Il peggiore nemico
degli ebrei
È
un argomento esplosivo, ma non possiamo continuare a permettere che i nostri
ragazzi siano mentalmente manipolati da una visione storica scorretta
che è servita e serve tuttora a giustificare l’instaurazione di un nuovo ordine a livello planetario. Non
si tratta semplicemente di ristabilire le reali proporzioni dell’olocausto, ma di coglierne la matrice e
il movente autentici. Non intendiamo certo alimentare il filone negazionista
riguardo a quello che rimane comunque uno dei peggiori crimini del XX secolo (largamente
superato, tuttavia, dalle carestie e dai genocidi provocati da Lenin e Stalin,
di cui non si parla mai nel “civile” Occidente che stermina i suoi figli,
sebbene siano ampiamente documentati); desideriamo unicamente accertare la
verità in modo da non lasciarci più soggiogare da quella che risulta propaganda
nel senso tecnico del termine, intesa a farci accettare supinamente un progetto
politico totalitario che è quasi giunto a compimento.
A
pochi mesi dalla sua costituzione, nell’agosto del 1933, il governo nazista
siglò con il movimento sionista un accordo,
poi battezzato Ha‘avarah
(trasferimento), con cui si impegnava a favorire con tutti i mezzi
l’emigrazione degli ebrei di Germania verso la Palestina. Non soltanto fu
istituita una speciale linea di navigazione dai porti anseatici per Haifa, ma
si finanziò l’acquisto di macchine e utensili agricoli di fabbricazione
tedesca, mentre i candidati pionieri venivano addestrati in veri e propri kibbutz sul territorio germanico.
Nonostante l’opposizione del giudaismo internazionale e quella della Gran
Bretagna, che non vedeva di buon occhio una massiccia immigrazione ebraica che creasse
tensioni con gli arabi in una regione da essa amministrata, Hitler continuò ad
approvare questa politica fino in piena guerra, quando già i famigerati campi
di sterminio funzionavano a pieno ritmo. Gli eventi bellici inevitabilmente rallentarono,
ma non arrestarono il costante flusso migratorio, che in meno di un decennio
interessò un totale di circa sessantamila persone.
Un
interesse comune al nazismo e al sionismo? Sembra paradossale, ma risulta
proprio così, come denunciano ambienti ebraici antisionisti.
Gli uni volevano la “razza pura”, gli altri la rinascita della nazione e di uno
Stato ebraici. I secondi, anzi, acclamarono entusiasti le leggi razziali, che
venivano finalmente a ripristinare la separazione tra Giudei e Gentili richiesta
dalla Torah, ma di fatto non più
rispettata. Ciò che i rabbini faticavano a esigere sarebbe stato ora imposto da
un governo pagano con la loro complicità. Alla risurrezione di Israele si
ponevano però almeno due grossi problemi: anzitutto, bisognava convincere a
partire una popolazione che non aveva certo voglia di abbandonare le proprie
floride e consolidate posizioni per andare a far fiorire il deserto con la
vanga in una mano e un mitra nell’altra; in secondo luogo, quella striscia di
terra tra il Mediterraneo e il Giordano non avrebbe mai potuto accogliere tutti
gli ebrei sparsi nell’orbe. Si imponeva così la necessità di un intervento di selezione
che costituisse al contempo un convincente incentivo a cambiare aria…
Qualcuno
urlerà di scandalo, accusando questa ricostruzione di essere pura fantasia antisemita.
Ma nelle pubblicazioni sioniste degli anni Trenta si trovano riflessioni e
affermazioni che vanno proprio in questo senso. C’è di più: la ricostituzione
dello Stato d’Israele vi è collegata – guarda caso – alla realizzazione di un nuovo ordine in Europa (e quindi nel
mondo, dato che all’epoca i Paesi europei ne erano in buona parte padroni),
mentre la soluzione finale del
problema ebraico (parole loro) comportava l’abbandono del Vecchio Continente da
parte dei giudei – forse perché il continente cristiano per eccellenza, nel
loro piano, era condannato al degrado e alla rovina? Certo è che, una volta
rinnegato il vero Messia inviato da Dio, se ci si ostina nell’impenitenza
bisogna per forza inventarsi un messianismo sostitutivo (di natura
politico-finanziaria) e sopprimere la realtà che da Lui è nata, poiché la
sua sola esistenza costituisce un incessante rimprovero e un tacito
richiamo alla conversione (anche se, per compiacere il rabbinismo, ha smesso di lanciarlo e di pregare per essa).
Ecco
la vera posta in gioco: la sopravvivenza della Chiesa. In Medio Oriente la
presenza cristiana è quasi scomparsa; in Occidente è ridotta al lumicino – e
quel poco che rimane si è in larga parte corrotto in seguito a un concilio pastorale. L’America Latina è
presa d’assalto da ricchissime sètte protestanti; l’Africa, già stritolata dal
debito estero, nell’assoluta indifferenza dei mass-media è decimata da bande di macellai armati dalle
multinazionali. L’evangelizzazione langue, bollata di proselitismo da chi dovrebbe invece promuoverla o ridotta a dialogo interreligioso, specialmente in
Asia. Saremo accusati di semplicismo o di fanatismo a voler ricondurre tutto ad
una matrice unica, ma chi può negare che certi banchieri finanzino sètte, rivoluzioni,
terroristi e… teologi? Mancano le prove, accidenti! Ma facciamo un esempio per
tutti: a chi fu affidata la stesura del paragrafo 4 della Nostra
aetate? Ma è ovvio, che diamine: a una commissione di
rabbini.
L’immane
operazione di mistificazione culturale e di lavaggio del cervello che, grazie a
una classe politica prona al sionismo, subiamo da settant’anni non trova più un
argine nemmeno nella Chiesa Cattolica, la cui gerarchia se n’è anzi fatta in
buona parte complice. La carità e l’amore per la verità esigono invece che si
individui e denunci la menzogna per il vero bene di tutti i figli di Abramo: di
quelli secondo la carne, per la loro conversione; di quelli secondo la fede,
per la loro resipiscenza.