Santa novità
Riceve inutilmente la
grazia di Dio chi non vive secondo la grazia che gli è stata data; riceve
inutilmente la grazia di Dio anche chi crede di aver ricevuto per suo merito
quella grazia che invece gli è stata elargita gratuitamente; la riceve
inutilmente anche colui che, dopo la confessione dei suoi peccati, si rifiuta
di farne la penitenza «nel momento favorevole, nel giorno della salvezza» (cf.
2 Cor 6, 2). Ecco dunque ora il tempo
favorevole, ecco il giorno della salvezza, che ci è dato appunto perché
conquistiamo questa salvezza (sant’Antonio di Padova, Sermone per la I Domenica di Quaresima, 20).
La
fede cristiana è ricca di paradossi (indizio, questo, del fatto che non è
frutto di elaborazione umana, ma di una rivelazione divina: non si inventa una
dottrina paradossale). Uno dei più alti è proprio quello riguardante il
rapporto tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo: come ci ricorda
sant’Antonio, uno dei maggiori predicatori cattolici di tutti i tempi, da un
lato la grazia – come dice il termine stesso – ci è concessa gratuitamente,
dall’altro la salvezza va conquistata con l’impegno personale di penitenza e di
lotta contro il peccato. Il delicato equilibrio tra queste due forze, che
caratterizza il mistero del loro rapporto, è stato più volte infranto per uno
sbilanciamento in un senso o nell’altro, cosa che ha dato origine a diverse
eresie. Le più famose sono quella pelagiana, quella luterana e quella
giansenista, che hanno causato alla Chiesa danni molto gravi e duraturi.
La
prima va ricondotta alla dottrina del monaco irlandese Pelagio, che la diffuse
a Roma all’inizio del V secolo. Lo spiccato ottimismo della sua visione
antropologica e la propensione all’ascesi legata alla sua vocazione lo avevano
convinto che l’uomo fosse in grado di scegliere il bene da sé e che la grazia
non costituisse altro che un aiuto divino all’azione umana. Sant’Agostino,
invece, sapeva bene, sia per esperienza personale, sia per la lettura di san
Paolo, quanto fossero pesanti le catene del peccato e profondi i suoi effetti
sul libero arbitrio del peccatore, che ha bisogno di essere prevenuto dalla
grazia anche solo per orientarsi nuovamente verso Dio confidando nella Sua
misericordia. Da un’interpretazione distorta dei suoi scritti e delle lettere
paoline, più di un millennio dopo, Lutero concluderà erroneamente che la
grazia, intesa nominalisticamente come mero favore divino che non imputa più
all’uomo i suoi peccati, è l’unica forza in gioco, che esclude necessariamente
qualsiasi concorso umano nel processo della giustificazione.
L’efficacia
della sola gratia richiedeva così, per
essere fruita, un’accoglienza puramente passiva tramite la sola
fides, con l’esclusione totale di qualunque opera da
parte dell’uomo e con una concentrazione unilaterale sull’azione del solus
Christus. Il libero arbitrio, di conseguenza, doveva essere
negato e ogni forma di collaborazione umana respinta come orgogliosa quanto
impossibile pretesa. È un tipico esempio di petitio principii:
dopo aver stabilito arbitrariamente un principio, si nega tutto ciò che lo
contraddice; ma non è affatto sicuro che quel principio sia vero e che lo si
debba necessariamente accettare. Lungo questa strada, ad ogni modo, Lutero
finisce in una stridente contraddizione: poiché la fede non è per lui una virtù
infusa, cioè un dono soprannaturale a cui l’uomo liberamente acconsente, ma un
mero autoconvincimento volontaristico in virtù del quale l’uomo si sforza di
credere, il dubbio radicale e permanente che inevitabilmente scaturisce da
questa concezione spinge il protestante a cercare una conferma della propria
fede nelle opere.
Le
opere diventano così il criterio decisivo per valutare la fede; ma quelle opere
non possono essere frutto della grazia soprannaturale che agisce nell’uomo con
la sua collaborazione: la possibilità stessa di tale cooperazione è stata
recisamente esclusa e la grazia è concepita come semplice favore esterno,
anziché come forza comunicata da Dio che influisce sull’uomo dall’interno. Dato
che alla grazia è stato tolto ogni supporto su cui innestarsi ed essa non può
inserirsi nel dinamismo dell’agire umano, le azioni della creatura sono
risultato unicamente delle sue forze naturali, ma sono sempre azioni di un
peccatore che non è stato interiormente trasformato dalla grazia. Eppure egli
può reclamare la salvezza in forza dei suoi sforzi di credere e di essere
buono, come dimostra il testo di un corale luterano: «Signore Dio, ora apri il
Paradiso. Il mio tempo volge alla fine, ho completato il mio cammino, di cui l’anima
mia molto si rallegra: ho sofferto abbastanza, ho combattuto fino alla fine,
concedimi il riposo eterno. […] Signore, come mi hai comandato, con vera fede
ho accolto tra le mie braccia il caro Redentore, per guardare Te».
Nella
tradizione cattolica anche i Santi, appressandosi alla morte, hanno percepito
la tremenda drammaticità del momento in cui ci si sta per presentare al Giudizio.
Qui, invece, il fedele rivendica un dovuto confidando non nella misericordia
divina, ma nella propria fede. Se questa non è una salvezza mediante le opere…
A un esito analogo, anche se per una via opposta, perviene pure il giansenismo:
la visione esageratamente negativa della condizione umana, nata, anche in
questo caso, da un agostinismo esasperato, conduce all’idea di una salvezza riservata
a quegli eletti che sono in grado di soddisfare le severe esigenze della
giustizia divina con una vita di estrema austerità e rigore. Ancora una volta,
la grazia non è più che una realtà nominale, un puro concetto che non ha un
effettivo influsso sull’esistenza, determinata dall’azione umana.
Queste
considerazioni non sembrerebbero così peregrine se, oggi, questi errori non
fossero tornati ad essere potentemente attuali. Da una parte, infatti, si
brandisce l’accusa di pelagianesimo come una clava per colpire chi desidera
mantenersi fedele alla dottrina morale cattolica; dall’altra si esalta Lutero
come medicina per la Chiesa, come se
i mali che la affliggono non fossero dovuti proprio alla sua
protestantizzazione. Dal canto loro certi settori del tradizionalismo, per
reagire allo sfacelo morale che ne è provenuto, insistono su forme di rigorismo
che possono indurre pericolose sindromi di scissione tra vita pubblica e
privata. L’effetto che risulta dalle opposte tendenze è che le persone non sono
realmente trasformate dalla carità, perché non
vivono secondo la grazia che è stata loro data e la ricevono quindi
inutilmente: in un caso, perché la attribuiscono sottilmente ai propri meriti;
nell’altro, perché non vogliono correggersi ed espiare le proprie colpe.
Anche
l’atto con cui l’uomo acconsente alla grazia e coopera con essa è reso possibile
dalla grazia stessa, ma è pur sempre un atto suo, compiuto in modo libero. È
una dinamica sponsale in cui l’intervento soprannaturale di Dio eleva la natura
umana a un’attività di cui è incapace da sola, ma non lo fa senza il suo
consenso e il suo concorso. La maternità è un’ottima chiave interpretativa di
questo processo: senza la paternità, essa rimane una mera potenzialità che non
può passare all’atto, ma al tempo stesso apporta un contributo specifico senza
il quale la generazione non si compie. Il rapporto tra natura e grazia, che ha
dato luogo a tante dispute ed eresie, va colto mediante questa cifra costante
che la Sapienza divina ha impresso alla Sua opera, a livello naturale e a
livello soprannaturale: il Suo modo di agire è analogo, sia pure su piani
ontologicamente diversi. Ecco perché la salvezza è un dono, ma anche una
conquista.
Se
non vogliamo condannarci a ricevere la grazia invano (cf. 2 Cor 6, 1), dobbiamo
ammettere la somma gratuità della sovrana misericordia di Dio, che non si può
mai esigere, ma anche riconoscere la parte che ci spetta nel disporci ad essa,
nell’accoglierla e nel farla fruttificare con la nostra attiva cooperazione: è
qui che entrano in gioco la penitenza, l’ascesi e l’osservanza dei
Comandamenti, le quali dipendono sia dalla grazia che dalla nostra libera
volontà. È naturale che, nell’anima del peccatore in via di conversione, sia
preponderante l’azione della prima; ma in quella del fedele riconciliato anche
la seconda svolge un ruolo considerevole, che cresce in proporzione con lo
sviluppo della vita battesimale. Più ci impegniamo con umile perseveranza, più
la grazia impregna i nostri dinamismi umani, risanandoli ed elevandoli, e porta
frutto nelle nostre azioni, santificandole. Che il Signore risorto ci dia nuovo
slancio in questa corsa verso la santità; per la Chiesa sfigurata dall’eresia e
dal tradimento, questa è l’unica vera medicina.
Tua nos misericordia, Deus, et ab omni subreptione vetustatis expurget, et
capaces sanctae novitatis efficiat (dalla liturgia della
Settimana Santa: La tua misericordia, o Dio, ci purifichi da ogni infiltrazione
dell’antico peccato e ci renda capaci di santa novità).