Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 31 marzo 2018


Santa novità



Riceve inutilmente la grazia di Dio chi non vive secondo la grazia che gli è stata data; riceve inutilmente la grazia di Dio anche chi crede di aver ricevuto per suo merito quella grazia che invece gli è stata elargita gratuitamente; la riceve inutilmente anche colui che, dopo la confessione dei suoi peccati, si rifiuta di farne la penitenza «nel momento favorevole, nel giorno della salvezza» (cf. 2 Cor 6, 2). Ecco dunque ora il tempo favorevole, ecco il giorno della salvezza, che ci è dato appunto perché conquistiamo questa salvezza (sant’Antonio di Padova, Sermone per la I Domenica di Quaresima, 20).

La fede cristiana è ricca di paradossi (indizio, questo, del fatto che non è frutto di elaborazione umana, ma di una rivelazione divina: non si inventa una dottrina paradossale). Uno dei più alti è proprio quello riguardante il rapporto tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo: come ci ricorda sant’Antonio, uno dei maggiori predicatori cattolici di tutti i tempi, da un lato la grazia – come dice il termine stesso – ci è concessa gratuitamente, dall’altro la salvezza va conquistata con l’impegno personale di penitenza e di lotta contro il peccato. Il delicato equilibrio tra queste due forze, che caratterizza il mistero del loro rapporto, è stato più volte infranto per uno sbilanciamento in un senso o nell’altro, cosa che ha dato origine a diverse eresie. Le più famose sono quella pelagiana, quella luterana e quella giansenista, che hanno causato alla Chiesa danni molto gravi e duraturi.

La prima va ricondotta alla dottrina del monaco irlandese Pelagio, che la diffuse a Roma all’inizio del V secolo. Lo spiccato ottimismo della sua visione antropologica e la propensione all’ascesi legata alla sua vocazione lo avevano convinto che l’uomo fosse in grado di scegliere il bene da sé e che la grazia non costituisse altro che un aiuto divino all’azione umana. Sant’Agostino, invece, sapeva bene, sia per esperienza personale, sia per la lettura di san Paolo, quanto fossero pesanti le catene del peccato e profondi i suoi effetti sul libero arbitrio del peccatore, che ha bisogno di essere prevenuto dalla grazia anche solo per orientarsi nuovamente verso Dio confidando nella Sua misericordia. Da un’interpretazione distorta dei suoi scritti e delle lettere paoline, più di un millennio dopo, Lutero concluderà erroneamente che la grazia, intesa nominalisticamente come mero favore divino che non imputa più all’uomo i suoi peccati, è l’unica forza in gioco, che esclude necessariamente qualsiasi concorso umano nel processo della giustificazione.

L’efficacia della sola gratia richiedeva così, per essere fruita, un’accoglienza puramente passiva tramite la sola fides, con l’esclusione totale di qualunque opera da parte dell’uomo e con una concentrazione unilaterale sull’azione del solus Christus. Il libero arbitrio, di conseguenza, doveva essere negato e ogni forma di collaborazione umana respinta come orgogliosa quanto impossibile pretesa. È un tipico esempio di petitio principii: dopo aver stabilito arbitrariamente un principio, si nega tutto ciò che lo contraddice; ma non è affatto sicuro che quel principio sia vero e che lo si debba necessariamente accettare. Lungo questa strada, ad ogni modo, Lutero finisce in una stridente contraddizione: poiché la fede non è per lui una virtù infusa, cioè un dono soprannaturale a cui l’uomo liberamente acconsente, ma un mero autoconvincimento volontaristico in virtù del quale l’uomo si sforza di credere, il dubbio radicale e permanente che inevitabilmente scaturisce da questa concezione spinge il protestante a cercare una conferma della propria fede nelle opere.

Le opere diventano così il criterio decisivo per valutare la fede; ma quelle opere non possono essere frutto della grazia soprannaturale che agisce nell’uomo con la sua collaborazione: la possibilità stessa di tale cooperazione è stata recisamente esclusa e la grazia è concepita come semplice favore esterno, anziché come forza comunicata da Dio che influisce sull’uomo dall’interno. Dato che alla grazia è stato tolto ogni supporto su cui innestarsi ed essa non può inserirsi nel dinamismo dell’agire umano, le azioni della creatura sono risultato unicamente delle sue forze naturali, ma sono sempre azioni di un peccatore che non è stato interiormente trasformato dalla grazia. Eppure egli può reclamare la salvezza in forza dei suoi sforzi di credere e di essere buono, come dimostra il testo di un corale luterano: «Signore Dio, ora apri il Paradiso. Il mio tempo volge alla fine, ho completato il mio cammino, di cui l’anima mia molto si rallegra: ho sofferto abbastanza, ho combattuto fino alla fine, concedimi il riposo eterno. […] Signore, come mi hai comandato, con vera fede ho accolto tra le mie braccia il caro Redentore, per guardare Te».

Nella tradizione cattolica anche i Santi, appressandosi alla morte, hanno percepito la tremenda drammaticità del momento in cui ci si sta per presentare al Giudizio. Qui, invece, il fedele rivendica un dovuto confidando non nella misericordia divina, ma nella propria fede. Se questa non è una salvezza mediante le opere… A un esito analogo, anche se per una via opposta, perviene pure il giansenismo: la visione esageratamente negativa della condizione umana, nata, anche in questo caso, da un agostinismo esasperato, conduce all’idea di una salvezza riservata a quegli eletti che sono in grado di soddisfare le severe esigenze della giustizia divina con una vita di estrema austerità e rigore. Ancora una volta, la grazia non è più che una realtà nominale, un puro concetto che non ha un effettivo influsso sull’esistenza, determinata dall’azione umana.

Queste considerazioni non sembrerebbero così peregrine se, oggi, questi errori non fossero tornati ad essere potentemente attuali. Da una parte, infatti, si brandisce l’accusa di pelagianesimo come una clava per colpire chi desidera mantenersi fedele alla dottrina morale cattolica; dall’altra si esalta Lutero come medicina per la Chiesa, come se i mali che la affliggono non fossero dovuti proprio alla sua protestantizzazione. Dal canto loro certi settori del tradizionalismo, per reagire allo sfacelo morale che ne è provenuto, insistono su forme di rigorismo che possono indurre pericolose sindromi di scissione tra vita pubblica e privata. L’effetto che risulta dalle opposte tendenze è che le persone non sono realmente trasformate dalla carità, perché non vivono secondo la grazia che è stata loro data e la ricevono quindi inutilmente: in un caso, perché la attribuiscono sottilmente ai propri meriti; nell’altro, perché non vogliono correggersi ed espiare le proprie colpe.

Anche l’atto con cui l’uomo acconsente alla grazia e coopera con essa è reso possibile dalla grazia stessa, ma è pur sempre un atto suo, compiuto in modo libero. È una dinamica sponsale in cui l’intervento soprannaturale di Dio eleva la natura umana a un’attività di cui è incapace da sola, ma non lo fa senza il suo consenso e il suo concorso. La maternità è un’ottima chiave interpretativa di questo processo: senza la paternità, essa rimane una mera potenzialità che non può passare all’atto, ma al tempo stesso apporta un contributo specifico senza il quale la generazione non si compie. Il rapporto tra natura e grazia, che ha dato luogo a tante dispute ed eresie, va colto mediante questa cifra costante che la Sapienza divina ha impresso alla Sua opera, a livello naturale e a livello soprannaturale: il Suo modo di agire è analogo, sia pure su piani ontologicamente diversi. Ecco perché la salvezza è un dono, ma anche una conquista.

Se non vogliamo condannarci a ricevere la grazia invano (cf. 2 Cor 6, 1), dobbiamo ammettere la somma gratuità della sovrana misericordia di Dio, che non si può mai esigere, ma anche riconoscere la parte che ci spetta nel disporci ad essa, nell’accoglierla e nel farla fruttificare con la nostra attiva cooperazione: è qui che entrano in gioco la penitenza, l’ascesi e l’osservanza dei Comandamenti, le quali dipendono sia dalla grazia che dalla nostra libera volontà. È naturale che, nell’anima del peccatore in via di conversione, sia preponderante l’azione della prima; ma in quella del fedele riconciliato anche la seconda svolge un ruolo considerevole, che cresce in proporzione con lo sviluppo della vita battesimale. Più ci impegniamo con umile perseveranza, più la grazia impregna i nostri dinamismi umani, risanandoli ed elevandoli, e porta frutto nelle nostre azioni, santificandole. Che il Signore risorto ci dia nuovo slancio in questa corsa verso la santità; per la Chiesa sfigurata dall’eresia e dal tradimento, questa è l’unica vera medicina.

Tua nos misericordia, Deus, et ab omni subreptione vetustatis expurget, et capaces sanctae novitatis efficiat (dalla liturgia della Settimana Santa: La tua misericordia, o Dio, ci purifichi da ogni infiltrazione dell’antico peccato e ci renda capaci di santa novità).

sabato 24 marzo 2018


Bergoglio alle corde?



Evidenti segnali di debolezza arrivano dal Vaticano. Per il quinto anniversario dell’elezione di colui che in quattro o cinque anni, secondo i suoi maggiori promotori, avrebbe dovuto rifare la Chiesa, il responsabile del dicastero per la comunicazione, commettendo un’imperdonabile quanto maldestra falsificazione, presenta al mondo una lettera di Benedetto XVI di deciso appoggio al successore. Peccato che la lettera risalga a più di un mese prima e che la copia distribuita ai giornalisti sia stata tagliata con un banale ritocco informatico; sebbene ci sia una testimonianza secondo cui il testo, in conferenza stampa, sarebbe stato letto nella sua integralità, nessuno dei navigati vaticanisti – tranne uno – nota, stranamente, la manipolazione e tutti danno unanimemente fiato alle trombe per dar risonanza planetaria allo smaccato intervento di sostegno del “Papa emerito”… il quale, in realtà, si era limitato a rispondere alla missiva privata con cui lo zelante monsignor Viganò gli chiedeva una prefazione per la collezione di undici volumetti sulla teologia di papa Francesco che stava per essere lanciata in occasione dell’anniversario.

Nella parte omessa, con la consueta signorilità, l’anziano pontefice lasciava intendere di non aver letto la collana e di non aver la minima intenzione di leggerla (visto, fra l’altro, che uno degli autori è un “teologo” promotore, a suo tempo, di «iniziative antipapali»). Vien pertanto da chiedersi su cosa mai si basi l’apprezzamento, espresso poco sopra, della «profonda formazione filosofica e teologica» di Bergoglio, che dovrebbe smentire uno «stolto pregiudizio» sulla sua persona. Ohibò! Non avevamo mai sentito il mite Ratzinger esprimersi con tanta durezza se non su temi gravissimi dell’attualità ecclesiale; tanto meno eravamo avvezzi a vederlo difendere se stesso da un pregiudizio contrario: non l’ha fatto neanche in circostanze eccezionali, come, per esempio, quando trecento preti austriaci hanno firmato una pubblica contestazione nei suoi confronti. Che dire? Quella parte della lettera su cui si è costruito il caso… non è da lui. Un falso da capo a fondo? O, alla base, c’è piuttosto un appunto cui lo zelante segretario, “servo di due padroni”, ha poi dato forma calcando un po’ la mano per soddisfare le attese del “committente”?

È difficile allontanare questo sospetto, tanto più dopo la confidenza di un vescovo emerito molto vicino a Benedetto XVI, il quale, in una delle ultime visite, gli avrebbe intimato: «Mi raccomando, continui a difendere la Tradizione da quello là», come abitualmente – commento del prelato – lo designa. In ogni caso, l’operazione così indecente di Viganò è costata, nel tentativo di salvare la faccia, un “rimpasto” del dicastero con le sue dimissioni e il contestuale riciclaggio in altra veste; ma soprattutto, oltre a danneggiare seriamente la credibilità dell’attuale establishment vaticano, essa fa pensare che le stiano proprio inventando tutte per cercar di risollevare la figura del “riformatore” da un innegabile crollo di popolarità e per difenderla dalle sempre più ampie e incontestabili critiche, se il Sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, si è sentito in dovere di rivelare che il papa regnante è ferito al cuore dall’accusa di aver tradito la dottrina della Chiesa. Egli stesso, pochi giorni fa, si è ridotto a rassicurare i pellegrini polacchi presenti all’udienza generale sul fatto di essere al corrente che i Sacramenti non vanno dati a chi non è in stato di grazia: una risposta indiretta alle ben centoquarantamila firme che han raccolto in Polonia per chiedere ai loro vescovi di non deflettere dalla verità cristiana sul matrimonio?

Roba da matti: un papa che, anziché confermare i fedeli, deve protestare la propria ortodossia… O è un modo per screditare ulteriormente l’istituzione del papato, o è un segno dell’estrema debolezza di questo personaggio, la cui fortuna si regge unicamente sul favore politico e mediatico. Ormai sempre più gente si interroga sul motivo per cui non risponda a chi legittimamente gli chiede spiegazioni sul suo insegnamento, causa di divisione e disorientamento, come pure su quello per cui, dopo cinque anni, non si è ancora vista alcuna riforma effettiva della Curia che non consista nella concentrazione dei poteri nelle mani di pochi e nella defenestrazione delle persone sgradite. È un modo di governare che sa poco di ecclesiale, ma molto di sovietico, con tanto di “ministero della propaganda” incaricato di incensare il capo del partito con ridicole mistificazioni. Dov’è il tanto necessario risanamento morale ed economico che i suoi elettori si aspettavano? Nell’obbligare una fondazione americana a sborsare venticinque milioni di dollari a favore dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, travolto da uno scandalo finanziario che ha lasciato una voragine di quasi un miliardo di euro? oppure nel farsi pagare i viaggi da uno speculatore senza scrupoli come George Soros, fra i principali promotori di gender, aborto e contraccezione?

Dov’è la tanto millantata tolleranza zero verso gli abusi su minori? Nell’imporre alla diocesi cilena di Osorno, ignorando le violente proteste, un vescovo che ha coperto un prete pedofilo, sebbene la documentazione fosse disponibile? oppure nel nominare arcivescovo di Milano il vicario generale, che nel 2012 – appena due anni dopo la bufera scatenatasi con la crisi degli abusi e ad onta delle severissime prescrizioni di Benedetto XVI – ha fatto orecchie da mercante di fronte alla denuncia presentata dai genitori di un quindicenne violato da un prete (da lui spostato in un altro oratorio!) e ha mentito in proposito alla magistratura civile? oppure nel lasciar decadere, nel dicembre scorso, la commissione vaticana di prevenzione degli abusi senza rinnovarle il mandato, considerate le forti resistenze interne denunciate da un suo membro dimessosi per questo anzitempo, Mary Collins? o ancora nel lasciare che la lobby gay del Vaticano continui a spadroneggiare indisturbata malgrado ripetuti e gravissimi scandali, fra cui quello del Preseminario San Pio X, prelibata riserva di caccia di certi monsignori? Proprio per insabbiare quest’ultimo caso, di una gravità inaudita, hanno trasferito alla sede di Como, diocesi che gestisce la struttura, un uomo di loro fiducia con il compito di metter tutto a tacere, così da liberare da ogni fastidio il munificentissimo arciprete di San Pietro, che su quel seminario avrebbe dovuto vegliare.

È un turpe intreccio di sesso, denaro e potere di cui, a questo punto, non si può ragionevolmente dubitare che Bergoglio sia complice. Ma in fondo è questo pontificato stesso che è contro natura, perché opera in modo contrario ai fini e alle caratteristiche stabilite dal divino Fondatore della Chiesa. È vero che tale modalità operativa del tutto estranea all’essenza soprannaturale del Corpo Mistico, in quanto lo tratta come un qualsiasi organismo politico, è purtroppo osservabile fin dagli ultimi anni di Pio XII: quegli infiltrati, come padre Agostino Bea e padre Annibale Bugnini, che durante il suo regno lo avevano influenzato in modo coperto, si scatenarono poi con i successori. Essa, tuttavia, non aveva ancora raggiunto il vertice, pur potendo già contare, fin dal Concilio Vaticano II, su pontefici che, un po’ per la loro formazione culturale, un po’ per i giochi di Curia di cui, volenti o nolenti, erano prigionieri, potevano prestarsi inconsapevolmente al gioco. Ora, invece, la sovversione parte direttamente dall’apice, grazie alla tenace opera cospiratrice di un pugno di cardinali che sono riusciti a collocare il loro uomo nella sede petrina. Ma la realtà, violentata, prima o poi si ribella e sempre più credenti osano alzar la voce, disgustati da questo osceno spettacolo che supera la più fervida immaginazione.

La Chiesa sta vivendo il suo Venerdì Santo e deve quindi passare per la morte di croce per poter risorgere, come il suo Sposo. Quest’ineluttabile vicenda non esclude però che quanti desiderano prender parte alla futura rinascita la preparino fin d’ora con la propria collaborazione. Sul Calvario, la Madre del Salvatore fu l’unica ad associarsi al Suo sacrificio per cooperare alla Redenzione in modo che anche noi, nati dall’unica offerta di entrambi, potessimo farlo. Ora i Suoi figli, consacrati al Suo Cuore Immacolato, devono imitarla attivamente in modo che il loro sacrificio sia fruttuoso e affretti la risurrezione. Ella ci ricorda che il Figlio, lasciandosi mettere a morte, è sceso vittorioso agli inferi e li ha fatti esplodere con la Sua potenza divina; mentre il Suo corpo ancora riposava nel sepolcro, la Sua anima liberava i prigionieri. Accettando dunque la croce per volontà di Dio, non ci condanniamo all’impotenza, bensì operiamo in modo soprannaturale perché la Chiesa della terra esca rinnovata dagli inferi e torni a vivere in tutto il suo splendore.

Già si notano segni di risveglio: tanti e tanti cattolici che non accettano l’immoralità dilagante e la sfacciata impostura di una parte della gerarchia. Non arrendiamoci, ma denunciamo con coraggio ciò che osserviamo, perché chi danneggia la Chiesa sia corretto o estromesso. Sulle derive liturgiche o dottrinali, per ora, non c’è modo di intervenire, ma sullo sfacelo morale sì, perché è perseguibile a livello ecclesiastico o civile. Se siete al corrente di scandali, scrivete alla Parrocchia virtuale per sapere come intervenire. Non è possibile che siano soltanto prostituti o giornalisti spregiudicati a sollevare certi veli: il clero indegno va rimosso con le buone o con le cattive, dall’ultima parrocchia di periferia alle più alte stanze vaticane. Gli infami che, con l’attuale pontefice, si sentono ormai del tutto legittimati devono essere una buona volta stanati, specie quelli che hanno spinto Benedetto XVI alle dimissioni. Chi lavora entro le mura leonine ne vede e ne sente di tutti i colori: scriva con un profilo fittizio mantenendo l’anonimato, magari da una postazione pubblica… ma che si sappia cosa succede là dentro, perché si possa intervenire nei limiti del possibile, in modo che l’imminente castigo sia meno severo e la risurrezione più meritevole.

Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent: confusi sunt, quoniam Deus sprevit eos (Sal 52, 6).

sabato 17 marzo 2018


Cristo doppiamente flagellato



Per Cristo i flagelli sono raddoppiati, giacché si flagella la sua parola. […] Fu flagellato dai flagelli dei giudei; è flagellato dalle bestemmie dei falsi cristiani […]. Quanto a noi, facciamo ciò che egli stesso ci aiuta a fare: «Io, quando mi erano molesti, mi rivestivo del cilicio e umiliavo nel digiuno l’anima mia [Sal 34, 13]» (sant’Agostino, Trattati su Giovanni, X, 4).

Ancora una volta, le parole dei Santi si dimostrano attualissime, anche se la situazione che avevano direttamente di mira non è la stessa. Mai, come oggi, si flagella di nuovo Cristo nella Sua parola – bestemmiando così la Sua stessa Persona di Verbo incarnato – distorcendola o mistificandola fino a farle dire l’opposto. Il caso dell’indissolubilità del matrimonio è solo quello più evidente, ma i principi introdotti con la rivoluzione antropologica, surrettiziamente realizzata nella Chiesa con il pretesto di aggiornarla, sono tali da annullare tutta la Rivelazione. Il punto di partenza e di arrivo di ogni discorso religioso, infatti, non è più Dio, ma l’uomo (peccatore) con le sue “fragilità”, le sue esigenze, i suoi problemi. La manipolazione linguistica ha fatto scomparire responsabilità e peccato, troppo scomodi per una facile quanto illusoria proposta di felicità terrena a buon mercato.

Avallare le trasgressioni più gravi della Legge divina o cassare le condanne dottrinali del passato in   nome di un ecumenismo ipocrita e indifferentista: ecco le bestemmie dei falsi cristiani con cui oggi si flagella il Redentore. Ciò che, oltre a questo, fa molto soffrire è vedere tanti fedeli e sacerdoti in buona fede che ingoiano tutto con una superficialità disarmante: ecco il risultato di decenni di prassi pastorale che, alla cura d’anime, ha sostituito tutta una serie di pratiche basate sul sentimentalismo di presunte esperienze spirituali, sul sensazionalismo di periodici raduni oceanici, sul narcisismo di un autocelebrarsi senza oggetto né merito… L’azione soprannaturale della grazia è scambiata, a seconda degli ambienti, per sensazioni fisiche, emozioni piacevoli o risultati sociologici; anche là dove, in opposizione alle derive socialeggianti, ci si picca di essere spirituali, si finisce spesso nelle sabbie mobili di chi gusta se stesso convinto di gustare Dio.

La radice del male – mi sembra – è sempre la stessa: l’aver messo in primo piano l’esperienza umana al posto dell’iniziativa divina. È naturale che, quando il Signore interviene nella vita di una persona, essa se ne renda conto e sperimenti, in un modo o nell’altro, l’irruzione della grazia; ma la grazia, per la sua essenza soprannaturale, rimane sempre al di là di qualsiasi esperienza, né si esaurisce in questa o quella particolare esperienza religiosa. Ripiegarsi su ciò che si prova, a lungo andare, diventa una forma di idolatria che taglia fuori l’anima dal circuito della grazia; tale insidia va smascherata per tempo ed evitata con decisione, prima che diventi una trappola mortale per la vita interiore. Non c’è niente di peggio che essere convinti di aver raggiunto un buon livello di maturità spirituale per via di riscontri sensibili che, probabilmente, non hanno affatto una causa trascendente, ma sono semplicemente effetto di meccanismi psicologici: in questi casi, il più delle volte, non c’è modo di persuadere le persone a rimettersi in discussione.

Un buon maestro di spirito è capace di distinguere subito tra un frutto genuino dell’azione dello Spirito Santo e una mera reazione della psiche a fattori ambientali; ma dove trovarlo? Non c’è nulla di male, di per sé, nel fatto di sentirsi bene in quel certo gruppo di preghiera o in quel dato luogo di pellegrinaggio; ma se il motivo, in fondo, è sostanzialmente umano, non bisogna attribuirlo a Dio, perché così Lo si abbassa a una realtà di questo mondo e ci si rende impermeabili alla vera grazia, che segue vie diverse (di solito ardue e dolorose, in quanto deve prima purificare l’io peccatore). Le persone che desiderano solo stare bene, quando pregano, non sono disposte a lasciarsi trasformare dal fuoco celeste, che deve eliminare le scorie per far brillare il metallo. Un ciocco di legno umido, posto nel camino, deve spurgare tutta l’acqua prima di potersi accendere.

Come controllare se, nella vita spirituale, non si è caduti in trappola o magari non ci si stia cadendo? Verificando se e come si prega anche da soli, se si è perseveranti nella preghiera anche nell’aridità e nella tentazione, se si rivolge abitualmente lo sguardo interiore al Signore piuttosto che a sé stessi e ai propri pensieri, emozioni, sentimenti… poi esaminando le relazioni con il prossimo, se sono improntate a una carità paziente e discreta piuttosto che al giudizio, alla mormorazione, alla maldicenza e alla recriminazione. Se sono presenti questi vizi, bisogna interrogarsi seriamente, come pure sul modo in cui si reagisce di fronte alle prove o contrarietà che la Provvidenza permette o dispone: c’è ribellione, agitazione, sconforto, o accettazione umile e serena, affidamento fiducioso e collaborativo, confidente invocazione e intercessione? Ogni albero si riconosce dai frutti; se non sono buoni, lungi dallo scoraggiarsi (che è tipico indizio di orgoglio) ci si rimbocca le maniche per chiedere le grazie necessarie a progredire… e per correggersi.

Un criterio oggi particolarmente efficace per verificare la qualità della propria vita interiore, poi, è l’effetto che hanno sulla mente e sul cuore le bestemmie con cui i falsi cristiani continuano a flagellare Cristo: chi le prende per buone ha di che preoccuparsi gravemente, chi almeno rimane perplesso ha qualche speranza, chi non riesce proprio a ingoiarle è sulla buona strada, purché non si insuperbisca per questo. La tentazione di mettersi a sbraitare è molto forte – lo capisco – ma non porta da nessuna parte, se non a spegnere la vita dello Spirito nell’astio e nella rivolta, con il rischio di separarsi dalla Chiesa. Sant’Agostino ci ha mostrato la via da seguire: rivestiamo il cilicio (non solo accettando pazientemente la prova, ma – perché no? – anche fisicamente), umiliamoci nel digiuno (con la prudenza necessaria per non mettersi fuori gioco da sé), cogliamo ogni occasione per far penitenza (soprattutto quelle che ci procura il prossimo)… e offriamo tutto per la Chiesa militante, perché il suo Sposo non l’abbandoni al tradimento, ma ne abbia infine pietà.

Lo scopo della vita cristiana non è star bene in questo mondo, ma meritare la felicità nell’altro; essa non serve a godere di sé o ad autoaffermarsi, bensì a imparare a soffrire bene offrendo per la salvezza propria, dei propri cari e del mondo intero; non è una ricerca di conferme da parte di un gruppo di elezione, ma una severa scuola di superamento di sé in una quotidiana autodonazione. Il Signore sa che abbiamo bisogno di sostegno e di consolazione, ma non ci vizia con continue grazie sensibili, alle quali rischieremmo di attaccarci più che a Lui. Non a caso la Messa tradizionale, che ha forgiato stuoli di Santi, esige dal sacerdote e dai fedeli una radicale espropriazione di sé, dei gusti personali e delle attese soggettive per sostituirli con i veri doni di Dio, quelli che fanno crescere interiormente chi cerca davvero Lui e non se stesso. Smettiamo anche noi di flagellare il Cristo con l’inavvertita pretesa di metterlo al servizio della nostra pace e del nostro benessere; solo così la nostra offerta sarà gradita e porterà il suo frutto.

Ogni ricerca di cui Dio non sia l’oggetto, è implicitamente una ricerca di sé, e ogni ricerca di sé è a danno proprio (Madre Maria Ildegarde Cabitza, 1905-1959).

sabato 10 marzo 2018


La sindrome di Giuda



I suoi fratelli, vedendo che era amato dal padre più di tutti i figli, lo odiavano e non potevano parlargli pacificamente (Gen 37, 4).

La storia di Giuseppe, figlio di Giacobbe, oggetto di invidia e di odio da parte dei fratelli a motivo della predilezione paterna per il figlio avuto in vecchiaia, può fornirci una chiave interpretativa del rigetto delle autorità giudaiche nei confronti di Gesù. Per molti versi, in effetti, l’antico Giuseppe è una prefigurazione del Messia: la sua dolorosa storia di ingiusta esclusione si risolverà infatti nella salvezza di tutta la famiglia, una volta che la Provvidenza lo avrà dapprima condotto in Egitto come schiavo, poi elevato alla seconda carica del regno dopo il faraone. Anche la sua inalterabile mitezza e il suo eroico perdono fanno intravedere i tratti del Salvatore, che in tutto l’Antico Testamento traspare attraverso fatti e parole di cui era il segreto autore.

Il rifiuto del Profeta galileo non può certamente spiegarsi soltanto in base a considerazioni umane, ma è comunque necessario che gli uomini, nella loro libertà, offrano un supporto all’azione del mondo diabolico. La preoccupazione di preservare la religione da evenienze che potessero metterne in pericolo la sopravvivenza è fin troppo comprensibile per chi su quel culto aveva fondato il proprio potere e la propria fortuna, ma risulta insufficiente come motivazione, specie se si pensa che non servì a evitare, quarant’anni dopo, la catastrofica rivolta che finì con la distruzione del Tempio e la deportazione del popolo, mentre la classe sacerdotale era già stata massacrata dagli zeloti stessi per collaborazionismo con i Romani. Ciò che di Gesù risultava alle autorità davvero insopportabile era la relazione inaudita ed esclusiva con Dio che dimostrava nei discorsi e nelle azioni: nessun uomo si era mai neanche sognato che fosse possibile qualcosa del genere.

In termini più generali, si tratta di quel peccato contro lo Spirito Santo che il catechismo designa come invidia della grazia altrui. È un male che colpisce soprattutto le persone più religiose e osservanti, intimamente convinte di aver acquisito un diritto nei confronti di Dio. Il fatto che qualcuno le superi in grazia, magari senza i loro presunti titoli di merito, può renderle furiose, anche se, spesso, non lo ammettono neanche di fronte a sé stesse: sarebbe troppo disdicevole e contrario al mito che si sono costruite addosso. Immaginatevi il ceto colto e benpensante di Gerusalemme che si vede di colpo surclassato da un predicatore spuntato dall’oscura Nazareth, che nelle Scritture non è neppure nominata… Adonai non poteva far loro un torto così indecoroso: bisognava giocoforza concludere che il taumaturgo non fosse altro che un impostore.

E Giuda? Quel povero Giuda che, ultimamente, ci si affanna tanto a riabilitare, quasi non fosse stato colpevole di nulla? Non basta pensare che fosse rimasto deluso nelle sue ambizioni politiche; l’odio che spinge al tradimento scaturisce da regioni più profonde del guasto cuore umano. Nel suo atto c’è qualcosa di luciferino, un sentimento analogo a quello dell’angelo che rimpianse di non essere Dio e che, al riconoscimento umile e riconoscente della propria condizione di creatura di fronte a Lui, preferì la dannazione per pura superbia. Il pentimento che indusse il traditore a restituire la ricompensa ai sommi sacerdoti non poteva essere genuino se, subito dopo, la disperazione lo portò al suicidio: da uomo orgoglioso che esigeva un riconoscimento da Dio, egli non poteva ammettere un atto di perfidia tale da distruggere la sua autostima, ma l’invidia della figliolanza di Gesù gli impedì di pensare alla possibilità del perdono che quest’ultimo avrebbe potuto ottenergli.

Scagionare Giuda dal tradimento, Pietro dal rinnegamento e gli altri Apostoli dalla fuga significa ridurre gli uomini a burattini inconsapevoli di un piano di salvezza che Dio avrebbe realizzato arbitrariamente sulle loro teste senza coinvolgerli in modo personale, nella loro responsabilità e con il loro merito, seppure relativo e conseguente alla grazia, che è gratuita per essenza. È chiaro che le loro azioni hanno concorso alla realizzazione dell’opera salvifica perché il Signore si è servito di esse, per quanto intrinsecamente cattive, per compiere il proprio Sacrificio, ma ciò non annulla la loro colpevolezza, altrimenti non sarebbero più atti umani. La misericordia non riduce l’uomo a un ebete o a un bruto che non sia in grado di rispondere delle proprie scelte, ma è una volontà benevola che non si arresta nemmeno di fronte al peggiore peccato possibile e, anzi, lo trasforma in occasione di salvezza per quegli stessi che l’hanno commesso.

Come chiunque può riconoscere con il semplice buon senso, questo fatto non autorizza certo a peccare impunemente né scusa il peccatore, il quale, essendo l’autore dei propri atti liberi, ne è e rimane responsabile. Per questo anche i redenti devono espiare in Purgatorio le loro colpe, che pur sono già incluse nell’infinito valore soddisfattorio della Passione: con la Sua sofferenza e morte, il Redentore ha sanato l’offesa a Dio, ma non ha eliminato la colpevolezza individuale (che non può essere annullata). Oltretutto si tratta di peccati commessi da chi, con la grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti, potrebbe e dovrebbe essere un santo, anziché continuare a offendere Chi lo ha creato e redento; non parliamo poi di chi si pone in una situazione pubblica e stabile di peccato grave che contraddice radicalmente la volontà di quel Dio di cui è diventato figlio.

Alla fine viene il sospetto che tutta questa imbarazzante gara a scusare e difendere Giuda non sia altro che un elemento qualificante di quell’opera di sistematica demolizione della morale cattolica che da cinque anni procede inesorabile. Come già accennavo, però, la visione dell’uomo da essa sottesa è quella di un povero incapace da cui non si può esigere nulla e a cui non si possono porre condizioni di alcun genere. Questa, tuttavia, non è la visione della Chiesa nella sua Scrittura e nella sua Tradizione, la cui stima della creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio non l’ha condotta a farne un idolo, bensì a redarguirla e correggerla in nome della sua stessa dignità. Se questi, d’altronde, sono i frutti del culto dell’uomo, ridotto in ultima analisi a un minus habens, abbiamo un motivo in più per farne volentieri a meno…

Quelli che vogliono dare i Sacramenti a tutti, in realtà, non li trattano da persone, cioè da esseri dotati di coscienza e libero arbitrio. Dio concede a tutti la grazia, ma la grazia ha bisogno di essere liberamente accolta con la conversione e la fede, che presuppongono l’adesione alla parola divina e la decisione di riorientare la propria esistenza in conformità ad essa; altrimenti la grazia va a vuoto. È vero che la grazia è di per sé infallibile e onnipotente, ma permane pur sempre il mistero della possibile resistenza umana, fino al rifiuto. Giuda e tutti i dannati sono all’Inferno appunto per aver rifiutato la grazia, cosa che chiunque può fare: è un’eventualità terribile, ma oltremodo reale. Alimentare nei fedeli una falsa tranquillità a questo riguardo significa dar loro uno spintone sul ciglio dell’abisso. Che razza di misericordia è questa?

Rimane la domanda circa il motivo per cui i falsi Pastori divulgano con tanta insistenza questa “riedizione” del Vangelo riveduta e corretta, quasi a voler apparire migliori di Gesù. Non sarà mica perché, sotto sotto, ne sono invidiosi e, di fatto, lo odiano per quello che è? Non c’è niente di peggio che rendersi conto di avere a che fare con il Santo in assoluto senza voler farsi santi, dato che troppi sono i compromessi, i cedimenti, i raggiri, i sofismi e i peccati che, a forza di ambiguità e di mezze misure spacciate per rinnovamento, hanno riempito la vita, l’anima e il cuore. Allora, per non esser costretti ad ammettere di dover cambiare, bisogna eliminare il Santo o, per lo meno, neutralizzarlo con una fisionomia fittizia, inventata a tavolino come la nuova Messa, i nuovi catechismi, la nuova pastorale e tutto il resto… che a questo punto, a quanto pare, di nuovo hanno ben poco.

«Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo di Israele». […] Eppure il Signore aspetta per farvi grazia, per questo sorge per aver pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui! (Is 30, 11.18).

sabato 3 marzo 2018


La Chiesa crocifissa



Purtroppo, quanti Giuda Iscariota – che s’interpreta «mercede» – ci sono oggi, che per la «mercede» di un qualche vantaggio temporale vendono la verità, tradiscono il prossimo con il bacio dell’adulazione, e così alla fine si impiccano al laccio della dannazione eterna! […] Ma ahimè, ahimè, tutto il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, viene di nuovo crocifisso e ucciso! (sant’Antonio di Padova, Sermone per la Domenica di Quinquagesima, 15.19).

Ciò che sant’Antonio stigmatizzava con queste parole non era, probabilmente, ciò che potremmo pensare noi oggi nel leggerle. Quelli che vendevano la verità per un beneficio materiale erano forse quei predicatori o professori di teologia che sfruttavano la loro missione per arricchirsi od ottenere una posizione di riguardo e, a tal fine, adulavano i potenti. Come si comprende dal seguito, egli vedeva la Chiesa crocifissa dalle tentazioni dei demoni, come pure dalle bestemmie e persecuzioni da parte di pagani, eretici e giudei, vale a dire di saraceni, catari e usurai. I primi spadroneggiavano nel Mediterraneo e terrorizzavano le coste, addentrandosi molto profondamente nei territori cristiani con ratti, distruzioni e saccheggi; i secondi avevano il controllo di intere regioni e importanti città della Francia meridionale e dell’Italia settentrionale; i terzi potevano giungere fino a strangolare l’economia allo scopo di ridurre in proprio potere anche la politica in nome delle antiche promesse divine, dalle quali non ammettevano di esser decaduti con il rifiuto del Messia.

Le parole dei Santi, tuttavia, rivelano un’attualità straordinaria e possono essere legittimamente applicate al presente. Oggi, purtroppo, molti di quanti sono deputati a predicare e insegnare la Parola divina vendono letteralmente la verità di Cristo per ottenere riconoscimenti e vantaggi da parte dei potenti di questo mondo, dominato dall’alta finanza ebraica. La loro adulazione consiste nel giustificare i peccati degli uomini, anziché avvertirli del pericolo che corrono; così facendo mettono al collo, proprio e di quanti li ascoltano, la corda dell’eterna condanna. Una vera e propria invasione musulmana è di nuovo in atto con l’acquiescenza, se non l’incoraggiamento, di buona parte della gerarchia cattolica, che si è del resto fatta megafono di una gnosi aggiornata alla cultura postmoderna: se il primo modernismo fu la cloaca di tutte le eresie (san Pio X), questo è la sentina delle peggiori assurdità intellettuali e schifezze morali. Non solo, infine, la vita degli individui e delle famiglie, ma quella delle società e degli Stati è controllata dagli usurai e dagli speculatori delle grandi banche e società finanziarie.

La Chiesa, Corpo mistico di Cristo, deve riprodurre in sé la vicenda di morte e risurrezione per cui è passato il Capo per redimerla. Dal punto di vista teologico, non è una necessità assoluta, ma un pensiero altamente conveniente, cioè conforme alla logica del progetto divino. Il compimento pieno della redenzione richiede, per ragioni di giustizia, la partecipazione dei redenti. Nel momento in cui si consumò il Sacrificio redentore, solo la Madonna vi prese parte con la Sua cooperazione del tutto singolare, diventando così Corredentrice e Madre della Chiesa. Ora è giusto che anche i figli – non solo individualmente, come è sempre avvenuto, ma nel loro insieme – si associno all’immolazione in quanto membra dell’unica Vittima, realizzando così nell’interezza del Corpo quel coinvolgimento che il suo membro più nobile ed eminente ha anticipato e avviato sul Calvario perché anch’essi potessero attuarlo. L’insostituibile ruolo della Vergine Maria ci aiuta a comprendere non soltanto il senso e la fecondità della Croce, ma anche quelli dell’ora presente.

La Passione del Capo si è sempre prolungata nel Corpo, ma adesso è la morte stessa che deve sopraggiungere come premessa della risurrezione. Se la permissione divina ha disposto che un uomo privo della fede cattolica arrivasse al vertice della Chiesa, c’è una ragione ben precisa: egli ha il compito di tradirla e venderla ai suoi nemici, che vogliono distruggerla per regolare una volta per tutte – come si illudono! – i conti col Nazareno, che i loro padri hanno messo a morte per mano dei Romani. Ciò vale ovviamente solo per i capi del popolo ebraico, che del resto non hanno avuto scrupoli a far sterminare milioni di loro correligionari (servendosi, come sono soliti, di un regime pagano – e per giunta satanico) per raggiungere i loro scopi perversi, come la creazione di uno Stato sulla terra perduta per decreto divino e ormai occupata da altri. La suprema perfidia di quei signori, che nel corso della storia cristiana hanno suscitato le peggiori persecuzioni contro la Chiesa, è giunta ad attaccarla dall’interno per snaturarla e pervertirla, visto che il sangue dei martiri non fa altro che ringiovanirla e santificarla.

Lo scioglimento del dramma non sarà né rapido né facile. Possiamo alleviare l’agonia, sicuramente con la preghiera, eventualmente con il voto, ma non evitare la morte, la quale – come sempre avviene nell’agire di Dio – è al contempo castigo e salvezza. Il tradimento è giunto fino ad aprire le porte del Vaticano e delle sue istituzioni a chi opera per la distruzione della Chiesa e della società civile allo scopo di consolidare definitivamente, togliendo di mezzo tutti gli ostacoli, l’egemonia di pochi, ricchissimi uomini. Questo tradimento, tuttavia, non si limita al vertice, ma abbraccia tutti i livelli, fino alla base; ovunque è evidente la ribellione a Dio e all’ordine da Lui stabilito. Recitiamo dunque il Rosario, per l’Italia e per il mondo intero, soprattutto perché i pochi rimasti fedeli possano resistere e attraversare la prova senza perdere la fede. Come, il Sabato Santo, essa rimase accesa unicamente nel Cuore immacolato di Maria e nel discepolo a Lei affidato dal Maestro, così può persistere in coloro che Le sono consacrati, purché vivano tale consacrazione con una preghiera costante e una tenace carità verso tutti.

I cuori straziati da fatti e notizie sempre più raccapriccianti devono proprio per questo assimilarsi a quello della Corredentrice, cooperando così al pieno compimento della Redenzione e offrendo a Dio quella contrizione e riparazione che non Gli giunge dai peccatori induriti e tardi a convertirsi. È questa la grazia che dobbiamo soprattutto chiedere; solo in questo modo la consacrazione alla Madonna porterà tutti i suoi frutti, conformandoci a Lei nell’atto di offrirsi con il Figlio crocifisso e, quindi, conformandoci al Crocifisso stesso per la salvezza nostra, dei nostri cari e del mondo intero. Non cediamo alla tentazione di deprimerci né a quella di ribellarci con astio e livore; l’una e l’altra ci distruggerebbero, rendendo vana la nostra cooperazione al piano divino. Continuiamo invece a proclamare la verità con franchezza evangelica, acconsentendo unicamente a quelle forme di dissimulazione che, senza scadere nell’ipocrisia, siano richieste dalla necessità di non essere del tutto neutralizzati. Il criterio da seguire sia sempre il bene delle anime, perché possiamo ritrovarle in Paradiso, e il sostegno da ricercare sia la Comunione, dove poterlo pregustare.

Quanto è buono Dio con i giusti, con gli uomini dal cuore puro! Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi. […] Levano la loro bocca fino al cielo e la loro lingua percorre la terra. […] Se avessi detto: «Parlerò come loro», avrei tradito la generazione dei tuoi figli. […] Come sono distrutti in un istante, sono finiti, periscono di spavento! Come un sogno al risveglio, Signore, quando sorgi fai svanire la loro immagine. […] Ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria (Sal 72, 1-3.9.15.19-20.23-24).