Iam enim securis ad radicem arborum posita est.
(Mt 3, 10)

sabato 24 novembre 2018


Il più grande miracolo dei nostri tempi




Il contrasto […] sembrava compendiare l’abisso che separa la fede dei santi dal modernismo prematuramente invecchiato […]. Il più grande miracolo dei nostri tempi è che la fede cattolica sia sopravvissuta alla riforma liturgica. […] il nuovo rito funebre ci offre un’esperienza impoverita a livello simbolico, sensibilmente ricostruita, sterilizzata e terapeutica del lutto cristiano che si rifiuta di scuotersi di fronte a grandiose realtà metafisiche (Peter Kwasniewski, 2 novembre 2018).

Sono affermazioni che valgono per tutta la nuova liturgia. L’autore è un laico americano. L’attuale rito delle esequie è particolarmente paradigmatico di un globale cambiamento di prospettiva: dalla fede cattolica all’umanesimo cristiano. Effettivamente c’è un abisso. Le esequie non servono più al suffragio del defunto, ma alla consolazione dei vivi. L’orizzonte religioso non è più la beatitudine eterna, ma il benessere terreno. Il culto non è più rivolto a Dio, ma all’uomo. Al cielo si preferisce il mondo; visto che il secondo rigurgita di male, si è eliminato il problema abolendo la nozione stessa di peccato o imputandone l’origine all’opera difettosa del Creatore, o per lo meno riformulandone il concetto e restringendolo alle colpe sociali, di cui è sempre responsabile qualcun altro o l’intera società. Le straordinarie realtà soprannaturali contenute e promesse nell’annuncio evangelico sono state sistematicamente sprofondate nell’oblio; i Novissimi, del resto, sarebbero di imbarazzo nel penoso cabaret in cui sedicenti comunità cristiane celebrano sé stesse.

Questo rifiuto della trascendenza, che si sta manifestando in modo sempre più aggressivo e arrogante, è il criterio con cui un prelato massone ha selvaggiamente spogliato la liturgia cattolica di gran parte dei suoi simboli e smembrato i riti della Messa e dei Sacramenti al fine di ricostruire a tavolino un culto artificiale che proprio in quanto tale è già invecchiato, legato com’è a un determinato momento storico, e sfiorito perché privo di radici. Oltretutto la sua inesorabile imposizione non è stata affatto legittima, visto che la bolla con cui san Pio V promulgò il Messale da lui riformato (Quo primum tempore, 1570) proibisce severamente e in perpetuo di rimettervi mano, a meno che non si consideri il nuovo rito una mera alternativa a quello perenne, la cui vigenza non è mai cessata. In ogni caso, la Messa di Paolo VI è valida per la presenza della forma sacramentale dell’Eucaristia; la partecipazione ad essa soddisfa altresì al precetto festivo, in quanto è quella ordinariamente celebrata e non si possono esigere dai fedeli sforzi impossibili. Ovviamente, chi ha l’opportunità di partecipare alla Messa tradizionale fa molto bene a preferirla, piuttosto che sottoporsi alla tortura di celebrazioni che, sia nel rito stesso che nelle modalità esecutive, sfigurano l’augusto mistero del Sacrificio di Cristo e impongono spesso un arduo esercizio spirituale per conservare la fede.

Il più grande miracolo dei nostri tempi, effettivamente, è che la fede cattolica sia sopravvissuta a tale sconvolgimento, nonostante la sterilizzazione del culto. Io stesso, pur essendomi reso conto, fin dai primi anni di ministero, che qualcosa non funzionava e avendo gradualmente aperto gli occhi sulla globale mistificazione del postconcilio, non sono stato in grado di cogliere tutta la profondità del problema finché non ho riscoperto la vera Messa, così da poter misurare, in qualche modo, l’abisso che ci separa dalla fede e dalla forma mentis dei nostri padri. Nella Chiesa – e, a cascata, nella società – è avvenuta una vera e propria mutazione religiosa, culturale e, di conseguenza, anche antropologica. Dobbiamo riconoscere che non siamo più gli stessi di una volta: volenti o nolenti, abbiamo metabolizzato il modo di essere, pensare e agire dell’ambiente che ci ha plasmato. Per ricuperare la genuina identità del cristiano non basta esser tradizionalisti come se si fosse iscritti a un partito o legati a un movimento di pensiero, senza sforzarsi di riformare seriamente la propria vita e di disintossicarsi dalla cultura dominante.

Se non interiorizziamo l’amore per la Tradizione in un’autentica vita spirituale, può capitare anche a noi di annoiarci a un pontificale (non pensando che è un atto disinteressato rivolto alla gloria di Dio piuttosto che alla soddisfazione dei nostri gusti) oppure, in una Messa da Requiem, di scalpitare per la lunghezza del Dies irae cantato o per l’apparente superfluità della benedizione del tumulo (non tenendo presente che lo scopo non è il nostro godimento estetico, ma il suffragio a vantaggio di anime le cui sofferenze vengono così alleviate). Per inciso, chi volesse meditare il magnifico testo attribuito a Tommaso da Celano resterà sbalordito per la potenza espressiva delle immagini, la profondità della dottrina soggiacente, lo spessore biblico e l’intensità della preghiera. Non imitiamo i modernisti: ogni tanto dimentichiamo i nostri miseri bisogni immediati e lasciamoci trasportare in alto, verso la luce e la pace di quel Regno che ci aspetta – se ne saremo degni – e che la liturgia fa pregustare sulla terra a quanti lo cercano sopra ogni cosa.

Se potete partecipare alla Messa antica solo di rado o a costo di grandi sacrifici, andate in cerca di sacerdoti che celebrino quella nuova in modo degno e conforme alla fede. Se, con la prima domenica di Avvento, sarà imposta la traduzione balorda del Pater noster, che ve ne importa? chi vi impedisce di continuare a recitarlo come prima? Non si può obbligare nessuno ad accettare una falsificazione del testo evangelico. Non possono farvi un bel niente; il problema, semmai, sarà per i parroci che si sentiranno obbligati a violentare la propria coscienza. Faranno meglio a chiedere un anno sabbatico reiterabile, in attesa che cessi questo regime. E se vi negano la comunione in ginocchio? Rimanete piantati sul gradino dell’altare finché il prete non sia costretto a darvela come è vostro sacrosanto diritto, oppure cambiate parrocchia. All’omelia udite eresie o affermazioni scandalose? Uscite di chiesa e rientrate al Credo. Vi tocca esser spettatori di abusi liturgici? Riprendete apertamente il prete e, se ciò non sortisce alcun effetto, andate altrove.

Per rimanere in tema di pseudoversioni liturgiche in vernacolo (a cui Benedetto XVI, fra l’altro, era nettamente contrario): anziché perder tempo in simili corbellerie, i Pastori dovrebbero preoccuparsi del fatto che, tra vent’anni, in chiesa non ci verrà più nessuno, visto che i bambini e adolescenti di oggi vengon cresciuti come perfetti materialisti atei e che domani né si sposeranno né battezzeranno i figli, come del resto già fanno molti loro genitori. Ci sarebbe da ridere, ma di una cosa vi prego sul serio: al Sanctus non ripetete più Dio dell’universo, che non è affatto la traduzione di Deus Sabaoth, bensì una designazione cabalistica di Lucifero; semmai recitatelo in latino. Ancora, in nome dello zelo episcopale per le traduzioni esatte: quale rapporto linguistico esiste tra Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum e Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa? L’unico legame, probabilmente, è l’intento di oscurare nei fedeli la consapevolezza della Presenza reale, ma questa non è una questione filologica.

Riguardo alle voci sull’invalidazione della Messa, mantenete i nervi saldi: è altamente improbabile che facciano un passo così plateale da scatenare una reazione di massa. Se poi giungeranno davvero a pubblicare canoni zoppicanti quanto alla forma sacramentale, vorrà dire che così avrà disposto il Signore per non esser più continuamente oltraggiato nell’Eucaristia e porre fine alle innumerevoli comunioni sacrileghe con cui tante anime rischiano di dannarsi; ma voi avrete già individuato sacerdoti sicuri che non li useranno. A mio avviso, una modalità più lunga, ma meno appariscente, di rendere nulli i Sacramenti sarebbe quella seguita dagli anglicani: l’invalidazione del sacerdozio mediante una riforma del rito di ordinazione o l’ammissione di donne. Anche in quest’ultimo caso, però, uno scisma sarebbe dietro l’angolo e i rivoluzionari non vogliono esser loro a caricarsene la responsabilità davanti alla storia; piuttosto stan facendo di tutto perché i “tradizionalisti” si tolgano dai piedi di propria iniziativa compiendo un atto che li ponga fuori della comunione ecclesiale. Per favore, non diamo loro questa soddisfazione.

Ricordate che l’aver potuto conservare o ritrovare la fede, in un marasma del genere, è una grazia incommensurabile che Dio ci ha concesso: possiamo proprio chiamarla un miracolo – e dei più straordinari! Non perdiamo la serenità e la gratitudine per nessun motivo: la Chiesa è di Cristo ed è Lui a tenerla saldamente in mano; quello che sta permettendo è in vista di un bene maggiore di cui non abbiamo idea. Quando arriverà il castigo, la gente si riverserà nelle chiese e nei confessionali; allora tutti i preti a cui sarà stato proibito o limitato l’uso del Vetus Ordo, non potendo più essere controllati né sanzionati per via di circostanze eccezionali, verranno allo scoperto e grandi folle li seguiranno per mettersi spiritualmente al sicuro, non esitando un attimo ad abbandonare i mercenari modernisti, incapaci di prestare valido soccorso e di fornire risposte affidabili già in tempo di tranquillità, ma buoni solo a intrattenere o coccolare con qualche emozione a buon mercato… Non temete: le forzature innaturali, prima o poi, esauriscono la spinta e la normalità, nella vita come nella religione, riprende il suo corso. Altro che irreversibilità della riforma liturgica! Si può sbarrare un fiume, ma non spingerlo a ritroso: prima o poi tracima.

Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt coeli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedictus qui venit in nomine Domini. Hosanna in excelsis.

Testo integrale dell’articolo citato:


Parole profetiche:


sabato 17 novembre 2018


Pastori, dove siete?




Pasce oves meas. Confirma fratres tuos (Gv 21, 17; Lc 22, 32).

Sembrava tutto troppo tranquillo. Le solite manovre diversive avevano distratto tanti, entrati subito in fibrillazione per presunte indiscrezioni sullo sdoganamento dell’omofilia o su cambiamenti nella  liturgia da promulgare urbi et orbi nella Messa conclusiva, o ancora sull’abolizione del celibato o sull’ammissione delle donne al ministero. Invece i furbastri del pool bergogliano stavano lavorando di nascosto su tutt’altro versante. In realtà l’assoluta mancanza di trasparenza (eliminazione della relazione intermedia sulle discussioni sinodali, embargo sui testi degli interventi, comunicazione strettamente controllata dall’alto…) faceva già fiutare il colpo basso, preparato lontano dai riflettori per neutralizzare ogni opposizione. I vescovi, a impedire le vivaci polemiche che agitarono i due “sinodi sulla famiglia”, si son visti forzati a votare un testo preconfezionato e presentato all’ultimo momento, di cui mancavano le traduzioni e sul quale non avevano avuto il tempo di riflettere. Per inciso: quando il Magistero era scritto in latino e i Pastori cattolici lo conoscevano, non c’era alcun bisogno di tradurre un bel nulla…

Come ha osservato uno dei partecipanti al sinodo più pilotato della storia, è immorale approvare un documento che non si è potuto valutare adeguatamente; eppure la quasi totalità del testo ha ottenuto senza colpo ferire la maggioranza qualificata dei due terzi. Questo non è segno di responsabilità né davanti a Dio né davanti alla Chiesa. Che qualcuno organizzi l’ennesima farsa in stile sovietico per imporre idee e decisioni già prese non obbliga nessuno a prestarvisi: l’astensione dal voto è sempre possibile, come pure la silenziosa protesta di quanti, vistisi trattati da stupidi e non volendo cooperare a una menzogna, hanno con dignità abbandonato l’aula. I giovani stessi, come previsto, sono stati usati e gabbati per altri scopi; certe penose festicciole danzanti entusiasmano solo quelli che si son lasciati deformare da preti, frati e suore o da qualche movimento. Il documento finale è la solita minestra riscaldata, ma con quel tanto di veleno sufficiente a peggiorare ulteriormente il loro stato di salute spirituale o ad allontanarli definitivamente dalla Chiesa. Alla fine, la messa in scena loro dedicata, se è pervenuta a qualche risultato, ne ha prodotto uno ben poco pertinente, ossia un’ulteriore spinta verso il decentramento dell’autorità ecclesiastica.

È così che un sinodo sulla gioventù ha inopinatamente partorito un contributo alla sinodalità, quella prassi ecclesiale che, da semplice mezzo, è ora presentata come un fine, se non addirittura una nota caratteristica della Chiesa, la quale, a quanto pare, deve cessare di essere una e cattolica: l’abusiva devoluzione in materia di dottrina, liturgia e disciplina sta già provocando notevoli divisioni e divergenze. Nel testo è completamente assente, oltre all’urgente educazione morale e alla destinazione ultraterrena dell’uomo, la dimensione gerarchica del Corpo Mistico, ossia la struttura di istituzione divina che gli consente di reggersi e di funzionare. Un’ossessiva insistenza sui mantra del cammino, del discernimento e dell’accompagnamento oscura totalmente le essenziali funzioni, fondate sul sacramento dell’Ordine, di insegnamento, governo e santificazione, senza le quali semplicemente non c’è Chiesa. Il rimando alle conferenze episcopali non è affatto una valorizzazione del ministero dei vescovi, ma un subdolo incentivo a una loro ulteriore esautorazione a vantaggio di istanze di diritto meramente ecclesiastico e di natura burocratica che da decenni si ingeriscono pesantemente in ogni aspetto della gestione delle diocesi e impediscono ai presuli di adempiere i propri doveri.

Se c’è qualcosa che riguarda realmente i giovani, è comunque l’implicita ammissione che esistano vari orientamenti sessuali. Anche senza riprendere un acronimo caro al pensiero unico (benché lo si fosse surrettiziamente infilato nell’Instrumentum laboris, sollevando giustamente un polverone), è stata tranquillamente accolta l’idea che c’è dietro, cioè una palese e aberrante menzogna, sia pure coperta da una citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ma il problema è già lì – e non c’è affatto da stupirsene, visto che chi ne ha diretto la redazione è l’attuale Arcivescovo di Vienna, così gay friendly… Già in quel testo, infatti, che pur dichiara gli atti omosessuali intrinsecamente disordinati, si depista sbrigativamente il lettore sul piano pastorale con la raccomandazione di un’accoglienza caratterizzata da rispetto e compassione, omettendo sia una definizione chiara del problema a livello scientifico e morale, sia un’indicazione affidabile per uscire da un’immane sofferenza.

Sebbene esistano molte persone che soffrono di disturbi dell’attrazione sessuale, l’omosessualità non esiste, né a livello genetico né a livello funzionale. La sessualità, infatti, è una realtà attinente alla persona umana, soggetto individuale, in sé sussistente, dotato di ragione, coscienza morale e libero arbitrio, nonché capace di relazione e di trasmissione della vita; per sua stessa natura e per il suo retto esercizio essa richiede due individui complementari che si uniscano in un atto personale, a faccia a faccia, allo scopo di donare l’esistenza ad altri individui della stessa specie, i quali, essendo immagine di Dio, sono chiamati alla Sua eterna beatitudine e devono perciò essere avviati ad essa fin dalla più tenera infanzia. La sessualità esiste dunque unicamente tra uomo e donna; il termine omosessuale è contraddittorio, il termine eterosessuale è pleonastico.

L’omofilia è un disturbo, dovuto in genere a ferite psicologiche dell’infanzia, che si può curare con terapie riparative; eventuali difetti genetici o disfunzioni endocrinologiche sono mere anomalie che, in quanto tali, non possono costituire il fondamento di altre forme di sessualità. Se l’attrazione per persone del medesimo sesso, anziché rimanere una croce da portare con l’aiuto della grazia di Dio, che la ricompenserà in eterno, si traduce in atti omoerotici di sodomia, viene a configurarsi come un peccato impuro contro natura che grida vendetta contro di Lui, cioè reclama un gravissimo castigo in quanto Lo oltraggia nel modo più vergognoso possibile nella creatura che Lo rappresenta nel mondo visibile, la quale si degrada spaventosamente mediante atti abominevoli.

Sottacere queste verità, nei testi del Magistero, è una colpa di omissione di gravità inaudita, perché non rende al Creatore l’onore che Gli è dovuto, nonostante ci abbia inequivocabilmente mostrato la verità sia con la fede che con la ragione, ma anche perché lascia le anime prive della luce e della guida di cui hanno bisogno per salvarsi ed evitare l’Inferno. Insinuare dubbi o ambiguità su dati dottrinali certi e già sufficientemente approfonditi è una colpa di gravità ancora maggiore, in quanto direttamente contraria al fine intrinseco del Magistero ecclesiastico e sintomatica di un’opposizione allo Spirito Santo. La setta bergogliana ha responsabilità pesantissime in questo senso, ma anche chi la fiancheggia indirettamente, fosse pure soltanto per ignavia.

È ora di affermare a chiare lettere che questi sinodi non servono a nulla, anzi sono terribilmente dannosi. I vescovi cessino di prestarsi al gioco e li boicottino, se vogliono conservare ancora un minimo di credibilità, già tanto compromessa dagli orribili scandali che l’ultimo sinodo, secondo Charles Joseph Chaput, arcivescovo di Filadelfia, ha trattato in modo deludente e inadeguato. Ma soprattutto, come ha di recente ricordato monsignor Viganò, al momento della morte ci attende un giudizio particolare immediato, nel quale l’anima stessa, vedendosi nella luce di Dio, riconosce la sorte che le spetta; alla fine dei tempi ci sarà altresì il giudizio universale, nel quale tutti i peccati dei reprobi saranno pubblicamente manifestati.

Pastori della Chiesa, vi esorto nel nome di Gesù Cristo: se avete ancora un barlume di fede, pensate al Giudizio (che sarà per voi molto più severo che per le vostre pecorelle) e riscuotetevi dal vostro deplorevole torpore; se non l’avete più, dimettetevi e abbandonate il posto che occupate in modo fraudolento, prima che l’ira divina piombi su di voi e di voi faccia strame. Basta con queste ignobili farse! Ricominciate a fare i vescovi secondo il mandato di Cristo testimoniato dalla Scrittura e dalla Tradizione: proclamate e difendete la verità, confutate e bandite l’errore, istruite e governate clero e fedeli. Date accesso, nei vostri seminari, esclusivamente a giovani uomini dalla moralità cristallina, espelletene i professori eretici, sanzionate una buona volta i preti sodomiti, anziché continuare a coprirli profondendovi in ipocrite dichiarazioni, e accogliete in diocesi sacerdoti di sana dottrina, fedeli alla volontà di Dio e alla loro vocazione.

Smettete di approvare supinamente documenti preconfezionati che vengon fatti passare per vostre decisioni, come la nuova edizione del Messale con le sue traduzioni fasulle. Riprendete possesso delle vostre legittime prerogative riducendo il potere degli organismi consultivi, come pure le ingerenze dei burocrati e ideologi delle conferenze episcopali, e facendo valere la vostra giusta autorità nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, non per imporre iniqui decreti e decisioni arbitrarie, ma per condurre il vostro gregge in Paradiso. Se siete in tanti, Roma non potrà sostituirvi tutti e dovrà ascoltarvi, se proprio vogliam parlare di collegialità. Fate ancora in tempo a cambiare rotta, per la salvezza vostra e di quanti vi seguono, seppure siano sempre di meno.

Parole sempre attuali per i giovani:


sabato 10 novembre 2018


Parola d’ordine: resistere




Veni, Electa mea, et ponam in te thronum meum; quia concupivit rex speciem tuam.
Desponso te Iesu Christo, Filio summi Patris, qui te illaesam custodiat.

Care monache di clausura, da qualche mese una nuova, seppur prevedibile, tempesta si è scatenata su di voi. Questa volta, a volere la vostra morte o almeno la vostra dispersione, non è il sanguinario regime rivoluzionario che, alla fine del XVIII secolo, imprigionò o decapitò tante di voi, né il neonato Stato unitario che dopo la metà del XIX vi rubò i monasteri e ve ne cacciò fuori, né ancora una legge di “separazione” tra Chiesa e Stato emanata all’inizio del XX, nonostante il ralliement del Vaticano, da una repubblica massonica nata dall’ennesima rivoluzione, e nemmeno quella analoga che la riprodusse quasi alla lettera, tredici anni dopo, in un Paese lontano appena caduto, con la regia dei “fratelli” d’Occidente, sotto uno dei regimi più feroci che la storia ricordi.

No: questa volta l’attacco vi giunge dai vertici della Chiesa stessa, cioè da quelle autorità che hanno sempre accuratamente protetto la vostra preziosa vocazione in quanto ausilio indispensabile alla buona salute di tutto il Popolo di Dio e segno inequivocabile della sua chiamata definitiva, al punto che fino a cinquant’anni fa, nella cerimonia di consacrazione delle vergini, il vescovo pronunciava una terribile maledizione contro chiunque attentasse alle monache o ai loro beni. Ora è proprio colui che occupa il Soglio di Pietro ad aver decretato la vostra fine: come ben sapete, la Costituzione Apostolica Vultum Dei quaerere (29 giugno 2016), con l’istruzione applicativa Cor orans (1° aprile 2018), vi impone di rinunciare all’autonomia dei vostri monasteri, ad una formazione specifica e alla clausura stessa, mentre l’Esortazione Gaudete et exsultate (19 marzo 2018) condanna senza mezzi termini l’amore del silenzio e della preghiera (cf. § 26).

Ovviamente tutto ciò è stato disposto – come si assicura a parole – per il vostro bene, per ravvivare lo spirito della vostra vocazione e per aiutare le comunità che fatichino ad avere una vita dignitosa a rinnovarsi o a… sparire. Per chi non fosse aggiornato sulla delicata questione, rimando ad alcune analisi i cui rinvii sono riportati in calce; ma voi, care madri e sorelle, sapete fin troppo bene di che si tratta. Entro appena un anno dalla promulgazione dell’istruzione applicativa tutti i monasteri dovranno essere entrati in una federazione la cui presidente avrà praticamente diritto di vita e di morte su di essi e di fatto esautorerà le vostre badesse, per non parlare delle visite canoniche con cui persone ostili (magari una di quelle suore moderniste, di una rigidità mentale pazzesca, che vivono non di realtà, ma di ideologia) verranno a ficcare il naso tra le vostre mura per decidere che cosa vada “riformato” e persino dove le singole monache debbano essere spedite…

Ora, non avete certo bisogno che sia io a ricordarvi gli impegni sacri e irreversibili da voi assunti: i vostri voti, pur essendo regolati da norme canoniche e riconosciuti dalla gerarchia ecclesiastica, sono stati fatti direttamente a Dio; pertanto nessuna autorità umana vi può costringere a venir meno alla loro osservanza né tanto meno annullarli, se non siete voi a richiederne la dispensa per giusta causa. Oltretutto, se un fedele di Cristo ha liberamente scelto di servire il Signore in una data forma di vita, legittima e approvata dalla Chiesa, chi mai ha il diritto di modificarla? La vocazione viene da Dio e nessun uomo al mondo la può alterare, a meno che non creda di avere un potere superiore al Suo. Le religiose espulse dai giacobini e sfuggite alla ghigliottina continuarono a rispettarla, nella misura del possibile, nelle case private che le avevano accolte, così come le monache russe portarono avanti la vita regolare in condizioni di fortuna, finché qualcuna di loro, quasi centenaria, una volta caduto il regime poté rientrare in monastero con la massima onorificenza del grande abito. Piegare l’inflessibile volontà di una donna è già cosa ben ardua; piegare quella di eroiche donne di fede consacrate a Dio è praticamente impossibile.

La consegna comune, allora, non può essere se non questa: resistere. Se il vostro monastero è indipendente, rifiutatevi di entrare in una federazione; se già ne fa parte, non acconsentite a ulteriori ingerenze che provocherebbero danni peggiori di quelli già fatti, come conflitti di autorità, abusi di potere e alterazioni dell’ordine stabilito dalle costituzioni. Per essere più forti, collegatevi semmai tra monasteri della resistenza. Mantenete la formazione interna delle candidate e declinate con garbo ogni invito a corsi, riunioni, assemblee che, obbligandovi a lasciare regolarmente la clausura, snaturerebbero la vostra vocazione, esponendovi oltretutto a un insidioso indottrinamento. Qualora decidano di sottomettervi con la coercizione, sbarrate le porte a presidenti e visitatori senza neppure lasciarli entrare. Se attaccano le vostre proprietà, ricorrete al foro civile. In una parola, preparatevi alla guerra.

Non dimenticate che l’obbedienza al Papa non può sovvertire quanto esige l’obbedienza a Dio, né l’accondiscendenza alla gerarchia offuscare il primato dei diritti divini. Come non si può obbligare un sacerdote a dare l’assoluzione, se in coscienza è convinto che non ci siano le condizioni per impartirla, così non si può costringere una monaca a rituffarsi in quel mondo che ha lasciato non per abbandonarlo al suo destino, ma per poter contribuire alla sua salvezza con la preghiera e l’offerta di tutta la propria esistenza in una forma di vita ben precisa, che nel mondo non è praticabile e richiede costitutivamente la separazione da esso. Se poi c’è qualche monaca a cui la clausura sia diventata stretta o che voglia proprio togliersi il gusto di fare shopping o di andare in spiaggia, non deve far altro che cambiare istituto, senza pretendere di stravolgere la vita monastica; ne risponderà lei allo Sposo, non tutta la sua comunità.

Se dovessero fallire tutti i mezzi di resistenza umana, potete sempre ripescare, care spose di Cristo, l’anatema cui poc’anzi accennavo. È vero che è riservato al vescovo, ma certe badesse, un tempo, portavano mitra e pastorale e, anche oggi, dimostrano di avere gli attributi ben più di molti prelati. Come vedrete, che le monache fossero sposate al Signore era un fatto preso estremamente sul serio, quando i Pastori avevano la fede. Se però non volete arrivare a tanto, ci sono pur sempre i salmi imprecatori, i quali, nel breviario evirato per forgiare preti evirati dalla spiritualità evirata sono stati purgati, ma che voi, rispettando il testo sacro, recitate integralmente. Visto che il vostro esecutore chiede sempre preghiere, applicateli a lui – o per la sua conversione o per la sua dipartita. Ricordate l’esempio di Giuditta: potreste liberare tutti noi.

Auctoritate omnipotentis Dei, et beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius, firmiter, et sub interminatione anathematis inhibemus, ne quis praesentes Virgines, seu Sanctimoniales a divino servitio, cui sub vexillo castitatis subiectae sunt, abducat, nullus earum bona surripiat, sed ea cum quiete possideant. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, maledictus sit in domo, et extra domum; maledictus in civitate, et in agro; maledictus vigilando, et dormiendo; maledictus manducando, et bibendo; maledictus ambulando, et sedendo; maledicta sint caro eius et ossa, et a planta pedis usque ad verticem non habeat sanitatem. Veniat super illum (illam) maledictio hominis, quam per Moysen in lege filiis iniquitatis Dominus permisit. Deleatur nomen eius de libro viventium, et cum iustis non scribatur. Fiat pars et haereditas eius cum Cain fratricida, cum Dathan, et Abiron, cum Anania, et Saphira, cum Simone mago et Iuda proditore, et cum eis, qui dixerunt Deo: Recede a nobis, semitam viarum tuarum nolumus. Pereat in die iudicii; devoret eum ignis perpetuus cum diabolo, et angelis eius, nisi restituerit, et ad emendationem venerit. Fiat, fiat (dal Pontificale Romanum).

Esempio da seguire:


Letteratura:







sabato 3 novembre 2018


Azione per tutti




Sappiate che il Signore esaudirà le vostre preghiere se persevererete con fermezza nei digiuni e nelle orazioni al cospetto del Signore (Gdt 4, 11 Vulg.).

Il ciclone provocato dalla denuncia di monsignor Viganò, se da noi è silenziato dall’informazione di regime, negli Stati Uniti ha sollevato un’ondata di indignazione popolare contro i vescovi, se non colpevoli o complici, almeno negligenti nel curare la piaga della sodomia nel clero. Il fenomeno rischia di essere sfruttato dal sistema per distogliere l’attenzione da quello – se possibile ben più grave – della pedofilia praticata nelle alte sfere della politica, della finanza e dello spettacolo, dedite a culti satanici che prevedono, nella massoneria di rito egizio (di cui fu gran maestro Garibaldi), lo stupro, la tortura, l’uccisione e la manducazione di bambini. Per renderli più arrendevoli alle loro pretese, quei signori li fan manipolare, a partire dalla scuola materna, con la cosiddetta educazione sessuale, che altro non è che un incitamento all’impurità e alla perversione, inculcate fin dalla più tenera età a creature del tutto indifese. D’altronde da giovani, nelle comuni degli anni Settanta, quegli stessi signori (fra cui molti dirigenti dell’Unione Europea), in nome di una presunta liberazione sessuale, si davano al sesso di gruppo allo scopo di prendere contatto col corpo e di raggiungere l’unione cosmica con tutti gli esseri viventi…

La Chiesa Cattolica, dal canto suo, avendo appena abbattuto gli argini morali ed eliminato le difese immunitarie dello spirito, aveva smesso di costituire una barriera contro il dilagare dell’immoralità, a cominciare dal suo interno. Buttati a mare due millenni di esperienza e di saggezza, buona parte del clero si era ubriacato della perniciosa illusione che il peccato non esistesse più, che tutto ciò che è umano fosse buono di per sé, che l’accantonamento di vecchi tabù repressivi avrebbe finalmente liberato la carica innovatrice del Vangelo, soffocata per secoli per ragioni di potere, ecc. ecc. Fu allora che i primi gesuiti americani si misero a sfilare nei gay pride; i loro epigoni di oggi, in fin dei conti, non sono affatto originali, ma ripetono idee stantie, con la sola differenza che, ora, sono la voce del capo supremo. Con premesse del genere, ci si poteva forse aspettare risultato diverso nella vita di tanti preti dalla mente inquinata e dall’anima persa?

Detto questo, mi sembra che si debba discernere, nei diversi casi di abusi da parte di membri del clero, se si tratti di derive patologiche o semplicemente di amoralità estrema. Si va in effetti da chi è stato a sua volta vittima (e riproduce compulsivamente un meccanismo di gestione dell’angoscia) a chi minimizza la gravità di certe condotte sessuali e vi ha fatto l’abitudine come se fossero normali. Di solito, però, le tendenze pederastiche e pedofile sono semplicemente un’estensione dell’omofilia, accettata e praticata da coscienze debolmente formate che finiscono con l’esserne completamente accecate, spesso a partire da un’insufficiente percezione della propria identità maschile dovuta ad una carente presenza paterna durante l’infanzia e l’adolescenza (caso ormai frequentissimo nelle famiglie sfasciate o condizionate dall’ideologia femminista).

La responsabilità personale, in ogni caso, non è mai completamente annullata: chi è in difficoltà, infatti, ha il dovere di chiedere aiuto; ognuno poi, specie se si tratta di un sacerdote, rimane sempre obbligato a rispettare i Comandamenti e ad ascoltare la voce della coscienza, che si fa comunque sentire. Indubbiamente, chi è cresciuto in un ambiente malsano, in cui certi “giochi” passavano per innocenti diversivi, ha ricevuto un imprinting che deforma la percezione delle azioni proprie e altrui, fino a indurirsi in un agghiacciante cinismo; ma è qui che entra in gioco quella cattiva formazione seminaristica che non ha insegnato le esigenze della vita cristiana né quelle, ancor più severe, della vita sacerdotale, che richiede la perfetta continenza e, quindi, un’accurata educazione alla castità, nonché un’attenta vigilanza da parte dei superiori.

Un sacerdote americano, in un’omelia del 19 agosto scorso, ha evocato una duplice infiltrazione nella gerarchia cattolica, iniziata negli anni Venti del secolo scorso. Quella comunista era ben nota, meno quella degli omosessuali. Probabilmente entrambi i fenomeni sono riconducibili al medesimo progetto massonico di distruzione della Chiesa Romana dall’interno. Anche in passato la Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, ha spesso dovuto combattere varie forme di immoralità nel clero e nei religiosi, comprese la sodomia e la pederastia, ma si sapeva bene che erano peccati e ce ne si vergognava, anziché cercare di giustificarli a livello teoretico come si fa oggi. La “misoginia” nei seminari, poi, più che un sintomo di omofilia era probabilmente un espediente per inculcare il celibato o forse anche una razionalizzazione della repressione di un desiderio naturale; riconoscerlo e trasferirlo su un piano più alto, trasformandolo in carità, era un cammino ben più esigente che richiedeva la santificazione personale, per cui, molte volte, si son preferite scorciatoie che han creato preti affettivamente immaturi ed esposti a tutte le tentazioni senza sufficiente autonomia.

Dietro un rigido formalismo di facciata si celava spesso un accomodante lassismo di fatto. Non appena, all’inizio degli anni Sessanta, con le nuove idee diffuse da docenti infiltrati dalla massoneria, nell’educazione ecclesiastica si è aperto uno spiraglio, quell’equilibrio apparente è saltato e caratteri fragili, tolte le briglie esterne, sono esplosi in tutte le direzioni. Tenuto conto di ciò, non do quindi tutta la colpa al Concilio, visto che il problema era pregresso; il fatto è che dopo il Vaticano II il precedente sistema disciplinare non è stato sostituito da nulla di valido: la formazione nei seminari è stata lasciata all’improvvisazione, con il totale abbandono di norme ascetiche che plasmassero personalità sacerdotali forti, mature ed equilibrate. L’abbondante produzione di documenti vaticani (peraltro rimasti sostanzialmente lettera morta) rispecchia quel tipico intellettualismo postconciliare che non approda mai a precise regole di condotta e concrete prassi educative. È così che il bubbone, a un certo punto, è inevitabilmente scoppiato e il pus sta schizzando ovunque, imbrattando pure chi non c’entra nulla.

Alla fine vien da pensare che certi membri del clero, ad ogni livello, non abbiano la fede o l’abbiano sostituita con un’ideologia costruita ad uso e consumo di atei gaudenti in clergyman, esenti da ogni obbligo e responsabilità, che recitano una pessima commedia per assicurarsi denaro, vantaggi e privilegi. Il Concilio, sdoganando le cattive teologie, ha indirettamente spazzato via quel poco che ancora rimaneva della fede genuina trasmessa dall’educazione familiare. D’altronde, il fatto che la corruzione sia arrivata ai livelli più alti e che si siano costituite vere e proprie reti di complicità e di ricatti non ci permette di intravedere una via d’uscita umana. Perfino la magistratura civile, in certi casi, sembra complice, come nell’accecante scandalo dell’Istituto Provolo di Verona, archiviato con il pretesto della prescrizione in barba a una convenzione internazionale ratificata dall’Italia nel 2012: anche dei giudici fra gli orchi?

La spaventosa storia, protrattasi per decenni, di abusi su sordomuti minorenni, che solo di recente sono stati messi in condizione di denunciare i fatti, ha avuto gravi strascichi in Argentina, dove venivano spediti i religiosi troppo intraprendenti, i quali hanno là continuato come se niente fosse, rimanendo, da parte ecclesiastica, sostanzialmente impuniti. L’allora Arcivescovo di Buenos Aires, come di recente rivelato da un settimanale tedesco, ha completamente ignorato le ripetute missive di denuncia e di supplica, rimaste tutte senza risposta; dopo essersi trasferito a Roma, ha dichiarato con l’abituale sicumera (mentendo spudoratamente, come suo solito) di non averne mai saputo nulla, pur chiedendo perdono ad alcune vittime che lo hanno interpellato a un’udienza generale e si son viste sbrigativamente congedate. Tolleranza zero… per chi ha subìto?

In una situazione del genere, Dio solo sa come purificare la sua Chiesa. La conclusione dell’omelia citata dà molta speranza, anche se è chiaro che il processo di pulizia sarà dolorosissimo, nel senso che potrebbe comportare violente persecuzioni. Nel mistero dei piani divini, il Signore vuole forse riportare a Sé la Chiesa che Lo sta abbandonando, ma a questo scopo ha dovuto prima far emergere la verità del suo stato effettivo, per poi rimuovere il tumore ormai visibile a tutti. Rifugiamoci allora nel Cuore Immacolato di Maria per essere pronti a qualsiasi evenienza e ottenere, per Suo tramite, le grazie di cui abbiamo bisogno per resistere restando fedeli a Cristo. Ci vuole una fede adamantina e una volontà resa inflessibile dalla grazia, ma da parte nostra dobbiamo fare quanto è in nostro potere per chiederla, assecondarla e farla fruttificare.

A tal fine, non trascuriamo il necessario lavoro sulla nostra anima, lasciandoci assorbire dalle notizie negative e facendoci da esse trascinare in basso, ma purifichiamo lo sguardo e teniamolo rivolto verso la luce, verso tutto ciò che è vero, buono e bello. Le armi che, sulla parola del Signore, la tradizione cristiana ci offre sono preghiera, digiuno e penitenza, i mezzi raccomandati anche dalla nostra Madre celeste. Se proprio vogliamo agire, questa è una via aperta a tutti e sempre praticabile. Se poi qualcuno vuol davvero farsi santo e raggiungere le vette della carità eroica, preghi e offra per la conversione del clero deviato, che rischia lInferno.

Senza un sacerdozio secondo il cuore di Dio, purificato dalle mode umane, la Chiesa non ha futuro. […] Le crisi nella Chiesa, per quanto gravi possano essere state, hanno sempre la loro origine nella crisi del sacerdozio. […] Gli uomini che hanno ricevuto una responsabilità da Dio stesso attraverso la loro vocazione non devono perdersi, poiché si tratterebbe di un tradimento senza pari (Robert Sarah, Dio o niente, Siena 2015, 147.149).