Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 25 marzo 2017


La scala del Cielo



Nella città di Santa Fe, nel New Mexico, da quasi un secolo e mezzo si ammira un prodigio di falegnameria che attira ogni anno un quarto di milione di visitatori. La cappella di Loreto fu eretta nella seconda metà del XIX secolo per un gruppo di religiose francesi giunte sul luogo per aprirvi un collegio femminile. Una volta terminata la costruzione, ci si accorse però con disappunto che l’architetto (lo stesso che aveva progettato la cattedrale) aveva omesso un passaggio per accedere alla cantoria. Dopo una vana ricerca di soluzioni, la comunità decise di affidarsi a san Giuseppe con una novena. L’ultimo giorno, ecco presentarsi un uomo anziano, accompagnato da un asinello, che propone di costruire una scala in legno. I suoi soli attrezzi, una sega, un martello e una squadra. In capo a sei mesi, una magnifica scala a chiocciola era pronta e lo sconosciuto sparì senza chiedere un soldo e senza lasciare traccia di sé.

Ciò che da allora costituisce il principale motivo di meraviglia, tuttavia, è il fatto che quella scala è sprovvista del necessario pilastro centrale che le faccia da supporto; nessuno è finora riuscito a spiegare come possa reggersi. Per la sua costruzione, inoltre, non sono stati usati né chiodi né colla, ma solo pioli lignei. Il legno utilizzato per assemblare l’elegante spirale dalle curve perfette è così duro che non presenta segni di usura, nonostante l’intenso passaggio di persone; esso, oltretutto, non si trova nella regione, ma è di origine ignota. In breve, l’opera richiede una perizia e delle conoscenze talmente specializzate che non si capisce come un uomo solo, a quell’epoca, possa averla realizzata… a meno che non sia stato davvero – come la devozione delle suore e del popolo ha subito amato pensare – qualcuno che, per la sua saggezza, fu scelto per essere immagine viva del Padre celeste per il Figlio di Dio umanato e insegnargli un’arte raffinata, in qualche modo legata alla Sua missione sulla terra.

Il «figlio del carpentiere» (Mt 13, 55), in effetti, non apprese un “umile mestiere”, come tende a pensare una mentalità da “colletti bianchi” che squalifica a priori il lavoro manuale, ma una disciplina di estremo rigore, frutto di antica sapienza. Nei brevi anni della sua vita pubblica, Egli doveva costruire una scala che congiungesse la terra al cielo. La Chiesa visibile, con le sue strutture e istituzioni, avrebbe dovuto sfidare i millenni e resistere a tutti gli assalti. Ciò che la tiene in piedi, tuttavia, sfugge allo sguardo umano: non sono mezzi imponenti o smisurate risorse finanziarie – che, semmai, sono tarli che la rodono dall’interno. Il materiale da costruzione è terreno, certo, ma chi è nato dallo Spirito non si sa di dove venga (cf. Gv 3, 8). L’architetto e costruttore è lo stesso che ha progettato la spirale del DNA; un giorno si è presentato nella veste del servo, umile e discreto, ed è poi ripartito, a lavoro ultimato, senza chiedere nulla in cambio.

Chi, insieme con la sua purissima Sposa, ha avuto il compito sublime di educare umanamente quest’Uomo-Dio non poteva certo rimanere estraneo alla Sua opera. Anche se il suo ruolo nei confronti della Chiesa è stato riconosciuto in epoca tardiva, egli lo ha sempre esercitato. L’8 dicembre 1870 il beato Pio IX, in un’epoca particolarmente burrascosa, non a caso lo proclamò Patrono della Chiesa universale. A nessun santo, dopo la Vergine, si può attribuire un onore e una funzione del genere. La preghiera degli stessi Apostoli, che pure sono le colonne del mistico edificio, non ha sul Figlio di Dio un influsso pari a quello di colui sotto la cui autorità paterna Egli scelse di porsi. Quest’ultimo, quale uomo del silenzio, ebbe il singolare privilegio, condiviso con Maria santissima, di ascoltare quotidianamente, per lunghi anni, il Verbo incarnato, formandone in pari tempo l’umanità con la sapienza di cui era maestro.

Come non avere incondizionata fiducia nella sua intercessione a beneficio della Chiesa intera e delle singole anime? Non solo per le necessità materiali (come la mancanza di lavoro, che in questo periodo affligge tante famiglie), ma anche e soprattutto per quelle spirituali. Come non guardare, senza una colpevole omissione, al suo esempio luminoso di uomo giusto per imparare a praticare fedelmente i santi Comandamenti di Dio, onde poter arrivare, con l’aiuto della grazia, in cima alla scala del Cielo evitando di inciamparvi lungo l’ascesa e di precipitarne rovinosamente? Come non affidargli, congiuntamente alla Sposa, le famiglie in pericolo, i matrimoni sofferenti e i figli esposti a tante insidie? Ma, soprattutto, perché non richiedere il suo intervento a favore della barca di Pietro sbattuta dai flutti? Certo, essa è stata costruita dal “figlio del carpentiere” in modo tale da non poter affondare, ma chi è in essa rischia di esserne sbalzato fuori dalla furia del vento e delle onde. Non dubitiamo che, al momento fissato, Egli si alzi a placarla, ma nel frattempo siamo sballottati in modo così violento che abbiamo anche bisogno di essere rassicurati.

Con la sua fedele obbedienza, san Giuseppe cooperò – sebbene a tutt’altro livello rispetto alla Madonna – al compiersi dell’impensabile mistero dell’Incarnazione. Grazie alla sua disponibilità totale, esso si realizzò in modo onesto e ordinato; il Divino Bambino e la Vergine Madre trovarono in lui un vero capo-famiglia e lo strumento vivente della Provvidenza. Non per nulla «l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe» (Lc 1, 26-27). La sua dignità non è in qualche modo infinita, come quella della Madre di Dio a motivo – rileva san Tommaso – della Sua maternità, ma è senz’altro la più alta dopo quella di Lei. Il suo fiat non è stato esplicito come quello di Maria, ma è stato pronunciato con i fatti, mediante quelle opere in cui la sua fede si è compiuta. Impariamo da lui a obbedire attivamente a Dio sempre e in ogni cosa, anche quando ciò che comanda sembra troppo arduo nell’attuale cultura o ciò che ci chiede impossibile alle sole capacità umane.

sabato 18 marzo 2017


La fede dei piccoli e il tradimento dei gerarchi



Svégliati! Perché dormi, Signore? Non restare muto e inerte, o Dio (Sal 43, 23; 82, 2).

Secondo l’ipotesi alternativa già abbozzata la settimana scorsa, le voci riguardanti il progetto di un cambiamento sostanziale della Messa potrebbero nascere da una falsa indiscrezione, messa in circolazione apposta per scopi strategici. Una volta seminata l’agitazione con lo spettro di un nuovo stravolgimento liturgico, le modifiche che effettivamente potrebbero apportare – apparentemente meno incisive, ma ugualmente devastanti negli effetti a lungo termine – sarebbero alla fine accolte perfino con sollievo dagli amanti della conservazione, quella (malgrado tutto consistente) parte della Chiesa che resiste alle “novità dello Spirito” in nome dell’ordine e delle certezze. Questi novelli farisei, che si oppongono tetragoni ad ogni innovazione, specie se troppo audace, vanno lentamente rieducati nella loro mente angusta. Qual è il metodo più efficace, già sperimentato con successo sia dai regimi marxisti che dalla propaganda del politicamente corretto, che tradiscono in ciò una matrice comune? La manipolazione del linguaggio.

Ecco allora che, conformemente al tira-e-molla che ha caratterizzato il postconcilio liturgico, come i battisteri che, periodicamente, saltano dall’entrata al presbiterio e viceversa, anche per quanto riguarda il trattamento dei testi la palla sembra rimbalzata nella metà-campo bugniniana. Nel 1994 si era incoraggiata l’inculturazione, mentre nel 2001 era stata richiesta una completa revisione delle traduzioni in modo che fossero meno fantasiose e più aderenti all’originale. Ora sembra che una commissione di nomina papale sia all’opera per restituire all’eucologia uno stile più popolare e meno aulico. In ogni caso, interi episcopati (con quello italiano in testa) già si erano opposti con pertinace disobbedienza all’opera avviata da Benedetto XVI per riportare il culto pubblico della Chiesa latina alla sua dignità con maggiore fedeltà alla propria tradizione. Basti pensare che la terza edizione tipica del nuovo Messale attende da quindici anni di esser pubblicata in italiano, mentre si continuano a usare testi di fondamentale importanza tradotti in modo gravemente distorto.

Pensate solamente all’effetto che ha avuto sulla fede dei cattolici, in cinquant’anni, il fatto che il sacerdote, alla consacrazione del calice, dica per tutti in luogo di pro multis: la salvezza – per chi ancora crede che occorra salvarsi da qualcosa – è ormai considerata un fatto automatico esteso indistintamente a chiunque. A che scopo, allora, celebrare l’Eucaristia? (Guai a dire la Messa!) Per dare alla “comunità” (esistente come puro nome) l’opportunità di radunarsi e di celebrare se stessa. Oppure si pensi al terribile effetto erosivo, per la fede nella Presenza reale, della spudorata manipolazione («Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa…») che, giusto prima della comunione, i fedeli blaterano al posto del versetto evangelico pur conservato dall’originale latino del novus ordo: Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, «non sono degno che tu entri sotto il mio tetto…» (Mt 8, 8). Nella Messa tradizionale, sia il sacerdote che i fedeli lo ripetono per ben tre volte, per ribadire che sei proprio Tu, il mio Signore e il mio Dio, che stai per venire in ciascuno di noi singolarmente, per fonderci in Te nella misura in cui i nostri cuori sono puri e riconciliati (innanzitutto con Te e, di riflesso, fra loro).

Anche se si limitassero a un’ulteriore manipolazione linguistica, quindi, le conseguenze potrebbero essere comunque gravissime. Ma non sarei così sicuro che intendano fermarsi là: perché allora tanto segreto circa la costituzione della commissione pontificia e l’identità dei suoi membri, rivelata in via ufficiosa da un sito spagnolo? E a cosa han pensato di prepararci con la celebrazione dei Vespri anglicani all’altare della Cattedra di San Pietro, alla quale ha predicato – guarda caso – proprio il Segretario della Congregazione per il Culto Divino? Manco a farlo apposta, nel quarto anniversario dell’elezione dell’Innominato (che però non mostra alcun indizio di conversione…): è davvero un segnale? e rivolto a chi? Al capo della loggia-madre d’Inghilterra? Proprio quelli che, a Londra, hanno eretto la Saint Paul’s Cathedral come contraltare alla basilica vaticana (e che non riuscirono a farla più grande solo per mancanza di fondi), quelli che oggi “ordinano” donne e sodomiti per il ministero (fittizio) perfino di vescovo, hanno portato il loro culto abusivo nel cuore della cristianità. Considerata l’importanza che l’apparato simbolico riveste nell’iniziazione massonica, può esserci segno più potente di una rivincita e di un’occupazione?

Quasi contemporaneamente, un teorico della necessità di una drastica riduzione della popolazione mondiale (fautore quindi di aborto, eugenetica, contraccezione, sterilizzazione ed eutanasia) è stato invitato a parlare in Vaticano in qualità di esperto. Da poco i vescovi tedeschi hanno imposto la comunione per i pubblici concubini, mettendo in guardia i sacerdoti fedeli dal permettersi «giudizi estremi o frettolosi» nei loro riguardi. La parola del Vangelo è stata declassata dal generale dei gesuiti a invenzione dei primi cristiani, dato che gli Apostoli non avevano il registratore… Prima di rilasciare una dichiarazione di una simile stupidità, si sarebbe potuto leggere qualcosa sui metodi avanzatissimi di memorizzazione con cui la tradizione orale, all’epoca, conservava scrupolosamente (ed esattamente) gli insegnamenti dei maestri. In poche parole, non è solo la Messa che vogliono finir di distruggere, ma la Sacra Scrittura, la morale, i Sacramenti… tutto.

In ogni caso, lo Sposo non è assente né indifferente. Se tace o sembra addormentato, è perché la Sposa, in buona parte, Lo ha tradito a partire dai suoi vertici. Solo con estrema umiltà, dal fondo del nostro nulla e del nostro peccato, possiamo quindi reclamare che si svegli e faccia finalmente udire la Sua voce. Se abbiamo l’impressione di non essere ascoltati perché non lo meritiamo, poniamoci nel numero degli evangelici piccoli e facciamo ricorso a Lei, come con parole ispirate ci rammenta una parrocchiana virtuale: «La nostra buona Madre mi suggerisce che, nonostante la gravissima crisi che la Chiesa sta attraversando, pure dobbiamo guardare ai tanti piccoli, alle persone semplici che mantengono viva la vera fede, pregano e offrono sé stesse in silenzio. Nessuno sa dei loro sacrifici, del loro amore segreto, delle loro penitenze e delle loro preghiere incessanti. Nessuno conosce le loro lacrime se non la Santa Vergine, che fa in modo che nessuna di esse vada perduta e tutte le presenta al Suo Divino Figlio unendole al Suo Sangue. Queste lacrime riempiono le giare vuote che Gesù trasformerà in vino prezioso. Niente va perduto nella Comunione dei Santi, nel Corpo Mistico: Cristo Signore ne è garante».

«Chissà chi ha pregato per me perché mi convertissi, chissà chi ha riparato per i miei tanti peccati! Io gli sono riconoscente e spero di poterlo abbracciare un giorno in Paradiso. Pregare gli uni per gli altri; non solo tra noi vivi ma anche tra noi e le anime del Purgatorio o tra noi e i Santi, è tutta una rete di carità fraterna in cui ognuno porta i pesi degli altri o aiuta a portarli, e chi ha di più dona volentieri a chi ha di meno. Qui si realizza già il Regno di Dio; infatti si fa la volontà del Padre, come in cielo così in terra. Il male fa molto rumore, è appariscente e si fa molta propaganda, ma il fiume carsico della fede, della carità e della speranza scorre spesso nascosto e silenzioso. A volte lo vediamo emergere nella grazia che si riversa nella vita delle persone, nelle conversioni, nei miracoli, nelle guarigioni. La Santa Vergine è un grande esempio in questo, Lei che è santo Tabernacolo e che in apparenza non ha fatto nulla e invece ha fatto (e fa) tantissimo, e tutti questi piccoli nascosti che amano, credono e sperano in silenzio sono sotto il Suo manto materno. È Lei che si accorge per prima che “non hanno più vino” (Gv 2, 3) e subito lo dice a Suo Figlio. Perciò non dobbiamo temere: non resteremo mai senza vino, la Chiesa non resterà mai senza la Grazia. Qualunque cosa accada, non dobbiamo cedere alla tentazione (diabolica!) di pensare che Cristo abbia abbandonato la Sua Chiesa: ne faremmo un bugiardo, non sia mai! Tra questi piccoli ci sono anche tanti bravi sacerdoti che pregano, credono, amano e piangono, sperando contro ogni evidenza contraria. Fosse anche il Sabato Santo della Chiesa, l’alba della Risurrezione non potrà tardare!».

domenica 12 marzo 2017


Abolizione del Sacrificio?



Aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l’abominio della desolazione (Dn 11, 31).

Se l’indiscrezione fosse vera, sarebbe veramente un fatto di gravità apocalittica, che richiamerebbe alla mente la profezia di Daniele sugli ultimi tempi. Il fatto che la notizia sia stata fornita da più fonti indipendenti le conferisce una certa attendibilità, anche se non possiamo escludere a priori che un allarme fasullo sia stato messo in circolazione a bella posta come un diversivo, per distogliere la nostra attenzione da altre questioni sensibili, come l’eutanasia e l’adozione di bambini da parte di coppie sodomitiche. Di che si tratta, in ogni caso? Da qualche settimana si vocifera di una segreta commissione vaticana che avrebbe ricevuto l’incarico di revisionare ulteriormente il rito cattolico della Messa per rendere possibile una communicatio in sacris con anglicani e protestanti, compresa la “concelebrazione” di ministri delle diverse confessioni. A questo fine si starebbe pensando – pare – all’adozione dell’antichissima Anafora di Addai e Mari, la quale, pur non contenendo le parole dell’istituzione dell’Eucaristia, se non in modo implicito, nel 2001 è stata riconosciuta valida dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.

La questione, nella sua inverosimile paradossalità, richiede degli approfondimenti a più livelli. Se siamo arrivati al punto che si possano anche solo immaginare ipotesi del genere, è probabilmente perché il sentimentalismo imperante, fondato sull’ignoranza e sulla disinformazione, ha talmente offuscato le menti che ormai nemmeno le peggiori enormità vengono più percepite come tali. Ad ogni modo – anche se in tempi normali sarebbe del tutto superfluo – occorre anzitutto ricordare che il cosiddetto “ministero” esercitato nelle comunità protestanti non ha alcun valore sacramentale, dato che esse non hanno l’Ordine sacro. I loro ministri sono semplici laici e nella loro Cena, di conseguenza, non avviene assolutamente nulla; per lo stesso motivo non le si può chiamare “chiese” (com’è purtroppo divenuto abituale in casa cattolica), poiché in assenza del sacramento dell’Ordine la successione apostolica si è interrotta ed è quindi venuto meno un elemento costitutivo della Chiesa, insieme all’unità della fede, della comunione gerarchica e della vita di grazia.

Come non scusare, tuttavia, sacerdoti e fedeli – specie, paradossalmente, i più (de)formati – se un anziano professore di teologia, ex-rettore di un pontificio istituto romano, in un corso di licenza sull’ecumenismo è arrivato ad affermare (l’ho udito con le mie orecchie qualche anno fa) che anche i protestanti, in realtà, hanno il ministero sacro in quanto i loro pastori ricevono una preghiera con l’imposizione delle mani? Quel venerando docente, almeno nella sua giovinezza, avrebbe dovuto apprendere che il rispetto della forma dei Sacramenti è indispensabile alla loro validità; una sua modifica arbitraria li rende nulli. Oltretutto manca completamente, presso i sedicenti “riformati”, l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa: in questo caso, costituire dei ministri che, per il carattere indelebile del sacramento, siano abilitati ad offrire il Sacrificio in persona Christi. Per questi stessi motivi papa Leone XIII, confermando le decisioni di Giulio III, Paolo IV e Clemente XI, nel 1896 dichiarò invalide le ordinazioni anglicane, dato che il rito era stato illegittimamente modificato in modo sostanziale.

Un cattolico non può quindi partecipare al culto anglicano o protestante, sia perché, non essendo quello stabilito da Cristo e trasmesso dagli Apostoli, non ha validità, sia per non dare l’impressione di prenderlo per buono aderendo alla falsa dottrina che vi è connessa, ovverossia (tra le altre cose) alla negazione della transustanziazione. È vero che, nel corso dei secoli, la Chiesa è intervenuta sulla forma di alcuni Sacramenti e sulla sua determinazione, ma non ne ha mai toccato la sostanza e, in ogni caso, l’ha fatto in modo legittimo, cioè tramite una decisione della suprema autorità. Perfino la nuova Messa, elaborata con l’intenzione esplicita di renderla accetta agli eretici, è valida, sebbene assomigli terribilmente a quella anglicana (tanto è vero che un loro ministro, già trent’anni fa, a Londra mi confidò candidamente che usava abitualmente il rito di Paolo VI).

È evidente che una “concelebrazione” tra ministri di diverse confessioni è non solo una mostruosità, ma anche qualcosa di impossibile a livello metafisico, nonché sul piano giuridico e dottrinale: gli altri non sono sacerdoti, non hanno la nostra stessa fede nell’Eucaristia e non sono in comunione gerarchica con noi. Anche la cosiddetta intercomunione, che in Germania è prassi corrente ed è stata purtroppo ammessa anche in importanti ricorrenze con grande afflusso di fedeli, è un abuso gravissimo: non solo chi vi accede non assolto da peccati gravi commette un sacrilegio (come quei poveri cristiani che non hanno la Confessione e non credono alla Presenza reale), ma di fatto, pur accedendo insieme al Sacramento dell’unità per eccellenza, siamo e rimaniamo divisi, non per motivi puramente storici o disciplinari, come si vorrebbe far credere, ma per ragioni più che sostanziali. L’unica via verso un’unità reale – piuttosto che immaginaria o velleitaria – è la conversione dei non-cattolici alla vera fede e il loro ritorno in seno all’unica Chiesa di Cristo.

A che pro, allora, modificare ulteriormente la Messa? L’unica motivazione possibile può essere proprio quella di abolire il Sacrificio. Qui entriamo in un altro ordine di problemi. L’Anafora di Addai e Mari (attribuita dalla tradizione siro-orientale a due dei settantadue discepoli inviati in missione da Cristo) viene fatta risalire dagli studiosi, al più tardi, al III secolo dell’era cristiana. L’assenza del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia (cioè delle parole consacratorie) rifletterebbe una fase molto arcaica in cui esso non sarebbe stato ancora inserito, come è avvenuto in tutti i riti della Chiesa universale (segno, questo, che ciò risale agli Apostoli). Questo antichissimo canone è a tutt’oggi in uso nella Chiesa Assira d’Oriente, presente nell’odierno Iraq e nella diaspora. Questa Chiesa di origini apostoliche, separatasi per il rifiuto del Concilio di Efeso, ha tuttavia «preservato pienamente la fede eucaristica nella presenza di nostro Signore sotto le specie del pane e del vino e nel carattere sacrificale dell’Eucaristia» (1); nel 1994 ha firmato una Dichiarazione comune per il superamento degli equivoci in campo cristologico. Nel 1552 una parte di essa è ritornata alla piena comunione con la Sede Apostolica sotto il nome di Chiesa Caldea.

Se veramente intendono inserire l’Anafora di Addai e Mari nel rito romano, sarebbe effettivamente una mossa molto astuta: potrebbero rendere la Messa nulla – o almeno dubbia – facendo credere che nulla sia cambiato. Ciò per cui la considerano valida è, da una parte, il fatto che è sempre stata usata da una Chiesa particolare che ha un rito proprio e legittimo e, dall’altra, la condizione che il sacerdote abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, cioè di realizzare la transustanziazione. Anche se il termine risale alla teologia scolastica e non si trova nella tradizione orientale (che parla comunque di metabolḗ, trasformazione), tuttavia la realtà che indica deve essere oggetto di fede per tutti, come si sottolinea nelle professioni di fede che hanno dovuto sottoscrivere le Chiese separate per ritornare in comunione con Roma.

Ora, qualora un sacerdote latino, non avendo la dovuta intenzione, usasse quell’anafora senza aggiungervi le parole dell’istituzione (che secondo il dogma sancito dal Concilio di Trento costituiscono la forma sacramentale dell’Eucaristia), la Messa risulterebbe invalida. Non è un mistero per nessuno, purtroppo, che non sia infrequente il caso di preti cattolici che non credono più nella Presenza reale. Tuttavia, finché usano il rito legittimamente approvato dal Papa, chiedendo la trasformazione delle specie eucaristiche nel Corpo e nel Sangue di Cristo e recitando correttamente le parole consacratorie, il loro difetto di fede non invalida la Messa; al massimo ciò potrebbe avvenire (ma non è una certezza nemmeno questa) se nel consacrare ponessero un’intenzione positivamente contraria, cioè escludessero con un atto positivo della volontà di voler compiere la transustanziazione.

Comunque sia, non c’è un motivo plausibile per introdurre nel nostro rito un’anafora di un’altra tradizione liturgica, visto che, se proprio si ama l’antichità, abbiamo l’antichissimo Canone romano. Se mai questo passo verrà compiuto, a quel punto non bisognerà più andare per niente alla Messa nuova, dato che il dubbio sulla validità della consacrazione sarà troppo elevato. Alla luce di questi possibili sviluppi si comprende ancora meglio la portata profetica del motu proprio Summorum Pontificum e il valore imprescindibile dell’opera di quanti hanno conservato il rito tridentino, così che potesse giungere fino a noi in questi tempi di sovversione totale. Siamo ben coscienti che il processo rivoluzionario non sia iniziato soltanto quattro anni fa, ma è evidente che in questo lasso di tempo (quello che, come di recente rivelato da una fonte americana, i poteri occulti avrebbero dato al loro uomo per realizzare una primavera nella Chiesa Cattolica) si sia verificata un’accelerazione impressionante. Che i “grandi elettori” stiano reclamando da Santa Marta una concreta svolta decisiva nell’adempimento dei loro piani? Ad ogni modo, se realmente saremo posti di fronte a un bivio, sappiamo già da che parte andare.

sabato 4 marzo 2017


Apologia di Lutero (si fa per dire)



Il virus ha colpito anche me? Spero proprio di no. Ma bisogna completare il quadro con un accenno alla situazione della Chiesa all’epoca della rivoluzione protestante. Ciò non farà che confermare, in ogni caso, l’inevitabile giudizio negativo sui cosiddetti riformatori (giudizio che, come cattolici, siamo tenuti ad emettere in ossequio al Magistero di sempre); ma servirà pure, in pari tempo, a renderci consapevoli dei pericoli cui siamo esposti anche oggi. Le coordinate su cui ci muoveremo sono fondamentalmente due: una sul piano intellettuale (quella della cattiva teologia) e una sul piano morale (quella della corruzione del clero e dei fedeli).

La tarda scolastica era in gran parte degenerata in un gioco intellettuale sempre più avulso dalla reale vita cristiana, lambiccandosi in questioni sempre più sottili e sofisticate che non potevano contribuire alla santificazione, ma piuttosto allontanarne le anime. Al tempo stesso il nominalismo, riducendo la teologia a costruzione verbale sganciata dalle realtà che sono oggetto della fede, apriva la strada ad una concezione arbitraria della volontà e dell’onnipotenza di Dio, fonte di profonda inquietudine. L’angoscia di Lutero per la considerazione della giustizia divina fu probabilmente influenzata da questa atmosfera culturale e spirituale; questo indurrebbe a pensare che egli non rifiutasse l’attributo della giustizia in quanto tale, ma una sua visione distorta. L’uomo veramente spirituale, però, trovandosi di fronte a una difficoltà nella sua visione di Dio, sa che il problema non può essere in Lui né nell’insegnamento della Chiesa, bensì in un limite della sua comprensione soggettiva; perciò si sforza, con la luce dello Spirito Santo, di individuarlo e di correggerlo.

Sul versante della vita ecclesiale, il Rinascimento rappresenta storicamente uno dei punti più bassi. L’ignoranza e l’immoralità di buona parte dei preti, così come risulta dalle relazioni delle visite pastorali, ci fa sgranare gli occhi ancor oggi. Le maggior parte delle diocesi era lasciata allo sbando da vescovi che preferivano vivere fra i sollazzi delle corti, fra cui quella pontificia era la prima in Europa per dimensioni e raffinatezza. Uno spirito profano e paganeggiante aveva contagiato tutta la cristianità occidentale, a cominciare dalla testa. Una radicale correzione era quindi assolutamente improcrastinabile e la si reclamava da più parti. Visto che la gerarchia restava per lo più sorda ai richiami, lo Spirito Santo suscitò tutta una serie di vescovi zelanti e di geniali fondatori, i quali, spesso in seguito a una vera e propria conversione, si misero all’opera con fervore in tutti i campi. Bastino due esempi fra i più luminosi: san Carlo Borromeo e sant’Ignazio di Loyola.

Lutero, purtroppo, non seguì la stessa via; non ci vuole molto per rendersene edotti. Tuttavia, se la Provvidenza permise quell’enorme male che fu la sua ribellione con tutte le sue disastrose conseguenze, fu per dare alla Chiesa il salutare scossone che portò alla convocazione del Concilio di Trento, origine di quel prodigioso rinnovamento spirituale e pastorale che le impresse uno slancio straordinario nei secoli successivi. Questa considerazione non vale certo a riabilitare quella che, di per sé, rimane una sciagura delle peggiori della storia cristiana, ma piuttosto a rinfrancare la nostra fede in Colui che governa la storia. Anche qui si può applicare il principio per cui Dio, quando incontra da parte degli uomini una resistenza ottusa e ostinata, ricorre a rimedi estremi che, pur non essendo buoni in sé stessi, sono comunque l’unico mezzo che rimane per vincerla.

Detto questo, non possiamo fare a meno di costatare gli effetti deleteri che, anche nell’epoca attuale, ha provocato una teologia deteriore, scaduta a gioco di parole spesso incomprensibile e per giunta utilizzata, nel nostro caso, come strumento di sovversione. La mondanizzazione della Chiesa è sotto gli occhi di tutti: non tanto quella di un’esigua minoranza di chierici che ama pavoneggiarsi, attirandosi strali mattutini lanciati da una cappella d’albergo, quanto piuttosto quella di chi pensa e vive la Chiesa come un immenso apparato burocratico e organizzativo al servizio di cause meramente terrene e politicamente corrette. Tale appiattimento sugli orizzonti di questo mondo che passa è un tradimento ben peggiore della corruzione morale della gerarchia cinquecentesca, senza nulla togliere all’immoralità allucinante che, oggi, dilaga indisturbata all’interno delle mura leonine e farebbe impallidire un curiale di cinque secoli fa…

Ciò che è più sorprendente, tuttavia, è il fatto che tale degenerazione sia frutto dell’accoglienza, in casa cattolica, proprio di quelle istanze che caratterizzarono la falsa riforma di allora, cosa che costituisce un ulteriore motivo per riconoscerne l’inautenticità. La svolta di Lutero infatti, insieme alla centralità dell’uomo sancita dall’Umanesimo, è il punto di partenza del moderno soggettivismo; non per nulla i paladini della modernità lo difendono in modo così agguerrito. In effetti la fede, così come da lui concepita, non è più adesione dell’intelletto, sotto l’impulso della volontà e della grazia, alla verità rivelata da Dio, ma un atto puramente volontaristico con cui l’uomo si convince di credere e di essere giusto. In poche parole, è una fede nella propria stessa fede, una certezza velleitaria priva di fondamento oggettivo. In questo modo può diventare vera, sul piano soggettivo, qualsiasi cosa, anche la più assurda: non è più la realtà che conta, ma ciò che io desidero che sia, a prescindere dai fatti; come poi vivo effettivamente è del tutto irrilevante.

Nelle comunità protestanti storiche, sempre più sparute, in generale si è persa la fede, sostituita da un’ideologia umana che usa ancora qualche termine della tradizione cristiana, ma senza più alcun riferimento al suo contenuto. Noi li stiamo seguendo a larghi passi nella medesima direzione di quel suicidio della Chiesa, profetizzato dal cardinal Pacelli, che sarebbe stato effetto di mutamenti nella liturgia, nella dottrina e nella morale. Tutto questo non può essere frutto di un semplice errore, ma è necessariamente effetto di una strategia pianificata. Oggi giunge a piena maturazione un processo di mistificazione storica e teologica che, dopo aver rivisitato il pensiero e il metodo di Lutero in chiave positiva, li impone con arroganza totalitaria, quasi fossero la sola versione autorizzata e la salvezza stessa della Chiesa.

La superbia con cui ci si pone spudoratamente al di sopra della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, giudicandoli dall’alto delle proprie pretese conoscenze superiori, è tipica espressione di un atteggiamento gnostico, ma, in ultima analisi, tradisce una matrice ben precisa, comune a tutte le eresie. L’angelo decaduto, pur sconfitto dal Crocifisso, tenta fino all’ultimo di trascinare con sé il maggior numero possibile di anime. Siamo arrivati alla battaglia finale, in cui l’avversario, per concessione divina, è riuscito a portarsi fin nel cuore del nostro campo. Non sa però che, in questo modo, facilita enormemente il compito a chi prepara l’avvento del Regno di Dio sotto la guida della Condottiera celeste: i servi del diavolo, credendo la vittoria a portata di mano, hanno incautamente deposto la maschera; ora possiamo individuarli senza ombra di dubbio e invocare su di essi il giusto castigo. Se non si convertono, seguiranno colui che sostengono nella stessa dimora.