Adoratori del nulla
Pur conoscendo Dio, non l’hanno
glorificato né confessato come Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e
si è ottenebrato il loro cuore insensato. Mentre si dichiaravano sapienti, sono
diventati stolti (Rm 1, 21-22).
Il
sussidio pubblicato, con largo anticipo, per la preghiera comune che dovrebbe aver luogo in Svezia il 31 ottobre
prossimo (ma che stiamo chiedendo al Cuore immacolato di Maria di impedire) è
un gioiello di formalismo modernista. Non vi si percepisce più la minima
preoccupazione per la verità dei contenuti professati da cattolici e
protestanti, ma unicamente un’ossessiva attenzione a salvaguardare le forme. Se
d’altra parte ci si desse pensiero di quel che gli uni e gli altri credono o
meno, si sarebbe ovviamente obbligati a riconoscere che non c’è affatto
accordo; questo creerebbe non pochi imbarazzi all’indiscutibile volontà di
incontrarsi, riconciliarsi e collaborare. Allora ci si lancia in ideologici
balletti verbali per un equo trattamento di precedenza nel nominare questi o
quelli, per un uso non discriminatorio del maschile e del femminile, per un
carattere non vincolante dei testi proposti, così da lasciare spazio alla
spontaneità e all’improvvisazione in un evento che è stato preparato da mesi e
definito nei minimi dettagli…
A
prescindere dalla realtà effettiva, è l’aspetto formale che bisogna
incondizionatamente salvare, in un’ottemperanza cieca agli imperativi
categorici di una correctness di
facciata cui è indifferente il contenuto reale. Ecco allora che si invita a
ringraziare Dio per i doni della Riforma senza nemmeno accennare quali siano:
essa è una grazia per la Chiesa e su questo non si discute; che di fatto
l’abbia divisa non conta nulla. Ecco allora che si chiede perdono per i torti e
le colpe del passato, ma senza individuarli e senza alcuna puntualizzazione
storica sulle rispettive responsabilità: l’importante è pentirsi pubblicamente
di non meglio specificati peccati altrui, non certo dei propri peccati attuali.
Ecco allora che si rinnova l’impegno – fosse qualcosa di concreto, finalmente!
– di proseguire nel dialogo (leggi: decostruzione
delle identità religiose) e di porsi insieme a servizio di poveri e migranti
(leggi: sostenere l’invasione sul piano ideologico e pratico).
Sul
fronte opposto, c’è chi pensa di combattere questa pianificata deriva con una
riproposizione invariata della filosofia e teologia neoscolastica, quasi che
nella Chiesa, dopo quell’epoca, non si fosse prodotto più nulla di valido e di
serio. Apparentemente imbattibili nelle loro argomentazioni tanto serrate
quanto dotte, i paladini della conservazione sembrano convinti che ogni
evoluzione socio-culturale equivalga ad una degenerazione e che sarebbe
sufficiente, per rimediare a tutto, restaurare un sistema
politico-ecclesiastico che per la verità, in quella forma ideale, storicamente
non è mai esistito. Inutile tentare di aprire un dibattito in proposito: a
colpi di sillogismi e bordate erudite, l’obiettore sarà inesorabilmente ridotto
al silenzio o costretto ad accettare una visione del reale quanto meno
improbabile, visto che su molti e importanti dettagli i suoi difensori sono
spesso in disaccordo persino fra loro, accanendosi in accese diatribe senza via
d’uscita.
Senza
nulla togliere ai meriti di san Tommaso d’Aquino e dei suoi migliori
commentatori, non si può firmare un assegno in bianco su qualsiasi conclusione
teologica o morale che si ammanti della loro autorità. Nonostante le numerose
acquisizioni irreversibili che dobbiamo loro, inoltre, non esiste comunque un
sistema di pensiero perfetto, a maggior ragione se il suo oggetto è Dio. La
rivelazione divina e la vocazione umana hanno un carattere soprannaturale;
questo non è soltanto una parola, ma una realtà che ci supera all’infinito. Un
sistema teologico che pretendesse di essere perfetto e autosufficiente cadrebbe
nello stesso errore di fondo che si rimprovera alle filosofie contemporanee:
quello di prodursi come costruzioni intellettuali che si giustificano da sé
senza bisogno di alcun fondamento che le trascenda, ma che hanno perso il
contatto con l’evidenza del reale. I sistemi filosofici moderni hanno generato
mostri come Robespierre, Lenin, Hitler, Stalin, Mao, Pol-pot… Analogamente, gli
eccessi speculativi della tarda scolastica degenerarono nel nominalismo, senza
il quale un Lutero e un Calvino non si sarebbero mai potuti imporre.
È
ovvio che nessun neoscolastico estremista ammetterà mai di negare praticamente
la trascendenza divina, ma di fatto c’è una forte probabilità che non stia
facendo altro che giocare con le parole e i concetti astratti. Il suo edificio
intellettuale assomiglia molto ad un magnifico castello di cristallo che, oltre
ad essere terribilmente fragile, lascia intravedere al proprio interno… il
vuoto. Che Dio effettivamente esista o non esista, al limite, può risultare del
tutto secondario, se non irrilevante: ciò che egli adora è il suo sistema
concettuale, dietro il quale potrebbe pure nascondersi il nulla. Se quell’acuto
speculatore non ha mai fremuto di sgomento e desiderio nell’irruzione della
presenza divina, se il fuoco della Scrittura o la vampa dell’Eucaristia lo
lascian gelido come il ghiaccio, se la sublimità dei riti lo annoia e stanca, a
meno che non valga a nutrirne l’orgogliosa prosopopea… c’è il rischio che egli
non sia altro che un abile sofista.
Ma
cos’avrà mai in comune con coloro che combatte, apparentemente così diversi?
Anch’essi, in fondo, adorano il nulla, mascherato però non da una costruzione
teologica fossilizzata, bensì da un raffinato sistema intellettuale che prende
a fondamento Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Wittgenstein, Adorno… È naturale che
il secondo piaccia di più ai controllori del pensiero collettivo e ai magnati
dell’editoria, divenendo così maggioritario; ma dietro non c’è niente – e non
dev’esserci niente, altrimenti qualcuno potrebbe ricominciare a porsi domande e
a pensare veramente, stufo delle risposte preconfezionate che gli sono
propinate da una parte e dall’altra. D’accordo, quelle fornite da una scuola di
pensiero tradizionalista saranno generalmente più sicure, mentre le eventuali
deformazioni non toccheranno mai i livelli di assurdità delle idee propagandate
dalla dittatura del relativismo; ma proprio l’abituale affidabilità della prima
può rendere le sue trappole più insidiose. Chi, per uscire dal pelago
dell’incultura attuale, si è lasciato mentalmente decostruire per acquisire un
pensiero integralista, che farà quando resterà deluso pure da quello? A che
potrà ancora aggrapparsi per rimettersi intellettualmente in piedi?
Quanti
pericoli, Signore, in questa Chiesa confusa! La ricerca dell’unione con Te, a
quanto pare, non interessa più a nessuno o quasi; le esperienze e le dottrine
dei Santi stanno bene sui libri, come oggetto di studio accademico o risorsa di
battaglie apologetiche: ma, quanto a poterle rivivere, gli uni diranno che i
tempi sono cambiati, gli altri che occorre guardarsi dall’orgoglio e
dall’illusione. Da una parte sproloquiano con l’ideologia della mistica politica, dall’altra mi tarpano
le ali con l’osservanza materiale di pratiche e devozioni. I mistici del
passato non sarebbero andati molto lontano, con queste premesse, e non hanno
comunque avuto vita facile: basti pensare a Padre Pio, assediato tra i
positivisti che lo accusavano di isteria e i legalisti che volevano obbligarlo
a celebrare in mezz’ora. «Ma cchist’ so’
ppazz’…», avrà borbottato ogni tanto con il suo umorismo sapiente. A parte
gli scherzi, è l’esperienza del Tuo mistero, Gesù, che mantiene la mente e il
cuore sulla retta via; ci vuole un’adesione vitale alla Tua realtà.
Per
non essere scomunicato come modernista, preciso che questa esperienza, per
essere autentica, non può certo prescindere dalla sana dottrina, dallo stato di
grazia e dalla comunione gerarchica del Corpo mistico. È proprio quest’ultima
che, oggi, risulta particolarmente problematica: molti Pastori non sono più
affidabili, anzi hanno spesso bisogno di farsi redarguire dai fedeli.
Manteniamoci allora uniti ai successori degli Apostoli nella misura in cui
esercitano il ministero in modo retto e fedele, riconoscendo nelle loro persone,
al di là dei limiti individuali, la funzione divina che hanno ricevuto. Quando,
di principio o di fatto, ci si pone fuori della comunione ecclesiale, alla
lunga le deviazioni sono inevitabili, per quanto si protesti fedeltà alla
Tradizione, e si finisce per smentire ciò che si pretende di difendere. Noi vogliam Dio, come si cantava un
tempo: non la funzione di un sistema di pensiero, ma il Dio vivente che ci chiama
a condividere – e già ora può farci pregustare – la Sua eterna beatitudine
d’amore.