«Toglieteci dalla vista
il Santo d’Israele»
Non c’è nulla che il
saggio debba schivare maggiormente del vivere secondo il giudizio altrui e
dell’adeguarsi alle opinioni correnti della gente, anziché farsi guidare nella
vita dalla retta ragione. Di conseguenza, anche se dovesse opporsi a tutti gli
uomini, essere oggetto di disprezzo e affrontare pericoli per la causa
dell’onestà, il saggio nulla vorrà alterare di quei princìpi ritenuti giusti. E
chi non fosse così disposto, come potremo dirlo diverso da quello stregone
egizio che a suo piacere si trasformava in pianta, in animale, in fuoco, in
acqua e in ogni altra cosa, se appunto anch’egli ora farà l’elogio della
giustizia dinanzi a chi la tiene in considerazione, ora invece si pronuncerà
contro, non appena si accorge che è l’ingiustizia a godere stima, proprio come
usano fare gli adulatori? (San Basilio Magno, Discorso ai giovani, IX, 27-28).
Come
vorremmo che certi sedicenti vescovi cattolici di oggi leggessero e meditassero
questa pagina di un loro illustre predecessore nella successione apostolica,
grande non solo per santità e dottrina, ma anche per umanità e cultura! Ma
forse non servirebbe a molto: sicuramente ci ricamerebbero su un bel
discorsetto completamente avulso dalla realtà oggettiva, convinti però di
essere “incarnati” solo perché usano il linguaggio della “gente” e si adeguano
alla mentalità corrente, dimostrandosi così proprio fra coloro che san Basilio
stigmatizza. A meno di un dono di scienza infusa, riservato però ai gradi più
elevati della vita mistica, un retto insegnamento presuppone una buona cultura
e una coscienza ben formata; la santità esige a sua volta un’umanità equilibrata
e la sana dottrina, nonché una fedeltà a tutta prova alla verità rivelata. Un
trasformista non si farà mai santo; al contrario, rischia di dannarsi per
l’eternità.
Il
clero illuminato e progredito abbozzerà tutt’al più un ghigno sbilenco a queste
osservazioni. La santità, del resto, non appartiene alla sua “fede”: è un
retaggio medievale inaccettabile dall’attuale visione del cristianesimo, totalmente
orizzontale ed egualitaria. Noi siamo e dobbiamo sentirci tutti assolutamente
uguali, tutti peccatori e al contempo giustificati dalle nostre idee, tutti
liberi di fare quel che ci pare perché Dio non giudica nessuno e tanto meno la
Chiesa («Chi siamo noi…?»), la quale soltanto dopo duemila anni ha davvero
compreso se stessa e cominciato a realizzare la sua missione… Che l’uomo pensi
di poter e dover fare qualcosa per santificarsi, elevandosi al di sopra della
propria condizione, è semplicemente inconcepibile: sarebbe causa di
diseguaglianza. La grazia è termine e concetto sconosciuto: siamo noi che
dobbiamo realizzare il mondo nuovo a partire da un “vangelo” (leggi: ideologia) svuotato di qualsiasi aspetto
sacro o soprannaturale.
La
rimozione della santità e della trascendenza porta al rigetto del culto dei
Santi, eventualmente ammesso in chiave secolarizzata e a scopo di propaganda
progressista. Essa ha altresì determinato una distorsione dei Sacramenti,
strapazzati e ridicolizzati dall’estro del singolo prete, che “crea” la propria
liturgia, dottrina e pastorale: essi rimangono come cerimonie di inclusione
nella “comunità”, a sottolineare tappe importanti della vita umana. Fissare
condizioni per parteciparvi o addirittura escluderne qualcuno in base ad antiquate
regole ecclesiastiche è un crimine per il quale non c’è perdono:
significherebbe rimanere prigionieri di un sistema costantiniano che per secoli
e secoli ha impedito al “vangelo” di realizzare le sue sorprese. Il presbitero non è altro che un fratello che ha una funzione di presidenza, rigorosamente
interpellato col solo nome di Battesimo e, all’occorrenza, ruvidamente
bistrattato perché non gli passi neanche per la testa di essere qualcosa di
più…
Tale
avversione al sacerdozio – ahimè – si riscontra pure in tanti chierici (specie
fra i vescovi e i superiori) che ti fanno sentire in colpa non foss’altro che
per quello che sei: ci sono circostanze in cui uno ha l’impressione di doversi
giustificare per il semplice fatto di essere prete; non parliamone neppure,
poi, se va in giro con una tonaca nera… Poi si dan tanto da fare (ma con quanta
sincerità?) per le vocazioni, come se un ragazzo potesse farsi attirare da una
figura che non ha più un’identità né un compito precisi. Se gli istituti
tradizionali traboccano di giovani, tirano prontamente fuori l’argomento
psicologizzante del bisogno identitario e della fragilità affettiva, che li
spingerebbero a cercare rifugio da una vita sociale temuta ed evitata. In
realtà, dato che la società odierna è divenuta un mostro che realmente fa
paura, per dir di no al pensiero dominante ci vuole un coraggio da leoni e una
forza morale non da poco, di cui è del tutto sprovvisto, al contrario, chi si
lascia trasportare dalla corrente e si piega ad ogni alito di vento.
Diventare
un pretino pacifista, ambientalista, immigrazionista e – non da ultimo – gay friendly non richiede il minimo
sforzo: unico requisito è l’essere carenti di umanità, cultura, santità e
dottrina… come dire la cosa più facile al mondo, in totale assenza di
formazione umana e cristiana da parte di famiglia, scuola, parrocchia e seminario, mentre
la società ti bombarda di propaganda politicamente corretta e dispiega tutti i
mezzi per introiettarti nella psiche messaggi devianti e sovversivi. È così che
questi ministri dei tempi nuovi, che non vedi mai in ginocchio né col breviario
o il rosario in mano, quando proprio debbono stare in chiesa faranno al
massimo, così come sono stati istruiti, un inchino all’altare dando le spalle
al tabernacolo, ma mai – dico mai –
una genuflessione a Colui che vi è realmente presente in corpo, sangue, anima e
divinità: e che, vorrebbe credere anche Lui di essere qualcosa di più di noi,
sempre che stia davvero lì?
Ammettiamolo:
una Presenza del genere, così familiare e a portata di mano, è troppo
ingombrante: se soltanto pensassimo un istante alla grandezza del mistero,
staremmo ininterrottamente bocconi a terra davanti a Lui. È una realtà
insostenibilmente troppo grande, qualcosa di così sublime che in nessuna
religione della storia se lo sono mai neanche sognato, un’insopportabile sfida
d’amore alla nostra tiepidezza, ignavia, indifferenza… Meglio non pensarci col
pretesto che la carne di Cristo sono i
poveri (che, defraudati del bene della fede e della grazia, vengono solo
aiutati a dannarsi più in fretta con il cattivo uso di ciò che è loro dato),
oppure è ancora meglio sminuire quella Presenza con idee e atteggiamenti
protestanti (che proprio per questo, forse, vanno tanto di moda), magari
formalizzati mediante inappellabili quanto improbabili “norme liturgiche”.
Tutto, fuorché lasciarsi interpellare dall’Amore infinito, che per essere
accolto deve bruciare ogni scoria e infiammare il cuore del suo stesso fuoco.
È
così che si può finire col chiedere implicitamente a Dio di togliersi dalla
vista, in modo da poter essere sostituito con altri interessi, puramente
terreni ma consacrati come Suoi: ecco l’essenza del fariseismo. Pace, ambiente,
inclusione, accoglienza… son tutti surrogati della fede, invenzioni con cui il
chierico tiene il Creatore a distanza di sicurezza con il pretesto di servirlo
e di realizzarne i desideri. Su quella strada, alla fine, a Cristo si fa dire
di tutto; basta che concordi con il giudizio altrui e le opinioni correnti,
piuttosto che corrispondere alla retta ragione e alla divina rivelazione:
proprio l’atteggiamento stigmatizzato da san Basilio in antitesi a quello del
saggio, una biasimevole miseria umana prima ancora che un rinnegamento della
propria missione. Ma la speranza – quella teologale – non muore mai, a
differenza di quella umana (che, per quanto ultima a morire, è spesso delusa
dai fatti): è per questo che non escludiamo che qualche membro del clero benpensante
e progressista legga quelle parole del grande Vescovo e, con l’aiuto dello
Spirito Santo, ne tragga le dovute conseguenze, per la salvezza sua e di quanti
lo ascoltano.
«Non fateci profezie
sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! Scostatevi dalla retta
via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo di Israele». […]
Eppure il Signore aspetta per farvi grazia […]. Ecco, il nome del Signore viene
da lontano; ardente è la sua ira e gravoso il suo divampare; […] profondo e
largo è il rogo, fuoco e legna abbondano; lo accenderà, come torrente di zolfo,
il soffio del Signore (Is 30, 10-11.18.27.33).