basata su un concetto di carità che nulla ha a che fare con il Vangelo.

Ꝟ. Introibo ad altare Dei.
℞. Ad Deum qui lætificat juventutem meam.